LA “LIBERACION TUPAMARA” IN URUGUAY

di Renzo Paternoster -

Tra il 1963 e i primi anni Settanta, in un quadro politico autoritario e di forte tensione sociale, l’Uruguay sperimentò la più grande forma di guerriglia urbana dell’America Latina: i Tupamaros del Movimiento de Liberación Nacional.

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L’Uruguay è un piccolo Stato dell’America Latina che si trova tra due giganti, l’Argentina e il Brasile. Prima dell’arrivo degli spagnoli il territorio era abitato da tribù indigene prevalentemente nomadi. Il primo europeo a inoltrarsi all’interno del territorio uruguaiano fu l’esploratore spagnolo Juan Díaz de Solís, che nel 1516 risalì il Rio de la Plata, restando però ucciso in un’imboscata indigena.
La tenace resistenza degli oriundi Charrúas preservò il territorio dalla prima ondata di conquistadores sbarcati nel subcontinente. Infatti solo nel 1624 fu stabilito il primo insediamento permanente spagnolo, a Soriano, sul Rio Negro.
Dal 1680 una contesa sulla proprietà delle terre uruguaiane oppose i portoghesi agli spagnoli. La disputa per il controllo della zona si protrasse fino al 1777, quando il territorio passò sotto il completo dominio spagnolo, che fu incorporato al vicereame del Río de la Plata col nome di Banda Oriental.
Nel 1810 iniziarono i primi moti anticoloniali. L’anno dopo, a febbraio, si registrò il primo tentativo indipendentista spronato da un parroco, dom Silvestro Antonio Martinez, e guidato da quello che oggi è considerato l’eroe nazionale, il generale José Gervasio Artigas. Dopo essersi sottratti alla dominazione spagnola e poi al controllo di Argentina e Brasile, l’Uruguay si costituì come Stato completamente indipendente nel 1828. Due anni dopo, 18 luglio 1830, l’approvazione della Costituzione sancì la nascita della Republica Oriental del Uruguay.
Ben presto sorse una forte ostilità da parte dei due schieramenti politici che avevano condotto la vittoriosa insurrezione nazionale: l’Asociación Nacional Republicana, soprannominato Partido Colorado, e il Partido Nacional de Uruguay, più conosciuto come Partido Blanco. I primi sono liberali, espressione della borghesia impegnata nell’industria conserviera e conciaria; i secondi sono conservatori, espressione del latifondo e appoggiati dal clero. La rivalità portò a una guerra civile (1843–1851) che vide vittoriosi i colorados. Nel 1855 si riaprì il conflitto tra colorados e blancos, ma dopo le elezioni del 1865 la direzione del Paese rimase per novantatré an¬ni nelle mani del Partido Colorado.
Fra il 1911 e il 1915, il presidente José Batlle y Ordóñez, riformò profondamente lo stato sociale, facendo dell’Uruguay il Paese più avanzato dell’America latina. Tale crescita si protrasse fino ai primi anni Cinquanta, seppur con tentativi dittatoriali e con varie riforme costituzionali.

Agli inizi del Novecento, con lo sviluppo dell’immigrazione soprattutto spagnola e italiana, si forma una classe media (artigiani, commercianti e piccoli proprietari) che si stabilisce principalmente a Montevideo, la capitale del Paese, dando vigore all’economia nazionale.
Nel 1954 il calo del prezzo della lana e la diminuzione delle esportazioni di carne, determinano una gravissima crisi economica, che genera un crescente malcontento tra la popolazione. Così, dopo un periodo di stabilità economica e politica, l’Uruguay piomba in una spaventosa crisi che porta l’inflazione al 136%. L’aumento del costo della vita porta il Paese verso un grosso conflitto sociale.
Nelle elezioni del 1958, dopo novantatré anni di governi di tendenza liberale e cautamente riformista del Partido Colorado, il Partido Blanco ottiene una schiacciante maggioranza parlamentare.
Nel 1968, la morte del Presidente in carica, il generale dell’aviazione Oscar Daniel Gestido, comporta l’assunzione della carica presidenziale del suo vice, Jorge Pacheco Areco. Il nuovo presidente, filoamericano e di tendenze conservatrici, avvia una decisa politica antinflazionistica, che fa esplodere la tensione sociale, alimentata dalle organizzazioni d’estrema sinistra.
Nel 1961, in occasione della protesta dei cañeros (i lavoratori della canna da zucchero del nord del Paese) Raúl Sendic, già dirigente del Partito socialista del Paese, riesce a organizzare un sindacato agrario. Il padronato programma quattro grandi manifestazioni a Montevideo, con lo scopo preciso di chiedere al governo l’applicazione delle leggi a loro difesa, proponendo anche l’espropriazione dei latifondi improduttivi.
Per meglio coordinare le attività di solidarietà nei confronti dei cañeros, nasce un movimento politico chiamato Coordinador. Sin dai primi incontri, i militanti di questo movimento mettono in discussione il ruolo ambiguo della sinistra ufficiale uruguayana, spudoratamente assoggettata all’URSS e giudicata inetta nel sviluppare serie linee di guida per i lavoratori e per i settori popolari.
In seguito alla svolta ancor più autoritaria del governo, un acceso dibattito interno al movimento Coordinador porta drasticamente a due schieramenti che appoggiano due distinte forme di lotta: quella lotta legale, attraverso la fondazione di un partito autonomo dalla sinistra ufficiale, affiancato da un apparato militare difensivo; quella armata con un’alleanza di tutte le forze popolari indipendenti e la creazione di una vera e propria organizzazione politico-militare.
È in questo infelice quadro, di forte tensione sociale, che nascono e si radicano nella società uruguayana i Tupamaros del Movimiento de Liberación Nacional.

Fondato nel 1962 dall’avvocato socialista Raúl Sendic Antonaccio (Chamangá, 1925 – Parigi, 1989), il movimento prende il nome da Tupac Amaru, leggendario ultimo capo indio ribellatosi nel XVIII secolo agli spagnoli e da questi ucciso. La scelta del nome, Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros, ha voluto evidenziare la volontà dei dirigenti del movimento di rompere le antiche catene che legavano il Paese alla soggezione straniera, attraverso la lotta ai governi fantoccio considerati imperialisti e filostatunitensi.
Il movimento non va confuso con il quasi omonimo Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (MRTA) del Perù, nato tra i militanti del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (Movimento della Sinistra Rivoluzionaria–Mir) e da una decina di dirigenti del Partido Socialista Revolucionario Marxista-Leninista (PSR–ML).
A metà anni Sessanta un segno indecifrabile comincia ad apparire su diversi muri della città di Montevideo: è una stella pitagorica obliqua con una T collocata al centro. Il pentacolo assume nelle intenzioni dei guerriglieri tupamaros il simbolo dell’unione delle lotte dei popoli dei cinque continenti.
Inizialmente il movimento decide di organizzarsi senza compiere alcuna azione, ma, quando il 13 giugno 1968 il presidente Pacheco Areco decreta la limitazione delle libertà civili, i Tupamaros abbandonano la legalità scegliendo la guerriglia urbana, come mezzo per la lotta politica, e la clandestinità, per la tutela dei suoi militanti.
Il movimento, composto per lo più da giovani appartenenti alla media borghesia di Montevideo, è un’organizzazione che fin dall’inizio appoggia la creazione del Frente Amplio, concependolo come un fronte politico, dove si devono concentrare tutte le esperienze di lotta del popolo e in cui doveva crescere la coscienza politica rivoluzionaria. Il Frente Amplio è stato un’alleanza di gruppi politici legali ed espressione della volontà di cambiamento da parte del popolo. Esso nasce come prodotto delle lotte del popolo nelle rivolte accadute all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso nel Paese.
Il Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, non potendo collaborare pubblicamente perché clandestino, partecipa a questa grande organizzazione politica di massa attraverso il Movimiento de Independientes 26 de marzo, pur senza mai presentare propri candidati alle competizioni elettorali e lasciando comunque libera scelta elettorale o astensionista ai propri militanti.
Nei Lineamientos estratégico-tácticos del programma del Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros, si ritrova il carattere politico-sociale della lotta del gruppo: lotta per la liberazione nazionale, per il socialismo e per la creazione di una società “senza sfruttati e senza sfruttatori”.
Tra gli obiettivi del gruppo: il diritto dei lavoratori a essere artefici del destino del Paese; la pianificazione e la gestione da parte dei lavoratori delle attività economiche del Paese; il diritto alla casa, alla salute, al lavoro e all’educazione per tutti; la distribuzione equa dei beni, delle ricchezze del lavoro e dei rischi; uguaglianza sociale tra i sessi; abolizione delle differenze fra lavoro manuale e lavoro intellettuale; il riconoscimento come categoria privilegiata dei bambini, degli anziani e dei più deboli; lotta alla schiavitù politica e sociale; costruzione di un mondo dove gli esseri umani possano vivere senza armi, senza esercito, senza violenza; la fiducia in un mondo in cui gli uomini possano autogestire la propria convivenza senza necessità dello Stato.
Per realizzare questi propositi, i Tupamaros decidono per una rottura netta con il sistema politico del tempo, propendendo per la rivoluzione. Questo, come si legge nella Declaración Constitutiva – Compromiso Político, «per costruire una Patria Grande».

stella-sghimbescia-del-movimiento-de-liberacion-nacional-tupamaros-de-uruguayNel documento 30 preguntas a un tupamaro (30 domande a un Tupamaro), dichiarazione pubblicata senza firma sulla rivista cilena «Punto final» il 2 giugno 1968, i tupamaros esprimono sotto forma di autointervista, la piattaforma di lotta del loro movimento.
A sfavore del «principio della necessità dell’azione politica di massa come mezzo imprescindibile per rafforzare e ampliare il potere militare della guerriglia, i Tupamaros ritenevano che fosse l’azione armata a indurre una presa di coscienza politica dei guerriglieri e, in generale, della popolazione», dunque la teoria politico-militare tupamara è tutta nella «convinzione che le rivoluzioni possono essere provocate o indotte senza il concorso iniziale delle masse», ma attraverso l’azione, la guerriglia, che «deve prevalere sul discorso politico» [Medero (2017), La guerra de guerrillas, p. 52]. Dunque, i Tupamaros adattano la teoria guevariana della rivoluzione al loro contesto storico, politico e geografico, adottando la tecnica della guerriglia urbana che diventa mezzo essenzialmente politico e non un semplice strumento tattico.
La guerriglia tupamara si struttura quindi con caratteristiche proprie, diverse da altre latinoamericane: il territorio di intervento è soprattutto la metropoli Montevideo, in tutti i casi le città. Questo per il particolare aspetto demografico del Paese, con una popolazione prevalentemente urbana.
Compiendo azioni militari di logoramento permanenti contro tutti i settori che sostengono il governo i Tupamaros fissano il loro obiettivo nella creazione di un potere rivoluzionario reale contrapposto a quello del regime, costruendo — come loro stessi intendevano — «il concetto e la struttura di un dualismo di potere» [Gilio (1972, Guerriglia tupamara, p. 225].
Gli attacchi, dunque, si concentrano soprattutto nei confronti della borghesia oligarchica, dell’esercito, dell’apparato giudiziario, della stampa e della proprietà straniera, attraverso azioni di sabotaggio, ra-pimenti di funzionari e collaboratori di governo (la cui liberazione è vincolata a contropartite politiche), omicidi politici di personalità politiche ritenute “soci” e cooperatori del regime (l’azione più eclatante fu il rapimento e l’esecuzione di Dan Mitrione, funzionario americano e consulente militare presso la questura di Montevideo). Le grandi e spettacolari rapine organizzate dai Tupamaros nei primi anni di lotta per autofinan¬ziarsi, per lo più incruente, si contrappongono nell’ottica propagandistica del movimento alle tradizionali ruberie di cui era accusato il governo uruguaiano; mentre gli assalti a depositi d’armi servono all’approvvigionamento militare.
Il gruppo diventa un mito per ideologi e militanti dei movimenti rivoluzionari europei. Nel famoso saggio La lezione dei Tupamaros del Movimento di liberazione nazionale uruguaiano, l’intellettuale francese Régis Debray si preoccupò di propagandare in Europa l’azione del gruppo. In Italia le Brigate Rosse decidono di adottare la stella sghimbescia degli uruguayani Tupamaros (eliminando la T e producendo sotto le inziali BR) per ammirazione verso questo movimento armato.

Mujica (a sinistra) con gli altri prigionieri il giorno della liberazione, il 14 marzo 1985.

Mujica (a sinistra) con gli altri prigionieri il giorno della liberazione, il 14 marzo 1985.

I governi che si avvicendano negli anni fra il 1968 e il 1973 contrastano aspramente il movimento di liberazione tupamaro, attraverso la proclamazione dello stato d’assedio e una serie di leggi speciali, tra cui l’utilizzo della tortura come mezzo per ottenere informazioni.
Nel 1972, il nuovo presidente uruguayano, il conservatore Juan María Bordaberry Arocena, intensifica la lotta antiguerrigliera attraverso operazioni coperte di settori della polizia e dell’esercito. Nel febbraio 1973 Bordaberry, con un auto-golpe, Bordaberry cede parte del potere esecutivo alle Forze armate, diventate sem¬pre più influenti dopo le azioni contro i Tupamaros. Lo stes¬so Bordaberry, nel giugno dello stesso anno, scioglie il Parlamento e lo sostituisce con un Consiglio di Stato di venticinque membri, in prevalenza militari.
I dodici anni di governo militare autoritario sono contrassegnati, oltre che dalla repressione politica, dall’incarcerazione dei dirigenti sindacali, dalla proibizione delle attività sindacali, compresi gli scioperi.
Inizia così una repressione senza precedenti che, pur non raggiungendo la spietatezza argentina e cilena, è egualmente spietata e criminale, con migliaia di desaparecidos (non a caso il 15 novembre del 2002 Bordaberry è denunciato da 1.500 uruguayani per il suo ruolo chiave nella feroce dittatura che insanguinò il Paese; sottoposto a processo dal 2006, con l’accusa di aver commesso gravi crimini durante la sua dittatura, per complicità nel colpo di Stato, per violazione della Costituzione e come mandante di sequestri e sparizioni di oppositori politici, è condannato a trenta anni di reclusione).
Così la maggior parte dei leader del movimento è incarcerata: Raúl Sendic, Eleuterio Fernández Huidobro , Mauricio Rosencof , Adolfo Wasem , Julio Marenales , Henry Engler, Jorge Manera, Jorge Zabalza e José Mujica, hanno trascorso oltre dieci anni in prigioni militari e considerati dal regime come ostaggi, ossia come detenuti che, in caso di ulteriori azioni militari dei Tupamaros, sarebbero stati immediatamente giustiziati. Altri fuggono all’estero, ricevendo anche appoggio in esilio, ma senza riuscire a riorganizzare il movimento, ormai allo stremo.
Schiacciato dalle contraddizioni di una politica economica basata sulle ricette neoliberiste importate dagli Stati Uniti d’America, il potere militare si trova a scontrarsi con imponenti manifestazioni popolari, tra cui quella che rifiuta la nuova Costituzione (presentata nel 1980) considerata apertamente antidemocratica.
Nel gennaio 1984 i sindacati proclamano uno sciopero generale che, dopo quindici giorni, ha un successo trascinante, costringendo i militari ad abbandonare il potere.
Dal 1982 inizia il processo di restituzione del potere alla società civile, che culmina nel novembre 1984, quando si tengono le prime elezioni presidenziali libere. Junio María Sanguinetti, un moderato del Partido Colorado, sale al potere democraticamente, formando un governo di unità nazionale. È il ritorno di un civile al potere dopo tanti anni di dittatura militare.
Nel dicembre 1986, le leggi di amnistia emanate durante la fase di transizione ridanno la libertà ai detenuti politici del Tupamaros così come l’impunità a tutti i membri del governo militare accusati di violazione dei diritti umani durante la dittatura. In quest’ultimo caso i partiti di sinistra protestano, ma un referendum nel 1989 conferma l’amnistia anche per gli ex membri del regime.
Nel 2009, l’ex tupamaro José Alberto Pepe Mujica Cordano è eletto democraticamente Presidente della Repubblica, carica che ricopre dal 2010 al 2015, rinunciando a vivere nel palazzo presidenziale e donando circa il 90% del suo stipendio a organizzazioni non governative e a persone bisognose.

Per saperne di più
Acta Tupamaras, in «Sitios de Memoria Uruguay», https://sitiosdememoria.uy/sites/default/files/2020-02/Actas%20Tupamaras_text.pdf.
Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros, Declaración Constitutiva – Compromiso Político – Reglamento de Organización – Bases Programáticas, in «Radio36 – Montevideo», http://www.radio36.com.uy/en trevistas/2004/02/documento2.htm.
Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros, 30 preguntas a un tupamaro, in «CEDEMA – Centro de Documentación De Los Movimientos Armados», https://cedema.org/digital_items/1735.
Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros, Dichiarazioni, atti, comunicati, risoluzioni e documenti, in «CEDEMA – Centro de Documentación De Los Movimientos Armados», http://www.cedema.org/index.php?ver=verlista&grupo=67&nombrepais=Uruguay&nombregrupo=MovimientodeLiberaciónNacional–Tupamaros.
M. E. Gilio, La guerrilla tupamara, Casa de las Américas, La Habana (Cuba) 1970, trad. it. Guerriglia tupamara, a cura di V. Parlato, Bertani, Verona 1972.
R. Debray, La lezione dei Tupamaros del Movimento di liberazione nazionale uruguaiano, Feltrinelli, Milano 1972.
AA. VV., Historia del Uruguay del siglo XX. 1890-2005, https://historiavivianasencion.files.wordpress.com/2015/10/historia-del-uruguay-capitulos-1-y-2.pdf.
R. Paternoster, La politica del terrore. Il terrorismo. Storia, concetti, metodi, Aracne, Roma 2015.
G.S. Medero, “La guerra de guerrillas”, in G.S. Medero, F. Aznar Fernández-Montesinos, Á. Gómez de Ágreda, F. Díaz Alpuente, E. Sánchez de Rojas Díaz, Amenazas Pasadas Presentes y Futuras: las Guerras Asimétricas, Ediciones USTA Universidad de Santo Tomás), Bogotá 2017, pp. 45-107, https://repository.usta.edu.co/bitstream/handle/11634/22430/9789588477589.pdf?sequence=1&isAllowed=y.