“FLEET IN BEING”: LA GRANDE GUERRA SUI MARI

di Massimo Iacopi -

Il controllo inglese degli oceani, nella prospettiva di una guerra lunga e dell’organizzazione del blocco navale alla Germania, si rivela decisivo sull’esito a lungo termine del primo conflitto mondiale.

La Prima Guerra Mondiale vede per la prima volta l’utilizzo delle tre dimensioni dello spazio marittimo: la superficie, con gli scontri fra le flotte di combattimento; le profondità, con le prime operazione sottomarine di rilievo; e, seppure in modo marginale, le prime operazioni aeronavali. Sul mare, gli scontri rimarranno, tuttavia relativamente rari, per effetto della prudenza degli ammiragli tedeschi che applicano paradossalmente la strategia della fleet in being, la “flotta in potenza” ideata da Arthur Herbert, primo conte di Torrington, nel 1690 e teorizzata dallo storico inglese Julian Stafford Corbett (Some Principles of Maritime Strategy, 1911). Si tratta, in pratica di conservare un’influenza di controllo senza mai lasciare il porto: se la flotta lasciasse il porto per affrontare il nemico potrebbe perdere la battaglia, mentre restando in porto il nemico è costretto a schierare forze per controllarla.

La superiorità della Royal Navy

All’inizio del conflitto i Tedeschi speravano, con la loro flotta di superficie e i loro sottomarini, di poter rivaleggiare con i Britannici e ostacolare significativamente le loro comunicazioni. Tuttavia, nonostante lo sforzo effettuato sotto l’impulso dell’ammiraglio Alfred von Tirpitz, la flotta tedesca rimaneva nettamente inferiore alla sua rivale. La flotta austro-ungarica, bloccata in Adriatico, non poteva essere di alcun aiuto, mentre la Royal Navy poteva orientare la sua componente principale, la Grand Fleet, alla sola sorveglianza del Mare del Nord, mentre il grosso della flotta francese era schierato nel Mediterraneo.
È proprio in quest’ultimo teatro che il 4 agosto 1914 inizia la guerra sul mare, con i bombardamenti dei porti algerini da parte degli incrociatori Goeben e Breslau. Per sfuggire alla caccia delle navi dell’Intesa, le due navi si rifugeranno in Turchia, alzando il pavese della mezzaluna dopo essere state fittiziamente acquistate dal governo dei Giovani Turchi.
Il 1° novembre la squadra tedesca dell’Estremo Oriente, comandata dall’ammiraglio Maximilian von Spee, mentre è in rotta per l’Europa infligge alla Royal Navy, nei pressi di capo Coronel, a largo del Cile, la sua prima sconfitta dopo un secolo, con la perdita di due incrociatori.
Dopo aver esitato un mese a lasciare Valparaiso, la flotta tedesca attacca l’arcipelago delle Falkland ma viene sorpresa dal vice ammiraglio inglese sir Frederick Doveton Sturdee con i suoi due incrociatori da battaglia. Il combattimento registra la morte di Maximilian von Spee e l’affondamento di quattro dei cinque incrociatori tedeschi, mentre i Britannici non subiscono alcuna perdita.
La scelta di una guerra di usura e di disturbo, effettuata con grandi navi da battaglia, sembra a quel punto compromessa. Questo fatto viene confermato il 9 novembre dalla distruzione, presso le isole Cocos, dell’incrociatore tedesco Emden, dopo che quest’ultimo aveva attaccato una ventina di navi mercantili nell’Oceano Indiano, e dalla fine dell’incrociatore Könisberg, affondato lungo le coste orientali dell’Africa nel luglio 1915. Queste navi isolate, chiamate impropriamente “corsare”, avevano il compito di fissare un importante numero di unità inglesi incaricate della loro distruzione: riusciranno a sopravvivere soltanto qualche mese, senza riuscire a provocare i danni auspicati (e con risultati inferiori ai sottomarini).

La battaglia di Helgoland

La Royal Navy segna il suo territorio anche in Europa: il raid su Helgoland (28 agosto 1914) e quello condotto da idrovolanti contro la base di dirigibili tedeschi di Cuxhaven, nel dicembre seguente, mette in evidenza la vulnerabilità delle coste tedesche. Gli ammiragli del Kaiser vengono in tal modo spinti a conservare le loro navi il più possibile fuori dalla portata inglese, nelle basi più protette (Wilhelmhaven, Kiel), e a utilizzare il canale di Kiel per condurre le unità dal relativo riparo del Baltico verso il Mare del Nord. La flotta tedesca restava così “in vita”, evitando, secondo l’espressione attribuita al kaiser Guglielmo II, “di condurre delle azioni che portino a delle superbe sconfitte”.
Di fronte a questa minaccia, la Royal Navy concentra i suoi incrociatori a Rosyth, presso Glasgow e le sue corazzate a Scapa Flow, nelle isole Orcadi, base meglio protetta e meno vulnerabile ai raid dei sottomarini. Gli incrociatori, in tale contesto, assicurano la sorveglianza quotidiana dei movimenti tedeschi, mentre le corazzate si tengono pronte a intervenire in caso di sortita massiccia della Hochseeflotte.
Le due flotte passeranno così la maggior parte della guerra a giocare a nascondino e a cercare di evitare i sottomarini nemici o le mine, un’altra minacciosa novità della lotta sul mare. Le battaglie saranno rare e poco decisive: in occasione del raid su Helgoland, la marina tedesca segnala la perdita di tre incrociatori; nello scontro sul Dogger Bank (25 gennaio 1915) perde una delle sue migliori unità, l’incrociatore da battaglia Blücher. Ma gli scontri navali resteranno limitati.

La battaglia dello Jutland

L’unica eccezione è la battaglia dello Jutland che, combattuta il 31 marzo 1916, è la conseguenza di una sortita della Hochseeflotte lungo le coste danesi per attirare la squadra degli incrociatori dell’ammiraglio David Beatty. Ultima battaglia “in linea” con navi che si cannoneggiano a vista, questo scontro è stato il più importante della storia navale per quanto attiene al numero delle unità impegnate e della potenza di fuoco riunita (complessivamente più di 250 navi, di cui 22 corazzate e 5 incrociatori da battaglia tedeschi contro 28 dreanought, 9 incrociatori da battaglia e 8 incrociatori pesanti inglesi).
La battaglia dello Jutland è stata il solo momento in cui la Grand Fleet e la Hochseeflotte si sono avvicinate abbastanza per rischiare una battaglia decisiva. Ciascuno dei due campi pensava di ingannare l’avversario, schierando uno schermo di incrociatori, seguiti dal grosso della flotta. Dopo l’ingaggio degli incrociatori, l’intervento delle corazzate tedesche farà ripiegare i Britannici verso le loro corazzate, la cui entrata in azione provocherà il ripiegamento tedesco verso Wilhelmshaven. La flotta tedesca, più provata dallo scontro, perse 7 incrociatori, 8 destroyers e più di 6 mila uomini, contro una corazzata, 4 incrociatori leggeri, 5 destroyers e 2500 marinai inglesi. La flotta britannica, al termine della giornata, non risulterà comunque vittoriosa, in quanto il rapporto di forze non era stato sostanzialmente modificato. La marina tedesca non tenterà più sortite significative fino al 1918.

L’ammutinamento di Kiel

La relativa inazione che segue alla battaglia dello Jutland genererà frustrazione e amarezza fra gli ufficiali tedeschi, ma anche l’abbassamento del morale degli equipaggi. Questo stato di fatto permette di capire la decisione, per molti insensata, di tentare nel 1918 una sortita “per l’onore”, nel momento in cui la guerra è già perduta, e anche l’ammutinamento che ne segue (29 al 30 ottobre 1918), nonché la rivolta di Kiel, punto di partenza della rivoluzione che farà cadere il potere imperiale qualche giorno prima della firma dell’armistizio.
Nel Mediterraneo, l’assalto lanciato contro gli Stretti turchi per ristabilire il collegamento con la Russia attraverso il Mar Nero, si conclude con un sanguinoso fallimento. L’attacco contro i Dardanelli (febbraio-marzo 1915), inizialmente solo navale, si infrange sui campi di mine. L’artiglieria dei forti mette fuori combattimento 6 corazzate, di cui tre colate a picco (fra esse la francese Bouvet, con 650 marinai morti). Per quanto riguarda le truppe australiane, neozelandesi e francesi sbarcate a partire dal mese di aprile sulla penisola di Gallipoli, esse vi rimarranno bloccate, decimate dalla dissenteria e dalla sete, senza aver potuto raggiungere i forti turchi. Il solo successo tattico è stato il reimbarco del corpo di spedizione, che viene completato agli inizi del 1916. Il fallimento comporta l’allontanamento di Winston Churchill che, come Primo lord dell’Ammiragliato agli inizi del conflitto, aveva ideato questa diversione strategica.

La guerra sottomarina

La marina tedesca, condannata a una relativa inazione in superficie, è più fortunata nel campo della guerra sottomarina. Già a partire dal 22 settembre 1914, l’U-9 affonda da solo tre incrociatori britannici. Ma sarà nell’offensiva contro il commercio del nemico che verranno impiegati i sottomarini, come risposta al blocco navale che impedisce alla Germania qualsiasi scambio marittimo.
Il sottomarino del 1914 – la marina imperiale ne dispone a quel tempo di una trentina – non è di certo il mezzo più adeguato per la missione che gli è stata assegnata. Basso sull’acqua e dunque poco visibile, il battello risulta armato debolmente in superficie e più lento di una nave a vapore; dispone poi di una debole autonomia in immersione, in quanto le batterie del suo motore elettrico sono poco efficienti. Si tratta di un “sommergibile”, ma non di un vero “sottomarino”. Può rivaleggiare con i velieri, ancora numerosi in superficie per assicurare i collegamenti commerciali nel 1914, ma i vapori possono sfuggirli facilmente e le navi da guerra risultano nettamente più rapide di lui. In tal modo, l’’attacco contro il traffico nemico assumerà la forma di siluramenti di bastimenti isolati, senza preoccuparsi della nazionalità, fatto che suscita la collera dei paesi neutrali.
È quanto accade in occasione del siluramento, il 7 maggio 1915, del piroscafo britannico Lusitania. La nave della Cunard Line trasporta, oltre ai passeggeri, anche delle armi e delle munizioni, la cui esplosione affretta il suo naufragio al largo dell’Irlanda. La morte di un migliaio di passeggeri – di cui 128 cittadini americani fra i quali Alfred Gwynne Vanderbilt, il “re delle ferrovie”, – suscita una viva emozione nell’opinione pubblica. Il presidente americano Thomas Woodrow Wilson esigerà dalla Germania una limitazione della guerra sottomarina, la cui efficacia si ritroverà, in tal modo, assai ridotta: le perdite mensili dell’Intesa avevano raggiunto a quell’epoca le 150 mila tonnellate. I responsabili militari tedeschi stimano, tuttavia, che occorre moltiplicare la tale cifra per quattro per la durata di 6 mesi per poter mettere in ginocchio l’economia britannica.
Dopo due inverni (1915-16 e 1916-17) particolarmente duri per i civili, che soffrono gli effetti del blocco britannico e dei cattivi raccolti di patate, lo Stato maggiore imperiale germanico annuncia la ripresa della guerra sottomarina “a oltranza”, a partire dal 31 gennaio 1917. La flotta è forte ormai di 125 unità, che diventeranno 150 agli inizi del 1918. Gli strateghi tedeschi fanno una scommessa analoga a quella del piano del feldmaresciallo Alfred graf von Schlieffen del 1914, quando speravano di battere la Francia in sei settimane. In effetti, anche questa volta sperano di raggiungere i loro obiettivi nell’arco di sei mesi, stimando che occorreranno 18 mesi perché un eventuale ingresso in guerra degli USA possa diventare effettivo in Europa. Minacciata dalla carestia, dalla carenza di prodotti agricoli importati indispensabili al suo rifornimento e dal soffocamento della sua economia, sprovvista di materie prime necessarie al funzionamento dell’industria, la Gran Bretagna si vedrebbe costretta a cedere e la Francia, privata del sostegno vitale delle 70 divisioni britanniche, non avrebbe altro scampo che negoziare in posizioni di debolezza. L’agitazione rivoluzionaria apparsa in Russia nella primavera del 1917 non faceva altro che confortare questa visione delle cose. Per di più, le prime settimane di attività sembrano confermare questo calcolo.

Gli Stati Uniti entrano in guerra

Nel mese di aprile del 1917, quando gli USA hanno appena dichiarato la guerra, gli Untersee Boot (U-boot) colano a picco 900 mila tonnellate di naviglio (sei volte di più della media mensile precedente). La primavera di quell’anno gli Alleati vivono una grave crisi delle comunicazioni marittime. Ma la situazione evolve prima dell’estate: armando sistematicamente i trasporti, adottando, soprattutto, il principio del convoglio scortato, Inglesi e Americani diminuiscono sensibilmente le perdite, riportandole a una media mensile di 300 mila tonnellate nel secondo semestre del 1917. Inoltre, l’efficacia della lotta anti sommergibile aumenta nel corso del 1918 : più di 130 U-boot (sui 180 in operazioni) vengono affondati negli ultimi due anni di guerra. Gli equipaggi affondati o catturati (il tasso di perdite dei sommergibilisti tedeschi è stato del 40%, molto superiore a quelle delle unità terrestri) diventano sempre più difficili da rimpiazzare. Nell’aprile e nel maggio 1918 i raid effettuati con l’obiettivo di ostruire i passaggi delle basi dei sottomarini sulla costa belga non hanno ottenuto, per contro, i risultati sperati, in quanto i Tedeschi sono riusciti nel giro di pochi giorni a riaprire gli accessi.
Il bilancio della decisione tedesca di scatenare “la guerra sottomarina a oltranza” si rivelerà, nel complesso, disastrosa. Gli U-boot hanno indubbiamente affondato più di 6 mila navi mercantili, per un equivalente di 13 milioni di tonnellate, ovvero i due terzi della flotta mercantile britannica dell’ante guerra; indubbiamente l’intervento degli USA modifica il rapporto di forze terrestri solo a lungo termine (le divisioni americane verranno impiegate in prima linea solo nell’estate del 1918). Ma gli USA forniscono immediatamente importanti trasporti supplementari (la seconda flotta commerciale del mondo nel 1914, con più di 5 milioni di tonnellate) e l’accesso al mercato del credito, che consentirà di finanziare la prosecuzione della guerra e di sviluppare un’industria nuova, capace di ripianare in gran parte le perdite navali subite.
Gli Alleati hanno utilizzato anche loro i sommergibili: soprattutto per ricognizioni e per appoggiare le forze di superficie, e anche come minaccia latente nelle acque controllate dalla marina tedesca piuttosto che per colpire il traffico commerciale. Nel Baltico, dopo il siluramento da parte di un sottomarino britannico dell’incrociatore da battaglia Moltke all’ingresso del golfo di Riga, i Tedeschi sono costretti a porre fine, nell’agosto 1915, al tentativo di attacco combinato contro le coste lettoni. La stessa città di Riga rimarrà altri due anni nelle mani dei Russi.
Il lungo conflitto 1914-1918 ha comportato nella guerra navale, come in quella terrestre, grandi cambiamenti. Queste novità non si sono tutte concretate nel 1918. Occorrerà attendere gli inizi degli anni ‘20 perché venga accettata la vulnerabilità delle navi agli attacchi aerei e vengano realizzate le prime portaerei a ponte piatto. Ma, alla fine del 1918, risulta ormai evidente a tutti che i tempi delle battaglie navali “in linea”, “alfa ed omega” della tattica navale da tre secoli, sono ormai passati.