LA FIORITURA DELLE CITTÀ NEL MEDIOEVO

di Massimo Iacopi -

A partire dal XIII secolo le fondazioni di nuove città si moltiplicano in tutta Europa. Con loro prende forza un mondo di cattedrali e di torri comunali, di mercanti e di studenti universitari che a poco a poco si impone sulla circostante società rurale e dei guerrieri.

 

 

Il XIII secolo, il secolo delle città in Europa, inizia con un evento di notevole importanza ed estrema gravità. Un atto sicuramente a danno della città per eccellenza: Costantinopoli. Nel 1204 i Franchi, convinti dai Veneziani, finanziatori dell’impresa, dirigono la spedizione della Quarta crociata, indetta da papa Innocenzo III per liberare Gerusalemme, contro Costantinopoli. La capitale dell’impero cristiano d’oriente viene messa al sacco; il trafugamento dei suoi tesori e delle sue reliquie viene così ad arricchire le chiese e le città dell’occidente. L’evento ha il valore di un simbolo. Questo trasferimento di ricchezze è anche indirettamente un trasferimento di sacralità. Infatti, almeno dal VII secolo l’Oriente greco e poi l’Islam avevano saputo captare il meglio della civiltà urbana legata all’antichità romana. Roma, Parigi e altre città dell’occidente facevano una magra figura davanti a Costantinopoli, Bagdad, Damasco o Cordova. Ma nell’XI e nel XII secolo l’occidente cristiano è ormai in condizioni di rivendicare con forza una parte dell’antica eredità del mondo romano.
Anche se inizialmente il medioevo fornisce dell’Europa un’immagine fondamentalmente rurale, è invece questo periodo il momento essenziale per la fondazione e lo sviluppo delle città. Alla vigilia dell’epidemia di peste nera (1347) dai 15 ai 17 milioni di uomini vivono negli agglomerati urbani, un dato globale che rappresenta, approssimativamente, un quinto stimato della popolazione europea dell’epoca. Il periodo successivo e moderno apporterà appena alcuni ritocchi a una trama urbana che rimarrà stabile fino alla rivoluzione industriale e spesso anche oltre.

In termini di tipologia si possono individuare delle “reti di città” a matrice (quadrettatura) molto fine come in Fiandra, nell’Italia del Nord e del Centro. Alla guida di queste potenti reti urbane si trovano delle città che per la maggior parte non esistevano o occupavano un rango modesto nel periodo romano. E’ il caso, in Italia, di Firenze, Pisa, Genova e Venezia, mentre Milano rappresenta un’eccezione. Altrove la trama urbana si è notevolmente ridotta, come in Spagna, o ridistribuita, come in Francia, oppure, come nel caso dell’Inghilterra e della Germania, la rete dei centri urbani si è creata praticamente dal nulla. L’urbanizzazione del XIII secolo è comunque il punto di arrivo di un processo durato diversi secoli. Tutto comincia a partire dall’anno 1000 attraverso il popolamento delle aree intorno ai principali punti di riferimento del potere medievale: i monasteri (che danno origine a borghi monastici come Cluny, fortificata nel 1180), il vescovado e i castelli (in Francia, il 60% degli attuali capoluoghi della Charente sono degli antichi borghi castrensi) ma anche, come nelle Fiandre, intorno a determinati palazzi comitali o reali (Douai, Lille, Ypres).
Le città sono intimamente legate all’economia della signoria. Esse danno albergo e protezione a quelli che per il loro lavoro, gli artigiani in particolare, permettono di monetizzare le risorse agricole che affluiscono sui mercati e allo stesso tempo produrre tutto ciò che serve alla vita sociale dei potenti.
Questa origine di tipo feudale spiega, da un lato, la modalità di crescita e dall’altro le strutture urbane delle città del medioevo. Queste, in effetti, si sviluppano spesso a partire da più nuclei originari, dove ciascun borgo, estendendosi progressivamente, tende a formare con gli altri un unico spazio urbano. Nel sud della Francia questo modello dà origine a un tipo particolare, le “città doppie”, dove lo spazio urbano tarda a unificarsi. Permane, insomma, la divisione fra due centri politici in concorrenza fra di loro: la città del vescovo, attorno alla cattedrale[1], e il borgo monastico (è il caso di Tolosa e Saint Sernin o Arras e Saint Vaast).

Quello che caratterizza pertanto il XIII secolo è dunque la creazione di nuove città, piuttosto che la crescita urbana, già in atto da lungo tempo. In Germania, dove la città è per la gran parte una invenzione medievale, gli storici stimano che fra il 1240 ed il 1300 si registra la nascita di 300 nuove città ogni decennio. Questa spinta spettacolare si spiega con una volontà politica, poiché i fondatori delle nuove città sono il più delle volte dei signori[2]. Nel caso specifico, i padroni del territorio, i grandi complessi religiosi o monastici, principi o sovrani. Ma le città vengono fondate anche da altre città. E’ il caso della Toscana, della Lombardia o del Piemonte. Alcune città di queste regioni prendono l’iniziativa di creare, nell’ambito del proprio territorio di giurisdizione, alcuni “borghi franchi”, agglomerazioni dotate di esenzioni fiscali. Ogni volta si tratta, quindi, di accompagnare la grande espansione rurale, fissando nuovi centri di popolamento, sottomessi all’autorità del signore o del potere locale in generale. Il processo è evidente: l’espansione urbana non è un fenomeno autonomo. Le città non sono nate – contrariamente a quanto per lungo tempo sostenuto dagli storici del XIX secolo, affascinati dal trionfo della borghesia – per effetto della temeraria e ardita iniziativa di qualche mercante arricchito dal grande commercio. E’ invece nel cuore delle dinamiche proprie della società feudale che vanno ricercate le ragioni di questo grande fenomeno.

La guerra o, più generale, la concorrenza fra i poteri è stato indubbiamente il motore principale di questo sviluppo. Per questa ragione le frontiere dei pionieri o le frontiere politiche rappresentano spesso le linee di forza di questa nuova urbanizzazione. In Inghilterra re Edoardo I (1272-1307) fonda lungo i confini del regno, vicino alle frontiere scozzesi e gallesi, numerose “planned towns”, che servono di appoggio ai suoi disegni di conquista.
I sovrani di Castiglia e Leon fanno la stessa cosa nell’edificare le “città frontiera” di fronte agli stati mussulmani, dotandole di privilegi, esenzioni e di un vasto territorio. A tal proposito, si può citare anche l’esempio dei Cavalieri teutonici, che marcano la progressione delle loro conquiste a est con la fondazione di nuove città, ogni 35-40 chilometri (una tappa giornaliera a cavallo). La ragione politica di questa attività può, a volte, essere anche la necessità di un controllo più stretto del proprio territorio per ragioni puramente difensive. In tal caso, e in linea generale, viene applicato un criterio di centuriazione del tipo a matrice, in uso presso gli antichi romani. E’ il caso del conte Raimondo VII di Tolosa (1197-1249) che di fronte alla pericolosa aggressività dei re di Francia e d’Inghilterra oppone una struttura urbanistica militare basata su una rete di centri fortificati (le bastides, da cui in Italia il nome di “Bastia” dato a molti centri fortificati), che consentono un facile controllo del territorio e una agevole manovra per linee interne contro un eventuale invasore.

Questo urbanesimo dilagante e conquistatore di spazi si manifesta quasi sempre attraverso una doppia concessione: l’autorizzazione a tenere mercato o una fiera e quella di uno statuto giuridico. Questi due elementi costituiscono l’identità della città medievale, che si caratterizza sia per una certa forma urbana (diversa in funzione delle sue attività economiche) sia per il suo modo politico di esistere. Quest’ultimo è, di norma, il risultato e l’effetto anche della nuova vita di relazioni che anima la società urbana. La città medievale è di fatto una nuova creazione, in quanto è la risultante non tanto della rinascita della città antica ma della ridefinizione, su basi radicalmente nuove, delle funzioni urbane. Mentre nelle città antiche il forum era il cuore della agglomerazione, la città medievale si organizza piuttosto intorno alla piazza del mercato. Questa è la prova evidente della preminenza delle funzioni economiche di produzione e di scambio nella impostazione del centro urbano. Diverse città di nuova fondazione si sono costituite nel medioevo attorno a una vasta piazza del mercato: un esempio tipico è quella di Cracovia, che concentra nello stesso spazio il mercato delle stoffe, il potere comunale e la chiesa di Santa Maddalena. Tuttavia, strutture monumentali così vaste come quella polacca rimangono un fenomeno relativamente raro. Quello che i depliant turistici in molte nazioni d’Europa presentano oggi come l’esempio tipico di mercati medievali (piazze quadrangolari, circondate da negozi) costituisce, nella realtà, piuttosto un’eccezione che la regola. Il motivo dominante nei sistemi costruttivi urbani dell’Europa è rappresentato dalla varietà e il mercato non occupa sempre un posto fisso nelle agglomerazioni, mentre il più delle volte esso si svolge lungo le sue vie principali. In generale, il medioevo è più caratterizzato da un urbanesimo delle strade che da un urbanesimo delle piazze. La via è un mezzo di separazione e di unione e il più delle volte distingue fra di loro i quartieri, universi di umanità ripiegati su sé stessi e sulle loro pratiche comunitarie. Anche se le piante delle bastides del sud-est francese hanno portato più di qualcuno a intravedere nella loro struttura delle interpretazioni esoteriche, è opportuno evidenziare che il contesto della fondazione ed espansione delle città sembra piuttosto rispondere a un criterio di lottizzazioni successive. Tale logica, tenendo necessariamente conto anche dalla forma topografica del terreno disponibile, porta inevitabilmente a uno sviluppo prevalente del tipo a scacchiera.

In molti casi la cinta muraria, che è obbligata a seguire un percorso difensivamente valido, è quella che viene a definire e a unificare un tessuto urbano eterogeneo, dove esistono ancora numerose zone non costruite e che servono spesso anche all’attività agricola e pastorale: la capra nelle città mediterranee, il maiale o la vacca altrove, oltre agli animali da cortile, sono elementi familiari nella scena urbana. Fra città e campagna, almeno inizialmente, la frontiera è fluida o comunque porosa. Tuttavia, le mura delimitano nettamente la città, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista militare e fiscale. Come ebbero a scrivere diversi cronisti dell’epoca: “Le mura per la città sono la sua forza, il segreto della sua potenza e il simbolo del suo valore”. E anche se a volte non sono molto spesse e presentano un tracciato neanche continuo, esse costituiscono, comunque, la materializzazione, il senso di protezione e forse l’elemento attivo dell’unità urbana.
Nel XIII secolo l’allargamento di queste cinte murarie urbane evidenzia l’ampiezza e il ritmo di questa crescita: le nuova mura di Firenze, costruite fra il 1283 e il 1333, circoscrivono un territorio fra i 430 ed i 480 ettari, sul quale vivono non meno di 100 mila abitanti. Il cronista Giovanni Villani (1280-1348) descrive le fasi della costruzione della nuova muraglia con accenti epici ed evidente orgoglio. Un altro monumento caratteristico dell’identità civica è il palazzo comunale, che ospita le autorità incaricate della gestione della città. Ancora una volta, in questo settore, l’Italia è all’avanguardia. I primi palazzi civici vengono costruiti in Lombardia fra il 1183 e il 1250. Seguono, da un punto di vista temporale, la firma e la promulgazione della Pace di Costanza (1183), con la quale l’imperatore Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa, accetta di concedere ai Comuni[3] dell’Italia del Nord il diritto di autogoverno. A Bergamo, Como, Milano o Modena il palazzo comunale diviene un simbolo politico e ideologico, il manifesto architettonico della nuova autonomia urbana guadagnata nella lotta contro l’Impero.

Questo monumento costituisce, insieme alla cattedrale – anch’essa investita dai nuovi poteri urbani –, uno dei due poli distinti, ma inseparabili di un unico spazio civico. La seconda generazione, quella dei palazzi del popolo dei comuni toscani (Prato nel 1284, Firenze nel 1287, Siena nel 1297) manifesta con la sua imponenza, da un lato, la crescita di importanza dell’amministrazione urbana e dall’altro, l’allargamento della base sociale del regime politico alla borghesia d’affari e agli artigiani benestanti del “popolo”.
In Italia, come altrove del resto, il palazzo comunale, a volte vicino al mercato del grano, custodisce i tre simboli dell’indipendenza cittadina: la campana, che suona le ore del lavoro del tempo dei mercanti e del commercio, la cassaforte (l’arca), dove si conservano gli atti del comune e i documenti attestanti i privilegi concessi o ottenuti dai suoi abitanti dalle autorità esterne; il sigillo[4], che convalida gli atti ufficiali e che normalmente riporta simbolicamente incisa la città cinta dalle sue mura. E’ il sigillo che conferisce alla città una personalità giuridica collettiva. Quando nel 1295, a seguito, di una sommossa Filippo il Bello revoca i diritti del comune di Laon, questi, molto significativamente, decide di privare la città “della campana, del sigillo, dell’arca comune e di altre cose afferenti al corpo o alla comunità”. In molte parti d’Europa anche le torri comunali[5], alte e merlate, spesso accostate o annesse al palazzo comunale e dominanti il paesaggio urbano, sono ulteriori orgogliose manifestazioni dell’autonomia comunale, anche se nella Piccardia e nella Francia del nord la loro struttura gotica [6] e la loro decorazione tradiscono piuttosto un simbolismo politico di fedeltà alla monarchia regnante.
L’episodio di Laon mette in evidenza che nel XIII secolo il tempo non è più quello degli episodi gloriosi della rivoluzione comunale. L’Europa dell’autonomia comunale presenta a questa data una geografia molto variegata. Se è pur vero che le città godono di diritti quasi sovrani nell’Italia del nord e del centro, nelle Fiandre e in qualche parte della Germania del sud, esse sono per contro costrette a trovare un compromesso nei regni di Francia, d’Inghilterra, di Castiglia e del Portogallo, dove il potere centrale del monarca è particolarmente potente.

In ogni caso, per evitare derive interpretative sulla realtà del governo urbano del tempo, pare necessario cercare di capire qualcosa di più sulla sua essenza effettiva. Gli storici hanno da molto tempo rinunciato a vedere nei regimi comunali una pretesa o presunta “democrazia urbana”. Essi sanno perfettamente che nel Medioevo la forma elettiva designa più spesso una cooptazione che un suffragio, in quanto è la “parte migliore e più sana” della società politica e non certo la “maggioranza” dei suoi membri che ha vera voce in capitolo.
E gli stessi abitanti sanno ben riconoscere, sotto gli abiti sgargianti dei magistrati (podestà, consoli, capi delle arti) che sfilano in buon ordine nelle processioni o nelle feste cittadine, il ristretto gruppo di famiglie che detiene il vero controllo della società urbana. Per quanto riguarda il re di Francia, che a partire dal 1304 convoca i rappresentanti delle “buone città” negli Stati generali, egli sa distinguere le città per la loro ricchezza e opulenza ma anche per la fedeltà politica alla corona. In tal modo si costituisce in Francia, ma anche in Castiglia e in Inghilterra, un’alleanza oggettiva fra la struttura monarchica e la dirigenza urbana, che detiene la chiave delle finanze e delle magistrature cittadine.
In tale contesto, oggi non sembrerebbe più corretto continuare a vedere nelle città medievali uno dei crogioli d’innovazione e dei punti di partenza della nostra modernità, specie dopo aver più volte imprudentemente celebrato, specie in Italia e altrove, il Comune medievale come la prefigurazione gloriosa delle lotte politiche contemporanee, quali l’affermazione della nazionalità, la libertà borghese e l’emancipazione socialista delle masse proletarie (basti pensare all’episodio della Comune di Parigi del 1871). Di fatto, continuando ancora a celebrare il Comune sotto questi aspetti specifici, si potrebbe correre oggi il rischio, specie in una forte crisi della prospettiva europea, di cadere nell’eccesso opposto e di perseverare nel privilegiare, forse a torto – in un mondo dominato dalla macroeconomia e dalla “globalizzazione” -, l’idea di un’autonomia gloriosa, di un particolarismo fuori del contesto storico e lontano da un’auspicata solidarietà continentale.

Questo nuovo approccio storico non vuole certo negare in alcun modo l’identità, specifica di ogni nazione. Questo è anche il motivo per il quale alcuni storici medievisti tentano – alla ricerca di un non facile comune denominatore europeo – di rivedere a fondo l’evoluzione delle società urbane, specie quelle che hanno saputo – particolarmente in Italia – inventare forme originali di governo e di deliberazione collettiva, gestire la complessità della crescita urbana, pianificare lo spazio pubblico e regolare convenientemente i conflitti politici e le tensioni sociali.
Alla fine del XIII secolo le città europee raggiungono il loro apogeo. E questo è anche il culmine della nuova cultura politica, che il loro tessuto urbano aveva saputo esprimere e sviluppare. Se anche esse non riescono a sfuggire alla crisi generalizzata della società feudale, che inizia proprio a partire dagli inizi del 1300, ciò è dovuto proprio al fatto che le città del Medioevo, lungi dall’essere una cosa a sé stante, erano perfettamente integrate in tale sistema. Integrate effettivamente, ma pur sempre con grandi specificità e caratteristiche proprie, tanto che un cavaliere dell’epoca, fortemente legato al suo mondo e a quello delle crociate, nell’attraversare una delle porte di queste città e trovandosi di fronte il turbinio della vita urbana, poteva essere indotto legittimamente a pensare di essere entrato in un altro mondo.Un mondo di cattedrali e di torri comunali, di mercanti e di studenti universitari, che a poco a poco si impone sulla società circostante, quella rurale e dei guerrieri. Un mondo allo stesso tempo meraviglioso e ostile ma nel quale nasce in maniera decisa e veemente e a volte impercettibile, un nuovo destino del mondo occidentale.

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Note

[1] Chiesa del vescovo, il termine viene da Cathedra, il trono episcopale.
[2] Detentore del potere, la cui autorità si fonda sia sul possesso fondiario, sia sull’esercizio di tutto o parte di un potere pubblico, oppure sull’esistenza di legami personali di possesso di uomini non liberi (vassallaggio).
[3] Una città dotata di una autonomia e di una propria personalità civile e politica, ottenuta o attraverso un moto insurrezionale vero e proprio o pacificamente (di fatto). Alla base: un patto di mutua assistenza fra i cittadini attraverso il quale gli stessi difendono i loro interessi di fronte all’autorità feudale, imperiale o papale.[4] Di norma custodito dal Cancelliere, capo dell’amministrazione, guardiano del sigillo e degli archivi.
[5] A volte poste nei pressi del mercato nel nord d’Europa, ospitano l’orologio e persino il sigillo e l’archivio.
[6] Etimologicamente “relativo ai Goti”, a volte usato nell’epoca moderna per designare il medioevo nel suo insieme. Il termine a partire dal 1820, viene a significare lo stile degli edifici costruiti fra il 12° ed il 14° secolo, in particolare le cattedrali. Al di là dell’uso generalizzato dell’arco acuto, delle volte a crociere ogivali e dell’arco rinforzato, le chiese gotiche si caratterizzano per la preoccupazione dell’altezza, per la ricchezza della decorazione e l’utilizzazione della luce.

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Per saperne di più
G. Duby, Histoire de la France urbaine: la ville médiévale. Des Carolingiens à la Renaissance – Seuil, Parigi, 1980
T. Dutour, La ville medievale: origines et triomphe de l’Europe urbaine – Odile Jacob, 2003
J. Le Goff, Le XIII siècle: l’apogée de la chrétienté, Bordas, Parigi, 1992
Y. Renouard, Le città italiane dal X al XIV secolo – Rizzoli, Milano, 1975
J. Heers, La città nel Medioevo – Jaca Book, Milano, 2018