LA COSTRUZIONE DI UN’EUROPA CHE… NON C’È

di Max Trimurti -

Come si è passati dal Mercato Comune degli anni Sessanta alla tecnocrazia di Bruxelles, tanto invadente nella vita quotidiana quanto inesistente sul terreno geopolitico.

 

In un discorso pronunciato il 20 settembre 1872 Victor Hugo evocava profeticamente che «noi avremo in futuro gli Stati Uniti d’Europa, che coroneranno il vecchio mondo, come gli Stati Uniti hanno coronato il nuovo … La patria comune senza frontiere, il commercio senza dogana,… la gioventù senza le caserme».  Un’affermazione, per certi aspetti e per quei tempi,  visionaria, nella quale però manca ancora un elemento: l’Europa.
Nel vecchio continente è stato possibile individuare diversi aggregazioni. L’orientamento religioso ha permesso di distinguere gli spazi cattolico, ortodosso e protestante. Nel campo linguistico è stato possibile identificare almeno tre aree: latina, germanica e slava. Sul terreno ideologico si sono confrontati nel XX secolo tre insiemi: il liberale a ovest, il marxista a est, l’autoritario al sud. Dal punto di vista economico le disparità fra i livelli di PIL per abitante nel Vecchio mondo si sono attenuate fra il nord e il sud, rimanendo però forti fra est e ovest. Infine, il criterio giuridico ha consentito di evidenziare diverse situazioni che corrispondono alle diverse tappe della costruzione comunitaria.

L’ambiguità politica di fondo

Robert Schuman (1886-1963)

Robert Schuman (1886-1963)

Dopo la Seconda guerra mondiale l’integrazione europea si è realizzata secondo un doppio processo di consolidamento istituzionale e di allargamento geografico. Dopo l’annuncio del piano di Robert Schuman del 9 maggio 1950, viene creata  la CECA (Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio) con il Trattato di Parigi, firmato il 18 aprile 1951. La CEE (Comunità economica Europea) o Mercato Comune, e l’EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica), create con i Trattati di Roma del 1957 e 1958, si fondono nel 1965. L’Atto Unico (1986, 1987) mette in opera la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali e prepara il Trattato di Maastricht (1992, 1993), che crea l’UE (Unione Europea), il cui funzionamento e i cui poteri vengono rivisitati con i Trattati di Amsterdam (1997, 1999) e di Nizza (2001, 2003). Nonostante il rigetto popolare nel 2005 del trattato che stabiliva una Costituzione per l’Europa, le sue principali disposizioni sono state riprese nel Trattato di Lisbona, concluso nel 2007, ma sottoposto, stavolta per non rischiare il giudizio dei popoli, alle sole ratifiche parlamentari.
Dal punto di vista geografico l’Europa è passata, in mezzo secolo, da sei Stati (membri fondatori: Belgio, Francia, Germania Italia, Lussemburgo e Olanda) a ventotto nel 2013. Il primo allargamento è stato effettuato nel 1973 con l’adesione della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito. La Grecia, la Spagna e il Portogallo seguono fra il 1979 e il 1986. Austria, Svezia e Finlandia entrano nell’UE nel 1995, quindi, dieci anni più tardi, dieci paesi dell’Europa centrale e orientale, seguiti in questi ultimi anni dalla Romania, dalla Bulgaria e dalla Croazia. Diverse altre adesioni rimangono ancora in sospeso: quelle della Macedonia e della Serbia appaiono abbastanza naturali, mentre l’eventualità di una adesione turca metterebbe in evidenza la logica identitaria molto sfocata coltivata dalla tecnocrazia – cosiddetta progressista – di Bruxelles.

Una geografia europea indefinibile

La sede del Parlamemto europeo a Strasburgo

La sede del Parlamemto europeo a Strasburgo

L’ambiguità della costruzione europea si riferisce da un lato alla sua natura giuridica e dall’altro alla sua limitazione geografica. In effetti, se l’Unione è una organizzazione internazionale (ogni Stato ha teoricamente conservato la sua sovranità diplomatica), essa funziona, all’interno, come uno Stato federale. Peraltro, esistono differenti spazi europei ai quali gli Stati non partecipano alla stesso modo. L’Unione Europea e il Consiglio d’Europa non devono essere confusi fra di loro. Quest’ultimo, creato nel 1949 riunisce, oggi, poco meno di 50 membri che non sono tutti europei. Esso risulta organizzato attorno a diversi organi, dei quali il più importante è la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), incaricata di far rispettare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950). Di fatto, non solo esistono differenti Europe, ma l’UE risulta, anch’essa, a geometria variabile.
La moneta unica, l’Euro, prevista dal Trattato di Maastricht, sostituendo le monete nazionali (al contrario dell’ECU, moneta di conto comune che si sovrapponeva alle monete nazionali), è stata introdotta in primo luogo come strumento di conto per i mercati finanziari e borsistici nel 1999, quindi come moneta fiduciaria nel 2002. Ma, diversi Stati membri dell’UE non l’hanno ancora adottata (Danimarca, Ungheria, Polonia, Svezia, Regno Unito, Repubblica Ceca). Solo 18 dei 28 stati membri l’hanno fatto fra il 1999 e il 2014.
Dal punto di vista delle frontiere, il “pacchetto di Schengen” (derivato da un accordo del 1985 e da una convenzione del 1990) è stato applicato all’UE solo nel 1999. Dal 2011 lo “Spazio Schengen” riguarda 26 Paesi; esso ha per obiettivo l’armonizzazione dei controlli alle loro frontiere esterne. Non tutti gli Stati membri dell’UE ne fanno parte (Bulgaria, Cipro, Irlanda, Romania, Regno Unito), mentre ne fanno parte integrante paesi esterni all’UE come l’Islanda, il Lichtenstein, la Norvegia e la Svizzera. In tale contesto, l’onnipresenza giuridica dell’Europa appare tanto più rilevante quanto più impalpabile appare dal punto di vista geografico. Nel campo geopolitico, inoltre, l’UE raggiunge persino il livello della… “inesistenza”.

Negazione di potenza

I Paesi membri della NATO

I Paesi membri della NATO

Il fallimento nel 1954 della CED (Comunità Europea di Difesa) ha posto la difesa europea sotto la responsabilità degli Stati e soprattutto dell’Alleanza Atlantica (1949) e della sua organizzazione militare, la NATO. Il progetto di una politica di sicurezza e difesa europee è stato reintrodotto dal Trattato di Maastricht, ma non sembra avere come obiettivo la costituzione di un vero esercito, ma piuttosto quello di mettere in comune delle capacità militari per assumere la responsabilità di operazioni per la gestione delle crisi (mantenimento della pace, operazioni umanitarie).
Esiste, in effetti, incompatibilità fra un’autentica difesa europea e la NATO. Tenuto conto che le due entità dovrebbero completarsi, piuttosto che farsi concorrenza, la Francia di Nicolas Sarkozy ha deciso di rientrare nei ranghi della NATO, da cui era uscita nel 1966. Solo sei membri dell’Unione Europea (Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) non fanno parte della Organizzazione Atlantica, che conta fra i suoi ranghi l’Albania, il Canada, gli USA, l’Islanda, la Norvegia e la Turchia.
Le diverse interpretazioni della NATO e dell’UE impediscono quindi la messa in opera di una difesa europea, che possa essere, sia materialmente sia politicamente, autonoma.  Gli USA, applicando l’antica e tradizionale regola del divide et impera giocano a dividere l’Europa per poterla meglio controllare. Al punto tale da aver richiesto ai Paesi dell’Europa centrale e orientale l’adesione alla NATO prima di entrare nell’UE (2004). Non solo: stranezza delle geometrie variabili, i Paesi dell’ex cintura sanitaria europea del 1918, pur essendo nell’UE e nella NATO, hanno quasi tutti anche trattati di mutua difesa bilaterale con gli USA, aspetto che può apparire  incongruente, e che porterebbe a pensare che questi Paesi non si fidano dell’Europa, oppure l’hanno scelta come “male minore”. O, ancora – se vogliamo usare una chiave più polemica e complottista – questi stessi Paesi potrebbero essere tacciati di comportarsi da “quinte colonne USA in Europa”.

Una identità sfocata

Bandiera-EuropaL’Europa contemporanea, sebbene non costituisca una potenza sovrana, si è comunque dotata dei simboli tradizionali degli Stati: una bandiera (un cerchio di 12 stelle dorate su fondo blu) un inno (l’Inno alla gioia dalla Nona sinfonia di Beethoven), una festa (il 9 maggio) e un motto (Uniti nella diversità): le prime tre sono state adottate nel giugno 1985 dai capi di Stato e di governo in occasione del Consiglio europeo di Milano.
L’UE, inoltre, cerca di migliorare il suo deficit di immagine assorbendo i simboli dell’Europa storica. In tale contesto, una statua di Europa – la principessa fenicia rapita, secondo la leggenda, da Giove – è stata eretta all’ingresso del Parlamento europeo. Quest’ultimo assegna ogni anno un premio “Carlo Magno per la gioventù” per ricompensare progetti che tendono a incoraggiare lo sviluppo di una coscienza europea. L’UE, in ogni caso, incontra notevoli difficoltà a incarnare l’Europa, proprio nella misura in cui i valori contemplati nei trattati – i diritti dell’uomo e la democrazia – non sono valori specificamente europei ma piuttosto a vocazione universale.
L’UE, oggi, si vede staccata da qualsiasi identità radicata nella storia. Secondo essa, la cultura non è altro che la somma delle identità presenti su un territorio in un certo momento, che godono tutte della stessa legittimità. Questo egualitarismo utopico e messianico spiega l’eliminazione deliberata di qualsiasi riferimento al Cristianesimo nei principi europei, specie nel Trattato di Roma del 2004. A causa di questa scelta di tipo utopico, l’UE, non potendosi radicare nella sua eredità culturale, può aspirare esclusivamente a una normalizzazione economica (mercato e moneta unica), giuridica (il diritto comunitario ha la preminenza su quello nazionale) e politica (una certa forma di federalismo nel quale viene travestita la sussidiarietà).
L’Europa contemporanea si riassume in un incontro di volontà su dei criteri giuridici. Essa non ha per obbiettivo la costituzione di una potenza diplomatica e militare, ma solo quella di uno spazio economico, suscettibile di essere sempre più vasto (continentale o anche mondiale), sempre più debole dal punto di vista della coesione e senza un legame con l’Europa storica.

Cinghia di trasmissione della cultura americana?

Great_Seal_of_the_United_States_(obverse).svgÈ proprio in questo contesto che può essere compresa l’analisi del professore canadese Saul Samir, del dipartimento di storia dell’università di Montreal, secondo cui l’UE è stata più “generatrice di americanità” che di spirito europeo. Il paradosso è solo apparente. In effetti, le istituzioni europee sono diventate il vettore della globalizzazione economica e culturale. E l’attuale progetto di mercato euro-americano (chiamato “Accordo per il partenariato transatlantico”) ne costituisce una evidente illustrazione, al limite della caricatura.
Gli USA, avendo interesse nella ricostruzione dell’Europa (Piano Marshall del 1947) per trovarvi degli sbocchi commerciali e per costituirvi un bastione contro il blocco sovietico, hanno favorito il processo d’integrazione europea, ma nella esclusiva prospettiva dei loro interessi. Usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale e intenzionati ad affermare la propria potenza, essi erano favorevoli alla costituzione di un mercato, ma non certo di una potenza geopolitica suscettibile di diventare una temibile concorrente.
Che essi abbiano interesse all’esistenza di un Europa facilmente  influenzabile è un dato di fatto. Che l’Europa si possa, invece, compiacere della sua neutralizzazione e del suo rifiuto ad auto proteggersi è un’altra cosa. Che, tra l’altro, dipende solo ed esclusivamente dalla sua responsabilità. Il metodo adottato per la costruzione europea non deriva da una chiara strategia – rendere le economie interdipendenti in modo tale che i conflitti possano diventare impossibili e che l’unione sia una strada ineluttabile – ma semplicemente da una pura scelta ideologica. I modelli di sviluppo dell’Unione Europea hanno accettato il doppio postulato progressista: la fine ineluttabile della sovranità nazionale (messianismo universalista sovietico ed americano) e la necessità della globalizzazione, di quella finanziaria (Europa dei banchieri) e del multiculturalismo. Ma senza identità non si va da nessuna parte e la storia è piena di esempi in tal senso e di fallimenti di costruzioni non omogenee culturalmente.

Euroscettici in crescita

La messa in atto di una guida tecnica, basata su una supposta competenza, comporta inevitabilmente il disimpegno da parte dei popoli. E questo è tanto più vero dal momento che regna una sorta di imposizione intellettuale che ci dice cosa è buono e cosa è cattivo: una forma mentis derivata dalla pretesa dell’UE di monopolizzare l’idea europea. In effetti, la costituzione di una potenza geopolitica europea non presuppone in alcun modo una normalizzazione giuridica, come lo stanno a dimostrare, d’altronde, gli stessi USA, con i suoi stati nell’Unione e le relative leggi di ciascuno.
Succeduto a una indifferenza benevola, che aveva segnato il decennio precedente, lo scetticismo – se non una chiara ostilità – verso le istituzioni europee si è sviluppato a partire dagli anni ’90. Ormai nessun organo (Consiglio, Commissione, Parlamento) dell’UE riesce più a raccogliere una adesione maggioritaria e la fiducia dei cittadini nei loro riguardi è scesa fra il 30 e il 40%.
Se gli Europei considerano nella stragrande maggioranza che la lotta al terrorismo e la difesa debbano essere organizzati in comune nell’ambito della UE, essi pensano ugualmente che un certo numero di settori – come la protezione sociale o il sistema educativo – debbano comunque restare sotto il controllo nazionale. Inoltre, a causa dell’ampiezza incontrollata dei flussi migratori, si sta delineando un’altra tendenza pericolosa, che è quella della rimessa in discussione dell’apertura delle frontiere. I risultati delle elezioni del maggio 2014 – che hanno visto nel Parlamento europeo una grande progresso dello schieramento degli euroscettici o dei populisti – lo stanno ampiamente a dimostrare.

Per saperne di più

Barjot Dominique, Reveillard Christophe, L’Americanisation de l’Europe occidentale au 20° siècle, mythe e realité – PUPS, 2002.
Bernard Guillaume, Dictionnaire de la politique e de l’administration – PUF, 2011.
Bled Jean Paul, Jouve Edmond, Reveillard Christophe, Dictionnaire historique et juridique de l’Europe – PUF, 2013.
Reveillard Christophe, La constitution Europeene – Ellipse, 2012.
AA. VV., L’américanisation de l’Europe occidentale au XXème siècle. Mythe et réalité, Actes du colloque des Universités Européennes d’été, 9-11 juillet 2001, Université Paris-Sorbonne – Presses de l’Université Paris-Sorbonne, 2002.