LA COMPAGNIA CATALANA: UNA PRIVATE MILITARY COMPANY MEDIEVALE

di Massimo Iacopi -

Nel 1302, conclusa la guerra che opponeva gli Aragonesi agli Angioini in Sicilia, un contingente di combattenti catalani, guidati da Ruggero Flores, offre i propri servizi a Bisanzio minacciata dai Turchi. Sarà l’inizio di una straordinaria odissea che vide la “Gran Compagnia catalana”, detta anche degli Almogavari, trionfare sui suoi nemici e combattere quasi tutti i datori di lavoro che si era scelta, prima di impadronirsi del ducato di Atene.

Giunti su 39 galere e altre navi di appoggio, nel settembre 1303, presso la corte bizantina di Andronico II Paleologo e di suo figlio coimperatore Michele IX, i Catalani vengono immediatamente impiegati al fronte. Il contingente, forte di 6-7 mila uomini, batte i Turchi nella Propontide (sponde del Mar di Marmara), nei pressi di Cizico e successivamente li respinge vigorosamente verso est per tutta la durata della campagna. Di fatto, nel corso del 1304, i Catalani, partendo all’Ellesponto, arriveranno, combattendo, sino alle Porte di Ferro, nelle Montagne dei Tauri, non lontani da Alessandretta, catturando un enorme bottino. La tattica impiegata da questi mercenari è quella di caricare l’avversario di sorpresa, con una foga e una velocità tali da impedirgli di utilizzare efficacemente la sua arma principale, l’arco. Al termine della campagna, l’Asia Minore tornò nuovamente sotto il dominio dei Greci di Bisanzio. Il comandante del contingente, il brindisino Ruggero da Fiore, alias frate Rogerio da Branduzio (1267-1305), nominato Granduca dell’impero bizantino e quindi Cesare, divenne persino consiglieri del Basileus.
Al termine delle operazioni i Catalani vengono inviati a insediarsi nella penisola di Gallipoli, dove si fortificano, per concorrere alla difesa dell’impero minacciato dai Bulgari (inverno 1304-1305), mentre, nello stesso periodo, arrivano, via mare, i rinforzi loro inviati da don Jaime (Giacomo) II d’Aragona e da Federico III di Sicilia o di Trinacria. I rinforzi aragonesi, sotto il comando di Berenguer d’Entença e di Fernando Ximenis d’Arenos, coltivavano il segreto intento di preparare la via a una occupazione di Costantinopoli, impiegando anche gli stessi Almogavari. Il Basileus, preoccupato dalla situazione e dalle richieste della Compagnia, cui doveva paghe in arretrato, decide di assassinare Ruggero da Fiore (30 aprile 1305) e quindi di assediare a Gallipoli, peraltro senza successo, grazie alla abile difesa condotta da Ramon Muntaner (maggio-luglio 1305). Il 7 luglio 1305 le truppe imperiali bizantine vengono battute dai Catalani ad Arpos, a sud-ovest di Rodosto (odierna Tekirdag, sulla costa europea del Mar di Marmara). Per circa due anni, la Compagnia catalana controlla e saccheggia la penisola di Gallipoli e le aree adiacenti: essa opera ormai per proprio conto, come un corpo militare straniero nel cuore dell’impero. Uno dei suoi capi, Bernat de Rocafort (morto in prigionia a Napoli nel 1309), arriverà persino a devastare i sobborghi di Constantinopoli.
Una volta esaurite le risorse accumulate a forza di saccheggi, la Compagnia, dopo aver respinto un attacco del capitano genovese Opizzino Spinola, al servizio di Bisanzio, decide di muoversi verso nord, in Tracia, che viene regolarmente sottomessa a saccheggiata. Nel frattempo scoppiano dissensi interni alla stessa compagnia sulla strategia da seguire: da una parte Rocafort e dall’altra chi, come Muntaner, vorrebbe accettare di rientrare al servizio della Corona d’Aragona e, in particolar modo, al servizio di re Federico III, re di Sicilia. La compagnia si divide e Rocafort, avendo conservato la maggioranza dei suoi uomini, offre i suoi servigi a Carlo di Valois e d’Angiò, fratello di Filippo IV il Bello, che non avendo alcun avvenire politico in Francia coltiva segrete mire sul regno di Constantinopoli. Paradosso: 25 anni dopo i Vespri Siciliani, che avevano visto il massacro e la cacciata dei Francesi e la conquista della Sicilia da parte della monarchia catalano-aragonese, un principe di sangue francese cerca aiuto presso i Catalani!

Mercenari nomadi

Il nobile Tebaldo de Chepoy, diventato, a quel punto, capitano della Compagnia catalana in nome di Carlo di Valois (settembre 1307), elimina Bernat de Rocafort (imprigionandolo a Napoli) e conduce il contingente verso la penisola di Cassandra, la penisola più a ovest della Calcidica, nuova vittima dei Catalani, che la saccheggiano, dall’inverno del 1307 all’inverno del 1309, non risparmiando neanche i monasteri della “montagna sacra”, nella penisola di Athos.
Poi, Carlo di Valois rinuncia ai suoi sogni imperiali e Tebaldo di Chepoy lascia il comando della Compagnia; a quel punto i Catalani decidono di dirigersi, nel corso del 1309, verso la Tessaglia in cerca di nuovi bottini. Anche in questo periodo, i mercenari continuano a vivere delle risorse del territorio, prima di entrare, nel corso del 1310, al servizio di un nuovo signore, Gualtieri V di Brienne, all’epoca duca d’Atene, minacciato dal basileus. In poco tempo i Catalani si sbarazzano dei nemici del duca, prima di rivoltarsi contro lo stesso principe Gualtieri (che non pagava i loro servigi) e di sconfiggerlo definitivamente, il 15 marzo 1311, nei pressi di Halmyros (Cefiso o Orcomeno), a capo una coalizione di truppe franche della Morea, dell’Eubea e di Naxos. Dopo questa battaglia, la Compagnia pone finalmente termine alle sue erranze e inizia a governare con mano di ferro il ducato d’Atene. Che terrà fino al 1338. Ormai i mercenari sono diventati principi.

Temibili combattenti

Questa straordinaria serie di successi in terra bizantina ha una sua spiegazione. La Compagnia catalana aveva fatto le sue prime esperienze in Sicilia, in una guerra di guerriglia, sperimentando tattiche rudimentali ma efficaci. I suoi uomini erano soprannominati Almogaver o Almogavari, termine derivato dall’arabo “al Mughawar” (colui che effettua incursioni nel territorio del nemico) per designare designava combattenti che conducevano una vita da saccheggiatori, senza ancoraggio territoriale. “Essi vivono solo del mestiere delle armi” dice di loro il cronista Bernat Desclot.
I Catalani combattevano senza protezione, vestiti di una tunica o di una camicia molto corta, dotati di armamento leggero. Facevano affidamento sulla loro mobilità e sulla sorpresa, attaccando all’alba, riuniti in una sola massa lanciata a tutta velocità e travolgendo i loro avversari, al grido “Desperta ferro” (Svegliati ferro). Questi mercenari sono capaci di astuzie, ad esempio scavando e ricoprendo d’erba i fossati, dove faranno cadere i cavalieri franchi nella battaglia di Halmyros, ma anche di operazioni elaborate, distruggendo le condotte dell’acqua delle città che assediano, ovvero combinando incursioni terrestri e marittime. Storicamente non si conosce alcuna loro sconfitta.

Uomini senza fede e senza legge?

Le fedeltà al datore di lavoro si è dimostrata altalenante: la loro sincerità e la loro lealtà molto dipendeva dall’atteggiamento di coloro che li avevano arruolati. L’imperatore di Bisanzio, inizialmente prodigo di doni e di dignità, ebbe il torto di non pagare regolarmente il soldo e di non rispettare le promesse. La Compagnia, entrata al servizio di Carlo di Valois, ne aveva assecondato per un periodo le ambizioni imperiali, salvo poi, venute meno le ambizioni, dover cercare un nuovo datore di lavoro. Rimane il fatto che se la Compagnia si è destreggiata a lungo fra autonomia e servizio a signori, in fin dei conti è sempre stato un corpo mercenario al servizio degli Aragona, che gli lasciarono il dominio sul ducato d’Atene dopo averla incoraggiata a mettersi al servizio di Carlo di Valois.
Numerosi documenti attestano i legami fra la Compagnia e i due fratelli Federico III di Trinacria e Giacomo II d’Aragona. La Compagnia portava effettivamente in combattimento la bandiera d’Aragona e quella di San Giorgio, patrono del regno di Valencia. Era anche dotata di un sigillo con l’effigie di San Giorgio e lo stemma d’Aragona, che ne autenticava la corrispondenza. Allorché, come a Gallipoli, non era al al servizio di un principe, metteva sempre in evidenza la sua fedeltà alla causa catalano-aragonese.
A partire dal 1312, la Compagnia sarà ufficialmente condotta da uomini inviati da Federico III di Trinacria: Bernat o Berenguer Estanyol, quindi l’infante Alfonso Federico. In definitiva, è stata proprio l’Aragona che ha fatto man bassa sul Ducato d’Atene.
Al netto di queste alleanze ondivaghe, la Compagnia è stata scossa anche da torbidi interni che hanno provocato un valzer di comandanti, di assassinii, di tradimenti e di scissioni, come avviene spesso fra truppe mercenarie. Essa offriva, peraltro, uno spettacolo ben diverso da quello di un esercito regolare, portandosi al seguito una folla di donne, di figli, di prigionieri e di schiavi (il cui commercio li arricchì: Gallipoli, all’epoca dei Catalani, era un fiorente mercato). Nobili e plebei vi servivano gomito a gomito, in barba alle consolidate gerarchie. La truppa era ben strutturata, comandata da un capitano, assistito da un consiglio di 12 uomini, aiutato da un tesoriere che teneva i conti della compagnia: questo, in particolare, è stato il compito di Ramon Muntaner che, a tal proposito, annota: “Io tenevo il conto di quanto toccava a ciascuno… e secondo il mio libro di conti venivano ripartiti i prodotti delle nostre incursioni”. Tutta la vita della Compagnia è stata, in effetti, registrata sulle sue pergamene. Una produzione scritta che dimostra come i Catalani non fossero una semplice banda di saccheggiatori. Di fatto essi erano riconosciuti dai monarchi, che la qualificano con il termine di exercitus, di armata, come uno strumento militare ufficiale. Tuttavia questa struttura subiva anche l’indocilità dei suoi uomini, che, durante le riunioni non esitavano a imporre le proprie idee al comandante e talvolta addirittura a rimuoverlo dall’incarico. La Compagnia era animata, pertanto, da una forma di “democrazia diretta”, fatta di costanti rapporti di forza, modificati sulla base dei combattimenti e delle diverse circostanze politiche.
Infine, viveva delle stesse risorse di tutte le truppe mercenarie: la paga di chi li arruolava, spesso importante e altrettanto spesso aleatoria; il bottino di guerra; il saccheggio delle terre conquistate e asservite (“Noi non sappiamo fare altro”, confessa candidamente Muntaner).

Nel solco delle Crociate

Gli Almogavari pretendevano anche di battersi al servizio del Cristo. Al servizio dei Bizantini hanno sconfitto i Turchi, quindi trionfato sugli stessi Bizantini, opportunamente ridiventati ai loro occhi degli “scismatici”, privandoli così dei loro beni. E’ forse per questo motivo che essi si sono intitolati, sui loro documenti ufficiali, anche “esercito dei Franchi” e non come ci si sarebbe aspettato “esercito dei Catalani”. La realtà della loro fede non trapela dalle loro carte e in definitiva ci sfugge, ma, assediati a Gallipoli dai Genovesi dello Spinola, chiamati da Bisanzio, non mancano di affermare (così Muntaner) di essere venuti “in Romania in nome di Dio e per la gloria della fede cattolica…”. Argomento decisamente apprezzato dal Papa. Tant’è che quando nel 1308 alcuni monaci del monte Athos si lamentarono presso il pontefice per i crimini perpetrati dalla Compagnia, essi troveranno le porte chiuse. Nel Concilio di Vienne del 1312, si era persino ipotizzato di fare degli Almogavari la punta di lancia di una prossima Crociata. Tuttavia, per aver combattuto i Franchi stabilitisi in Grecia e per aver annesso il Ducato di Atene verranno scomunicati (fino al 1343) dalla Santa Sede. Difficilmente riuscivano a mantenere buoni rapporti con i loro datori di lavoro: papa Giovanni XXII arriverà persino a indire una crociata contro di loro.

“I Franchi! I Franchi!”

Saranno proprio i Catalani che consentiranno, per la prima volta, ai Turchi, ai quali si erano provvisoriamente alleati, di attraversare gli Stretti e di mettere piede in Europa. Essi li hanno persino aiutati, nel 1327, a impadronirsi dell’isola Eubea e ad attaccare Santorini. Al di là delle scorrerie, sarà proprio l’alleanza con le bande turche che farà loro guadagnare per diversi secoli l’esecrabile reputazione in tutta la Grecia. I Bizantini videro in loro un male equivalente a quello dei Franchi che avevano saccheggiato Constantinopoli nel 1204. Ma, ancora peggio, essi apparivano come la replica dei Persiani di Serse “assetati di sangue”. Se i mercenari erano visti come un male necessario da parte del Basileus, questa necessità era sfuggita ai cronisti, che hanno ricordato nelle loro carte solo il male. Il semplice grido: “I Franchi! I Franchi !”, era sufficiente a seminare il panico. “Tutto perisce, tutto viene distrutto, tutto è pieno di morti, di cadaveri, di massacro, esclama un prete bizantino, evocando i “torrenti di sangue” e le “montagne di morti” che ricoprono l’Athos; “Tutti gli incroci dei cammini furono cosparsi da cadaveri nudi, senza sepoltura”, scrive l’abate serbo del monastero di Hilandar sul monte Athos. Ma, alla fine e contro ogni aspettativa, sarà proprio una regione, la Magnesia, famosa per non aver mai ceduto ai Turchi, che conserverà una immagine eroica di questa Compagnia catalana.
In definitiva, questa prima “Compagnia Militare Privata” del Medioevo, venuta ad aiutare Constantinopoli impotente davanti ai Turchi, ha certamente contribuito a salvarla. Ma nel periodo successivo, contribuirà a indebolirla e quindi a smembrare l’impero greco, al servizio delle ambizioni dei sovrani catalani. Questi mercenari, senza perdere mai di vista i loro interessi e i loro appetiti, sono stati uno strumento in un “grande gioco” geopolitico animato dai Valois di Francia, dai Franchi della Morea, dal Papato e dalla potente Corona d’Aragona. Ricordandoci, che, alla fine dei conti, non esistono mercenari veramente autonomi.

Per saperne di più

Heers Jacques, Chute et mort de Constantinople, 1204-1453, éditions Perrin
Morris Paul N., “We have met devils!” The Almogavars of James I and Peter III of Catalonia-Aragon, in Anistoriton, vol. 4, 2000
Muntaner Ramon, La spedizione dei Catalani in Oriente, a cura di Cesare Giardini, Milano, 1958 (anche Edizione Anarchasis 2002)
Muntaner Ramon e Desclot Bernat, Cronache catalane del secolo XIII e XIV, traduzione di Filippo Moisè, introduzione di Leonardo Sciascia, Palermo, 1984
Nicol Donald M., Les Derniers siècles de Byzance, 1261-1453, éditions Les Belles Lettres, 2005
Rubió i Lluch Antoni (a cura di), “Diplomatari de l’Orient català (1301-1409), Collecció de documents per la història de l’expedició catalana a Orient i dels ducats d’Atenes i Neopàtria” in Memòries de la Secció Històrico-Arqueològica de l’Institut d’Estudis Catalans n. LVI, Barcellona, 1947 e Ed. Institut d’Estudis Catalans, 2001
Setton Kenneth M., Catalan Domination of Athens 1311–1380, Variorum: London, 1975.