LA CHIESA NASCENTE DI FRONTE AL MONDO EBRAICO

di Pier Luigi Guiducci -

 

 

Il paganesimo e l’ebraismo sono le due “correnti” presenti in Samaria e Giudea quando appare la figura di Cristo. Il monoteismo, la promessa del Messia e la sacra alleanza accompagnarono sempre il giudaismo attraverso il tempo e le vicissitudini politiche.  

 

Dal punto di vista religioso, nel momento in cui Cristo viene nel mondo[1] l’umanità è divisa in due gruppi: un piccolo numero di Ebrei e una moltitudine di pagani.
1) Nel paganesimo dominano il politeismo, l’idolatria e la superstizione, cioè l’assenza di una vera fede nell’Essere supremo e l’abbandono del retto culto verso la divinità.
Non manca, però, la coscienza della colpa, né la speranza in un Liberatore, specie negli spiriti più nobili. Il poeta Virgilio[2] annuncia l’imminente nascita di un fanciullo che recherà agli uomini un’èra di pace e “l’ età dell’ oro”.[3] L’avvocato e politico Cicerone[4] conosce la profezia della venuta di un re, che bisogna seguire se si vuole ottenere la salvezza.[5]
2) Nel mondo ebraico domina il monoteismo, cioè la fede nell’unico, vero Dio. Ma pure in questo credo la vita religiosa e la moralità conoscono gravi debolezze, per esempio la possibilità, anche facile, del divorzio. Il popolo seguiva le sètte politico-religiose dei farisei e dei sadducei.

Farisei. Sadducei. L’attesa del Messia

I farisei[6] costituiscono il partito religioso nazionalista; sono attaccati alla lettera della Legge e alle usanze. Praticano la circoncisione. Osservano il sabato. Compiono i sacrifici. Celebrano il culto. Sono però dominati dal formalismo, dall’ipocrisia. Gesù li definisce “sepolcri imbiancati”.[7]
I sadducei[8] rappresentano una corrente spregiudicata di increduli. Negano la spiritualità dell’anima e la risurrezione dei corpi. Sono materialisti e liberi pensatori. Appartengono al ceto dei ricchi e dei dignitari. Il popolo li critica per la loro irreligiosità.
Tuttavia, anche tra gli Ebrei, anzi specie tra loro, esistono anime pure e buone che sospirano la venuta del Messia: si possono ricordare gli anziani Simeone[9] e Anna[10], Giuseppe di Arimatea[11] e Nicodemo[12], le pie donne del Vangelo[13]… Il gruppo dei discepoli[14], e specialmente quello degli apostoli[15], rappresenta chiaramente quanti “aspettavano la liberazione di Israele” (Lc 2,38).
Nel popolo ebraico della Palestina[16] la Chiesa troverà la base etnica della sua diffusione. E lo stesso Figlio di Dio ha voluto nascere da una donna ebrea, la Vergine Maria.

Condizioni religiose, politiche e sociali

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I secolo d.C.

Secondo lo scritto dell’apostolo Paolo [17], Cristo venne nel mondo “nella pienezza dei tempi” (Gal 4,4), quando cioè fu arrivato il momento fissato da Dio, ed ebbe termine il periodo, prestabilito da Dio, di preparazione alla salvezza messianica.
Con un’ altra formula analoga, san Paolo afferma che il disegno di Dio si realizzò “nella pienezza dei tempi” (Ef 1,10). La venuta del Messia cioè si compì a conclusione di una lunga attesa, che comprende le varie tappe attraverso le quali l’umanità, per volontà di Dio, è arrivata al termine voluto.
In sostanza, le due formule paoline significano che l’Incarnazione del Figlio di Dio avvenne nel momento in cui l’umanità era pronta ad accogliere il messaggio evangelico. Tale preparazione all’avvento del regno di Dio fu operata nell’ambiente giudaico.
L’importanza del popolo ebraico nell’antichità è dovuta esclusivamente alla sua religione. A differenza dei popoli pagani, esso si distinse per il dono della Rivelazione e per una speciale protezione divina.
Il monoteismo, la promessa del Messia e la sacra alleanza accompagnarono sempre il Giudaismo attraverso il tempo e le vicissitudini politiche. L’attesa del Messia si intensificò e si diffuse nell’ epoca dei Maccabei [18], quando il re di Siria, Antioco Epìfane (al potere negli anni 175-164 a.C.), cercò di strappare agli Ebrei la fede dei Padri e di imporre loro la religione e i costumi pagani.
Nell’anno 63 a.C., Pompeo Magno [19] conquistò Gerusalemme e ridusse la Palestina a colonia romana.
Al popolo ebraico, sottomesso a questa dominazione, rimase il grande conforto dell’idea e dell’attesa messianica, anche se esse si caratterizzarono per il carattere politico e nazionale. Si aspettava infatti un liberatore d’Israele dal dominio straniero e un restauratore dell’antica potenza temporale. Si aggiunga che fin dalla cattività assira (722 a.C.) e babilonese (597 a.C.), il popolo ebraico si era disperso in altre nazioni (la “diàspora”) [20]: con la sua operosità e attitudine al commercio, si propagò in quasi tutte le direzioni.
Per esempio, in Egitto si formò una forte colonia ebraica, e ad Alessandria apparve, nel III-II secolo a.C., la Bibbia dei Settanta, cioè la più antica traduzione greca dell’Antico Testamento [21].
Gli Ebrei della diàspora si sentivano una comunità unita, segregata dagli altri popoli. Avevano le proprie sinagoghe. Si tenevano in contatto con il Tempio di Gerusalemme. Ne pagavano ogni anno l’ imposta. Lo visitavano regolarmente in occasione delle grandi feste.
Tuttavia non potevano sottrarsi all’influsso del mondo circostante nel quale erano inseriti. Si adattarono quindi all’Ellenismo [22] nella lingua e nei costumi, ed entrarono in rapporto con la filosofia greca.
A loro volta, malgrado la segregazione, gli Ebrei esercitarono un notevole influsso religioso sul mondo pagano. Il loro concetto di Dio e la superiore moralità di vita impressionarono favorevolmente gli uomini più pensosi. Se pochi furono i Greci e i Romani che entrarono nella comunità ebraica, molti furono invece quelli che accettarono il monoteismo e l’osservanza di determinati precetti (la festa del sabato, le norme sui cibi). In mezzo a questi “timorati di Dio” (At 10,2; 13,50; 16,14) il Cristianesimo poté diffondersi meglio, perché offriva ciò che il loro cuore desiderava, senza imitare la condotta degli Ebrei.

Genio caratteristico dell’Ebraismo

Il Giudaismo è il primo ambiente storico con il quale viene in contatto il Cristianesimo, anzi, dal cui interno esso nasce e si sviluppa. Da questa prima incarnazione storica della Chiesa emerge la caratteristica fondamentale del Cristianesimo: l’universalità. Il genio particolare degli Ebrei è la religiosità. Essi avevano una religione propria, nata dall’intervento di Dio che si era manifestato con gesti grandiosi di misericordia. Le azioni di Dio sono una promozione continua del popolo di Israele.[23] Questa religiosità si può sintetizzare nei seguenti aspetti:
• monoteismo puro: “Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è Uno” (Dt 6,4); Dio si manifesta continuamente e dialoga con il suo popolo, lo tiene lontano dagli idoli e lo preserva dal paganesimo;
• promozione continua verso una religione sempre più spirituale, attraverso i profeti e i grandi personaggi, figure del Messia futuro (Mosè, Abramo, Isacco, Giacobbe…);
• attaccamento alla Legge: verità da credere e precetti da osservare, raccolti nei Libri Sacri e nella speranza messianica, nell’aspettativa di un inviato di Dio che avrebbe dovuto operare una liberazione e una restaurazione di ordine temporale (secondo alcuni), o di ordine religioso (secondo altri);
• attesa della salvezza: su questa influì, fino a deformarne il contenuto, la situazione politica, che contribuì a rendere ansiosa questa attesa della liberazione messianica e a qualificarla, presso molti, in senso temporale e nazionalistico.
La religiosità è più rigida nelle manifestazioni presso gli Ebrei della Palestina, minore tra gli Ebrei della diàspora, sparsi nell’area mediterranea. Al fenomeno della diàspora si collega quello dei “proseliti” (pagani che accettano integralmente il Giudaismo) e dei “timorati di Dio” (= pagani simpatizzanti per l’Ebraismo). L’ elemento principale e caratteristico degli Ebrei nella diàspora[24] è l’apertura mentale, dovuta a contatti sociali ed economici con altri popoli. Nei confronti del Cristianesimo si sviluppa in forma di disponibilità ad accoglierne il messaggio.
Cristo scelse i suoi apostoli, eccetto Giuda (forse della Giudea)[25], dalla Galilea, cioè dall’ ambiente più a contatto con i pagani, e quindi con migliore disponibilità al dialogo, allo sviluppo, al senso della storia. In tal modo il Cristianesimo primitivo risulta composto di Giudei convertiti, e nel legame cristiano-giudaico si avverte che novità e continuità si caratterizzano per un intrinseco rapporto.
Un puro monoteismo di tipo etico e l’attesa della salvezza, che comprendeva la liberazione dal male morale, rappresentano elementi verso i quali convergono sostanzialmente i due movimenti religiosi, e in certa misura favoriscono l’accoglimento del Vangelo da parte dei Giudei. Così, se da una parte il Cristianesimo accetta molto del Giudaismo, dall’altra vi apporta notevoli aspetti di novità:
a) il monoteismo si perfeziona, si arricchisce e si prolunga nella dottrina trinitaria;
b) la Legge antica viene completata e, in un certo senso, superata dall’insegnamento di Cristo, condensato principalmente nel discorso della montagna (Mt 5-7);
c) è sottolineato con forza il preminente valore della giustizia interiore rispetto a quella esteriore (Mt 15), ed è comunicata alla persona, con la grazia, la forza per fare il bene (Gv 1,17).

Reazione dell’ambiente giudaico

Di fronte al Cristianesimo il mondo giudaico reagisce in modo ambivalente, assumendo due forme:
• un rifiuto intransigente del messaggio evangelico da parte della maggioranza dei Giudei;
• un’accettazione decisiva del Vangelo da parte di una porzione eletta del popolo, il cosiddetto “resto di Israele” (Rm 11,5).[26]
Questa divisione del popolo ebraico è dovuta alla mancanza di senso storico, cioè al non aver riconosciuto che Cristo aveva assunto il passato e, insieme, aveva iniziato un’ èra nuova.
Riconoscere tale fatto significava per i Giudei ammettere che il loro monoteismo era solo una tappa verso l’attuazione del disegno salvifico di Dio; un ordinamento provvisorio destinato a svilupparsi in un’economia più perfetta. Di fronte a questa esigenza di sacrificio, che condizionava il passaggio a una vita nuova e maggiormente completa, i capi del Giudaismo, seguiti da gran parte del popolo, si trassero indietro e ripudiarono “quella fede cristiana che pure accoglievano nel tipo”.[27]
Agli Ebrei mancò la forza per attuare il superamento dell’antica economia. Oltre a Cristo, anche Giovanni Battista[28] rimproverò agli scribi di interpretare la legge in modo troppo letterale e materiale. Ma è noto che qualunque distacco procura sempre dolore e drammi (ciò si ripete, in un certo senso, tutte le volte che nella Chiesa vi è un rinnovamento).
A questi motivi di rifiuto si possono aggiungere: la secolarizzazione psicologico-politica della promessa di Dio, l’attaccamento formalistico alla Legge e la conseguente incomprensione di Cristo, lo zelo e l’invidia.
Il rimprovero di Pietro: “Voi avete crocifisso il Cristo” (At 2,36), provocò un dramma psicologico negli Ebrei, perché essi aspettavano un Messia politico, un salvatore dalla dominazione dei Romani. Essi non accettarono il Cristo perché ormai restava in loro solo l’aspetto formalistico della Legge. Infine, lo zelo e l’invidia degli Ebrei nascevano da un complesso di inferiorità, perché Cristo superava il monoteismo: egli parlava del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Con il ripudio del Cristo si arriva alle seguenti conclusioni:
• persecuzioni: crocifissione di Cristo, lapidazione di Stefano[29] e decapitazione di Giacomo[30], imprigionamento di Pietro e di Paolo;
• dissenso tra giudeo-convertiti e convertiti-ellenisti.

Il resto di Israele

Tuttavia, un piccolo gruppo di Ebrei fu chiamato da Dio a riconoscere subito il suo Cristo, a seguirlo, ad accoglierne la dottrina. È il già citato “resto di Israele”, previsto dai profeti. Si tratta di una parte eletta del popolo ebraico che accettò il Vangelo, e che costituì il primo nucleo del Cristianesimo. Tale gruppo, con la sua scelta, subì la conseguenza di essere rifiutato dalla comunità ebraica, con espulsione dalla Sinagoga. A questo “resto” si aggregò a poco a poco la massa dei pagani e si formò così il “nuovo Israele”, dal quale la maggior parte dei Giudei si è staccata.

Reazione del Cristianesimo

Secondo la dinamica dell’Incarnazione, la Chiesa:
a) non dimostrò mai ostilità verso il Giudaismo, ma assunse un atteggiamento adeguato alla novità costituita dalla venuta di Cristo. Si adoperò per inserire i membri del popolo eletto nella società messianica, per guidarli verso quella più perfetta osservanza della legge che Cristo aveva insegnato. Quanti risposero a questa sollecitudine costituirono il primo nucleo del nuovo Israele;
b) fu rispettosa e comprensiva per gli usi e i costumi giudaici (vedi l’atteggiamento di Cristo, documentato dai Vangeli; il comportamento degli apostoli e quello dei primi discepoli[31]; rifiutò tuttavia a tali consuetudini il potere di salvezza, dovuto unicamente alla fede);[32]
c) valorizzò, immettendo in essi un nuovo contenuto, elementi cultuali e liturgici del Giudaismo: giorno dedicato a Dio; feste di Pasqua e di Pentecoste; elementi materiali, legati a concezioni semitiche, nei sacramenti; Abramo e i profeti considerati come “santi”…;
d) utilizzò forme ed espressioni proprie della mentalità dei Giudei nello scrivere e nel trasmettere il messaggio cristiano. Nel Nuovo Testamento si incontrano i tipi di letteratura che si trovano nell’Antico e nel Giudaismo (libri storici, profetici, apocalittici); procedimenti redazionali come le genealogie, l’uso delle parabole, il genere delle beatitudini …[33]

La Chiesa negli “Atti degli Apostoli”

La fonte principale, anche se non completa, della storia della Chiesa nascente è il libro degli Atti degli apostoli, scritto da Luca[34] verso l’ anno 80 dopo Cristo.[35] I 28 capitoli che compongono questa narrazione sono divisi generalmente in tre parti.
a) La prima parte comprende all’incirca i primi dodici capitoli. Ha come centro geografico la città di Gerusalemme e come figura emergente quella di Pietro.[36] Gerusalemme è il punto di arrivo dell’attività di Gesù, ed è il punto di partenza dell’attività della Chiesa, destinata a estendersi nel mondo (cc. 1-2). Qui si forma la prima comunità, composta dal gruppo di Giudei convertiti, di lingua aramaico-ebraica, stretto intorno ai Dodici (cc. 3-5), e dal gruppo dei Giudei convertiti della diàspora o Ellenisti, di lingua greca, stretto intorno ai Sette (cc. 6-9).
Pietro si converte alla missione tra i pagani e inaugura ufficialmente la nascita della Chiesa in due ambienti pagani: la casa del centurione romano Cornelio e la città ellenistica di Antiochia di Siria (cc. 10-11). Qui ormai è la capitale della missione “ad gentes”, la comunità-base di Barnaba[37] e di Paolo (c. 12). Gerusalemme sarà ancora il centro di riunione durante il “concilio apostolico” (c. 15).
b) La seconda parte degli Atti (cc. 13,1-21,14) allarga gli orizzonti del suo racconto: Antiochia è il punto di partenza e Paolo è la figura dominante della missione, che ha come obiettivo finale Roma, capitale dell’Impero. Partendo e ritornando ad Antiochia, Paolo e Barnaba compiono il primo viaggio missionario (cc. 13-14). Paolo e i suoi collaboratori (Sila[38], Timoteo[39] e Luca) fanno un secondo viaggio missionario, toccando l’Europa, e fondando le comunità di Filippi, Tessalonica e Corinto (cc. 15,36-18,22). Dagli appunti di un terzo viaggio missionario, si è informati soprattutto sul triennio di attività a Efeso, con rientro a Gerusalemme (cc. 18,23-21,14).
c) La terza parte (cc.21,15-28,31) descrive la progressiva espansione geografica e storico-teologica del Cristianesimo fino a Roma, e il confronto tra la Chiesa e le potenze di questo mondo, cioè l’Impero e il Giudaismo. Il confronto diventa un processo giudiziario, in cui il Cristianesimo appare in veste di imputato: Paolo in catene è figura storica ed emblematica. L’Impero lo accusa di illegalità politica (Paolo è un sobillatore), e il Giudaismo lo accusa di empietà religiosa (è un traditore della Legge). Luca fa delle apologie paoline a Gerusalemme (21,15–23,35) e a Cesarea (cc. 24-26) un abbozzo dell’apologia del Cristianesimo storico. Infine, l’Apostolo prigioniero giunge a Roma, rompe con il passato giudaico e può finalmente “annunciare il regno di Dio… con tutta franchezza e senza ostacoli”.[40]
In tale contesto, è utile avvertire che il libro degli Atti ha dei limiti: il racconto copre solo una parte della storia del Cristianesimo primitivo. San Luca è un greco e scrive per i Greci; si interessa poco al Cristianesimo di lingua aramaica, e non è favorevole ai Giudeo-cristiani.
Sul piano storico, è noto agli studiosi che la Chiesa primitiva rimase per lungo tempo radicata nella società giudaica. Occorre perciò tenere presenti altri documenti e varie scoperte (come i manoscritti del Mar Morto[41], le iscrizioni[42], gli scritti giudeo-cristiani[43]) per una conoscenza più profonda del Cristianesimo apostolico e della sua diffusione.

La Chiesa a Gerusalemme

In ogni caso, va considerata la condotta di Gesù che, fin dall’inizio del suo ministero pubblico, volle chiamare presso di sé i Dodici e li mandò a predicare la buona novella.[44] Dopo la sua Risurrezione, fondò la Chiesa come sacramento di salvezza e inviò nel mondo i suoi apostoli con un preciso comando: “Andate dunque, fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo…”.[45] “Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura…”.[46]
Egli ordinò inoltre ai suoi seguaci di rimanere a Gerusalemme fino al giorno in cui avrebbero ricevuto la forza dello Spirito Santo, che li avrebbe resi suoi “testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino all’ estremità della terra”.[47]
Dieci giorni dopo l’ Ascensione, nella festa ebraica della Pentecoste (maggio-giugno dell’anno 30), lo Spirito discende sul gruppo riunito nel Cenacolo, lo investe di una potenza speciale che lo abilita ad annunciare il Cristo risorto. È un avvenimento straordinario che rientra nella trama della storia umana, ma è anche al centro della storia della salvezza e all’ origine del movimento missionario del Cristianesimo.

La comunità dei “fratelli”

In questo momento esiste nella Città Santa una comunità religiosa di circa centoventi persone[48]: gruppo più numeroso della cerchia degli intimi che stava intorno a Gesù, ma distinto da quelle cinquecento persone[49] che lo videro risorto. Sono chiamati “fratelli”, e obbediscono ai dodici apostoli.
Dal giorno della Pentecoste ha dunque inizio la predicazione del Vangelo da parte degli apostoli, in particolare per opera di Pietro che parla in mezzo a loro, a nome loro, e annunzia il messaggio della Risurrezione alla moltitudine arrivata a Gerusalemme. È da notare che i Dodici, già scelti da Gesù e da lui investiti di un mandato solenne, avevano anche i poteri per testimoniare l’ evento salvifico, ma solo dopo la discesa dello Spirito Santo essi cominciano a predicare e ad esercitare i carismi.
Le circostanze dell’annuncio sembrano sottolineare il carattere ufficiale della missione; il primo discorso di Pietro ha un tono ieratico (At 2,14); il secondo ha luogo nel portico di Salomone (At 3,11ss); il terzo di fronte ai capi del Sinedrio (At 4,8-12).

Il contenuto dell’annuncio

Il contenuto dell’annuncio è la Risurrezione di Cristo, dimostrata con una triplice prova: la testimonianza degli apostoli (At 2,32; 3,15); i «molti prodigi e segni» da loro compiuti (At 2,43); la realizzazione delle profezie (At 3,18-25). Lo scopo dell’ annuncio è la conversione delle genti; dopo il primo discorso di Pietro, tremila giudei accolgono la Parola e si fanno battezzare (At 2,41); dopo il secondo, «il numero dei credenti sale a circa cinquemila» (At 4,4). Ma i sacerdoti e i sadducei si mostrano duramente ostili verso la comunità cristiana, sia per le innovazioni religiose che proclamava (At 4,2), sia per gelosia del suo ascendente sul popolo (At 5,17). San Luca descrive tre manifestazioni di questa ostilità giudaica:
- Pietro e Giovanni sono sorpresi a predicare nel Tempio, vengono arrestati, citati in giudizio davanti al Sinedrio, poi rilasciati (At 4,1-23);
- il gruppo degli apostoli viene pure tratto in arresto, fatto flagellare e di nuovo liberato, dopo l’intervento del fariseo Gamaliele (At 5,17-40);
- Giacomo, fratello di Giovanni, subisce il martirio per decisione di Erode Agrippa[50] e a causa dell’odio della casa di Anna (At 12,1-3).
Si può affermare che Luca, in tal modo, mette in rilievo una duplice caratteristica della primitiva predicazione missionaria: la prima è l’insistenza sul binomio «missione-persecuzione», una nota rispondente alla logica di Cristo e una costante nella storia della Chiesa; la seconda è la presentazione del binomio altrettanto significativo di «missione-conversione», che fa crescere in più ambienti il numero dei credenti in Cristo.
Nonostante le persecuzioni, l’attività missionaria continua quotidianamente nel Tempio e per le case, dove gli apostoli «non cessavano di insegnare e di annunciare la buona novella che Gesù è il Cristo» (At 5,42). Di conseguenza, «ogni giorno il Signore aggiungeva alla comunità quanti venivano alla salvezza» (At 2,47); «crescevano sempre più i credenti nel Signore, moltitudini di uomini e di donne» (At 5,14).
Quando poi Stefano ebbe il coraggio di proclamare davanti al Sinedrio la fine del patto antico, venne lapidato dai Giudei tumultuanti, che fecero di lui il primo martire cristiano (At 7,1-60). Questo fu il segnale di una «grande persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme: tutti allora, eccetto gli apostoli, si dispersero per le campagne della Giudea e della Samaria… e passando da un luogo all’altro annunciavano il Vangelo» (At 8,14).
Fu una svolta provvidenziale, perché il messaggio cristiano usciva in tal modo da Gerusalemme e dalla Palestina. La conversione poi del persecutore Saulo e quella non meno significativa dell’ apostolo Pietro all’evangelizzazione dei pagani segnarono un momento decisivo nella vita e nella coscienza della Chiesa nascente.

Fuori Gerusalemme

Il Cristianesimo si diffonde ben presto al di là del mondo giudaico: nei primi quindici anni della sua esistenza, affronta gli ambienti pagani in Oriente e in Occidente. Lo storico Eusebio di Cesarea[51], esagerando, afferma che durante il regno di Tiberio (dal 14 al 37 d.C.) «di colpo la voce degli evangelisti e degli apostoli si diffuse per tutta la terra e fino all’ estremo limite del mondo risuonò la parola».[52]
È documentata una missione «aramaica» in Transgiordania, in Arabia, nella Fenicia e altrove. Oscure sono le origini della Chiesa in Galilea, mentre gli Atti collegano la diffusione del Cristianesimo in Samaria con l’espulsione degli ellenisti da Gerusalemme, avvenuta nell’anno 37 (cf At 8,5-25).
La missione del diacono Filippo in Samaria (At 8,5) non è l’unica, ma viene delineata da Luca come un modello di evangelizzazione: infatti, precede la predicazione in tutte le città fino a Cesarea e segue l’ opera di organizzazione della Chiesa, compiuta attraverso la visita di Pietro e di Giovanni.
Il bilancio dei primi sviluppi della comunità cristiana al di fuori di Gerusalemme è piuttosto scarso. Tuttavia questo estendersi sul litorale palestinese mette in contatto con l’ambiente greco-romano: tipico è il caso del centurione Cornelio della coorte italica, che viene battezzato da Pietro (At 10,1-33), un episodio che sanziona l’ entrata dei pagani nella Chiesa.

Damasco

La dispersione dei primi cristiani favorì l’annuncio del Vangelo anche in un’ altra città, che si trovava all’interno, oltre il Libano, cioè Damasco (At 11,19). Tale abitato si può considerare il primo centro cristiano al di fuori della Palestina. Si conosce tale penetrazione solo dal racconto della conversione di Saulo, il giovane fariseo di Tarso che, dopo aver partecipato alla lapidazione di Stefano, chiede ai capi di Gerusalemme di poter condurre la repressione dei cristiani di Damasco (At 22,5). Ma la conversione prodigiosa fece di lui il più eloquente predicatore del Vangelo nella stessa Damasco, dove la Chiesa continuò a svilupparsi, nonostante le violente opposizioni dei Giudei.

Antiochia

Il secondo e più importante centro di diffusione del Cristianesimo in Siria è Antiochia, grande emporio commerciale dell’Oriente, ove sono presenti soprattutto greci convertiti. In questa città, per la prima volta, viene dato il nome di cristiani ai membri della comunità (At 11,26). Il loro numero e la loro distinzione dalla società religiosa del Giudaismo fecero coniare questo nome che avrebbe un carattere giuridico, indicando una denominazione ufficiale, non popolare (Peterson[53]), oppure sarebbe un termine di risonanza politica, indicando «i partigiani di Cristo», fondatore di una setta (Daniélou).[54] Fra loro, i cristiani si chiamavano «fratelli», «discepoli», «santi».

Alcune evidenze

In ogni modo, la definizione di cristiani è la prima testimonianza dell’ esistenza della Chiesa davanti all’opinione pubblica del mondo pagano. È il periodo dell’imperatore Claudio[55], quando lo scrittore Svetonio[56] accenna ai cristiani come «iudaei impulsore Chresto assidue tumultuantes…»[57] e per questo espulsi da Roma nel 49. Lo spostamento del centro della Chiesa da Gerusalemme ad Antiochia dà un nuovo sviluppo all’organizzazione della comunità cristiana, che appare ormai guidata dai presbiteri, aperta alla comunione e così provveduta da poter inviare aiuti materiali ai poveri della comunità-madre di Gerusalemme durante la carestia (At 11,28-30). La missione del Cristianesimo tende dunque a svincolarsi dalla matrice giudaica e a rivelarsi nella sua dimensione universalistica.

La questione della Sinagoga

Con la conversione dei gentili (genti non giudaiche) al Cristianesimo sorge una questione di particolare importanza dottrinale e pratica. Per abbracciare la nuova fede è necessario passare attraverso la Sinagoga, cioè accettare i riti ebraici? Al riguardo, si può ricordare che la Chiesa primitiva era formata da giudei-cristiani e da cristiani- ellenisti.
1) I primi, giudaizzanti, con sede a Gerusalemme, ritengono che la Sinagoga sia la porta necessaria per entrare nel Cristianesimo e, in particolare, che sia indispensabile assoggettarsi al rito della circoncisione prima di ricevere il Battesimo.
2) I secondi, invece, cristiani-ellenisti, che hanno il loro centro ad Antiochia e che provengono dalla diàspora, non ritengono necessario accettare la religione giudaica per diventare cristiani. Gesù aveva dichiarato di non voler sciogliere la legge mosaica, ma solo di completarla, e ne aveva ribadito la validità: «Non perirà un solo iota[58] della legge fino a che tutto sia compiuto». Aveva inoltre proclamato nell’ultima Cena una nuova alleanza, e dopo la Risurrezione aveva dato agli apostoli un mandato missionario universale.
La prima cerchia cristiana, composta esclusivamente da ebrei, non comprese la portata delle parole di Gesù, e l’interpretazione letterale delle profezie messianiche dell’Antico Testamento spingeva gli apostoli e i primi discepoli a considerare la Chiesa ancorata strettamente alla Sinagoga, e a credere che l’ adesione al patrimonio religioso e cultuale costituisse la chiave indispensabile per l’ingresso nella Chiesa: non si poteva ricevere il battesimo se non si era preventivamente circoncisi, e se non ci si impegnava a osservare i precetti della legge mosaica.

La posizione di san Paolo

Paolo, cominciando la sua catechesi nella Sinagoga, spiega i Profeti, dice che tutto si è compiuto in Cristo, e dichiara che non è necessario passare attraverso la Sinagoga per diventare cristiani. Per lui Adamo è il tipo di Cristo (Rm 5,12-19;1 Cor 15,22.45.49); la legge è l’ombra delle cose future (Col 2,17); gli avvenimenti dell’ esodo nel deserto annunciano quelli della vita della Chiesa; la Sinagoga raffigura il nuovo Israele (2 Cor 3,16), e l’agnello pasquale il Cristo (1 Cor 5,7).
Osserva inoltre che la circoncisione fu data ad Abramo quale segno e suggello della giustizia conseguita per mezzo della fede (Rm 4,11). Quindi la circoncisione della carne suppone e impone quella dello Spirito, della quale è simbolo e richiamo. È vero che Gesù si sottopose alla legge della circoncisione (Lc 2,21), ma con l’istituzione del battesimo cristiano tale obbligo è cessato.

La svolta del Concilio di Gerusalemme (49 d.C.)

Il papiro è datato fra gli anni  100 e 120 d.C.  solo da 5 a 15 anni dopo la morte dell’apostolo Giovanni.

Il papiro è datato fra gli anni
100 e 120 d.C. solo da 5 a 15 anni dopo la morte dell’apostolo Giovanni.

Da questa impostazione nasce la controversia tra i cristiani-ellenisti di Antiochia e i cristiani-giudaizzanti di Gerusalemme. La vecchia mentalità è troppo radicata per scomparire subito, e provoca lunghi e dolorosi contrasti, culminati nel Concilio di Gerusalemme dell’ anno 49.
In esso si rivelano uno spiccato senso storico e un grande equilibrio, soprattutto per il fatto che, pur riconoscendo in linea teorica valida la tesi di Paolo, che a più riprese ha dimostrato l’inutilità del rito dopo la morte redentrice di Cristo (Gal 5,2ss; Col 2,11ss) e l’inesistenza di un vero obbligo di osservare la legge mosaica, tuttavia, per evitare scissioni nella Chiesa, si accetta il compromesso proposto da Giacomo il Minore. In sostanza viene dichiarato che non è necessario passare attraverso la Sinagoga per entrare nel Cristianesimo. Tenuto conto della sensibilità degli Ebrei, si ordina l’astensione da certi atti, come: mangiare carne immolata agli idoli, o venduta dopo essere stata immolata agli idoli, mangiare carne di animali soffocati, la fornicazione.
Il superamento di questa mentalità (esclusa la fornicazione, sempre illecita) avviene gradualmente. Le decisioni del Concilio di Gerusalemme avevano un carattere dottrinale, ma nel modo di agire di Pietro, di Paolo e degli altri si può vedere l’ansia pastorale che sa adattare la norma alla situazione concreta.
Il distacco della Chiesa dalla Sinagoga sottolineò l’inadeguatezza della vecchia economia; rilevò la necessità della fede in Cristo redentore come sola via di salvezza; salvò l’universalismo della Chiesa, che non può identificarsi con nessuna forma di civiltà e che deve in ogni epoca incarnarsi in nuovi contesti storici.
Questo risultato positivo delle conclusioni del Concilio di Gerusalemme non fu gradito ad alcuni ebrei: sorsero così delle sètte, che si separarono dalla Chiesa, provocando la reciproca ostilità tra Chiesa e Sinagoga.

Talune evidenze

In definitiva, il Cristianesimo uscì dal Concilio di Gerusalemme con una prospettiva più esplicitamente cattolica e universale: un aspetto che diventerà più appariscente dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. a opera di Tito.[59] Ci si può domandare: come mai la Sinagoga (mondo ebraico con il suo messaggio religioso), una realtà che portò la salvezza, a un certo punto perde il suo valore salvifico fino a diventare apportatrice di non vita? San Tommaso risponde distinguendo tre tappe: 1) la Sinagoga è salvatrice prima di Gesù; 2) la Sinagoga è inerte al tempo del Signore; 3) la Sinagoga è mortifera (non produce vera liberazione dalla morte e dal peccato) dopo la venuta di Cristo Messia. Egli comunque tratta della salvezza operata dai segni dell’Antico e del Nuovo Testamento nella Summa Theologiae, III parte, questione 62.

Alcune considerazioni di sintesi

Tenendo conto di quanto trascritto in precedenza occorre comprendere il significato della caduta di Gerusalemme (70 d.C.). Secondo la profezia del Salvatore (Mt 24; Mc 13; Lc 21), nel 70, come epilogo della guerra giudaica (66-67), si ebbe la distruzione della città e del Tempio di Gerusalemme. Ciò provocò un’ulteriore dispersione degli Ebrei nel mondo. La rovina della città appare come il segno di una più grande tragedia, in quanto la vocazione del popolo ebraico era concentrata nell’attesa del Messia. Eppure proprio degli Ebrei fu detto: «… et sui eum non receperunt» («I suoi non l’hanno accolto», Gv 1,11).
Al dolore per la tragedia e per i peccati che ne erano stati la causa, si associò un sentimento di fiducia e di speranza in una futura restaurazione del popolo e di Gerusalemme, perché era la Città Santa di un popolo scelto da Dio e plasmato per la venuta di Cristo.
Tale distruzione fu la conseguenza del tradimento di una vocazione speciale, e la manifestazione di una morte interiore, provocata dal legalismo. Anche questa è una legge storica: nessun crollo personale o sociale esterno avviene se prima non si è spenta la nostra autenticità, l’anima interiore.
Dopo la caduta di Gerusalemme è cominciata la città nuova: la Chiesa. Per i cristiani che, pare, prima della presa di Gerusalemme si erano ritirati a Pella in Transgiordania, la distruzione della città fu il segno sensibile offerto da Dio della fine dell’antica economia e contribuì ad accelerare lo sganciamento della nuova religione dal Giudaismo. Il Cristianesimo non è più la semplice realizzazione delle profezie ebraiche, diventa piuttosto l’incarnazione definitiva delle promesse di Dio e la sua ultima Alleanza con l’umanità redenta.

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Note

[1] P.L. Guiducci, Gesù di Nazareth è esistito? La ricerca. Le fonti non cristiane. I riscontri, Àlbatros, Roma 2016.
[2] Publio Virgilio Marone (poeta latino; 70 a.C.-19 a.C.). Autore di tre opere significative: le Bucoliche (“Canti dei bovari”), le Georgiche (sul lavoro dei campi, sull’arboricoltura [in particolare della vite e dell'olivo], sull’allevamento e sull’apicoltura come metafora di un’ideale società umana, e l’Eneide (storia di Enea, esule da Ilio e fondatore della divina gens Iulia.
[3] Con l’espressione “profezia di Virgilio” si intende la quarta egloga (poesia breve) delle Bucoliche (40 a.C.). La tradizione cristiana l’ha indicata come profetica con rif. alla nascita e alla missione di Cristo. Secondo il testo, Virgilio avrebbe ripreso un oracolo pronunciato dalla sibilla di Cuma, una profetessa del tempo. Citando una vergine senza attribuirgli un chiaro ruolo, descrive la nascita “ dal cielo di una nuova progenie ”, un bambino “cara prole degli dei, alto rampollo di Giove”, che instaura un periodo di pace per la società e per la natura, e con la cui guida sarebbero scomparse “le tracce della nostra colpa”. Il contesto storico immediato può riferirsi all’attesa, nel dominio romano del 40 a.C., della nascita di un bambino e di un connesso periodo di pace e benessere, ma secondo la tradizionale lettura cristiana del sensus plenior (“senso più pieno”) la poesia può essere riferita alla nascita di Gesù.
[4] Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.). Avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo.
[5] M.T. Cicerone, De divinatione, libro II, paragrafo 54.
[6] Fariṡèi: in ebraico perushim = separati.
[7] Mt 23,27.
[8] Sadducei: da Sadoc, sommo sacerdote del tempo di Salomone (1 Re 2,35).
[9] Simeone è indicato come “uomo giusto e pio” (Lc 2,22-40). Secondo il Vangelo, Simeone era un anziano a cui lo Spirito Santo aveva preannunziato che avrebbe visto il Messia.
[10] Anna è ricordata in Lc 2,36-38. L’evangelista la descrive come un’anziana vedova di ottantaquattro anni. Figlia di un certo Fanuele della tribù di Aser. Presente nel Tempio di Gerusalemme in modo costante. Seguiva le prescrizioni del tempo.
[11] Giuseppe di Arimatea era membro del Sinedrio. Mt 27,57-61.
[12] Nicodemo era un fariseo. Gv 3,1-15. Gv 19,38-42.
[13] Cf anche: Lc 8,1-3. Mt 28,1-10.
[14] Il gruppo dei discepoli è ricordato dagli evangelisti in più occasioni. Cf anche: Lc 24,13-35.
[15] Gli apostoli sono più volte citati nei Vangeli. Cf anche Mc 3,13-19.
[16] G. Perego, Atlante biblico interdisciplinare. Scrittura, storia, geografia, archeologia e teologia a confronto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007.
[17] Paolo di Tarso (nome originario Saulo; 5/10 d.C. – 64/67; Santo). Ebreo ellenizzato con cittadinanza romana
[18] Maccabei: si tratta di una famiglia ebraica. I suoi membri guidarono la ribellione contro il seleucide Antioco IV Epìfane (II secolo a.C.).
[19] Gneo Pompeo Magno (106 a.C.-48 a.C.). Nacque a Picenum. Militare e politico romano. Fu prima alleato e poi avversario di Gaio Giulio Cesare (100 a.C.-44 a.C.).
[20] Il termine diàspora è di origine greca (verbo διασπείρω, letteralmente disseminare). Indica la dispersione di un popolo dalla propria sede originaria ad altri luoghi.
[21] La Bibbia dei Settanta, a cura di P. Sacchi, Morcelliana, Brescia 2019. Vol. 1: Pentateuco, 2012; vol. 2: Libri storici, 2016; vol. 3: Libri poetici, 2013; vol. 4: Profeti, 2019.
[22] Ellenismo: diffusione della civiltà greca nell’area mediterranea e in altre zone. Nascita della civiltà “ellenistica” che influenzò molti aspetti della filosofia, dell’economia, della religione, della scienza e dell’arte.
[23] M.R. Hayoun, L’ ebraismo. Storia e identità, Jaca Book, Milano 2010.
[24] A. Foa, Gli ebrei nella diaspora, in: ‘Dizionario di Storia’, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2010.
[25] Giuda è identificato con il termine “Iscariota”. L’espressione può essere letta come “uomo di Kariot” (ish Kariot). Kariot si trova nella Giudea meridionale.
[26] Cf anche: M. Simon – A. Benoît, Giudaismo e cristianesimo, Laterza, Bari-Roma 2005.
[27] Tommaso d’Aquino (san), Summa Theologiae, pars II-II, cioè il terzo volume della Summa (I/I-II/II-II/III), decima questione, articolo 5.
[28] Giovanni detto il Battista. Nato a Ain Karem (?), nel 7 a.C. (?). Morto martire nella fortezza di Macheronte nel 29 ca.. Santo. Svolse un compito profetico. Battezzò diversi suoi contemporanei presso il fiume Giordano. Precursore del Messia.
[29] Stefano (5 d.C.- 34 d.C.; Santo). Primo di sette diaconi scelti dalla comunità cristiana per aiutare gli apostoli nell’impegno ecclesiale.
[30] Giacomo il Maggiore (morì martire nel 42 d.C.).
[31] At 2,46; 3,1; 5,12;…
[32] Cf At 7; 15, concilio di Gerusalemme.
[33] J. Dupuis sj, Radici ebraiche del Cristianesimo, in: ‘Idee’, a cura della Facoltà di Filosofia dell’Università di Lecce, vol. 65/66, Milella, Lecce 2007, p. 59ss.
[34] Luca (9 d.C. ca-93 ca; Santo). Evangelista e autore degli ‘Atti degli Apostoli’.
[35] Atti degli Apostoli, introduzione e commento di R.C. Pesch, Cittadella, Assisi 2005.
[36] Šim’ôn (שמעון, “colui che ascolta”) Pietro (I sec. a.C. – 64 o 67 d.C.; Santo). Nato in Galilea. Venne scelto da Cristo per guidare la Chiesa nascente.
[37] Barnaba (deceduto nel 61 d.C.; Santo). Nato con il nome di Giuseppe. Giudeo di famiglia levitica emigrata a Cipro. La sua frequente presenza a Gerusalemme si spiega forse per la sua ascendenza levitica.
[38] Sila (I sec.). Il nome Sila  (in greco  Σιλας) è forse una forma abbreviata greca di Silvano, nome con il quale viene chiamato nelle epistole di Paolo e di Pietro.
[39] Timoteo (deceduto nel 97 d.C.; Santo).
[40] At 28,31.
[41] F. García Martínez, Testi di Qumran, Paideia, Brescia 2003.
[42] Cf anche: B. Bagatti, Alle origini della Chiesa. Vol. 1: Le comunità giudeo-cristiane. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982. Id., Alle origini della Chiesa. Vol. 2: Le comunità gentilo-cristiane. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985.
[43] Cf anche: J. Daniélou, La teologia del giudeo-cristianesimo, Il Mulino, Bologna 1974.
[44] Mc 3,13.
[45] Mt 28,19.
[46] Mc 16,15.
[47] At 1,8.
[48] At 1,15.
[49] 1 Cor 15,6.
[50] Erode Agrippa I detto il Grande (10 a.C.-44 d.C.). Re della Giudea.
[51] Eusebio di Cesarea (263 ca – 339 ca) nacque in Palestina. Fu oratore, esegeta, apologista, teologo e storico. Subì la persecuzione di Diocleziano. Nel 313-314 venne eletto vescovo. Divenne in seguito amico dell’imperatore Costantino I. Tra le sue opere si colloca anche una Storia Ecclesiastica che terminò di scrivere nel 303 o nel 311. In seguito vi aggiunse vari supplementi per aggiornarla fino al 324 così da includere il trionfo finale di Costantino.
[52] Eusebio, Historia Ecclesiastica, II, 3,1.
[53] E. Peterson Grandjean (1890-1960): cf Giudaismo e Cristianesimo: culto giudaico e culto cristiano, in ‘Rivista di Storia e Letteratura Religiosa’, 1 (1965), pp. 397-391.
[54] J. Daniélou (1905-1974): La Chiesa degli Apostoli, Edizioni Arkeios, Cesena 2010.
[55] Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (10 a.C. – 54 d.C.). Quarto imperatore della dinastia giulio-claudia (dal 41 d.C. alla morte).
[56] Gaio Tranquillo Svetonio (75ca-140ca), scrittore latino. Di famiglia equestre. Con l’appoggio di Plinio il Giovane intraprese la carriera di funzionario imperiale. Fu sovrintendente alle biblioteche e segretario di Adriano. Scrisse De viris illustribus, biografie di filosofi, poeti, grammatici, storici, et al.. La sua opera maggiore è il De vita Caesarum (otto libri): include dodici biografie di imperatori, da Cesare a Domiziano.
[57] Svetonio, Vita Claudii, 25.
[58] Un iota si riferisce alla lettera Yud, che veniva spesso trascurata dagli scribi perché è la lettera più piccola dell’alfabeto ebraico.
[59] Tito Flavio Cesare Vespasiano Augusto (noto come Tito), imperatore romano, dinastia Flavia. Regnò dal 79 all’81 (anno della morte).

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Per saperne di più
B. Bagatti, Alle origini della Chiesa, due volumi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1981-1982.
P.L. Guiducci, La Chiesa nella storia, primo volume, L’epoca antica, Elledici, Torino 2017.
K. Hanson, D. E. Oakman, La Palestina ai tempi di Gesù. La società, le sue istituzioni, i suoi conflitti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003.
G. Ravasi, Gli Atti degli Apostoli, EDB, Bologna 2000.
Id., I Vangeli, EDB, Bologna 2016.
A. Torresani, I primi cristiani. Dalla comunità di Gerusalemme al pontificato di Gregorio Magno, Ares, Milano 2020.

Secondo lo scritto dellapostolo Paolo[1], Cristo venne nel mondo “nella pienezza dei tempi” (Gal 4,4), quando cioè fu arrivato il momento fissato da Dio, ed ebbe termine il periodo, prestabilito da Dio, di preparazione alla salvezza messianica.

Con unaltra formula analoga, san Paolo afferma che il disegno di Dio si realizzò “nella pienezza dei tempi” (Ef 1,10). La venuta del Messia cioè si compì a conclusione di una lunga attesa, che comprende le varie tappe attraverso le quali lumanità, per volontà di Dio, è arrivata al termine voluto.

In sostanza, le due formule paoline significano che lIncarnazione del Figlio di Dio avvenne nel momento in cui lumanità era pronta ad accogliere il messaggio evangelico. Tale preparazione allavvento del regno di Dio fu operata nellambiente giudaico.

Limportanza del popolo ebraico nellantichità è dovuta esclusivamente alla sua religione. A differenza dei popoli pagani, esso si distinse per il dono della Rivelazione e per una speciale protezione divina.

Il monoteismo, la promessa del Messia e la sacra alleanza accompagnarono sempre il Giudaismo attraverso il tempo e le vicissitudini politiche. Lattesa del Messia si intensificò e si diffuse nellepoca dei Maccabei[2], quando il re di Siria, Antioco Epìfane (al potere negli anni 175-164 a.C.), cercò di strappare agli Ebrei la fede dei Padri e di imporre loro la religione e i costumi pagani.

Nellanno 63 a.C., Pompeo Magno[3] conquistò Gerusalemme e ridusse la Palestina a colonia romana.

Al popolo ebraico, sottomesso a questa dominazione, rimase il grande conforto dellidea e dellattesa messianica, anche se esse si caratterizzarono per il carattere politico e nazionale. Si aspettava infatti un liberatore dIsraele dal dominio straniero e un restauratore dellantica potenza temporale. Si aggiunga che fin dalla cattività assira (722 a.C.) e babilonese (597 a.C.), il popolo ebraico si era disperso in altre nazioni (la “diàspora”)[4]: con la sua operosità e attitudine al commercio, si propagò in quasi tutte le direzioni.

Per esempio, in Egitto si formò una forte colonia ebraica, e ad Alessandria apparve, nel III-II secolo a.C., la Bibbia dei Settanta, cioè la più antica traduzione greca dellAntico Testamento.[5]

Gli Ebrei della diàspora si sentivano una comunità unita, segregata dagli altri popoli. Avevano le proprie sinagoghe. Si tenevano in contatto con il Tempio di Gerusalemme. Ne pagavano ogni anno limposta. Lo visitavano regolarmente in occasione delle grandi feste.

Tuttavia non potevano sottrarsi allinflusso del mondo circostante nel quale erano inseriti. Si adattarono quindi all’Ellenismo[6] nella lingua e nei costumi, ed entrarono in rapporto con la filosofia greca.

A loro volta, malgrado la segregazione, gli Ebrei esercitarono un notevole influsso religioso sul mondo pagano. Il loro concetto di Dio e la superiore moralità di vita impressionarono favorevolmente gli uomini più pensosi. Se pochi furono i Greci e i Romani che entrarono nella comunità ebraica, molti furono invece quelli che accettarono il monoteismo e losservanza di determinati precetti (la festa del sabato, le norme sui cibi). In mezzo a questi “timorati di Dio” (At 10,2; 13,50; 16,14) il Cristianesimo poté diffondersi meglio, perché offriva ciò che il loro cuore desiderava, senza imitare la condotta degli Ebrei.



[1]Paolo di Tarso (nome originario Saulo; 5/10 d.C. – 64/67; Santo). Ebreo ellenizzato con cittadinanza romana.

[2]Maccabei: si tratta di una famiglia ebraica. I suoi membri guidarono la ribellione contro il seleucide Antioco IV Epìfane (II secolo a.C.).

[3] Gneo Pompeo Magno (106 a.C.-48 a.C.). Nacque a Picenum. Militare e politico romano. Fu prima alleato e poi avversario di Gaio Giulio Cesare (100 a.C.-44 a.C.).

[4] Il termine diàspora è di origine greca (verbo διασπείρω, letteralmente disseminare). Indica la dispersione di un popolo dalla propria sede originaria ad altri luoghi.

[5]La Bibbia dei Settanta, a cura di P. Sacchi, Morcelliana, Brescia 2019. Vol. 1: Pentateuco, 2012; vol. 2: Libri storici, 2016; vol. 3: Libri poetici, 2013; vol. 4: Profeti, 2019.

[6]Ellenismo: diffusione della civiltà greca nell’area mediterranea e in altre zone. Nascita della civiltà “ellenistica” che influenzò molti aspetti della filosofia, dell’economia, della religione, della scienza e dell’arte.