LA BRIGATA DELL’ANELLO DELLA REPUBBLICA: “IMPRESA” PER LAVORI SPORCHI
di Renzo Paternoster -
Un servizio parallelo e atipico inizia la sua vita nell’immediato dopoguerra e attraversa tutta la storia dell’Italia Repubblicana, una struttura segreta in funzione anticomunista con cui si potevano ottenere “certi” risultati, senza che nessun politico si sporcasse le mani.
La chiave di lettura di quello che si sta per raccontare è nella doppia politica praticata dallo Stato italiano a partire dal secondo dopoguerra. Infatti, la necessità di domare lo spettro del comunismo durante la cosiddetta “Guerra fredda”, ha abbassato a tal punto la soglia di legalità democratica e civile, da permettere a diversi centri di potere di adottare politiche antidemocratiche. Gladio, loggia P2, servizi segreti deviati, politici corrotti e collusi con Mafia, Camorra e ‘Ndràngheta, sono tutti attori che hanno contribuito a scrivere pagine di storia italiana vergognose, decidendo le scelte di politica interna e internazionale, ma anche di politica economica, industriale e sociale di tutto il Paese. A questi si aggiunge un altro centro di potere illegale e antidemocratico, scoperto solo recentemente, oggi noto come Anello o Noto Servizio.
Quel che lascia interdetti, sfogliando la scarna e incompleta lista degli aderenti di questa struttura, è che i nomi degli affiliati, almeno quelli rivelati, riportano a molte tragiche vicende accadute in Italia dal dopoguerra e almeno fino agli anni Ottanta del Novecento: dal furto della salma di Mussolini agli scandali del SIFAR, dalla strage di piazza Fontana ai sequestri Moro e Cirillo, dalla fuga di Kappler al contrabbando di petrolio dalla Libia.
Il sempre ben informato giornalista Mino Pecorelli, poi misteriosamente assassinato, fa alcuni accenni a questa struttura parallela, ancora prima della sua scoperta, avvenuta nel 1998. Questo significa che negli ambienti politici, quelli che frequentava Pecorelli, questa entità era già conosciuta.
Tutto quello che accade in Italia durante il periodo della Guerra fredda, ricade nella logica politica decisa da Stati Uniti d’America, Unione Sovietica e Inghilterra a Mosca nel gennaio del 1944 e a Yalta nel febbraio del 1945. In questo periodo l’Italia assume un ruolo delicatissimo sullo scacchiere mondiale, rappresentando il confine geografico tra l’Ovest e l’Est del mondo, ma anche fra il Nord e il Sud, essendo posizionata lungo la “cortina di ferro” decisa a Mosca e Yalta e avendo ai piedi dello stivale il mar Mediterraneo (quest’ultimo dato di fatto è stato spesso sottovalutato da chi si è occupato di spiegare la strategia della tensione).
In questo periodo l’Italia ha il più forte Partito Comunista dell’Europa, una forza politica legittima e rappresentata in Parlamento con buona parte dei voti del Paese (nel 1946, ad esempio, il risultato delle elezioni politiche per l’Assemblea Costituente assegnò al PCI il 18,9% dei voti, mentre alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, il Fronte Popolare e Democratico ‒ PCI e PSI ‒ ottenne il 31% dei voti). Quindi, a parte le frontiere decise a Yalta e Mosca, in Italia esiste anche una “frontiera interna”: da una parte le forze di centro (Democrazia Cristiana in primis), anticomuniste, filoatlantiche e a volte filoarabe; dall’altra il Partito Comunista Italiano, che ha mantenuto un fortissimo legame non solo ideologico, ma anche politico e finanziario con la “casa madre sovietica”; dall’altra ancora gli ex-fascisti e i neofascisti, i primi riciclati in funzione anticomunista, i secondi con un’ideologia di Destra più annacquata rispetto ai primi ma fortemente anticomunisti.
Sin da quando il regime fascista sembrava al suo epilogo, negli Stati Uniti molti si preoccuparono di tenere l’Italia nel porto atlantico. Per fare questo fu approntata una crociata che impedisse al Paese, con ogni mezzo, di decidere autonomamente da che forza politica farsi governare. L’obiettivo fu dunque quello di impedire, perfino a costo di una guerra civile, che le Sinistre prendessero – anche legittimamente e attraverso libere e democratiche elezioni – le redini del governo del Paese. Tutto questo rappresentò una palese violazione dei diritti e delle prerogative sancite dalla nostra Costituzione. Non solo. In questi anni di “sovranità limitata”, l’Italia è stata continuamente sul crinale di un continuo colpo di Stato o su quello di una involuzione della crisi interna verso la guerra civile.
Partendo dal presupposto secondo cui il Partito Comunista Italiano non aveva legittimità alcuna a governare, anche quando questo fosse accaduto per il tramite di una regolare vittoria elettorale, in Italia e fuori dal Paese furono approntati piani per scongiurare ogni ipotesi di presa da parte dei comunisti in Italia (la cosiddetta “strategia della tensione”).
Se all’inizio, a far sortire effetti “positivi” per la politica dello status quo, è bastato un “pronunciamento” (è uno dei modi con cui si indica un colpo di Stato tentato) ‒ quello del 1964 attuato dal generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo ‒ e una grande “intentona” (un altro modo con cui si indica un colpo di Stato tentato) ‒ quella accaduta la notte dell’Immacolata del 1970, organizzata da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale ‒ dopo si è fatto ricorso alle bombe, alle stragi indiscriminate e all’omicidio politico per ottenere lo stesso risultato.
Le operazioni condotte dagli affiliati all’Anello, assieme a quelle degli altri attori palesemente incostituzionali, rientrano a pieno titolo nella cosiddetta “strategia della tensione”.
L’esistenza di questo apparato segreto della politica è venuta alla luce casualmente nel 1998, quando il professor Aldo Giannuli, incaricato dal giudice Salvini di reperire documenti riguardanti la strage di piazza Fontana, in un polveroso archivio del Ministero dell’Interno della circonvallazione Appia a Roma, si imbatté in una dimenticata velina del 4 aprile 1972, denominata “Fonte Dario”. Qui, in sette cartelle si raccontava di un’entità segreta di cui nessuno fino a quel momento aveva avuto conoscenza, l’Anello o Noto Servizio appunto. Questo documento non avrebbe dovuto esistere, poiché sarebbe stato senza dubbio distrutto se non fosse stato riposto nel posto sbagliato.
Successivamente, in qualità di perito giudiziario, questa volta della procura di Brescia che stava indagando sulla strage di piazza della Loggia, il professor Giannuli approfondì le conoscenze su questa entità. Così ben presto realizzò che la “Fonte Dario”, nome di copertura di Luciano Menegatti, confidente dell’Ufficio Affari riservati, non era l’estensore del documento. Il vero redattore era, invece, il giornalista Alberto Grisolia, la “Fonte Giornalista” della Squadra 54 dell’ufficio milanese degli Affari riservati. Per la mole delle informazioni contenute, Grisolia o disponeva di una buona rete di fonti o riferiva su episodi di cui aveva conoscenza diretta, quindi egli stesso aveva fatto parte, anche per un breve periodo, dell’Anello.
La velina comincia così: «Questa è la storia di un servizio di informazioni che opera in Italia dalla fine della guerra e che è stato creato per volontà dell’ex capo del SIM [Servizio Informazioni Militari] Generale Roatta […]».
Un approfondimento sul Noto Servizio si è avuto nelle udienze del processo in corte di Assise per la strage di Brescia, quando il medico Rodolfo Pedroni ha raccontato quanto ha saputo sull’Anello da parte di Adalberto Titta [le trascrizioni dei verbali di udienza dei processi sulla strage di Brescia in «Casa della Memoria. 28 maggio 1974. Brescia», http://www.28maggio74.brescia.it/].
In Italia, dopo il proclama di armistizio del generale Badoglio dell’8 settembre 1943, si formano due Stati: la Repubblica Sociale Italiana di Salò, voluta dalla Germania di Hitler al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai fascisti e dai nazisti, e il Regno del Sud, territorialmente controllato dalle truppe alleate. In questo contesto il generale Mario Giuseppe Leon Roatta, ex capo del SIM e capo di stato maggiore dell’esercito (carica che conserva con l’insediamento del nuovo governo retto da Badoglio), costituisce nel 1944 un organismo segreto, sottoposto alle “informali” dipendenze del capo del Governo e in funzione dei nuovi interessi anticomunisti dello Stato liberato. Formato da militari, imprenditori, ex repubblichini e giornalisti, non era un’organizzazione militare, ma civile, e non aveva progetti golpisti, ma si sarebbe occupata di “lavori sporchi” e compromettenti per i servizi segreti ufficiali, tra cui quello di condizionare il sistema politico. La sua caratteristica è quella di essere un’organizzazione dormiente, che è attivata all’occasione, e questo gli ha permesso di restare segreta per tanto tempo. È, dunque, una struttura di fatto informale, con coperture e finanziamenti istituzionali e senza neppure un nome. Nei pochissimi documenti ritrovati è indicato genericamente come “Noto Servizio” e il nome “Anello” è probabilmente una auto-attribuzione degli stessi appartenenti alla struttura.
Roatta è arrestato il 16 novembre 1944. È accusato di crimini di guerra, partecipazione a reati fascisti, inadempienze militari (per non aver difeso Roma dopo l’armistizio) e di concorso nell’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Il generale si dichiara subito disponibile a cedere il “suo” servizio segreto civile in cambio della fuga. L’esfiltrazione di Roatta si realizza tra il 4 e il 5 marzo 1945, a processo ancora in corso. Il generale è fatto rifugiare dapprima in Vaticano e poi trasferito con sua moglie nella Spagna franchista. Riguardo la fuga di Roatta, il 6 marzo 1945 Giuseppe Saragat scrisse sul’“Avanti!” (quotidiano storico del Partito Socialista Italiano): «il suo silenzio era d’oro per molte persone».
L’Anello, dunque, passa probabilmente nelle mani degli americani. A dirigerlo è un ufficiale di origine polacca Solomon Hotimsky, dell’armata del generale Anders. Nella velina del 4 aprile 1972 si accenna a trasformazioni nel corso del tempo e, quindi, in quell’anno in cui Alberto Grisolia scrive, il gruppo iniziale di questa entità è radicalmente cambiato. In quest’anno a dirigere operativamente l’Anello è probabilmente Adalberto Titta, ex pilota dell’Aeronautica della Repubblica di Salò e imprenditore. L’entità ha due gruppi, uno più numeroso nel nord dell’Italia e uno più piccolo nella zona di Roma. I due gruppi avrebbero avuto una certa autonomia l’uno dall’altro, pur essendo entrambi coordinati da Adalberto Titta.
La sede principale dell’Anello è in un palazzone situato nel centro di Milano, tra via Statuto e via Lovanio, a meno di centocinquanta metri dalla caserma dei Carabinieri di via Moscova, sede territoriale dell’Arma e deposito di armi dell’entità. A pochi passi da queste due sedi si trova anche la chiesa di Santa Maria degli Angeli, più conosciuta come chiesa di Sant’Angelo, tenuta dai frati francescani dell’attiguo convento, punto di riferimento dell’alta borghesia milanese. In questa chiesa il frate Enrico Zucca, che poi ritroveremo in molte vicende oscure, esercita una notevole autorità.
Nei documenti ritrovati sono indicate delle persone che Grisolia ritiene vicine al Noto Servizio o personalmente prossime a Titta. Tra queste il faccendiere Felice Fulchignoni, capo della sezione romana dell’Anello; l’imprenditore Sigfrido Battaini, capo della sede milanese dell’Anello; Massimo De Carolis, politico e tesserato nella P2; Giorgio Pisanò, giornalista; Giuseppe Cabassi, costruttore e finanziere; Luigi Fortunati, inserito nella fondazione Ludwig Keimer (ente che si occupava di studi geologici e ricerche nel campo dei combustibili); Luciana Piras, cognata di Titta e dipendente della STIPEL (Società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda, società telefonica poi fusa e incorporata nella SIP); il già citato Enrico Zucca, potente frate francescano minore milanese, entrato nelle cronache per aver trafugato la salma di Benito Mussolini; Tom Ponzi, investigatore privato; Giovanni Maria Pedroni, illustre chirurgo e medico dell’Anello; gli estremisti di Destra Gianni Nardi e Carlo Fumagalli. Nessuna di queste persone ha mai confessato di aver fatto parte dell’Anello, pur ammettendo di conoscere o di aver avuto rapporti con Titta.
Dai documenti ritrovati nell’archivio del Ministero dell’Interno della circonvallazione Appia, il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti risulta il principale beneficiario politico della struttura. In un’intervista rilasciata nel febbraio 2011, a Raffaella Fanelli e pubblicata dal settimanale “Oggi”, anche l’ex venerabile della loggia massonica P2 Licio Gelli dichiara che: «io [Gelli] avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l’Anello».
Su alcune operazioni dell’Anello e dei suoi affiliati si hanno certezze, su altre meno. Tra le prime la partecipazione a importanti incontri in funzione anticomunista, la fuga del nazista Herbert Kappler dall’Italia, l’intrusione durante il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, la trattativa durante il rapimento del politico campano Ciro Cirillo, l’acquisto di petrolio dalla Libia. Non è mai stato dimostrato che il Noto Servizio abbia partecipato alle stragi che hanno insanguinato l’Italia negli anni Settanta, anche se il sospetto è molto alto.
Un importante convegno che anticipa il disegno politico-eversivo dell’estrema destra italiana si svolge a Roma, dal 3 al 5 maggio del 1965, presso l’hotel Parco dei Principi. Il titolo del convegno è poco rassicurante: “La guerra rivoluzionaria non convenzionale”.
Il congresso è seguito, oltre da uomini politici, dirigenti economici, militanti della Destra nazionale e futuri estremisti, anche da un magistrato (il consigliere della Corte d’Appello di Milano, Salvatore Alagna), due alti ufficiali (il generale dei paracadutisti Alceste Nulli e il colonnello di artiglieria Adriano Magi Braschi), un funzionario dei Servizi segreti (Guido Giannettini, alias “Agente Zeta”), un collaboratore dei servizi segreti italiani (Pio Filippani Ronconi, esperto di crittografia) e un esponente dell’Anello (il giornalista Giorgio Pisanò). Tutti gli interventi sono caratterizzati da una forte enfasi sull’imminenza del pericolo rappresentato dalla “canea rossa” e, quindi, sulla necessità di passare immediatamente all’azione in un tono di ossessivo anticomunismo.
Nella sua relazione, “Guerra rivoluzionaria in Italia 1943-1945”, Giorgio Pisanò dice: «non vi parlo a titolo personale: vi parlo a nome di un gruppo che a Milano si è dedicato da tempo allo studio della tecnica della guerriglia comunista, perché ci siamo resi conto perfettamente che non è possibile parlare e non è possibile condurre una efficace azione anticomunista, se noi non impariamo bene come il comunismo agisce, in base a quale tecnica si muove, in base a quali piani procede contro di noi. Noi siamo scesi su un campo pratico, immediatamente». Voleva forse riferirsi all’Anello?
Almeno due sono le missioni in cui gli agenti del Noto Servizio collaborano alla fuga dall’Italia di personaggi compromettenti: quella dell’ex comandante Borghese e quella del nazista mai pentito Herbert Kappler.
La prima, del 1971, è l’esfiltrazione di Julio Valerio Borghese, colpito da mandato di cattura per il tentato golpe attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre dell’anno prima: l’ex comandante della Xª Flottiglia MAS del Regno d’Italia, è dapprima ospitato nella sua villa dall’ingegnere Sigfrido Battaini, poi accompagnato in Spagna.
Nel 1977 l’Anello sbriga, per conto della Presidenza del Consiglio, un altro compito imbarazzante: fa fuggire in Germania il nazista Herbert Kappler, condannato all’ergastolo per l’uccisione delle quindici persone da lui aggiunte in più alle trecentoventi previste come rappresaglia all’attentato partigiano di via Rasella (eccidio delle Fosse Ardeatine). La fuga di Kappler, ricoverato all’ospedale militare Celio di Roma, è barattata con la Germania, al fine di ottenere un prestito di denaro di cui l’Italia ha un disperato bisogno. La notte tra il 14 e il 15 agosto 1977 il nazista fugge dall’ospedale, ufficialmente aiutato dalla moglie Annelise, che lo nasconde in una grande valigia. In realtà, più che un’evasione rocambolesca, è un’uscita tranquilla dall’ospedale militare. Preso in custodia da Titta, il nazista è dapprima portato a Ponte San Pietro, nella bergamasca, poi a Desenzano sul Garda, in provincia di Brescia, dove è preso in consegna dagli uomini del BFV, il servizio segreto tedesco. Nel tragitto, il medico dell’Anello Giovanni Pedroni gli presta le cure mediche. L’operazione segreta è un successo e, almeno all’inizio, nessuno dubita delle istituzioni. Gli “agnelli sacrificali” sono il ministro Lattanzio, che si dimette dal suo incarico governativo, e i tre piantoni di guardia al nazista.
Negli anni Sessanta, il Noto Servizio si è già attivato anche per portare il Partito Socialista Italiano su posizioni di netto anticomunismo, “staccandolo” dal Partito Comunista. In pratica si è trattato di annacquare il socialismo di questo partito e di far nascere un centrosinistra filo atlantico. Per fare questo, è messa a punto una robusta campagna di intimidazione contro esponenti socialisti delle aree politiche più aperte verso il PCI, con dossieraggio, campagne scandalistiche, ricatti, progetti di sequestri di persona e, forse, omicidi camuffati da incidenti stradali.
Così Giorgio Pisanò, col suo settimanale “il Candido”, conduce una dura campagna contro Giacomo Mancini, della sinistra interna del PSI; si finanziano le “correnti” politiche disposte a un allontamento dal PCI; si progettano i sequestri (mai attuati) del sindaco di Milano Aldo Aniasi, del leader del movimento studentesco milanese Mario Capanna, dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, del deputato democristiano Luigi Granelli, del segretario della federazione socialista di Milano Demetrio Costantino.
Dai documenti presentati al processo di Brescia, emerge dalle note di Grisolia che l’Anello si attiva per eliminare fisicamente alcuni oppositori del centrosinistra dell’area socialista, attraverso simulati incidenti stradali. Tra questi il sindaco di Mantova Eugenio Dugoni e il segretario della Camera del Lavoro di Milano Bruno Di Pol, entrambi morti in distinti sinistri automobilistici negli anni Sessanta. Anche il sindaco di Milano Aniasi è probabilmente il destinatario di un simulato incidente stradale, al quale fortunatamente il politico riesce a sfuggire. Tuttavia non è comprovato che questi incidenti siano stati volutamente provocati. Però (c’è un però!), non è un caso che Titta, nella sua agenda, dichiari di essere un esperto di infortunistica stradale.
A parte il coinvolgimento del Noto Servizio in uno scambio armi-petrolio con la Libia, avvenuto negli anni Settanta, questa entità entra oscuramente anche nella “Operazione fritz”, come fu chiamato dalla Brigate Rosse il sequestro del Presidente della DC Aldo Moro (“fritz” si riferiva alla frezza bianca presente nella capigliatura di Moro). L’intervento dell’Anello riguarda non solo informazioni riguardo il covo in cui è detenuto Moro, ma soprattutto il memoriale del prezioso ostaggio delle Brigate Rosse.
Titta conosce il covo brigatista di via Gradoli, si ricorda che il nome Gradoli emerse il 3 aprile 1978, dunque durante la prigionia di Moro, nel corso di una seduta spiritica in cui partecipò il futuro presidente dell’IRI e del Consiglio dei Ministri Romano Prodi. Titta è il “misterioso intermediario” che le Brigate Rosse citano nel documento numero 4 del 4 aprile 1978. Titta riferisce a Michele Ristuccia in tempo reale che il comunicato del 18 aprile 1978 delle BR, in cui si annunciava che il corpo di Moro giaceva nei fondali del lago Della Duchessa, è falso, questo ancor prima che gli inquirenti smentissero l’occultamento del cadavere in questa luogo.
Titta e i suoi uomini sono in grado di contribuire alla liberazione di Moro, ma un “ordine superiore” decide di lasciare le cose al loro destino, scrivendo la sentenza di condanna del prezioso prigioniero.
Nonostante la volontà di lasciare a se stesso il prigioniero, il cappellano dell’Anello, padre Enrico Zucca, entra in contatto con alcuni brigatisti, avviando una trattativa per la liberazione di Moro in cambio di un consistente riscatto. Anche in questo caso la trattativa è interrotta.
Una mia ipotesi, seppur non suffragata da nessun riscontro (per questo la indico come ipotesi!). Alla “politica” non interessava riportare a casa vivo Moro, anzi la sua morte sarebbe stato un beneficio per lo status quo, ma si adoperò affinchè i brigatisti non divulgassero le rivelazioni dello statista. Quindi un riscatto fu sicuramente pagato, ma per ottenere il memoriale di Moro, che poi fu accuratamente “bonificato” e fatto ritrovare, nella sua seconda parte nel covo di via Montenevoso nel 1990. Volendo essere ancor più maliziosi, il riscatto è pagato sia per la liberazione di Moro sia per i memoriali, poi una “manina” uccide lo statista liberato e depura i memoriali. Se si intrecciano i referti dell’autopsia sul cadavere di Moro e sulla Renault in cui fu ritrovato, la misteriosa storia dei memoriali con le su morti annesse e connesse e la storia dell’Anello, compreso ‒ come riferisce Stefania Limiti nel suo L’Anello della Repubblica ‒ una riunione svoltasi pochi mesi prima del rapimento di Moro a Bari tra Titta e importanti funzionari dell’amministrazione statunitense e italiana per discutere di Aldo Moro, considerato non affidabile e pericoloso per la stabilità degli interessi atlantici, non è difficile azzardare questa seconda congettura.
Se a Moro non è concessa alcuna trattativa, scegliendo la “linea dura”, per un altro politico democristiano rapito sempre dalla Brigate Rosse, è permesso un mercanteggiamento, optando questa volta per una “linea morbida”. Il prezioso politico è Ciro Cirillo, assessore democristiano alla Regione Campania, sequestrato il 27 aprile 1981 dalle BR di Giovanni Senzani (Senzani è un altro personaggio ambiguo nella storia d’Italia: capo sanguinario delle BR e anche consulente del ministero di Grazia e Giustizia, nonché frequentatore della enigmatica scuola di lingue Hyperion, probabile centro di spionaggio e controspionaggio internazionale e possibile strumento per operazioni comuni contro i nemici di Yalta). La trattativa è condotta dall’Anello, nella persona di Adalberto Titta, che tratta direttamente l’affare nel carcere di Ascoli Piceno nientemeno che con Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata. A differenza di Aldo Moro, Ciro Cirillo non deve morire, ma una volta liberato dalla “prigione del popolo” il suo partito gli chiede di farsi da parte e di ritirarsi dalla politica, cosa che egli fa. Nel frattempo le cassette degli interrogatori di Cirillo su alcune malefatte della Democrazia Cristiana in Campania spariscono.
A oggi, questa è la storia conosciuta dell’entità Anello, l’impresa per i lavori sporchi della Repubblica, la struttura segreta in grado di orientare per cinquant’anni la storia d’Italia, intervenendo negli intrichi della vita politica ed economica del Paese. Purtroppo non si dispone di ulteriori informazioni per ricostruire le reali attività di questa entità. Peccato, perché capire cosa realmente ha fatto, oltre ai fatti noti, consentirebbe di trovare l’“anello”mancante per ricostruire autenticamente le vicende italiane durante la Guerra fredda… sempre che il Noto Servizio sia davvero l’ultimo misterioso “anello” della Prima Repubblica.
Per saperne di più
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Beltrametti E., La terza Guerra mondiale è già iniziata. Atti del Convegno Istituto Pollio per gli Affari Strategici, G. Volpe, Roma, 1965.
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Di Giovacchino Rita, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi, 2005.
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Forlani A., La zona franca: Così è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro, Castelvecchi, Roma 2014.
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Pacini G., Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio affari riservati del Viminale, 1919-1984, Nutrimenti, Roma 2010.
Satta V., I nemici della Repubblica: Storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano 2016.
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