LA BATTAGLIA PER BASSORA: LO STALLO NELLA GUERRA MODERNA

di Giuliano Da Frè -

 

Nel 1981, a un anno dall’attacco dell’Iraq di Saddam ai danni dell’Iran, la Repubblica islamica guidata dagli Ayatollah cominciò a rispondere colpo su colpo. E la battaglia per Bassora diventò il simbolo di una sanguinosa impasse bellica.

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Guerra Iran-Iraq 1980-1988

Negli ultimi mesi abbiamo assistito al crearsi di una situazione di stallo, lungo il fronte terrestre russo-ucraino. Mentre in aria e in mare l’impiego di nuove armi, adattate a tattiche più tradizionali, fornisce spunti di riflessione e movimenta l’andamento del conflitto, a terra si assiste a un sempre più logorante intreccio tra tattiche non così dissimili da quelle impiegate nella Prima guerra mondiale (con un massiccio ricorso a poderosi sistemi trincerati coperti da profondi campi minati, su più linee), e azioni che ricordano la Seconda, caratterizzate dall’impiego di formazioni corazzate e meccanizzate, artiglieria compresa; sebbene le armi impiegate siano quelle della mai combattuta Terza guerra mondiale. Situazioni ben diverse dalle rapide operazioni cui si è assistito dopo il 1945, soprattutto sui fronti arabo-israeliani e tra India e Pakistan, dove l’impiego di reparti meccanizzati e corazzati fu altrettanto massiccio. Ma uno stallo non nuovo, guardando al recente passato: perché se osserviamo una mappa del fronte russo-ucraino dell’ultimo anno, e la confrontiamo con quelle della guerra Iran-Iraq combattuta tra 1980 e 1988, in uno scenario tecnologico e operativo simile, notiamo non pochi punti di contatto.

L’equilibrio delle incompetenze

Alla fine del 1986 era appena iniziato il settimo anno di guerra tra Iran e Iraq. Il conflitto, scoppiato con l’attacco lanciato dagli iracheni in Khuzestan il 22 settembre 1980, dopo settimane di crescenti incidenti di frontiera, aveva già provocato quasi un milione di vittime; ma a dispetto di questo bagno di sangue, l’attenzione del mondo, dopo le prime settimane di interesse per la blitzkrieg scatenata da Saddam Hussein contro la neonata Repubblica Islamica iraniana, era ben presto diminuita.
Nel novembre 1980 l’offensiva irachena aveva raggiunto il suo apice, con la presa di Khorramshahr e il blocco di Abadan, i due principali centri politico-economici del Khuzestan, la ricca regione petrolifera del sud dell’Iran su cui il Rais di Bagdad aveva messo gli occhi.
Spalleggiato dalle potenze occidentali (Stati Uniti in testa), ma anche da Mosca, col comune timore per l’esplodere dell’influenza della rivoluzione integralista islamica scatenata dall’Ayatollah Khomeini nel 1979, già costata il trono allo scià Reza Pahlavi, e convinto che gli abitanti arabi del Khuzestan intendessero staccarsi da un paese a maggioranza persiana, Saddam aveva fatto marciare le sue divisioni corazzate, equipaggiate ed addestrate dall’URSS, con la speranza di una facile vittoria.
L’Iran, infatti, un anno e mezzo dopo la rivolta anti monarchica, appariva debole e diviso, sull’orlo della guerra civile. Le sue forze armate, che il detronizzato imperatore aveva potenziato col supporto americano ed europeo per fronteggiare financo un’invasione sovietica, erano state messe in ginocchio dalle purghe rivoluzionarie, che avevano decimato gli esperti quadri e gli specialisti invisi al nuovo regime, perché addestrati dagli americani; e anche dalla mancanza di pezzi di ricambio per i sofisticati mezzi da combattimento acquistati negli anni ’60 e ’70, conseguenti all’embargo posto da Washington dopo la crisi degli ostaggi catturati nella propria ambasciata a Teheran (4 novembre 1979) [1].
Approfittando di queste debolezze, e denunciando gli ultimi incidenti di frontiera provocati dagli iraniani (che in effetti, il 4 settembre 1980 avevano pesantemente bombardato con l’artiglieria alcune cittadine confinarie, e da mesi lavoravano alla sovversione della regione sciita meridionale dell’Iraq), Saddam inviò truppe a protezione dei confini, e il 17 settembre stracciò il trattato di Algeri, col quale nel 1975 era stato risolto a favore dell’Iran un contenzioso (costellato di scontri armati) relativo al controllo dello Shatt el-Arab, la grande via d’acqua in cui confluiscono, poco prima di sfociare nel Golfo Persico, Tigri ed Eufrate, e che segnava il confine tra i due paesi rivali.
L’obiettivo del Rais di Bagdad era quello di riprendere il controllo della sponda orientale dello Shatt el-Arab, assicurandosi un più sicuro sbocco al mare, e di conquistare il Khuzestan ricco di petrolio, convinto che la locale popolazione araba sarebbe stata ben felice di scrollarsi di dosso il doppio giogo persiano e fondamentalista.
La rivolta non ci fu, e sin dall’inizio le truppe irachene, che avevano puntato su una rapida vittoria, segnarono il passo. L’esperienza in operazioni su larga scala era scarsa, e poco entusiasmante: la repressione delle rivolte curde negli anni ’60 e ’70 era stata un successo solo parziale (l’insurrezione stava anzi riprendendo corpo col supporto iraniano dal 1979), e la partecipazione alle guerre arabo-israeliane del 1967 e 1973 frustrante [2]. La relativa supremazia dell’Aeronautica iraniana sul campo di battaglia, pur resa precaria dalla citata mancanza di pezzi di ricambio, avrebbe ulteriormente complicato le scelte operative irachene.
Sulla carta, l’Iraq poteva contare su 200.000 effettivi in servizio, 256.000 riservisti in parte mobilitati, e 80.000 paramilitari, che alimentavano 12 divisioni e 6 brigate corazzate, meccanizzate o motorizzate, e un gran numero di moderni equipaggiamenti: carri T-54/55 e T-62, cui nel 1980 si erano aggiunti i primi 100 T-72 ultimo modello (in addestramento e assegnati alla 10ª Brigata carri), BMP-1 da combattimento per i fanti corazzati e BTR-50/60 portatruppe, e gli elicotteri d’attacco Mi-25 “Hind”, veri “carri armati” volanti ceduti da Mosca. L’Aeronautica, dopo aver attinto dagli arsenali sovietici cacciabombardieri MiG-23 e “Fitter” di vari modelli, e intercettori MiG-21 e MiG-25, nel 1977 si era rivolta all’industria francese, acquisendo i sofisticati caccia F-1 “Mirage”.
Una massa di mezzi (2.600 carri, migliaia di blindati e VCC, 1.000 cannoni e 332 aerei) e uomini, che fu inquadrata in tre corpi d’armata. Il più debole I Corpo fu distaccato a Nord, col compito di controllare i curdi, di nuovo in fermento, e difendere la frontiera settentrionale con 4 divisioni, per lo più di fanteria motorizzata.
Al centro, il più robusto II Corpo (con una mezza dozzina di divisioni pesanti) doveva non solo difendere Bagdad, ma anche passare all’attacco con un triplice obiettivo: distrarre le riserve iraniane, conquistare territorio da utilizzare come merce di scambio al tavolo dei negoziati, coprire con le sue due divisioni corazzate il fianco sinistro della linea di avanzata del III Corpo, destinato a invadere il Khuzestan. Questa grande unità era forte di una decina tra divisioni e brigate autonome corazzate e meccanizzate, e della maggior parte dei reparti scelti di commandos dell’Esercito iracheno.
Nei primi giorni di guerra, le punte offensive irachene avanzarono con relativa rapidità; una media di 10 km al giorno in vari settori di un fronte che si estendeva per circa 400 chilometri, nonostante fossero subito sorte difficoltà impreviste. L’apparato militare iraniano era infatti certamente stato indebolito dalla grave crisi interna del paese: ma la brutale invasione rinsaldò ben presto la volontà di resistenza della popolazione, e nemmeno la maggioranza araba del Khuzestan insorse come sperato da Saddam. Il presidente iraniano Abolhassan Banisadr, il leader laico alla testa della Repubblica Islamica dal 1980 al 1981, convinse gli Ayatollah a firmare subito gli ordini di scarcerazione e di reintegro per piloti e quadri intermedi emarginati dal nuovo regime. Inoltre, se la iniziale dispersione delle forze iraniane aveva favorito la rapida penetrazione irachena, le aveva anche salvate dalla distruzione, mettendole in grado di ritirarsi dietro linee difendibili, o di asserragliarsi nelle principali città con unità di fanteria leggera e milizie volontarie. Dopo le vittorie iniziali, gli iracheni, martellati con crescente efficacia dalla scatenata aviazione iraniana (condotta da molti ufficiali e piloti rilasciati dalle carceri in quei giorni, che abbatterono una ventina di velivoli avversari, subendo poche perdite), segnarono il passo proprio attorno alle due città-chiave del Khuzestan: Abadan e Khorramshar.
Abadan, saldamente tenuta dai Pasdaran, non cadrà mai nelle mani dei generali di Saddam, limitatisi a circondarla e a devastarla coi bombardamenti. Khorramshar cadde invece il 3 novembre 1980, segnando il maggior successo iracheno della guerra, almeno sino alle offensive finali del 1988. I difensori erano però riusciti a logorare gli attaccanti: solo a Khorramshar, gli iracheni persero 6.000 uomini scelti e centinaia di mezzi corazzati, anche se i contrattacchi lanciati dalle truppe degli Ayatollah ne decimarono le fila.
Una delle maggiori controffensive iraniane di alleggerimento, nel settore di Dezful, a nord-est dello schwerpunkt iracheno, portò, nei primi giorni del gennaio 1981, alla più grande battaglia di carri armati della guerra, con circa 700 tank e centinaia di cingolati corazzati complessivamente impiegati. Per gli iraniani, equipaggiati con ottimi carri occidentali (M-60 e “Chieftain”, appoggiati da elicotteri d’attacco “Cobra”), ma condotti da comandanti impreparati, promossi dal nuovo regime[3], fu un disastro, intrappolati in una tenaglia dai meglio diretti reparti iracheni. Alla fine della battaglia, non dissimile da quella vinta a Kursk nel 1943 dai sovietici (che da anni indottrinavano gli ufficiali iracheni), oltre 350 tra tank e cingolati iraniani restavano sul campo, in fiamme o danneggiati e catturati.
Nei combattimenti, svoltisi su una scala molto vasta, con pochi precedenti (Corea, guerre arabo-israeliane e indo-pakistane) dopo il 1945, entrambe le parti, per ragioni diverse, dimostrarono i propri limiti operativi: gli iraniani a causa delle purghe tra i comandanti superiori; ma anche tra gli iracheni emerse un inadeguato livello di addestramento, soprattutto nell’affrontare i combattimenti urbani, o nel pianificare l’appoggio aereo alle operazioni terrestri.
Molti osservatori finiranno cosi per parlare di un “equilibrio di incompetenza” tra le due parti in lotta: ma la guerra guerreggiata è una palestra tanto spietata quanto efficace.

Obiettivo: Bassora

2-battaglia-di-bassora-1987Il 26 settembre 1981, a un anno esatto da quando Saddam aveva lanciato il suo ottimistico attacco all’Iran, gli Ayatollah strapparono definitivamente l’iniziativa dalle mani dei generali dell’ambizioso e spietato Rais. Con un’offensiva ben pianificata fu lanciata l’operazione “Thamin al-Aimma”, che liberò Abadan dopo 72 ore di furiosi combattimenti, ricacciando gli iracheni sul fiume Karun. Una vittoria pagata però a caro prezzo, poiché le perdite in uomini e materiale si equivalevano. Sul piano tattico infatti il poco adeguato alto comando iraniano iniziava a riproporre uno schema fisso: avanzata sotto il fuoco e tra i campi minati iracheni di migliaia di Pasdaran e Basji pronti al martirio, seguiti dalle puntate delle unità regolari che ne appoggiavano l’attacco con artiglieria, e un appoggio aereo reso sempre più precario dalla mancanza di parti di ricambio per i sofisticati jet “made in USA” colpiti dall’embargo.
Il disastro di Abadan sembrò tuttavia travolgere Saddam: nonostante la martellante propaganda del regime, le reclute iniziavano a disertare, mentre i generali tramavano (ma solo per finire al muro), e anche i quadri del partito e i dirigenti statali cominciavano a chiedersi dove sarebbe finito il sogno di modernizzare il paese; e gli iraniani non mollavano la presa. Verso la fine di novembre, poco prima dell’inizio della stagione delle piogge che rendono impraticabile l’area acquitrinosa lungo lo Shatt el-Arab, Teheran decise di lanciare una serie di offensive nelle regioni centro-meridionali, in corrispondenza del settore di giunzione tra l’ormai logorato II Corpo, e l’ancora formidabile III Corpo, per eliminare il saliente creato dall’attacco iracheno del 1980.
Tra il novembre 1981 e il gennaio 1982 gli iraniani inflissero al II Corpo una serie di batoste, a Susangerd e Qasr-e-Shirin; ma pur riconquistando la posizione-chiave di Bostan già a fine novembre, le truppe di Khomeini [4] erano incappate in una solida difesa a maglie strette, con postazioni d’artiglieria ben posizionate e profondi campi minati. Difesa contro cui le ondate d’assalto dei “martiri” (molti dei quali adolescenti) finirono per essere fatte letteralmente a pezzi.
Tuttavia la pressione iraniana non diminuì, e anche la sua pur malridotta aviazione infliggeva agli iracheni dure perdite, colpendo con raid di F-4 “Phantom” (armati anche con missili aria/terra AGM-65 “Maverick”) obiettivi strategici posti sino a 800 chilometri all’interno del confine.
Col ritorno della buona stagione (febbraio 1982), l’Alto Comando iraniano tornò a puntare i binocoli in direzione sud, con l’obiettivo di ripulire la sponda orientale dello Shatt el-Arab, e di occupare Bassora: un bersaglio ambizioso, ma correttamente individuato come la principale base logistica per le forze irachene, nonché prezioso sbocco al mare per l’Iraq.
Sul piano tattico-operativo, tuttavia, gli iraniani risultavano impreparati a realizzare un’offensiva di così vasta portata in maniera professionale e coordinata. Le purghe del 1979-1980 avevano eliminato decine di generali e di ufficiali superiori, fucilati o costretti all’esilio, e le gravi perdite subite nel primo anno di guerra avevano completato l’opera. Le grandi unità erano così ora sotto il controllo di colonnelli giovani e inesperti, e per quanto valorosi spesso raccomandati solo dalla loro fedeltà assoluta al nuovo regime. La stessa riorganizzazione dello Stato Maggiore era stata affidata nel 1979 a un colonnello di appena 35 anni, Ali Sayad Shirazi, che non aveva esitato a decapitare gli esperti vertici nominati dallo Scià. Sarà il colonnello Shirazi a pianificare l’ininterrotta serie di “spallate” contro le linee di difesa irachene sino al 1986: quando, promosso generale, sarà trasferito al Consiglio Supremo di Difesa, dopo violenti contrasti col comando dei Pasdaran [5].
Le prime offensive nel settore centrale erano andate – relativamente – bene, nonostante le gravi perdite subite; Shirazi decise allora di ripeterne lo schema anche sullo Shatt el-Arab.
Il 22 marzo 1982 scattava così un nuovo attacco nel settore di Bostan, seguito due mesi dopo da un’analoga operazione a Dezful. Queste nuove offensive a nord di Bassora, erano però diversioni destinate a coprire e appoggiare il vero colpo di maglio, che cadde a metà maggio, mentre l’attenzione dei generali iracheni era concentrata su Dezful. L’obiettivo era Khorramshar, la città caduta in mano irachena 18 mesi prima, e che il 24 maggio 1982 fu ripresa dagli iraniani, dopo un mese di cruente battaglie.
Un colpo duro, poiché a Saddam restavano in mano solo le briciole di quanto conquistato con tante difficoltà nel 1980, tanto da costringerlo a tentare la via diplomatica. Il 13 luglio 1982 tuttavia scattava una nuova offensiva iraniana, l’operazione “Ramadan”, con la quale gli Ayatollah puntavano direttamente a Bassora. Con un pesante supporto di artiglieria e aviazione, nuove ondate umane si scagliarono nella più violenta battaglia mai combattuta dopo il 1945. Gli iracheni però, ora al comando di uno dei migliori generali di Saddam, Mahir Abd al-Rashid (posto alla testa del III Corpo, e più tardi dello Stato Maggiore) si erano fortemente trincerati, e accolsero gli attaccanti con campi minati, sbarramenti d’artiglieria e contrattacchi corazzati. Il primo attacco contro Bassora fu sventato, ma era costato quasi 20.000 morti, per due terzi iraniani.
Nel successivo anno e mezzo, Iraq e Iran si organizzarono per combattere una guerra d’attrito: Bagdad potenziò il proprio arsenale e si affidò alle tecniche difensive derivate dal modello sovietico, addestrando inoltre le proprie truppe a operare coi gas, usati con frequenza sempre maggiore. Teheran invece proseguì gli attacchi diretti a eliminare le sacche irachene sul proprio territorio, e a colpire i gangli vitali del nemico.
Il 6 febbraio 1983, 200.000 tra regolari e Pasdaran scattarono all’offensiva su un fronte di 40 km presso Al Amarah, 200 chilometri a sudest di Bagdad. Sei divisioni irachene con pesante supporto aereo (che compì in poche ore 200 sortite aria-terra) e d’artiglieria stroncarono l’attacco sul nascere, e migliaia di iraniani furono falciati in poche ore, mentre l’intera battaglia in una settimana provocò 20.000 tra morti e feriti. In aprile Shirazi mandò allo sbaraglio i suoi uomini nello stesso settore, con esito altrettanto infausto, mentre maggior successo ebbero due attacchi lanciati durante l’estate 1983, occupando a Nord la piazzaforte irachena di Haji Urnran, e sul fronte centrale avanzando su Mehran, presa dagli iracheni nel 1981. A novembre cadeva in mano iraniana anche Panjiwin, sempre nel settore curdo. I costi umani restavano però altissimi, e alla fine del 1983 si contavano oramai 180.000 caduti, per due terzi iraniani.
Nel febbraio 1984 Shirazi tornò a puntare su Bassora, lanciando 2 nuove offensive, durate 5 settimane, con ben mezzo milione di uomini impegnati contro il III e il IV Corpo di Saddam. L’attacco si concluse il 20 marzo con la conquista delle strategiche isole Majnoun (ricche di pozzi petroliferi), ma al terribile prezzo di 25.000 morti, almeno 3.000 dei quali causati dall’iprite impiegata dagli iracheni. Inoltre l’offensiva si impantanò ancora una volta contro le difese di Bassora, nel settore di al-Qurnah, alla confluenza tra Tigri ed Eufrate, dove tra Hawizah e il Lago dei Pesci si forma una palude acquitrinosa: qui i Pasdaran e la fanteria leggera riuscivano a muoversi, ma senza il supporto delle unità regolari, come la poderosa e ormai esperta 92ª Divisione corazzata.
Gli anni 1984 e 1985 videro anche esplodere le cosiddette guerre “delle petroliere” (che riaccese l’attenzione internazionale sul conflitto) e “delle città”, quando Iran e Iraq iniziarono a bombardare le rispettive metropoli con missili balistici a corto raggio, come gli “Scud”.
Nel marzo 1985 il comando iraniano lanciò un nuovo attacco contro Bassora, con 7 divisioni e 100.000 uomini scagliati sempre nel settore di al-Qurnah. Ma l’operazione “Badr” stavolta si chiuse dopo pochi giorni, e con un disastro iraniano. Le prime linee irachene, tenute da reparti di seconda scelta di fatto sacrificati dai generali iracheni come esche, sembrarono essere state facilmente sfondate al centro, dove gli attaccanti giunsero ad aggrapparsi alla strategica autostrada Bassora-Bagdad. Sui fianchi tuttavia passarono al contrattacco le unità scelte dei corpi III e IV, rigettando in frantumi gli attaccanti, che tra morti, feriti e prigionieri persero un terzo della loro forza.
La vittoria irachena avrebbe congelato il fronte di Bassora per quasi un anno, mentre negli altri scacchieri le operazioni erano ormai calamitate da quanto avveniva a sud.
Qui, il 10 febbraio 1986 gli iraniani, impiegando stavolta una forza d’attacco incentrata su 30.000 regolari bene addestrati, poi spalleggiati da altri 100.000 uomini, lanciarono un’improvvisa offensiva anfibia (“Val Fajir-8”) attraverso lo Shatt el-Arab, aggirando da sud Bassora e occupando dopo una battaglia di due giorni Al-Faw, uno dei due porti marittimi dell’Iraq, infliggendo gravi perdite ai sorpresi iracheni, che per sventare una ulteriore avanzata su Urnm Qasr, ultimo sbocco al mare dell’Iraq, per la prima volta furono costretti a impiegare la Guardia Repubblicana. Creata da Saddam come brigata dedicata alla propria protezione, e composta da fedelissimi arruolati nella sua città natale di Tikrit, con l’evolversi della guerra era stata trasformata in corpo combattente d’élite, integrando esperti veterani e giovani studenti volontari sostenitori del regime. Le prime unità, a livello di brigata, erano più potenti di quelle standard, con un maggior numero di armi di squadra e i mezzi più sofisticati disponibili, come i carri T-72, e con un organico di 60 contro i 44 tradizionalmente formanti un reggimento, e potenti VCC tipo BMP-2.
Alla fine della guerra la Guardia sarebbe stata composta da ben 25 brigate, inquadrate in 8 divisioni, due delle quali corazzate: la 5ª divisione, denominata “Al Faw” per essersi distinta nelle operazioni nell’omonima penisola, comprendeva 4 brigate invece delle 3 regolamentari.
Sempre la Guardia Repubblicana, una volta assicurata la difesa di Urnm Qasr, lanciò un attacco contro Meheran (la prima massiccia offensiva irachena da 5 anni a quella parte), rioccupata dal maggio al luglio 1986.
Si trattava solo di una diversione in forze: Saddam stava infatti provvedendo a rendere inaccessibili le difese di Bassora, fortificandole con postazioni blindate di artiglieria, campi minati, terrapieni e, fossati anticarro, e completando un lago artificiale di 30 km di lunghezza e 1.800 metri di larghezza, in vista di una nuova, risolutiva offensiva iraniana contro la città. Il Rais aveva compreso che la prossima offensiva contro Bassora sarebbe stata la “madre di tutte le battaglie”.

La … “madre di tutti gli stalli”

Offensiva a Kerbala, gennaio-febbraio 1987

Offensiva a Kerbala, gennaio-febbraio 1987

I successi ottenuti all’inizio del 1986 avevano paradossalmente creato nuovi problemi nell’Alto Comando iraniano. Una furiosa diatriba era scoppiata infatti tra il comandante delle Guardie Rivoluzionarie Mohsen Rezai, e il generale Shirazi, con tanto di “regolamenti di conti” anche armati. Alla fine, come già accennato Shirazi fu trasferito al Consiglio Supremo di Difesa, dove contribuì al potenziamento delle forze armate iraniane, che passava attraverso due canali: il primo vedeva l’acquisto di materiali, scadenti ma economici e di facile gestione, in Cina e Corea del Nord.
Il secondo, segreto sino a quando proprio nel novembre 1986 a Washington non scoppiò lo scandalo “Irangate” (o “Iran-Contras”), che vedeva gli Stati Uniti aggirare il proprio stesso embargo contro Teheran, per fornirle missili e parti di ricambio, anche attraverso Israele, col triplice obbiettivo di favorire la liberazione di ostaggi americani in Libano, ottenere risorse economiche da destinare ai guerriglieri anticomunisti in Nicaragua, e tentare un approccio con l’ala moderata del regime iraniano.
Sul campo, a fine dicembre gli iraniani avevano nel frattempo lanciato un primo attacco (“Kerbala-4”), molto violento ma solo preparatorio a quello decisivo, occupando una testa di ponte a Duayji, pagata però con ingenti perdite.
La vera offensiva, denominata “Kerbala-5” [6] scattò all’alba del 9 gennaio 1987. L’obiettivo era superare l’ostacolo rappresentato dal Lago dei Pesci, il bacino artificiale trasformato in un invalicabile scudo a difesa di Bassora dagli abili genieri iracheni, e infrangerne le difese in questo punto cruciale. La sponda settentrionale del lago era tenuta da unità del IV Corpo, imperniate sulla poderosa e veterana 8ª divisione. La sponda sud si raccordava al tratto di Shatt el-Arab ancora in mano irachena con tre linee di difesa. La più esterna, dietro un canale artificiale, era difesa dall’11ª Divisione di frontiera, un’unità leggera trasferita dal Kurdistan, e da 4 brigate di fanteria, più una quinta destinata a coprire l’estremo fianco destro. Dietro la seconda linea era attestata una brigata della Guardia Repubblicana, con una seconda unità schierata sul fiume Jasim, che formava la terza linea, perpendicolare al lago e allo Shatt el-Arab, in cui sfociava.
Obbiettivo della prima ondata d’attacco iraniana, come al solito composta da Pasdaran e Basji spesso giovanissimi, sebbene meglio articolati su piccoli reparti d’assalto, era attraversare il Lago dei Pesci in direzione sud-est, in una zona tenuta da un battaglione di fanteria iracheno di copertura. Gli iraniani impiegarono piccoli mezzi anfibi e imbarcazioni di fortuna, sbarcando sulla sponda occidentale, nel pianoro antistante lo Shatt el-Arab, distante 12 km. Dalle posizioni sul fiume Jasim, che collegava bacino artificiale e Shatt el-Arab, partirono al contrattacco le 2 brigate della Guardia, che chiusero la progressione iraniana in un cul-de-sac di 500 metri di profondità per 5,5 km di larghezza.
I Pasdaran tentarono allora un colpo sul loro fianco sinistro, attaccando le posizioni dell’11ª Divisione nel punto di giunzione tra seconda e terza linea, e sfondandolo prima di esaurire la spinta offensiva. I difensori tennero comunque quanto bastava, affinché le brigate di riserva contrattaccassero ai fianchi gli iraniani. Nelle 48 ore successive arrivarono sul fronte le riserve della Guardia e la 5ª Divisione meccanizzata, una poderosa unità composta dalla 26ª Brigata carri, con quasi 200 T-54/55, e da 2 brigate di fanteria su blindati BTR-60, più una brigata d’artiglieria, al comando diretto dell’esperto generale al-Rashid, che andarono a rinforzare le linee davanti alla sponda dello Shatt elArab e sul fiume Jasim. Mantenendo l’8ª Divisione sul lato nord del lago, i generali di Saddam schierarono la divisione della Guardia davanti alla testa di ponte creata dagli iraniani sulla sponda sud all’inizio dell’attacco, supportandola con solide riserve. Lungo la linea dello Jasim, dalla confluenza del Lago dei Pesci sino alla foce nello Shatt el-Arab si schierarono, frammischiati tra loro, vari reparti delle divisioni 5ª, 8ª e 11ª.
Nel frattempo, attraverso il lago gli Iraniani continuavano ad alimentare la testa di ponte, e soprattutto il settore strappato al nemico tra la seconda e terza linea di difesa, anche se la retroguardia irachena contendeva al nemico metro per metro, in una serie di scontri protrattisi sino al 17 gennaio. Quel giorno i resti dell’11ª attraversarono lo Jasim, coperti dalle unità che vi si erano già attestate, lasciando agli iraniani il controllo della sponda sud del lago, sino allo Shatt el-Arab. Le forze di Teheran, sotto il continuo fuoco dell’artiglieria irachena, si dispiegarono sulla sinistra, nel vuoto, sbarcando anche sulle isolette antistanti, preparandosi a lanciare un ponte di barche per attraversare il corso d’acqua. Contemporaneamente, il fianco destro premeva sulla linea dello Jasim, senza però riuscire a sfondare. A questo punto gli iracheni spostarono una divisione di fanteria della riserva sull’isolotto nord, contrattaccando le unità iraniane che vi erano sbarcate per aggirare la linea dello Jasim, e ripulendo l’area dopo 48 ore di violenti combattimenti, spesso corpo a corpo.
Nella settimana successiva il fronte si stabilizzò, anche se proseguirono violenti i duelli d’artiglieria. Il 27 gennaio, quindi, gli iraniani, che avevano ammassato nuove truppe lungo lo Jasim, attaccarono nel settore tenuto dalla provata 11ª Divisione, presso la foce del fiume.
Avanzarono pochi metri, subendo perdite micidiali, bersagliati incessantemente ai fianchi. Il 28, constato lo stato di esaurimento del nemico, il generale al-Rashid, e il comandante del VII Corpo della Guardia, generale Hisham al-Fakhri, ordinarono un contrattacco generale facendo scendere in campo ingenti riserve ancora intatte: una divisione della Guardia, una di fanteria e la 5ª meccanizzata si scagliarono contro la testa di ponte sul Lago dei Pesci, annientandola, per poi contrattaccare anche sullo Jasim. Il 2 febbraio 1987 la battaglia poteva dirsi esaurita, anche se scaramucce e assestamenti del fronte sarebbero proseguiti per varie settimane.
L’offensiva “Kerbala-5” fu l’ultima grande battaglia per Bassora. Pur infliggendo agli iracheni gravi perdite (stimate in almeno 23.000 caduti e 2.000 prigionieri [7]), gli attacchi erano costati agli iraniani forse 140.000 tra morti e feriti, e la distruzione di notevoli quantitativi di materiale, compresi 200 mezzi corazzati. Le forniture cinesi di caccia F-6 e F-7 (copie spartane dei MiG-19 e MiG-21 sovietici) non potevano inoltre colmare le perdite subite in aerei di fabbricazione americana, molto più sofisticati.
All’inizio del 1988, la consueta mobilitazione popolare per arruolare i futuri “martiri” da spedire nel tritacarne di Bassora fu un insuccesso, benché gli Ayatollah avessero affidato al più moderato presidente del Parlamento Rasfanjani, futuro capo dello Stato dal 1989 al 1997, la guida del Comando Supremo. Si intensificò allora la “guerra delle città”, e tra fine febbraio e metà marzo missili “Scud” e raid aerei devastarono le città dei due Paesi in guerra.
L’Iran tentò un attacco più a nord, in Kurdistan, dove la rivolta secessionista stava creando molte difficoltà agli iracheni: il 13 marzo 1988 scattò un’offensiva contro la provincia di Sulaymaniyah, che Saddam stroncò senza pietà impiegando i gas tossici, che nella sola Halabja uccisero almeno 5.000 civili, scatenando l’orrore dei suoi stessi alleati.
Il Rais era soprattutto deciso a utilizzare quell’Esercito che dal 1985 era stato completamente rinnovato, e ora poggiava sulle 25 brigate scelte della Guardia Repubblicana. Queste ultime il 18 aprile si lanciarono all’attacco conquistando Al Faw, cancellando così in 48 ore una delle più spettacolari vittorie iraniane, e dimostrando che le armate di Teheran erano uscite spezzate dalle offensive del 1987.
Per contro, nella difesa di Bassora gli iracheni avevano dimostrato di aver raggiunto un solido livello professionale, confermato sia coi nuovi successi difensivi conseguiti nel respingere ulteriori offensive iraniane nei settori centrale e settentrionale, e poi di nuovo sullo Shatt el-Arab nell’aprile 1988; sia con le grandi vittorie dell’estate 1988, destinate a far accettare il “cessate-il-fuoco” a un riluttante Khomeini, che senza mezzi termini affermerà: “E’ come bere una coppa avvelenata”. A servire al vecchio e malato Ayatollah (che non sarebbe sopravvissuto neanche un anno all’umiliazione) questa pozione, era stata proprio quell’ultima, grande battaglia combattuta per Bassora, nel gennaio del 1987.

 

Note

[1] I paesi europei furono più flessibili, e completarono le forniture contemplate dai contratti in corso, comprendenti unità lanciamissili francesi, elicotteri italiani e mezzi corazzati inglesi, sebbene venissero cancellati i programmi non ancora avviati.
[2] In quest’ultima occasione una divisione corazzata irachena era stata annientata dai pur scossi israeliani, decimati nei primi giorni della guerra del Kippur.
[3] Molti di loro morirono in un mai chiarito disastro aereo, 9 mesi dopo la battaglia.
[4] Banisadr era stato destituito il 22 giugno 1981, e costretto all’esilio: è morto a Parigi nel 2021.
[5] Gli iraniani non dimenticarono che Shirazi aveva mandato a morire decine di migliaia di giovani privi di addestramento e male armati: nel 1999 un commando lo ucciderà davanti a casa sua, e l’opposizione al regime farà riferimento al suo ruolo nelle sanguinose offensive contro Bassora.
[6] Queste “spallate” ricordano molto le “battaglie dell’Isonzo” lanciate, con successo alterno ma perdite sempre pesanti (soprattutto rispetto ai risultati), dal generale Cadorna tra 1915 e 1917.
[7] Tutte le cifre sono però controverse e solo stimabili.