LA BANALITÀ DEL BENE: EICHMANN PRIMA E DOPO GERUSALEMME

di Renzo Paternoster –

 

Lo sterminio di milioni di persone non avviene perché i capi hanno deciso così, ma si realizza perché anche i sottoposti lo vogliono. In Eichmann c’era una valutazione morale del Bene, anziché una vera e propria legittimità del male. Il carnefice che uccide, tortura, violenta, deporta nei campi, non si pone il problema della giustificazione del male che elargisce, perché nella sua folle visione del mondo questo è un Bene.

Nel mio saggio La politica del male del 2019, ho trattato del Bene e del male in politica e, collegandomi alla vicenda di Otto Adolf Eichmann, il funzionario nazista responsabile operativo dello sterminio degli ebrei, dei rom e dei sinti del III Reich, ho preferito l’espressione “banalità del Bene” a quella elaborata da Hannah Arendt di “banalità del male”. Due appunti prima di proseguire: per l’alto valore che ha il Bene, ho preferito scriverlo con l’iniziale maiuscola, rispetto al disvalore del male, che scrivo in minuscolo; trascriverò le parti originali del testo del mio libro in corsivo, evitando di citarlo più volte.

adolf-eichmann-in-divisaIl “male” non è solo malessere fisico e/o un disagio materiale, ma è una disposizione negativa in campo etico/morale. L’etimologia del termine, infatti, è da ricondursi all’aggettivo malus, ossia cattivo e, nel senso più esteso, nocivo o dannoso, comportamento tenuto in modo non retto. Per la psicologia sociale, infatti, il male è considerato come un’intenzione di provocare ad altri danni considerati moralmente ingiusti da quest’ultimi.
Il contrario di “male” è “Bene”. L’etimo di “Bene” è, benus, rimandando a qualcosa di buono, e che qualcuno ricongiunge al termine “beare”, ossia render felice.
Se il Bene è un concetto positivo, il male è dunque un concetto privativo, entrambi racchiudono i valori e le norme dell’agire. Il male dipendente dall’azione umana si realizza quando la volontà di chi lo compie e di chi lo riceve sono in antitesi: il carnefice compie azioni che la vittima non avrebbe voluto che si compissero.
In un’accezione amplia, il male è una condotta che ostacola, impedisce, intralcia la libera manifestazione dell’“Essere”, una prepotenza che si attua attraverso comportamenti che procurano sofferenza fisica e/o intellettuale volta a dominare, sottomettere, ostacolare e/o annullare, fisicamente e/o intellettualmente, un individuo o un gruppo umano, compromettendo irrimediabilmente le loro libertà e le loro identità.

La carta d'identità argentina di Eichmann

La carta d’identità argentina di Eichmann

Il nazismo, assieme agli altri totalitarismi, sono la realtà di un male che si è concretizzato attraverso la trasformazione della politica in biopolitica, dove il corpo dell’indi¬viduo è diventato la posta in gioco delle strategie ideologiche. Il Vernichtungslager nazista più di tutti rappresenta nella storia dell’Umanità il male assoluto, un male radicale di una biopolitica che si è fatta totale, decidendo chi può vivere e chi deve morire.
La vicenda di Otto Adolf Eichmann, l’architetto dello sterminio in massa di ebrei, rom e sinti, che, dopo una cattura illegale e un processo tenutosi a Gerusalemme, è impiccato a Ramla (Israele) il 31 maggio 1962, in quanto riconosciuto da una corte israeliana colpevole di quindici imputazioni, tra cui quelle di crimini contro l’Umanità e crimini di guerra, è esemplare.
La linea difensiva fu impostata nel dipingere l’imputato Eichmann quale impotente burocrate, un semplice esecutore di ordini inappellabili, negando quindi ogni sua diretta responsabilità nello sterminio di ebrei, rom e sinti. Per questo Hannah Arendt nel 1963, in Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, descrisse Eichmann come l’incarnazione della “banalità del male”, per riferirsi all’incapacità del pensiero razionale del gerarca nazista che, in un’ottica di obbedienza acritica, seguiva le leggi e i comandi incondizionatamente, ritenendoli giusti. Tuttavia uno sterminio di milioni di persone non avviene perché i capi hanno deciso, ma si realizza perché anche i sottoposti lo vogliono. In pratica, anticipando le conclusioni di questo mio saggio breve, in Eichmann (ma questo vale per tutti i nazisti, come anche per qualsiasi carnefice), c’era una valutazione morale del Bene, anziché una vera e propria legittimità del male. Il carnefice che uccide, tortura, violenta, deporta nei campi, non si pone il problema della giustificazione del male che elargisce, perché nella sua folle visione del mondo questo è un Bene (per la sua Nazione, per il suo partito, per la sua ideologia e così via).

La tessera di riconoscimento aziendale, in Argentina

La tessera di riconoscimento aziendale

A distanza di quasi cinquant’anni Bettina Stangneth ha dimostrato che Eichmann non è mai stato “incapace di pensare”, che non era imbevuto di rispetto verso i suoi superiori, ma che quella del gerarca nazista fu solo una strategia difensiva che scaricava su altri le responsabilità dello sterminio di milioni di esseri umani. Stangneth, che è una filosofa e storica tedesca, consultando molto materiale, tra cui oltre milletrecento pagine di memorie manoscritte, nonché le trascrizioni di venticinque ore di registrazione di interviste rilasciate da Eichmann al giornalista olandese Willem Sassen, ex nazista trasferitosi in Argentina, è arrivata alla conclusione che il gerarca nazista non era stato “incapace di pensare”, che non era un semplice subordinato, ma che il suo apporto allo sterminio di milioni di ebrei fu determinante. Non solo Eichmann, assieme al generale Reinhard Heydrich, organizzò nel 1942 la conferenza di Wannsee, dove fu pianificata la “Soluzione finale” del popolo ebraico, ma i suoi comportamenti prima e dopo il processo di Gerusalemme fanno credere che in lui mai è venuto meno il disprezzo razziale verso gli ebrei, i rom e i sinti.

Il passaporto a nome Klement

Il passaporto a nome Klement

Dopo la fine della guerra e la disfatta del III Reich, Eichmann riesce a far perdere le proprie tracce e rimanere nascosto cinque anni nelle campagne tedesche. Dapprima ad Altensalzkoth, un villaggio nella brughiera di Lüneburg nella Bassa Sassonia, dove lavora come guardia forestale sotto il falso nome di Otto Heninger. Riesce poi a prendere un piccolo appezzamento di terreno dedicandosi all’allevamento di polli. Sentitosi braccato decide di fuggire in Sudamerica. Così, con l’aiuto del parroco di Sterzing, nel 1948 Eichmann trova rifugio in un convento di Bolzano. Grazie a Alois Pompanin, vicario di Bressanone, Eichmann/Heninger riesce ad avere un documento di identità falso intestato a Riccardo Klement, nato a Termeno il 23 maggio 1913, senza nazionalità vista l’invasione tedesca dell’Alto Adige, di professione impiegato tecnico e allo stato civile celibe. Il 15 giugno del 1950 presentando un certificato di buona condotta firmato dal francescano Edoardo Dömöter, sacerdote che collaborava con il vescovo Alois Hudal, personalità importante della “Ratline”, ottiene un passaporto. Come ex prigioniero di guerra e profugo riesce ad ottenere un foglio di viaggio rilasciato dal Comitato Internazionale delle Croce Rossa di Genova. Dal porto di questa città, il 17 giugno si imbarca sulla nave Giovanna C per l’Argentina di Juan Domingo Peron. Il 14 luglio sbarca in terra argentina e, grazie all’organizzazione, si sistema in una dignitosa abitazione nel quartiere Florida di Buenos Aires. Ad agosto avanza richiesta di documenti personali argentini e li ottiene con il nome di Ricardo Klement.
Da Buenos Aires si dirige nella provincia di Tucuman, ai piedi delle Ande, accolto dalla comunità degli esuli nazisti, lavorando per un’impresa tedesco-argentina impegnata nella costruzione di una centrale idroelettrica. In un primo tempo Eichmann vive nel sud della provincia, a La Cocha e il suo lavoro gli permette di viaggiare all’interno dei confini argentini. Dopo due anni si ricongiunge con sua moglie e i suoi tre figli (in Argentina nasce poi il suo quartogenito). Nel giugno del 1953 si trasferisce con la famiglia a Buenos Aires, prendendo in affitto una casa con giardino nel quartiere settentrionale di Olivos.

In Argentina Eichmann si incontra spesso con altri ex nazisti fuggiti, in riunioni evocative della vecchia gloria del III Reich. Nel 1957 si lascia intervistare da un giornalista olandese di provata fede nazista anche lui rifugiatosi oltreoceano, Willem Sassen. In questi colloqui, denominati “Interviste di Sassen”, Eichmann descrive apertamente la sua attività di architetto della pulizia etnica. Egli arriva a sostenere che la deportazione di oltre quattrocentomila persone nel giro di poche settimane avvenuta in Ungheria poteva essere considerato un suo capolavoro.
Eichmann si lamenta finanche di non aver fatto troppo per portare a compimento il progetto dell’annientamento totale degli ebrei, pensando non affatto concluso il programma che ha condotto allo sterminio di due terzi degli ebrei europei solo pochi anni prima: per lui “Auschwitz” deve continuare, seppur in altre forme, ma sempre con ugual sostanza.
Dai documenti argentini si profila un Eichmann fedele sostenitore e attivo esecutore della morale di Stato nazista. Egli rimarca che era nel giusto chi non opponeva la sua coscienza agli ordini superiori riconoscendo che le autorità agivano per il bene del popolo, rivendicando l’annientamento di milioni di persone come parte integrante di un dovere morale ed etico di un tedesco fedele e “razzialmente puro”. Il suo vecchio sogno di veder concretizzato un’alleanza tra arabi e nazisti per distruggere per sempre l’odiato ebreo, ora rappresentato da Israele, non è mai tramontato.
Tra le carte argentine c’è addirittura la bozza di una lettera aperta firmata sfacciatamente col vero nome al cancelliere Adenauer, nella quale propone un suo ritorno in Patria per essere processato, convinto di una lieve condanna. Eichmann pensa di ritornare nella sua Germania e, dopo aver scontato una lieve condanna (egli pensa da 4 a sei anni), affrontare la vecchiaia in serenità assieme alla sua famiglia e, perché no, calarsi nella scena politica della Repubblica Federale Tedesca.
Negli anni in Argentina Eichmann/ Klement non conduce una vita del tutto riservata, come hanno fatto altri illustri esponenti del nazismo. I figli, ormai cresciuti sanno chi è stato il padre. Proprio il figlio Klaus commette un irrimediabile errore: allaccia una relazione con Silvye Hermann, profuga olandese e figlia di Lothar sopravvissuto all’Olocausto nel campo di concentramento Dachau. Il ragazzo non solo si presenta con il suo vero nome, ma racconta alla giovane chi era stato il padre. La ragazza a casa spiega al padre della sua frequentazione, il quale scrive subito al procuratore tedesco Fritz Bauer dicendogli che il ricercato Eichmann è vivo in Argentina. Bauer a sua volta informa il capo del Mossad, il servizio segreto del neonato Stato di Israele. I Servizi israeliani inviano in Argentina degli agenti, i quali iniziano a pedinare Eichmann. Riconosciuto il criminale fuggitivo, si decide di catturalo senza chiede permessi al governo argentino. L’11 maggio 1960 Eichmann è “prelevato” alla fermata di un pullman nel quartiere San Fernando di Buenos Aires. Dopo una decina di giorni rinchiuso in un luogo segreto, Eichmann è trasferito in Israele. Il 23 maggio 1960 Ben Gurion annuncia alla Knesset (il parlamento israeliano) dell’arresto e del trasferimento in Israele di Otto Adolf Eichmann, il quale è processato a Gerusalemme.

Documento della Croce Rossa

Documento della Croce Rossa

Eichmann è difeso da Robert Servatius, avvocato tedesco scelto personalmente dall’imputato e pagato dal Governo israeliano, perché la Germania si rifiuta di farlo. Servatius, dopo aver contestato invano il fondamento giuridico dell’arresto e del processo, il quale dice che avrebbe dovuto svolgersi presso una corte internazionale o in un tribunale della Germania Federale, dove l’ex ufficiale tedesco aveva compiuto i suoi supposti crimini, e dopo aver messo in discussione la competenza della corte israeliana a giudicare crimini commessi da un cittadino non israeliano su cittadini non israeliani, mettendo in dubbio anche l’imparzialità della Corte, chiede il non luogo a procedere e il proscioglimento del suo assistito. Non ottenuta la revoca del processo, cerca di addebitare gli eventuali crimini allo Stato tedesco e alla sua leadership politica, disegnando Eichmann come un misero funzionario di regime che eseguiva gli ordini. Dunque per la difesa Adolf Eichmann, l’architetto nazista dello sterminio in massa di ebrei, rom e sinti, è solo un normale e ligio burocrate.
La politologa, filosofa e storica tedesca Hannah Arendt, naturalizzata statunitense, segue il processo come inviata del settimanale New Yorker. Ella elabora alla fine del processo il concetto di “banalità del male” identificando in Eichmann l’assenza di pensiero razionale, ossia la mancanza interiore di una dimensione etica della coscienza. Dunque, seppur le azioni compiute da Eichmann sono state mostruose, egli restava una normale persona alterata dal disegno totalitario del regime. Insomma un prodotto dell’ideologia totalitaria nazista, un semplice impiegato del male. Da qui il concetto di “banalità del male”, ossia un piatto comportamento da parte di Eichmann che non riflette sul contenuto degli ordini, ma li applica in maniera incondizionata. Dunque un male banale rappresentato non come fenomeno eccezionale e demoniaco. Tuttavia il comportamento di Eichmann durante il nazismo e le “carte argentine” disegnano un personaggio diverso da quello che Eichmann stesso ha cucito sulla sua persona durante il suo processo a Gerusalemme: egli è parte attiva al progetto della “Soluzione finale” degli ebrei, dei rom e dei sinti; il suo odio verso gli ebrei è incondizionato, mai rinnegato; la sua attività in Argentina lascia intendere che Eichmann non si è mai ravveduto; si è persino lamentato che il progetto non è stato concluso nella sua interezza. Sono la convinzione ideologica e l’odio verso gli ebrei a condurre Eichmann, per libera scelta, a partecipare allo sterminio di milioni di esseri umani. Infatti, non risulta che il gerarca nazista abbia subito pressioni psicologiche o sociali per partecipare all’annientamento di milioni di ebrei. Eichmann rifugiandosi in America Latina volle “fuggire” dalla giustizia, ma non dal nazismo e dal suo viscerale odio per gli ebrei.
Dunque quello di Eichmann non è stato un “male banale”, ma un “Bene banale”.
Il male non è un dato congenito, ma il frutto di una passione (negativa) costruita. Nondimeno, un male può essere banale solamente in base alla considerazione soggettiva che si ha del Bene. Ad esempio, quando i nazisti gasavano gli ebrei non si posero il problema della giustifi¬ca¬zione del male che stavano arrecando, poiché nella loro visione distorta del mondo quello era solo un “bene”. In pratica nei nazisti, ma questo vale per qualsiasi carnefice, c’era una valutazione morale del Bene, anziché una vera e propria legittimità del male. In questo sta la “banalità del male”, in una valutazione morale del Bene.
Demonizzare gli assassini o i torturatori, vuol dire trasferire la colpa a un’entità astratta che ha reso demoni uomini perfettamente normali. La condizione umana implica la capacità di compiere delle scelte, di dire sì o no. Queste decisioni sono prese in base al proprio modo di intendere il mondo, insomma alla propria considerazione di ciò che è giusto e sbagliato, quindi di cosa è Bene o male. Questo vuol dire che quando riflettiamo su comportamenti di persone che scelgono di uccidere, massacrare, violentare, torturare, segregare in nome di una ideologia, non dobbiamo riferirci ad essi come persone che compiono azioni illogiche o semplicemente coperte dall’ubbidienza militare. Un massacro non avviene perché i capi hanno deciso, ma si realizza perché anche i sottoposti lo vogliono.
Comprendere questo aiuta a chiarire che gli orrori della politica non sono mai frutto di una irra¬gio-nevolezza, di una pazzia, ma il portato di atti consapevoli e di utilità programmata per il dominio totale sulle persone, l’esito di una razionalità in una logica di potere. Per questo il Bene, a volte, può divenire banale, il male, invece, mai.
Il “disimpegno morale” del gerarca nazista, che compare non solo durante il processo, ma anche negli scritti argentini e nell’intervista di Sassen, è dunque tutto nella considerazione che ha degli ebrei, ossia esseri fuori dall’Umanità e nell’essere un mero esecutore di ordini (quest’ultima circostanza non vera per la sua documentata partecipazione già alla conferenza di Wannsee). Eichmann non è un burocrate che “non pensa”: in un’ottica normale “pensa male”, secondo gli ideologi nazisti della Soluzione finale “pensa bene”. In altri tempi sarebbe stato premiato da Hitler con una medaglia per il suo lavoro, in tempi razionali è invece finito dinanzi a una corte penale. Il suo non è quindi un “male banale”, ma un “Bene banale”, derivato dalla valutazione soggettiva di un Bene che lo ha portato a legittimare un male non ritenuto tale.
Eichmann aveva svestito la divisa nazista, ma non venne mai meno alla fede nazionalsocialista. L’odio sprezzante di Eichmann verso gli ebrei si manifesta dopo il processo, pochi attimi prima di morire, quando alla guardia che lo accompagna al patibolo riferisce: «Spero che tutti voi mi seguiate presto». Egli non si è mai pentito, continuando a coltivare un convinto e profondissimo antisemitismo. Per questo il male elargito da Eichmann non può essere banale, ma sfacciatamente vero.

Per saperne di più

H. Arendt, The Jew as Pariah. Jewish Identity and Politics in the Modern Age, Grove Press, New York 1978, trad. it. Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini, Unicopli Milano 1986, ora Feltrinelli, Milano 1986, p. 227.
H. Arendt, Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, Viking Press, New York 1963; tr. it. La Banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2004.
D.J. Goldhagen, Hitler’s Willing Executioners. Ordinary Germans and the Holocaust, Alfred A. Knopf, New York 1996, trad. it., I volenterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano 1996.
B. Stangneth, Eichmann vor Jerusalem. Das unbehelligte Leben eines Massenmörders, Arche, Zürich und Hamburg 2011, trad. it., La verità del male. Eichmann prima di Gerusalemme, Luiss University Press, Roma 2017.
S. Forti, I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere, Feltrinelli, Milano 2012.
M. Ginsburg, Eichmann’s final barb: ‘I hope that all of you will follow me’, «The Time of Israel», 2 December 2014, http://www.timesofisrael.com/eichmanns-final-barb-i-hope-that-all-of-you-will-follow-me/.
R. Paternoster, La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza, Tralerighe, Lucca 2019.
R. Paternoster, La politica dell’esclusione. Deportazione e campi di concentramento, Tralerighe, Lucca 2020.