KIPPUR 1973: UNA LEZIONE DI MODERNA GUERRA AEREA

di Giuliano Da Frè –

 

Nel 1967 la guerra dei Sei Giorni aveva chiarito agli egiziani – e confermato agli israeliani – che le operazioni dal cielo costituivano un capitolo fondamentale di un’eventuale nuovo scontro. Nel 1973 la guerra del Kippur confermò le previsioni. E impartì nuove lezioni per i contendenti.

 

 

Ombrelli e fionde

A-4E Skyhawk israeliano in fase di rifornimento.

A-4E Skyhawk israeliano in fase di rifornimento.

Nel giugno 1967 con le sue brillanti prestazioni la IAF (Israeli Air Force) era stata la “fionda” delle forze schierate dal Davide israeliano contro il Golia arabo: in 3.279 missioni aveva fornito un fondamentale supporto alle operazioni di terra trasformandosi in una formidabile artiglieria volante, dopo aver preventivamente distrutto 469 aerei nemici, per il 10% in combattimenti aria-aria [1]. Un’immagine destinata a fissarsi nelle menti di ambo i contendenti. Nei sei anni successivi, Israele decise infatti di raddoppiare la propria forza aerea destinandole il 52% dei bilanci militari: i suoi generali non potevano dimenticare che, pur avendo perso nel 1967 solo 36 aerei e 18 piloti, questi rappresentavano il 18% dei 200 jet disponibili. Occorrevano più aerei di nuovo modello, e un ampliamento della disponibilità di piloti, mantenendone però gli elevati standard addestrativi. Inoltre sino al 1967 la forza da combattimento israeliana era incentrata su reattori francesi, molti dei quali di prossima radiazione, mentre per quanto riguarda i più moderni “Mirage-III”, vere stelle della guerra dei Sei giorni nonostante un motore non sempre adeguato, Parigi aveva posto l’embargo, per non alienarsi i paesi arabi e il loro petrolio.
La IAF aveva allora sfruttato la crescente capacità industriale israeliana per ricavare dal leggendario caccia con ala a delta della Dassault una variante nazionale: il “Nesher” realizzato dalle Israel Aircraft Industries (IAI) nel 1971-1974, ma in appena 50 esemplari. I sempre più stretti legami con gli Stati Uniti permisero tuttavia di fare un salto di qualità: entro il 1973 furono infatti consegnati alla IAF circa 300 tra agili caccia leggeri A-4E “Skyhawk” e più prestanti bireattori multiruolo F-4E “Phantom-2” assieme a centinaia di missili aria/superficie AGM-12B e aria/aria a guida radar “Sparrow”, oltre ai primi lotti di missili antiradar AGM-45A “Shrike” e di pod di contromisure elettroniche. Questi ultimi giunsero appena a tempo per fronteggiare la risposta varata da Egitto e Siria, i grandi sconfitti del 1967.
Anche qui si era meditato sul disastro, e grazie al massiccio supporto sovietico in armi e consiglieri si puntava a creare un “ombrello” per proteggere i propri eserciti dalla fionda aerea di Israele. Già nella guerra dei Sei giorni i due terzi dei jet perduti dalla IAF erano stati vittime della contraerea araba, che all’epoca poteva però contare soltanto sul modesto SAM a lungo raggio S-75 “Dvina” (SA-2 “Guideline” per la NATO) e su cannoni da 57 mm a traino e semoventi.
Nel 1968-1970 si sviluppò ai confini arabo-israeliani un conflitto di crescente intensità: durante questa “guerra d’attrito” la IAF subì una ventina di perdite, ma con un’impennata nell’estate 1970. Per proteggere le proprie truppe, che dal disastro del 1967 erano abbarbicate lungo la sponda occidentale del Canale, gli egiziani (e i siriani, schierati tra Damasco e la linea di contatto ai piedi del Golan, conquistato da Israele nel giugno 1967) iniziarono a integrare SA-2 e cannoni da 57 mm con le nuove armi cedute da Mosca: i S-125 “Pechora” (SA-3 “Goa”) a medio raggio, e per la difesa a bassa quota i fiammanti 2K12 “Kub” (o SA-6 “Gainful”), ottimi semoventi con radar su cingoli, al pari degli impianti quadrinati radar-asserviti ZSU-23-4 “Shilka”, mentre alla fanteria veniva consegnato in migliaia di pezzi il rustico MANPADS [2] SA-7 “Grail” (per i sovietici “Strela-2”). Egitto e Siria ottennero anche complessivamente 1.500 tra aerei ed elicotteri, ripianando le perdite del 1967 e introducendo jet modernissimi di terza generazione, come i MiG-21FL “Fishbed” con avionica e motori rinnovati, e i validi Su-7B “Fitter” da attacco al suolo. Ma la vera sorpresa furono i nuovi radar, SAM e cannoni automatici sovietici, che nell’estate 1970 abbatterono in poco tempo 7 jet della IAF; che a sua volta reagì impiegando con successo alcuni missili antiradar e pod elettronici: ma senza che fosse possibile capire chi prevalesse tra “fionda” e “ombrello” [3]

Lezioni di guerra

MiG-21 Fishbed egiziano: il moderno jet sovietico era in servizio anche in Siria.

MiG-21 Fishbed egiziano: il moderno jet sovietico era in servizio anche in Siria.

Sarebbe stata la breve ma intensissima guerra combattuta mezzo secolo fa, tra il 6 e il 25 ottobre 1973 (con una coda tra Israele e Siria nell’aprile-maggio 1974), a porre pienamente in luce l’efficacia del sofisticato “ombrello protettivo” multistrato messo in piedi da Egitto e Siria: almeno nella fase iniziale del riuscito attacco a sorpresa nel giorno festivo ebraico dello Yom Kippur. In quei primi giorni di guerra anche le potenziate forze aeree arabe (rinforzate da contingenti arrivati da Algeria, Iraq e Libia) diedero un efficace supporto tattico alle operazioni terrestri. Soprattutto l’aeronautica egiziana, con 600 jet al comando di Hosni Mubarak (1928-2020), poi promosso per i buoni risultati conseguiti a vicepresidente accanto al rais Sadat (e suo successore dal 1981 al 2011), colpì il 90% degli obbiettivi iniziali, mentre anche i siriani nelle prime ore di guerra lanciarono 100 dei 500 raid d’attacco dell’intero conflitto, contribuendo a danneggiare le difese israeliane sul Golan [4].
L’operazione “Badr” tuttavia presentava molte differenze tra il fronte aperto dall’Egitto lungo il Canale, e l’offensiva siriana verso il Golan. Nel primo caso ambo i contendenti potevano sfruttare l’ampio spazio di manovra del Sinai: gli egiziani per attestarsi saldamente lungo una fascia sulla sponda est del Canale, dopo averlo attraversato il 6 ottobre con un’azione da manuale; gli israeliani per cercare di prendere tempo, dopo che la loro prima controffensiva incentrata quasi esclusivamente sui carri armati era stata stroncata dalla solida difesa inscenata dai generali di Sadat, e affidata a migliaia di missili e cannoni di nuovo modello, anticarro e antiaerei, per spezzare le due migliori armi di Israele: i tank e i jet.
La IAF, al comando del brillante generale Benny Peled (1928-2002), ne schierava più del doppio rispetto al 1967, anche contando quelli prossimi alla radiazione. Un margine di superiorità vitale, poiché i primi attacchi lanciati il 7 ottobre da 140 tra A-4 e F-4 contro le postazioni egiziane si infransero contro le difese antiaeree a più strati, che abbatterono 8 jet attaccanti danneggiandone gravemente una decina, contro solo 3 batterie SAM poste fuori uso [5]. Tuttavia, come accennato nel Sinai c’era spazio di manovra, e d’altra parte sino al 14 ottobre le due armate egiziane impegnate si guardarono bene dall’avanzare fuori dall’ombrello protettivo dell’antiaerea: salvo esservi poi disastrosamente costrette per ragioni politiche.
Sul Golan invece non si poteva sbagliare, né c’era margine di manovra, per Israele. Il grosso delle 247 missioni di attacco lanciate dalla IAF il 7 ottobre, proprio mentre i reparti corazzati israeliani si aggrappavano con la forza della disperazione alle difese create sulle alture, per evitare che l’armata meccanizzata siriana forte di migliaia di tank e APC dilagasse sulle alture e si riversasse nella valle del Giordano, mirò alle batterie antiaeree arabe. Con i reparti a stretto contatto, fu una mischia furiosa, con i jet della IAF costretti a decine di missioni a quota bassissima, preda in larga parte dei letali “Shilka” e SA-6. Sebbene il numero di jet perduti da Israele in missioni di attacco al suolo fosse quasi uguale per i due fronti (33 sul Sinai e 27 sul Golan, sui 107 complessivamente distrutti), il tasso di perdite contro i siriani per numero di sortite – 1.830 – fu dell’1,8%, tre volte superiore al rateo subito in Sinai, dove furono effettuate 5.442 missioni.
Gli attacchi diretti contro le difese arabe parlano (il dato resta controverso) di 16 batterie SAM colpite: pod e AGM-45 si rivelarono passabilmente utili contro le postazioni fisse di SA-2 e SA-3, mentre micidiali si rivelarono i sistemi mobili sovietici [6]. Dopo lo shock iniziale tuttavia l’eccellente addestramento dei piloti israeliani (45 dei quali uccisi o catturati) permise un bilancio nettamente favorevole dei combattimenti aerei, con 277 vittorie confermate – e 57 incerte – contro 6 jet perduti: 46 abbattimenti per ogni aereo perduto, quando il rateo del 1967 era stato di 9 a 1 per la IAF; complessivamente le forze arabe persero circa 500 velivoli di tutti i tipi. Inoltre i piloti israeliani riuscirono a sviluppare tattiche di ingaggio delle batterie nemiche più efficaci, soprattutto nei raid lanciati contro obbiettivi strategici presso Damasco, mentre dagli Stati Uniti giungevano nuovi lotti di missili “Shrike” (ne furono lanciati 200 su 350 disponibili in tutto) e, soprattutto, il più avanzato apparato elettronico ECM ALQ-119, anch’esso però poco efficace contro i radar dei SA-6.
Le lezioni del 1973 sarebbero state meditate a lungo, in sede NATO soprattutto, per sviluppare efficaci contromisure nei confronti del sistema di difesa aereo sovietico a più strati, che già si era dimostrato pericoloso in Vietnam nel 1971-1972. E nel 1981-1982 proprio Israele avrebbe testato con successo nuovi equipaggiamenti e tattiche di soppressione delle difese aeree nemiche (SEAD: Suppression of Enemy Air Defences) per colpire si dall’inizio della campagna in Libano le batterie di SAM siriane, rivelatesi così letali nel 1973.

 

 

 

 

Note

[1] I dati precisi restano controversi.
[2] MANPADS: ossia Man-portable air-defense systems, che indica un sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla.
[3] Israele, fidando nella propria aviazione, disponeva di minori risorse da destinare alla difesa contraerea, che comunque contava sui nuovi SAM americani “Hawk” schierati a difesa delle maggiori città e del sito nucleare di Dimona, e su batterie di cannoni radar-guidati da 40 mm Bofors. Durante la guerra gli USA trasferirono rapidamente anche i semoventi lanciamissili “Chaparral”.
[4] Comandante dell’aeronautica siriana era il generale Naji Jamil (1932-2014): non va dimenticato che suo predecessore era stato Hafiz el-Assad (1930-2000), uomo forte della Siria dal 1963 alla morte, e già generale dell’aviazione.
[5] I piani prebellici ipotizzavano ottimisticamente un jet israeliano perduto per ogni batteria distrutta.
[6] Anche per i jet arabi, con 20-30 apparecchi perduti per “fuoco amico”.

 

 

Per saperne di più
AA.VV. (a cura di John Keegan), Guerre in tempo di pace dal 1945, Istituto Geografico De Agostini, 1983.
E. Cecchini, Guerra e politica nel Medio Oriente, Mursia 1987.
S. Dunstan, La guerra dello Yom Kippur, LEG 2018.
M. Van Creveld, La spada e l’ulivo, Carocci 2004