JOMINI, UNO SVIZZERO TRA NAPOLEONE E LO ZAR

di Massimo Iacopi -

Meno conosciuto di Clausewitz, lo svizzero Antoine de Jomini fu un pensatore militare di primo piano. Fece parte dello stato maggiore di Ney e Napoleone, ma il suo pessimo carattere e la rivalità con il maresciallo Berthier lo misero in cattiva luce. Nel 1813 decise di porsi al servizio dello zar.

Antoine de Jomini

Antoine de Jomini

Il 14 agosto 1813 “con una orribile pioggia che era cominciata all’inizio del giorno” un cavaliere seguito dal suo domestico, anch’egli a cavallo, si imbatte, presso la località di Jauer, in Slesia, negli avamposti del corpo russo dell’emigrato francese Langeron, che presta servizio con i Prussiani del maresciallo Blücher. Dal 4 giugno, a seguito dell’armistizio concluso a Pleiswitz, Francesi da un lato e Prussiani e Russi dall’altro, si fronteggiano. Il cavaliere fa consegnare a Langeron una lettera firmata Antoine Henri de Jomini, nella quale gli spiega che ha deciso di lasciare l’esercito francese, nell’ambito del quale serve come generale di brigata e capo di stato maggiore del maresciallo Michel Ney, per passare nel campo russo. L’emigrato, che non apprezza questo transfuga, non dovrà ospitarlo a lungo, in quanto un aiutante di campo dello zar Alessandro I, verrà a cercarlo per condurlo a Praga, dal suo sovrano. Langeron sottolinea che si tratta di un illustre teorico militare, ma soggiunge anche che “tutti questi grandi geni, con la penna in mano… hanno sempre fallito tutte le volte che hanno dovuto lasciare la penna per la spada”.
Napoleone Bonaparte informato del fatto a partire dal 16 mattino, scrive all’arcicancelliere Cambacerés: “Jomini, capo di stato maggiore del Principe della Moskowa ha disertato. E’ lui che ha pubblicato qualche volume sulle campagne e che da molto tempo era sollecitato dai Russi. Certamente ha ceduto alla corruzione. Si tratta di un militare di scarso valore; si tratta, tuttavia, di uno scrittore che ha centrato qualche sana idea sulla guerra. E’ uno Svizzero”. Lo stesso giorno Jomini viene presentato allo Zar, che lo nomina generale di divisione con una rendita annuale di 20mila rubli. Il sovrano gli annuncia ugualmente che il generale Moreau, rientrato dall’America, si è schierato con i Russi.

Napoleone nel 1806

Napoleone nel 1806

Napoleone non si è sbagliato nell’affermare che “i russi erano da lungo tempo sulle sue tracce”. Dal 1804, Jomini aveva presentato senza successo, in varie occasioni, all’incaricato di affari russo a Parigi la sua disponibilità a servire per lo zar. All’epoca, questo autodidatta militare, originario del Vallese, era appena un comandante di battaglione nelle truppe dell’effimera Repubblica Elvetica, prima di lanciarsi in una carriera commerciale e di legarsi al maresciallo Ney, di cui diventerà aiutante di campo. Prestato inizialmente servizio presso il campo di Boulogne, in previsione dell’invasione dell’Inghilterra, egli partecipa, successivamente, alla conquista di Ulm nel 1806. Nella stessa epoca Jomini aveva pubblicato a Parigi i due primi volumi del suo Trattato della Grande Tattica. Assiste quindi alle battaglie di Jena e di Eylau e si incontra diverse volte con Napoleone. Egli segue poi Ney in Spagna, ma, di fronte alle noie procurategli dalla sua bestia nera, Louis Alexandre Berthier, Principe di Neuchâtel e maggior generale della Grande Armée, comincia ad accarezzare l’idea di entrare al servizio dei Russi. Alessandro I accetta di accoglierlo come generale di divisione.
Avendo ottenuti i passaporti, Jomini invia alla fine dell’ottobre 1810 le sue dimissioni a Berthier, ma, a Berna, dove si trova provvisoriamente, una lettera di Clarke, ministro della Guerra napoleonico, gli intima di presentarsi immediatamente a Parigi. L’ufficiale ottempera ed apprende che Napoleone l’ha nominato generale di brigata, presso lo stato maggiore di Berthier, con l’incarico di lavori storici. Poco dopo, lo zar gli farà pervenire la nomina a maggior generale, addetto alla sua persona. Eccolo pertanto, a quel punto, con un diploma di generale francese in una tasca e con quello di generale russo nell’altra.
Diverse volte i Russi torneranno alla carica, ma invano, in quanto Jomini, che è ormai in preda ad un vero e proprio terrore nei riguardi del governo francese, oppone un rifiuto a tutte le proposte russe. Egli partecipa alla Campagna del 1812, ma nella retroguardia, nella funzione di Governatore di Vilnius e quindi di Smolensk e si troverà anche coinvolto negli avvenimenti della Beresina, dove probabilmente non ha potuto giocare il ruolo che ha successivamente deciso di attribuirsi.

Napoleone a Jena nel 1806

Napoleone a Jena nel 1806

Il personaggio pone effettivamente dei problemi agli storici per la sua innata tendenza alla dissimulazione. Alcuni documenti recenti hanno rivelato che egli aveva lasciato la Svizzera nel 1801, anche a causa di un affare poco onorevole di tangenti. Egli aveva affermato, inoltre, di aver firmato nel 1797, insieme ad altri patrioti del Vallese, una petizione per reclamare alla Francia la conservazione dei loro diritti. In tal modo si era posto agli occhi dell’opinione pubblica come uno dei padri della indipendenza vallese. Tuttavia, era poi stato dimostrato che egli non solo non aveva mai firmato nulla di simile, ma, peggio ancora, nel 1804, aveva indirizzato a Murat, a quel tempo Governatore di Parigi, una petizione da far pervenire al Primo Console, nella quale richiedeva la “riunione della Svizzera alla Francia”. Il nostro personaggio cercherà, in seguito, di celare questo passo, per tentare di riaccreditare nuovamente la sua immagine di patriota svizzero. Nel 1862, l’affare viene tuttavia a galla e Jomini – all’età di 83 anni – è obbligato a riconoscere: “Io ho commesso, 60 anni fa, degli errori di cui ho avuto occasione di dispiacermi”.
Nel 1813, mentre sta preparando il suo passaggio ai Russi, Jomini ottiene un congedo di 6 mesi per motivi di salute, con l’obbligo di trascorrerlo in Svizzera. In realtà, egli si reca a Monaco di Baviera sotto falso nome, per ricevere il passaporto russo. Le lettere che indirizza a Berthier ed a Clarke sembrano inviate da Baden, nel cantone svizzero dell’Argovia.

Anche il suo percorso “politico” è piuttosto discutibile. Inizialmente giacobino, l’uomo diventa un “adoratore” di Napoleone, ma una volta entrato al servizio dello zar si trasformerà in fautore della monarchia di diritto divino. Da quel momento le sue posizioni saranno ispirate a una visione “reazionaria” del mondo. La rivoluzione del 1848 suscita in lui un senso di repulsione ed in occasione della Guerra di Secessione Americana, Jomini si schiera per gli Stati del Sud. Per tutta la vita disprezzerà l’Inghilterra e le sue istituzioni.
Infine il carattere, che definirlo difficile sarebbe un eufemismo. Diffidente verso tutti, l’uomo vede ovunque nemici e complotti. Convinto della sua superiorità intellettuale, egli schiaccia con il suo disprezzo quelli che non condividono le sue idee. Bilioso ed ipocondriaco, si sente tormentato da un’infinità di mali, reali ed immaginari. A partire dal suo 50° anno di età egli firma le sue lettere con la pseudonimo di Moribondus, ma gli resteranno ancora 40 anni da vivere.

Il maresciallo Berthier

Il maresciallo Berthier

Il “processo di defezione” del 1813 è ben documentato. Da Leignitz, nella Slesia, Jomini scrive il 17 giugno 1813 al suo confidente Monnier, addetto al Duca di Bassano: “Occorre che vi dica che il Principe di Neuchâtel rinnova le sue seccature nei miei confronti per mezzo di miserabili minuzie; la sua corrispondenza, sempre piena di rimproveri, annuncia un temporale”. Effettivamente, il giorno dopo, da Dresda, Berthier gli indirizza il seguente messaggio: “A nome dell’Imperatore, vi spedisco un corriere straordinario, le cui spese verranno trattenute sulle vostre prebende, per raccogliere un rapporto sullo stato della situazione del 3° Corpo d’Armata, che ha avuto specifico ordine di attendere da Voi. L’Imperatore mi ordina di mettere queste disposizioni nell’ordine dell’esercito e di testimoniarvi tutta la sua insoddisfazione ed il suo malcontento per la negligenza con cui voi esercitate le vostre funzioni”. Questo schiaffo fa titubare moralmente Jomini che scrive a Monnier: “Ah, mio caro, questo ne è capace; mai io non sopporterei un affronto così crudele… Io mi considererei il più miserabile degli uomini se fossi capace di servire un quarto d’ora di più”.
Il 13 agosto, egli invia una lettera a Napoleone per spiegargli la sua decisione di passare al servizio dello zar: “Allontanato dal grand’uomo che mi aveva una volta onorato, perseguitato dai suoi ministri, non avendo nulla da sperare dagli sforzi che ho fatto per servire al meglio, nonostante il cattivo stato della mia salute, non mi resta altra soluzione che quella di ritirarmi. Non dimenticherò mai gli istanti che ho trascorso accanto al più grande dei capitani. Nessuna sua parola, nessun suo sguardo verranno mai cancellati dalla mia memoria”. Jomini indirizza altresì a Ney una lunga missiva che contiene queste righe: “In rotta con il principe di Neuchâtel, ignorato da Vostra Eccellenza e trovandomi sotto il peso di un sistema che non lascia nulla da sperare, io non posso più continuare a sacrificare per molto tempo quello che resta della mia debole salute correndo dietro alle umiliazioni”. Ma la replica non si fa attendere: il 7 settembre un tribunale militare francese, riunito a Görlitz, lo condanna a morte in contumacia.

Jomini, accolto a braccia aperte dallo zar e dai giovani ufficiali del suo stato maggiore che ammirano la sua opera teorica, sarà colpito a freddo dall’imperatore d’Austria che vede in lui un disertore. Inoltre, i suoi modi scoccianti e perentori non tarderanno ad attirargli solide inimicizie, fra cui quella di Radetsky, capo di stato maggiore del Principe di Schwarzemberg.
Riguardo al suo schieramento dalla parte dei Russi le opinioni divergono. Per alcuni, Jomini non è altro che un volgare transfuga, ovvero un traditore, mentre per altri il suo modo di agire è stato maldestro, ma tuttavia legittimo. Le accuse di aver portato ai Russi i piani di operazioni francesi non hanno alcun fondamento. Non solo Jomini non ha trafugato alcun documento militare, ma rifiuterà anche di rispondere alle domande riguardanti le disposizioni tattiche e gli effettivi dei Francesi. Tuttavia, durante la sua lunga vita si addenseranno su di lui numerosi sospetti e con un certo sollievo accoglierà le dichiarazioni di Napoleone da Sant’Elena che confermavano il fatto di non aver portato alcun piano ai nemici: “Egli non ha tradito le sue bandiere come Pichegru, Augereau, Moreau, Bernadotte: egli doveva lamentarsi di una grande ingiustizia: è stato accecato da un sentimento onorevole: non era un Francese; l’amor di patria non l’ha trattenuto”.

Ritratto equestre di Alessandro I

Ritratto equestre di Alessandro I

Durante la Campagna di Germania e quindi al Congresso di Vienna, Jomini sarà un consigliere ascoltato dallo zar, per il quale compilerà numerose memorie. Ma con il tempo la sua influenza diminuirà. Nonostante il grado di Generale in capo (dal 1826), l’uomo non giocherà più alcun ruolo, anche se rimarrà ancora precettore militare dello zarevich. Dovrà accontentarsi di fare la comparsa durante la campagna del 1828 contro i Turchi e vivrà in seguito più frequentemente a Parigi, a Bruxelles ed in Svizzera, recandosi raramente in Russia.
Ma l’immensa influenza esercitata nel mondo intero dalla sua opera, tradotta in una miriade di lingue, compenserà questo offuscamento militare. Sul piano teorico, egli riduce la guerra ad alcuni principi semplici ed immutabili, enunciati a partire dal 1806 nella sua Esposizione dei principi generali dell’Arte della guerra, ripresi ed approfonditi nel Compendio dell’Arte della guerra, del 1839, ai quali rimarrà fedele per tutta la sua vita: iniziativa strategica, movimento sulla parte più debole del nemico, attacco sul fianco, concentrazione delle forze… Durante la sua lunga esistenza, Jomini ha assistito, sullo sfondo della rivoluzione industriale, a trasformazioni importanti nei mezzi destinati alla condotta delle operazioni. Ma la comparsa della ferrovia, del telegrafo, delle armi a retrocarica o dei battelli a vapore, non gli impediranno di considerare come intangibili i suoi principi teorici. Nello stesso tempo egli critica i lati oscuri del prussiano Clausewitz, che a sua volta lo definisce un “amico militare dei ragazzi”, vale a dire un semplificatore, che ignorando l’opacità di fondo dell’arte della guerra, ne rende gli arcani intellegibili ai bambini.
In ultima analisi, saranno i 15 volumi della Storia delle guerre della Rivoluzione, pubblicati fra il 1820 ed il 1824, a costituire la parte principale dell’opera dello Svizzero. Un lavoro pazzesco nel quale Jomini ha riunito un’enorme quantità di documenti che gli hanno permesso di presentare gli avvenimenti con una rimarchevole obiettività, senza cercare di imporre al lettore la sua visione teorica della guerra. Nella Vita di Napoleone, raccontata da lui stesso, pubblicata anonimamente nel 1827, egli rivela quello che è stato il fantasma della sua esistenza: essere non solo il commentatore più esperto delle guerre napoleoniche ma anche, nel senso forte del termine, un doppione dello stesso Imperatore.

Per saperne di più
Ami-Jacques Rapin, Jomini et la stratégie. Une approche historique de l’œuvre – Payot, Lausanne 2002
Baqué Jean-François, L’homme qui devinait Napoléon… Jomini - Perrin, Paris 1994
Antoine de Jomini, Ristretto dell’arte della guerra, ossia Nuovo quadro analitico delle principali combinazioni della strategia, della gran tattica, e della politica militare – Fabbreschi, Livorno 1855