JACQUES DE LA PALICE: “PRIMA DI MORIRE ERA ANCORA VIVO”

di Max Trimurti -

Povero Jacques II de Chabannes, signore di La Palice! Nel XVIII secolo un erudito burlone volle travisare alcuni versi della canzone composta dai suoi soldati, che in realtà intendevano rendere un tributo al coraggio del loro comandante.

Se l’espressione “un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita” viene considerata, dopo cinque secoli, come il massimo esempio di verità ovvia e indiscutibile, e di cui appare superflua ogni spiegazione, non è corretto tuttavia attribuirla a quel personaggio che è stato additato come il virtuoso del pleonasmo e della tautologia combinati insieme. Di fatto, nulla evidenzia nella carriera di Jacques II de Chabannes, signore di La Palice o Lapalisse (1470-1525), un gusto particolare per l ’ ovvio, per il prevedibile, per il fatto scontato.

La fine di un eroe delle guerre d’Italia

Il personaggio è un rude soldato, discendente da una dinastia di capitani, di mercenari e di scorticatori che nel XV secolo vengono elevati alle più alte cariche dello stato: Gran Panettiere e Gran Maestro, soprattutto sotto Luigi XI. Il nostro La Palice serve con ardimento tre re – Carlo VIII (1470-1498), Luigi XII (1462-1515) e Francesco I (1494-1547) – e si illustra in tutti i campi di battaglia, dalle Fiandre all’Artois, d’Italia ai Pirenei. Alla battaglia di Marignano, nel 1515, è uno dei consiglieri di Francesco I, che al termine dello scontro lo nomina Maresciallo di Francia. Nel 1520 partecipa al famoso incontro del campo del Drappo d’Oro fra Francesco I ed Enrico VIII d’Inghilterra. Nel corso dell’assedio di Pavia, nel 1525, La Palice viene fatto prigioniero dopo essere stato atterrato dagli archibugieri nemici mentre caricava a cavallo. Catturato dal capitano italiano Castaldi, fu ucciso a sangue freddo da un soldato spagnolo, risentitosi perché l’italiano non voleva dividere con lui il possibile riscatto. Così finì uno degli eroi della guerra d’Italia, il cui motto era: “Io non cedo a nessuno!”.
Tuttavia, dopo morto, La Palisse è costretto dalla storia a “cedere” a uno spirito pacifico, leggero e spontaneo, che lo assume a bersaglio senza intenzione di nuocergli. Bernard de La Monnoye (1641-1728), infaticabile autore di epigrammi caustici è un simpatico erudito di Digione, distinto latinista e giurista pentito, che consacra la sua vita alla letteratura, alla poesia e alle traduzioni dal greco, dal latino, dallo spagnolo e dall’italiano. I suoi scritti sul duello, sull’educazione del Delfino, sulle lettere e le arti sotto Luigi XIV, come anche le sue traduzioni di Dante Alighieri, di Orazio e di Virgilio Marone gli valgono, nel 1713, l’ingresso all’Accademia di Francia. Ma, allora, come si spiega l’interesse di La Monnoye per La Palice? Il maresciallo di Francia entra nella sua vita e nei suoi scritti attraverso una canzone composta in memoria di La Palice dai compagni d’arme: “Ahimè, la Palice è morto./ E’ morto davanti Pavia; / Ahimè, se non fosse morto, / farebbe ancora invidia”. (“Helas, La Palice est mort. / Il est mort devant Pavie; / Helas, s’il n’estoit pas mort, / il ferait encore envie”). Questa strofa ispira alla vedova del maresciallo, Marie de Melun, un epitaffio, che farà scrivere su un sontuoso monumento funerario, del quale rimane oggi solamente qualche elemento scolpito: “Ci git le seigneur de La Palice. S’il n’etait mort, ferait encore envie” (“Qui giace il signore de La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia”).

Un piccolo gioco di parole

Nel XVIII secolo questi versi circolano ancora. A quest’epoca la “s” si scrive come una “f”, ma senza la sbarretta trasversale. Ed ecco così ottenuta, con l’aggiunta di un gioco di parole, la trasformazione: “S’il n’etait mort, il serait encore en vie”. Bernard de la Monnoye non si trattiene più dalla gioia e con questo giochetto lessicale sferra il primo colpo alla memoria di La Palisse. Compone infatti una canzoncina, La Chanson de La Palisse, in 51 distici, aggiungendo altre quartine di sua composizione a quella originaria. L’Accademico di Francia forse meriterebbe l’inferno per questi versi scherzosi che da due secoli ridicolizzano colui che gli spagnoli chiamavano, con rispetto, “Il grande maresciallo di Francia”. Un ridicolo che, senza dispiacere al proverbio, l’ha ucciso una seconda volta e che prova, a dispetto di tutti i fatti lapalissiani, che si può essere morti e ancora “in vita”. Ma c’è anche una giustizia figlia della legge del contrappasso. L’accademico, ammirato per la sua erudizione da Corneille e Voltaire, non poteva immaginare che la sua canzonetta senza pretese sarebbe stata invece la sua unica opera tramandata ancora ai posteri. E per di più, solo perché riscoperta nel XIX secolo dallo scrittore Edmond de Goncourt.

La Chanson de La Palisse, di Bernard de La Monnoye

«Messieurs, vous plaît-il d’ouïrl’air du fameux La Palisse,
Il pourra vous réjouir
pourvu qu’il vous divertisse.

La Palisse eut peu de biens
pour soutenir sa naissance,
Mais il ne manqua de rien
tant qu’il fut dans l’abondance.

Il voyageait volontiers,
courant par tout le royaume,
Quand il était à Poitiers,
il n’était pas à Vendôme!

Il se plaisait en bateau
et, soit en paix soit en guerre,
Il allait toujours par eau
quand il n’allait pas par terre.

Il buvait tous les matins
du vin tiré de la tonne,
Pour manger chez les voisins
il s’y rendait en personne.

Il voulait aux bons repas
des mets exquis et forts tendres
Et faisait son mardi gras
toujours la veille des cendres.

Il brillait comme un soleil,
sa chevelure était blonde,
Il n’eût pas eu son pareil,
s’il eût été seul au monde.

Il eut des talents divers,
même on assure une chose:
Quand il écrivait en vers,
il n’écrivait pas en prose.

Il fut, à la vérité,
un danseur assez vulgaire,
Mais il n’eût pas mal chanté
s’il avait voulu se taire.

On raconte que jamais
il ne pouvait se résoudre
À charger ses pistolets
quand il n’avait pas de poudre.

Monsieur d’la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d’heure avant sa mort,
il était encore en vie.

Il fut par un triste sort
blessé d’une main cruelle,
On croit, puisqu’il en est mort,
que la plaie était mortelle.

Regretté de ses soldats,
il mourut digne d’envie,
Et le jour de son trépas
fut le dernier de sa vie.

Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S’il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage.»

« Signori, vi piaccia udire
l’aria del famoso La Palisse,
Potrebbe rallegrarvi
a patto che vi diverta.

La Palisse ebbe pochi beni
per mantenere il proprio rango,
Ma non gli mancò nulla
quando fu nell’abbondanza.

Viaggiava volentieri,
scorrazzava per tutto il reame
e quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!

Si divertiva in battello
e, sia in pace sia in guerra,
andava sempre per acqua
se non viaggiava via terra.

Beveva ogni mattina
vino spillato dalla botte
E quando pranzava dai vicini
ci andava di persona.

Voleva per mangiar bene
vivande squisite e tenere
E celebrava sempre il Martedì Grassola vigilia delle Ceneri.

Brillava come un sole,
coi suoi capelli biondi.
Non avrebbe avuto pari
se fosse stato solo al mondo.

Ebbe molti talenti,
ma si è certi di una cosa:
quando scriveva in versi,
non scriveva mai in prosa.

Fu, per la verità,
un ballerino scadente,
ma non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.

Si racconta che mai
sia riuscito a risolversi
a caricar le pistole
se non aveva le polveri.

Morto è il signor de la Palisse,
morto davanti a Pavia,
Un quarto d’ora prima di morire,
era in vita tuttavia.

Fu per una triste sorte
ferito da mano crudele,
Si crede, poiché ne è morto,
che la ferita fosse mortale.

Rimpianto dai suoi soldati,
morì degno d’invidia,
e il giorno del suo trapasso
fu l’ultimo della sua vita.

Morì di venerdì,
l’ultimo giorno della sua età,
Se fosse morto il sabato,
avrebbe vissuto più in là.»