ISRAELE, FRONTIERE BIBLICHE E ANTROPOLOGICHE
di Massimo Iacopi –
Nessuno Stato moderno è stato così lungamente pensato. L’Israele contemporaneo è nato da un’idea, il Sionismo. Lungo tutto il percorso della sua costruzione e fino ad oggi, gli Ebrei hanno cercato di conseguire una corrispondenza dello Stato con le frontiere bibliche. Questa proiezione non poteva che scontrarsi con il mondo arabo. Ma dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, il concetto di frontiera sembra superato: il massacro perpetrato da Hamas ha messo l’ultimo mattone nel muro antropologico fra Israeliani e Palestinesi.
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Quando nell’anno 70 l’imperatore romano Tito distrusse il tempio di Gerusalemme, gli Ebrei, privati del loro sommo sacerdote si esiliarono in tutte le regioni vicine e in quelle dell’Impero romano. Per 1800 anni hanno tramandato l’imperitura speranza di un ritorno nella Terra Santa e hanno pregato di ritrovarsi “l’anno prossimo a Gerusalemme!”“ a ogni festa della Pesah (festa dell’Esodo dall’Egitto). Le loro suppliche richiedevano di recuperare l’Eretz Israel, il “grande Israele”, la terra promessa da Dio al suo popolo. Dal punto di vista biblico, essa doveva estendersi dal sud del Libano attuale al sud del deserto del Neghev per raggiungere l’est del Mar Morto.
Più ampio dell’attuale, il Grande Israele può anche corrispondere ai limiti del regno di David e alle terre a lui sottoposte. Il suo regno si estendeva su tutto l’Israele attuale a eccezione del Neghev, la costa a nord di Haifa (appartenente ai Fenici) e la regione di Tel Aviv (regno dei Filistei). Per contro, inglobava terre che non appartengono allo Stato ebraico di oggi: l’estremità orientale del Sinai, i territori sulla riva sinistra del Giordano, dominio dell’attuale regno di Giordania, il sud della striscia di Gaza, e la totalità della Cisgiordania, che costituiva il cuore del regno. Le alture del Golan non appartenevano al regno di Davide, ma gli erano sottomesse.
Alla dimensione culturale e politica di ritrovare le terre d’Israele, si aggiungeva un elemento escatologico fondamentale. Il rabbino Maimonide di Cordova, vissuto nel sultanato ayyubide del XII secolo, aveva annunciato che “i Tempi messianici avranno luogo allorché gli Ebrei recupereranno la loro indipendenza e ritorneranno tutti in terra d’Israele” (Mishné Torah, Hikkhot Melakhim, capitolo 12).
Fondamenti e nascita del Sionismo
Fino al XIX secolo la speranza di un ritorno nella terra biblica non era scomparsa, ma la prima preoccupazione degli Ebrei era altrove. Il Sionismo guadagnerà la sua popolarità solo con la crescita dei nazionalismi in Europa e l’intensificazione dei pogrom anti ebraici. È proprio nella Russia zarista del 1881 che nascono le prime organizzazioni sioniste, gli Amanti di Sion. Diffondendo l’idea del Sionismo nelle comunità ebraiche, l’organizzazione crea anche un fondo per l’acquisto di terre in Palestina in vista di stabilirvi gli immigrati ebraici.
Il Sionismo assumerà una forza completamente diversa con l’azione di Theodor Herzl (1860-1904). Nel 1896 egli pubblica in diverse lingue Lo Stato ebraico, che ottiene subito un’eco profonda. Herzl, nella sua opera, definisce tre pilastri per il Sionismo: l’esistenza specifica del popolo ebraico, l’impossibilità della sua assimilazione da parte di altri popoli, da cui la necessità di creare uno Stato che prenda in carico il destino di questo popolo. Egli espone, in tal modo, anche idee concrete per il ristabilimento nella Palestina ottomana degli Ebrei. L’anno seguente, i Sionisti si ritrovano a Basilea e si mettono d’accordo sull’obiettivo e i mezzi per creare uno stato ebraico.
Il nuovo movimento sionista avvia un’infaticabile campagna di influenza nei confronti dei decisori politici.
Organizzare l’immigrazione massiccia
La Prima guerra mondiale è stata determinante nella creazione dello Stato d’Israele. I Francesi e gli Inglesi, occupati a distruggere gli Ottomani nel Levante, nel 1916 si accordano per un piano di spartizione, il famoso Accordo Sykes-Picot, che offriva il Libano e la Siria all’amministrazione di Parigi, la Palestina e l’Iraq a quella di Londra. Per il Regno Unito, questa regione era la chiave per la rotta dell’India. In questo contesto, i Britannici si rendono disponibili a prendere in carico il futuro vespaio della questione israelo-palestinese.
Nel 1917 gli USA esitavano ancora a impegnarsi direttamente nel conflitto. La Gran Bretagna cerca con tutti i mezzi di coinvolgere il potente alleato alla sua causa. I Sionisti, molto influenti in America, attraverso le comunità ebraiche, partecipano attivamente per suscitare il sostegno di Washington. Per potersi assicurare il loro aiuto in America, gli Alleati accettano la creazione di un focolare ebraico in Palestina. In un biglietto aperto, indirizzato a Lord Edmond James de Rothschild, personalità eminente della comunità ebraica a Londra e finanziere del movimento sionista, il Segretario di Stato britannico agli Esteri, Lord Arthur James Balfour può annunciare che “il Governo di Sua Maestà ipotizza favorevolmente l’insediamento in Palestina di un focolare nazionale per gli Ebrei e farà tutto quello che è in suo potere per facilitare la realizzazione di questo obiettivo…”
Una volta sconfitte le potenze Centrali, gli Alleati organizzano la conferenza di Pace a Parigi nel gennaio 1919, nel cui ambito si ritrovano anche Arabi ed Ebrei, ciascuno con le rispettive rivendicazioni. Il nuovo presidente dell’organizzazione sionista, Chaim Weizmann (1854-1952), rivendica l’Israele di re David. La scelta dei sionisti è ormai sul tavolo, essi vogliono ricostituire le frontiere dell’Israele biblico e, mossi anche da un sano pragmatismo, la costa marittima, i fiumi e le sorgenti (specialmente nel Golan). Feysal I ibn al Hussein (1885-1933) della tribù araba degli Hashemiti (re di Siria dal 1918 al 1920 e re dell’Iraq dal 1921 al 1933), veniva invece a reclamare il regno arabo promesso dai Britannici in cambio della rivolta delle tribù arabe contro gli Ottomani. Viene persino concluso un accordo di principio fra Feysal e Weizmann. Esso riconosce la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina, che sarebbe stato distinto dal regno arabo, a condizione che i Britannici avessero onorato le promesse fatte agli Arabi. Purtroppo, gli Inglesi, non onorando le promesse, determinano la fine dell’accordo, che rimane lettera morta.
Complicazioni e nascita dello Stato d’Israele
Il mandato britannico accentua il sentimento arabo di essere stati spodestati e successivamente di essere stati traditi. Le prime sommosse antiebraiche scoppiano a Jaffa nel 1920 e un massacro a Hebron nel 1929 spaventa Londra. Il Sionismo doveva essere sacrificato per conservare il mandato in Palestina, una regione così importante dal punto di vista strategico. Nel 1936, gli Arabi si sollevano in massa contro la presenza degli Ebrei e dei Britannici. Per contro, gli Ebrei scatenano l’Operazione Homa Oumigdal (muraglie e torri). In una notte, nasce, a sorpresa, un nuovo insediamento. Dal 1936 al 1939, nascono in tal modo 51 nuove località ebraiche. I Britannici, superati dagli eventi, propongono piani di spartizione, tutti respinti dagli Arabi.
Londra, a quel punto, decide di ritararsi e di affidare la situazione all’ONU. L’Haganah (padre dell’odierno Tsahal), organizzazione di difesa ebraica, prende il sopravvento durante la guerra civile e numerosi Arabi vengono spinti all’esilio. L’ONU propone un piano di spartizione nel 1947, che soddisfa gli Ebrei e il 14 maggio 1948 David Ben Gurion (1886-1973) proclama l’indipendenza di Israele.
Realizzare l’Israele biblico
All’indomani della proclamazione d’indipendenza, una coalizione formata da Egitto, Siria, Giordania, Iraq e Libano attacca il nuovo Stato d’Israele. Gli Arabi, nonostante la superiorità numerica, soffrono una cocente sconfitta. Gli Israeliani hanno dimostrato sul campo di saper pienamente utilizzare, a loro vantaggio, operazioni lampo, combinando blindati e aviazione. Gli armistizi che ne conseguono vengono firmati fra il gennaio e il luglio 1949. Quasi 900 mila Palestinesi si rifugiano all’interno di campi negli Stati vicini: arrivi massicci di sfollati, che saranno alla base di gravi turbative, in Giordania e, specialmente, nel Libano.
Nel giro di qualche settimana di guerra Israele si era ingrandito, ottenendo la parte occidentale del Neghev, il litorale da Gaza a Jaffa, il nord della Galilea e la parte occidentale e meridionale della Cisgiordania fino a Gerusalemme, mentre l’Egitto assume il controllo della striscia di Gaza.
Un censimento ottomano del 1880 riportava la cifra di 450 mila Arabi, viventi nel Vilayet (Provincia) della Palestina. Questi, senza avere una coscienza nazionale, condividevano un’identità locale, che l’immigrazione massiccia degli Ebrei contribuisce a rinforzare. Gli Ebrei l’avevano capito, l’affermazione dello Stato d’Israele avrebbe necessariamente contribuito a fortificare l’identità palestinese, sino a permettere loro di assumere una connotazione nazionale. In tale contesto, all’indomani della proclamazione di Israele, si vengono a creare due correnti sioniste opposte. Da un lato, gli eredi di Ahad Adam (1856-1927) che difendevano un piccolo numero di Ebrei che avrebbero illuminato la diaspora da Gerusalemme, sul principio di un Sionismo culturale. Essi risultavano maggioritari nell’ambito del Partito Laburista, guidato da Ben Gurion. L’altra corrente, invece, desiderava una Palestina prima di tutto giudea e sosteneva il nazionalista Eri Zabotinsky (1910-1969), figlio dello scrittore russo Vladimir Evgenievic Jabotinsky o Zabotinsky (1880-1940).
Estensione dello Stato
Dopo il 1948 gli Israeliani portano avanti la strategia dei Kibbutz per estendere i limiti del nuovo Stato. Confinati su una striscia costiera, soffrivano militarmente la mancanza di una profondità strategica. In caso di attacco, rischiavano di trovarsi bloccati con le spalle al mare. Il blocco dello stretto di Tiran, nel Golfo di Aqaba, rappresenta l’occasione sperata per poter attaccare e allargare le frontiere. Nel giugno 1967 Israele lancia le sue truppe da tutti i lati. In sei giorni, il Golan, il Sinai, la Cisgiordania e Gaza vengono conquistate. Israele comincia ad accarezzare il sogno di recuperare le frontiere bibliche.
Ma il dubbio inizia a insinuarsi nelle menti. Nell’ottobre 1973, durante la celebrazione della festa dello Yom Kipppur, dedicata all’espiazione dei peccati, la Siria e l’Egitto attaccano congiuntamente. Israele, totalmente sorpreso, riesce alla fine a respingere le forze arabe nel giro di qualche giorno, dopo il superamento di una delicata fase critica. Questa guerra contribuisce a segnare profondamente gli spiriti e a rivedere sia le carte politiche sia quelle strategiche.
Dopo la guerra del Kippur (ottobre 1973), gli Israeliani avevano capito che il loro Stato non costituiva un fatto acquisito di fronte agli Arabi, che si consideravano sempre in guerra. Questa presa di coscienza determina l’indebolimento dei Laburisti israeliani e nel 1977 il Likud, guidato da Menahem Begin (1913-1992) vince le elezioni. I Laburisti, cercando di apparire i più pacifisti possibili, avevano limitato la colonizzazione alla vallata del Giordano. I Nazionalisti (Gahal, Beitar), in uno stato d’animo conquistatore, erano ambiziosi di lavorare per il Grande Israele. Il Likud mette in opera il Piano Drobles (dal politico israeliano, di origine polacca, Matityahu Drobles 1931-2018), che organizza il dispiegamento massiccio di coloni in tutta la Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Riconoscimento delle frontiere d’Israele da parte dell’Egitto
Il 1978 segna l’inizio di un nuovo periodo. L’Egitto sceglie la strada di normalizzare le sue relazioni con lo Stato ebraico. Anwar el Sadat (1918-1981) e Menahem Begin si ritrovano a Camp David, luogo di villeggiatura dei presidenti americani. Le discussioni che ne seguono sono movimentate, soprattutto perché Sadat rischia di passare come un traditore agli occhi degli Arabi e perché Begin non è disposto a cedere nulla ai Palestinesi. Viene finalmente firmato un accordo nel 1979, nel quale Israele si impegna a restituire il Sinai all’Egitto, cosa che farà nel 1981, in cambio della libera circolazione marittima a Suez e negli stretti di Tiran. Questi accordi provocano una grande agitazione nel mondo arabo, tanto che Sadat pagherà con la vita, nel 1981, il coraggio delle sue scelte. Ma il presidente egiziano, con il suo sacrificio, aveva dato il via a un movimento che molti Stati arabi desideravano intraprendere. La causa palestinese contribuiva ad indebolirli e a dissanguarli; le frontiere d’Israele ormai esistevano di fatto e diventava necessario frenare e prendere tempo.
Proteggere il Nord
L’OLP (Organizzazione di Liberazione della Palestina), fondata nel 1960 e diretta, a partire dal 1969, da Yasser Arafat (1929-2004), si era rifugiata nel Libano, dopo aver fallito nel suo insediamento in Giordania (settembre Nero). Il paese dei cedri era però stato destabilizzato dai rifugiati palestinesi, insediatisi nel sud del suo territorio e la nuova situazione porta, come conseguenza, lo scoppio di una guerra civile. Il confronto sul campo si traduce attraverso scontri alla frontiera nord dello Stato ebraico. Nel giugno 1982 Israele lancia l’operazione “Pace in Galilea” e l’esercito ebraico (Tsahal) assedia Beirut. Per reazione, gruppi di sciiti si organizzano, creando una milizia armata, gli Hezbollah. L’esercito israeliano occupa il paese fino al 2000 e poi lo abbandona, trasformando ufficialmente il Golan in un territorio israeliano. Una decisione respinta dall’ONU, ma riconosciuta dagli USA di Donald Trump nel 2019.
Intifada (Rivolta)
Coscienti del fatto di risultare sempre meno sostenuti in campo internazionale, i Palestinesi tentano di indebolire lo Stato ebraico. Essi scatenano un’insurrezione popolare permanente a Gaza, quindi in Cisgiordania, con un movimento che verrà denominato Prima Intifada (1987-1993). La situazione, di fatto, è insostenibile. Hamas, emanazione dei Fratelli Mussulmani, apertamente jihadista, viene fondata nel 1987 e organizza molteplici attentati. Israele viene costretto a venire a patti e a parlamentare con l’OLP, contatti che sfociano negli Accordi di Oslo del 1993. Alla Casa Bianca, con Barak Obama, il laburista Yitzhak Rabin (1922-1995) e Yasser Arafat si scambiano una storica stretta di mano. I due si erano messi d’accordo su una dichiarazione di principio, un’autonomia di cinque anni prima di mettere in opera un’autorità palestinese. Dall’accordo sembrano nascere delle vere speranza di pace. Ma nel seno delle due parti non tutti gli animi erano pronti. L’assassinio di Rabin (1995), da parte di un ebreo estremista, annuncia un nuovo periodo di sangue.
Seconda Intifada (2000-2005)
Nel 2000 Ariel Sharon (1928-2014), capo dell’opposizione di destra (Likud), visita la spianata delle Moschee a Gerusalemme. La sera stessa esplodono nuove violenze, anche perché Gerusalemme costituisce anche la frontiera che, sia Israeliani, sia Palestinesi, vorrebbero strappare alla controparte. La visita di Sharon riafferma al mondo, piuttosto, che gli Israeliani non avrebbero smesso di avanzare verso la realizzazione delle frontiere bibliche e che, quindi, gli Arabi avrebbero continuato a essere spossessati dei loro territori. Ha così inizio la Seconda Intifada, mentre l’esercito israeliano entra in Cisgiordania e lancia una vasta offensiva nel corso del 2002.
Dopo il Libano del 2000, Israele si ritira da Gaza nel corso del 2005, dove vengono organizzate nuove elezioni, che vedono Hamas opporsi al movimento Al Fatah di Arafat. Uno scontro, in definitiva, fra l’anima religiosa (Hamas) e quella politica (Al Fatah). Qualsiasi potere esercitato dai religiosi porta generalmente alla rovina del suo popolo. E la vittoria di Hamas nel 2006 arriva puntualmente a sconvolgere qualsiasi sogno di pace. Al Fatah, espulso da Gaza, ripiega in Cisgiordania, mentre a Gaza si verificano, in successione, tre guerre (2008, 2012 e 2014).
L’esercito israeliano, impegnato in permanenza a sud, subisce anche i tiri di razzi e le incursioni di commandos da parte di Hezbollah dalla frontiera libanese. Israele pensa, a quel punto, di distruggere questa organizzazione finanziata dall’Iran, che aveva acquisito potenza e godeva di largo prestigio e di un ruolo politico nelle popolazioni locali. Hezbollah, vero Stato nello Stato, conta nel parlamento libanese di una decina di deputati. Israele decide di agire, con lo Tsahal, che invade il Libano per la seconda volta nel 2006.
Il ritorno del Likud al potere nel 2009 con Benyamin Netanyahu offre nuova forza al nazionalismo israeliano.
7 ottobre 2023: un muro antropologico
L’espansione di Israele prosegue sempre sulla scia del sogno di ritrovare le frontiere bibliche e il regno di David. Essa si oppone a una realtà ben concreta, l’esistenza di un popolo arabo che ha, anche lui, le sue frontiere storiche di riferimento. Si è creduto un tempo, nel momento degli Accordi di Oslo, che la lotta per le frontiere potesse essere risolta tramite accordi fra le due entità politiche. Ma lo Stato d’Israele riesce a mobilitare forze superiori alle considerazioni politiche. Queste forze sono in primo luogo religiose, perché per gli Ebrei la terra é stata loro donata da Dio e perché i Palestinesi invocano una guerra santa per proteggere le terre dell’islam. Lo scontro fra due popoli, naturalmente comunitari, provoca anche uno scontro etnico. La politica viene necessariamente spazzata via da queste forze mobilitatrici, in quanto essa risulta sempre soggetta alla natura dell’uomo.
La questione delle frontiere statali è ormai diventata secondaria. Il massacro del 7 ottobre 2023 ha terminato di costruire il muro antropologico (diversa valutazione filosofica della natura umana nei riguardi del cosmo, ovvero una diversa consapevolezza di sé stessi), iniziato oltre cento anni fa. L’apertura di Israele ai lavoratori provenienti dalla striscia di Gaza aveva forse aperto la porta a una certa coesistenza. La partecipazione diretta o indiretta di questi stessi lavoratori al massacro del 7 ottobre 2023 ha spazzato tutte queste speranze. Utilizzando la stessa tattica di massacro del FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) algerino, Hamas ha voluto dimostrare che la coabitazione dei due popoli su una stessa terra è impossibile. Poiché l’obiettivo di Hamas rimane sempre in primo luogo la eradicazione degli Ebrei dalla Terra Santa. Nessuna intesa o accordo diventa possibile su queste basi. Israele, ormai in pace con i vicini arabi, affronta oggi uno scontro di civiltà, trappola nella quale lo spingono i movimenti che vogliono soffocare qualsiasi pace e spegnere qualsiasi ipotesi di accordo.