IRENA SENDLER, UNA “GIUSTA FRA I POPOLI”

di Renzo Paternoster -

La storia dell’infermiera che si oppose alla politica razziale di Hitler nel modo più eclatante: organizzando una rete di soccorso per i bambini ebrei del ghetto di Varsavia.

 

Per molti anni dopo la fine della guerra della Seconda Guerra Mondiale la storia ha assegnato una grande considerazione ai movimenti di resistenza armata al nazifascismo, relegando in secondo piano quelli che si occuparono di soccorso ai gruppi perseguitati: la Resistenza era considerata solo quella armata e non anche quella di solidarietà, assistenza e protezione. Tuttavia ci sono stati gruppi e singole persone che hanno contribuito a salvare un grande numero di perseguitati da morte certa. Alcuni di loro sono più conosciuti – si pensi a Oskar Schindler o a Giorgio Perlasca – altri passati in secondo piano. Tra quest’ultimi c’è Irena Stanisława Krzyżanowska, una donna polacca che, rischiando la propria vita, decise di concretizzare la sua solidarietà verso gli ebrei perseguitati dal nazismo, salvando giovanissime vite.

Irena Sendler in divisa da infermiera nel 1944

Irena Sendler in divisa da infermiera nel 1944

Irena nasce a Varsavia nel 1910 da una famiglia cattolica. Suo padre Henryck Krzyzanowska è medico, attivo soprattutto nel prendersi cura gratuitamente di famiglie ebree povere. Per questo, fin da piccola trascorre molto tempo con i suoi coetanei di origine ebrea, riuscendo finanche a imparare lo yiddish, una lingua germanica occidentale parlata dagli ebrei ashkenaziti. Alla morte del padre nel 1917, deceduto dopo aver contratto il tifo assistendo i suoi pazienti durante l’epidemia che ebbe il culmine dal 1917 al 1921, la comunità ebraica offre un sussidio alla famiglia in segno di riconoscenza.
Giovanissima conosce negli ambienti universitari di Varsavia la professoressa Helena Radlińska, fondatrice della pedagogia sociale in Polonia.
Quando è introdotta una regola che segregava gli studenti ebrei nelle scuole e nelle università, Irena per protesta decide di cancellare la parola “ariana” accanto al suo nome sul tesserino universitario e per questo è sospesa a tempo indeterminato. Solo nel 1938 riesce a essere riammessa, laureandosi nel 1939. Subito trova lavoro nei servizi sociali della municipalità di Varsavia.
Con la capitolazione della Polonia, il 28 settembre 1939, iniziarono le persecuzioni della comunità ebraica e circa 350.000 persone, un terzo della popolazione della città di Varsavia, cominciarono a subire ogni sorta di discriminazione.
Irena aderisce al gruppo della professoressa Radlińska che, allontanata dall’Ateneo per essersi opposta alla discriminazione degli studenti ebrei nella sua Università, aveva fondato sia una università segreta sia una rete di resistenza nella quale operano i suoi studenti e i suoi colleghi del Dipartimento dei servizi sociali di Varsavia.
Nel primo autunno dell’occupazione nazista, Irena assieme ad altre tre amiche, Jadwiga Piotrowska, Irka Schultz e Jadwiga Deneka, tutte impiegate presso il Dipartimento per i servizi sociali, decidono di offrire assistenza agli ebrei. Per fare questo, fabbricano centinaia di documenti falsi in cui i cognomi ebraici furono sostituiti da altri meno compromettenti.

Irena Sendler

Irena Sendler

Il 16 ottobre 1940 nella città vecchia è recintato il grande quartiere ebreo di Varsavia. Oltre 400.000 persone iniziano a vivere nel più grande tra i ghetti nazisti in Europa in condizioni igieniche precarie, aggravate dalla mancanza di cibo e medicine. Le epidemie e l’inedia fanno aumentare il tasso di mortalità. L’attività di aiuto di Irena e delle sue tre amiche è così trasferita nel grande ghetto della città.
Per aver accesso, il medico Juliusz Majkowski, responsabile della divisione dei lavori sanitari presso la municipalità di Varsavia, procura i lasciapassare per il controllo epidemico che consentono a Irena, Irka, Jadwiga e Jaga di entrare nel ghetto. Il dottor Juliusz Majkowski verrà per questo deportato ad Auschwitz.
Grazie al controllo epidemico, Irena riesce a introdurre nel grande ghetto cibo, generi di conforto, medicine, vestiti, vaccini. Per confondersi fra la folla, ma anche per solidarietà, Irena porta attaccata sui suoi vestiti la stella di David. Anche altre decine di infermieri, medici e assistenti sociali varcano pericolosamente i posti di blocco per prestare aiuto a quell’umanità violata.
Nel settembre del 1942 Irena aderisce alla nascente organizzazione segreta “Consiglio per l’aiuto agli ebrei” (in linguaggio segreto Żegota), diventando – col nome in codice di Jolanta - responsabile del dipartimento infantile.
Con la decisione dei tedeschi di liquidare il ghetto e deportare in massa gli ebrei nei lager, Irena prende una decisione drastica: trasferire i bambini dal quartiere ebreo in zone sicure.
Irena inizia così a trasferire i bambini con mille sotterfugi: in sacchi, casse, ceste, zaini, spesso sistemati in un furgone di un tecnico del comune che ha sul sedile anteriore un cane addestrato ad abbaiare in presenza di soldati nazisti, così da coprire il pianto dei piccoli. A volte è costretta a utilizzare sonniferi per calmare i bambini o per far credere alle guardie che fossero morti per tifo.
L’aspetto più doloroso e difficile di questa operazione di salvataggio dei bambini è quella di convincere i genitori sia a separarsi dai loro figli, sia ad addestrarli alla nuova vita: “Tu non sei Israel, ma Andrej”, “Non ti chiami Sara, ma Halina”, “Io non sono tua madre, ma la domestica della tua famiglia”, “Zia Jolanta ti porterà dalla tua vera mamma” e così via.
Usciti dal terribile ghetto i bambini sono nascosti in conventi o presso famiglie fidate. A loro è procurato un nuovo documento di identità, stampato dalla signora Helena Szeszko e suo marito Leon. I più piccoli sono anche battezzati in modo da poter ottenere certificati autentici ed esseri trascritti nei registri parrocchiali.
Alla morte di un bambino o una bambina non ebree in un orfanotrofio cattolico, il decesso non è denunciato, in modo tale da trasferire l’identità a qualcuno salvato dal ghetto.
Irena annota meticolosamente su alcuni fogli le vere identità dei bambini salvati con accanto quelle false e i luoghi di rifugio, così da poter restituirli alle famiglie. Questi elenchi sono dapprima conservati in casa, poi infilati in vasetti di vetro e sotterrati sotto un albero di melo nel giardino della sua amica Jaga.
A partire dall’estate 1942 inizia la deportazione in massa verso i lager. Il lavoro di Irena e del suo gruppo diventa ancor più urgente, quindi si intensifica. Nonostante la revoca dei lasciapassare per entrare nel ghetto, molti bambini sono fatti fuggire attraverso la fogna o passando dai tunnel scavati dai più grandi. Irena è sempre lì, fuori dalle imboccature del ghetto, ad aspettarli per portali in salvo.

Il 20 ottobre del 1943 Irena è arrestata dalla Gestapo. Subisce la tortura per tre mesi ma, nonostante questo, non rivela ai nazisti né la sua opera di salvataggio né i nomi dei suoi complici. È condannata a morte e trasferita nel terribile carcere di Pawiak. Il “Consiglio per l’aiuto agli ebrei” riesce tuttavia a corrompere un ufficiale nazista con una grossa somma di denaro e Irena riesce così a salvarsi dalla morte e a fuggire. Poiché è stata ufficialmente fucilata, è costretta alla clandestinità col nome di Klara Dabrowska. Tuttavia questo non le impedisce di continuare a collaborare con Zegota e aiutare gli ebrei.
A causa delle torture subite dai nazisti, che le procurano fratture alle gambe e i piedi, Irena zoppicherà per il resto della vita.
Al termine del conflitto la sua lista, consegnata ai leader della comunità ebraica, permette a molti bambini di scoprire le proprie origini e ritrovare le proprie famiglie (o ciò che restava). Irena riprende quindi il suo lavoro presso i Servizi Sociali di Varsavia, ma ben presto è perseguitata anche dai Servizi di Sicurezza della Polonia comunista. Nel 1949 è infatti arrestata e brutalmente interrogata, perché sospettata di collaborare con il governo polacco in esilio. Nel carcere dove è rinchiusa perde un bambino nato prematuramente.
Irena Sendler muore il 12 maggio 2008 a 98 anni in una casa di riposo.

La tomba nel cimitero di Varsavia

La tomba nel cimitero di Varsavia

Sono sicuramente almeno duemilacinquecento i bambini salvati da morte certa da Irena. La più piccola è Elżbieta Ficowska strappata dal ghetto di Varsavia a soli sei mesi di vita. Elzbieta è portata via da Irena nascosta in una scatola di legno bucata, accanto a un carico di mattoni e sotto l’effetto di sedativi per non farla piangere. È data in adozione a Stanisława Bussoldowa, un’ostetrica stretta collaboratrice della Sendler e molto attiva nel ghetto nell’aiutare le donne ebree a partorire all’interno del quartiere ebraico.
Irena per molti anni ha vissuto nell’anonimato, conservando il segreto della sua attività eroica. Solo nel 1965, grazie all’informazione di alcuni ex bambini ebrei, l’istituto di Yad Vashem (l’ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele) le ha conferito la sua più alta onorificenza: la Medaglia di “Giusto fra le Nazioni”. In questa occasione il governo comunista polacco le ha permesso di uscire dal Paese per ricevere il riconoscimento in Israele.
Nel 1983 è stato piantato un albero che porta il suo nome nel “Giardino dei Giusti del Mondo” a Gerusalemme e nel 1991 riceve la cittadinanza onoraria di Israele.
Nel 1999 in un liceo di Uniontown, nel Kansas il professore di storia Norman Conrad fa leggere a tre sue studentesse un breve articolo che parla di una donna polacca che aveva salvato duemilacinquecento bambini ebrei. Le ragazze si appassionano alla storia e ne fanno uno spettacolo teatrale intitolato Life in a jar (“La vita in un barattolo”). Il titolo è ispirato alla maniera in cui Irena conservava i nomi dei bambini salvati, interrandoli sotto un melo del giardino, chiusi appunto in un barattolo di vetro. Le tre ragazze cercano Irena, la trovano, le scrivono e poi vanno in Polonia per incontrarla. Il loro spettacolo teatrale della scuola diventa un progetto, The Irena Sendler Project, che non solo porta in giro per gli States la rappresentazione teatrale, ma che pubblica un libro e un DVD in cui le esperienze delle tre ragazze di Uniontown si mescolano sia con i ricordi di Irena sia con le testimonianze dei sopravvissuti e delle sopravvissute. Grazie a queste tre ragazze la coraggiosa storia di Irena “Jolanta” Sendler arriva a un pubblico più vasto. Da allora Irena ha ispirato vari libri, documentari e film, tra cui The corageous heart of Irena Sendler del 2009, interpretato dall’attrice premio Oscar Anna Paquin.
Nel 2006 l’associazione Dzieci Holocaustu (Figli dell’Olocausto), in collaborazione con il Ministero degli Esteri israeliano ha dato vita al “Premio Irena Sendler”, per aver reso migliore il mondo. Nel 2007 Irena è anche candidata al Premio Nobel per la pace.
Nel 2007 l’allora Presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczyński, avanza la proposta al Senato di proclamare Irena eroe nazionale. La proposta è votata all’unanimità. Il giorno del riconoscimento Irena non ha potuto lasciare la casa di riposo per via delle sue precarie condizioni di salute, tuttavia fa sentire la sua presenza attraverso una dichiarazione letta in pubblico da Elżbieta Ficowska: «Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria. Non siamo una specie di eroi. Al contrario, ho ancora i rimorsi di coscienza per aver fatto troppo poco». La sua modestia nella eccezionalità della sua vita, la rendono una donna straordinaria.
Nel 2003 papa Giovanni Paolo II le invia una lettera personale, elogiandola per i suoi sforzi nella resistenza polacca e nel salvare piccole vite. Il 10 ottobre 2003 le è conferita la più altra decorazione civile e militare della Polonia: l’Ordine dell’Aquila Bianca (Order Orła Białego) e il Premio Jan Karski “per il Coraggio e il Cuore”.

Per saperne di più
A. Mieszkowska, Matka dzieci Holokaustu. Historia Ireny Sendlerowej, Literackie Muza, Warszawa, 2004 (trad. it. Nome in codice: «Jolanta». L’incredibile storia di Irena Sendler, la donna che salvò 2500 bambini dall’Olocausto, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 2009).
R.L. Fishkin, Heroes of the Holocaust, Compass, Mankato (Minnesota) 2011.
J. Mayer, Life in a Jar. The Irena Sendler Project, Long Trail Press, Middlebury (Vermont) 2011.
S. Cerri, Irena Sendler, la vita dentro un barattolo, David and Matthaus, Tavernelle (Pesaro Urbino) 2014, ora 2018.
T.J. Mazzeo, Irena’s Children : The Extraordinary Story of the Woman Who Saved 2,500 Children from the Ghetto, Gallery, New York 2016.
R. Giordano, Irena Sendler. La terza madre del ghetto di Varsavia, Nuvole di Ardesia, Casoria (Napoli) 2017.