INFORMATICA E RIVOLUZIONE DIGITALE: IL SOFT POWER USA

di Max Trimurti -

 

Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft: queste aziende sembrano costituire uno degli elementi di potenza del braccio armato del Soft Power e dell’espansionismo americani.

La potenza e la ricchezza di alcune imprese americane, che operano nelle nuove tecnologie sfidano gli Stati di tutto il mondo. L’acronimo GAFAM designa le più grandi fra loro: Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. E l’elenco potrebbe essere allungato con Netflix, Tesla, Airbnb (azienda di servizi on demand) e Uber (azienda trasporti on demand) o ancora Zoom video communications, software di riunioni in linea che ha conosciuto una crescita quasi esponenziale a seguito della pandemia da Covid 19.
E’ un piccolo numero di imprese che controlla il mondo digitale, dall’informatica personale apparsa nel corso degli anni ‘80 (i primi personal computer vengono messi sul mercato nel 1977) fino alle reti social, passando per le vendita on line, la musica, il cinema e altri settori in grande crescita, come l’intelligenza artificiale (in questo campo, l’impresa americana Nvidia è al 20° posto tra le imprese più valorizzate in Borsa) o la gestione dei dati (Oracle è 49°).
Le cifre di questo dominio sono schiaccianti [1]. Google, creata nel 1998 da Larry Page e Sergey Brin gestisce già dall’anno successivo 500 mila richieste al giorno, una cifra salita oggi a 6,9 miliardi (80 mila al secondo!). L’impresa che ottiene il 96% dei ricavi dalla pubblicità e gestisce il motore di ricerca più diffuso oggi possiede circa il 90% del mercato mondiale delle richieste. Possiede ReCaptcha (software di verifica), Waze (applicazione di navigazione stradale per dispositivi mobili), DoubleClick (società di servizi internet), YouTube (condivisione e visualizzazione in rete di contenuti audiovisivi) e Android (sistema operativo per dispositivi smartphone e tablet).
Apple, nata nel 1976 per opera di Steve Jobs, è stata, da parte sua, uno degli attori principali dello sviluppo dell’informatica personale negli anni ‘80, prima di investire nel settore della musica on line, campo in cui si è imposta a partire del 2003 con il lancio di iTunes Music Store, quindi nel mercato degli smarphone, con il lancio degli iPhone nel 2007. Nel 2018 la sua capitalizzazione in Borsa aveva raggiunto i mille miliardi di dollari, ovvero l’equivalente del PIL dell’Indonesia, un fatto senza precedenti nell’industria privata; nell’agosto 2020 è arrivata a superare i 2 mila miliardi, ovvero l’equivalente del PIL della Francia. L’81% dei suoi ricavi derivano dalla fabbricazione di hardware.
Facebook, rete social creata nel 2004 da Mark Zuckerberg e altri, posseduta e gestita dalla società Meta Platforms (denominazione assunta dal 2021), ha raggiunto la cifra di 1,8 miliardi di utilizzatori quotidiani attivi nel 2020, di cui più di 20 milioni in Italia e circa 2,7 miliardi di utilizzatori attivi mensili. Possiede il social Istagram (2010: servizio di rete sociale con video contenuti), WhatsApp (messaggistica istantanea) e Oculus Rift (realtà virtuale). Il 98% del suo fatturato deriva dalla pubblicità. Oggi Facebook è la più importante fra le reti social, che, seguendo il suo esempio pioniere, si sono moltiplicate, come Twitter (2006: servizio di notizie e microblogging), Tumbir (2007: social network, microblogging) o ancora.
Amazon, creata nel 1994, è il quarto gigante di Internet. Essa è diventata, nel giro di pochi anni, un supermercato mondiale. Nel 2019 negli Stati Uniti gestiva circa il 45% del commercio on line; nel 2021 gestisce il 20% di quello mondiale. La sua crescita si è accelerata con la pandemia da Covid 19: nel secondo trimestre del 2020 Amazon ha progredito in tutti i paesi d’Europa raggiungendo più ampie quote di mercato a seconda dei prodotti, che vanno dal 14% dei prodotti alimentari al 65% di elettronica ed elettrodomestici. In certi paesi, questa proporzione è ancora più elevata: negli Stati Uniti Amazon gestisce il 75% del mercato dei libri elettronici (2018) mentre l’82% del suo fatturato totale deriva dal commercio on line. Il suo fondatore, Jeff Bezos, è l’uomo più ricco del mondo.
Microsoft, creata da Bill Gates e Paul Gardner Allen, è oggi il leader mondiale del settore dei computer e dei sistemi di gestione (sistemi operativi e cloud computing), con una quota di mercato stimata al 90%, ma è ugualmente presente in settori quali i motori di ricerca, le reti social o i videogiochi. Il 62% del suo fatturato deriva dalla realizzazione di software. Possiede Hotmail (Outlook.com, gestione posta elettronica), Nokia Devices & Services (smartphone), Skype (software per messaggistica e VoIP), LinkedIn (social di contatti professionali), GitHub (software), Activision Blizzard (videogiochi).
Il GAFAM nella realtà non sarebbe altro che l’albero che nasconde la foresta: dietro di esso esiste infatti un insieme di imprese americane, per la maggior parte insediate nella Silicon Valley, in California. Non solo le aziende del GAFAM dominano i loro rispettivi settori, ma estendono il loro raggio d’azione continuando, in tal modo, a dettare le regole del gioco, proprio come Amazon, che, nel maggio del 2021 ha acquistato la MGM (Metro Goldwin Mayer) e il suo catalogo di oltre 4 mila film, messi a disposizione dei clienti del servizio Amazon Prime; Amazon ha anche acquisito i diritti di diffusione degli incontri sportivi (torneo di tennis di Parigi, Premier Leage in Inghilterra, ecc).

Seri concorrenti in Asia

Questo fenomeno di dominio non è una novità: è paragonabile a quello che ha avuto luogo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo quando le aziende americane hanno acquisito una posizione emergente nel settore del petrolio e dei lubrificanti (Standard Oil), dei prodotti di consumo (Ford con l’automobile, Gillette con i rasoi…) o della cultura (Hollywood, con il cinema, Columbia, con il fonografo). Per un certo verso il GAFAM non fa altro che proseguire un processo di americanizzazione del mondo, nel quale la proiezione internazionale delle aziende statunitensi ha giocato un ruolo fondamentale nell’esportazione dei prodotti e delle loro pratiche in numerosi paesi del mondo. Una tale affermazione sembra avere, a prima vista, la forza dell’evidenza oltre a una certa parte di verità. Ma la situazione effettiva non è poi così semplice da definire.
In effetti, se il GAFAM ha dominato la rivoluzione numerica ai suoi inizi, il paesaggio industriale ha subito cambiamenti a partire dal secondo decennio del nuovo millennio e se gli USA risultano ancora in posizione dominante sarebbe esagerato dire che posseggono una posizione egemonica. Di fatto, se di egemonia di tratta, essa si limita, se si può dire, ai continenti americano ed europeo. In Africa e in Asia la situazione appare molto meno chiara, non solo perché le statistiche sono meno affidabili, se non inesistenti, ma anche perché in tale aree esistono dei concorrenti di rilievo.
Basta vedere il motore di ricerca Google. La sua parte di mercato di richieste è trascurabile in Cina, dove non supera il 2% nel 2021. Il mercato cinese, il più dinamico del mondo, è dominato da altri motori, come Baidu, che gestisce il 70% delle richieste.
Occorre ugualmente notare che in Russia Google non gode di una posizione egemonica, poiché il motore di ricerca russo Yandex N.V. occupava già il 54% del mercato delle richieste nel 2018.
La situazione è la stessa nel mercato della musica on line e dei servizi di streaming, dove gli americani non sono più i soli. Le piattaforme di Apple, YouTube o Amazon devono effettivamente fronteggiare una agguerrita concorrenza da parte della svedese Spotify, che domina il mercato mondiale del servizio musicale nel 2020 (155 milioni di abbonati paganti contro i 60 milioni per Apple music), ma anche da parte di altri, ben consolidati nei loro rispettivi paesi d’origine, come i Cinesi di QQ Music, Kugou e Kuwo, o ancora gli Indiani di Gaana e JioSaavn. Occorre aggiungere altri mercati dove le imprese americani stanno affrontando una forte concorrenza, come in Medio Oriente (con la piattaforma Anghami), in Africa (con Boomplay Music), o ancora in Corea del Sud (MelOn) e in Francia (Deezer, streaming multimediale).
Sul mercato degli smartphone, Apple ha perduto il primo posto nel 2016, a vantaggio del colosso sud coreano Samsung, che realizza il 22% delle vendite mondiali nel primo trimestre del 2021, contro il 15% di Apple e il 14% della cinese Xiaomi. Infine, se Amazon risulta al primo posto sul mercato mondiale del commercio on line, Alibaba domina un mercato cinese in piena espansione e altri attori regionali superano Amazon in determinate aree geografiche, come Jumia in Africa, ma anche l’argentina MercadoLibre in America latina, o ancora l’impresa di Singapore Shopee, che regna sul sud-Est Asiatico.
Se si ragione su scala mondiale, appare evidente che, al di fuori dell’Europa, i giganti dei GAFAM hanno concorrenti agguerriti, in primo luogo i cinesi di Baidu, Alibaba, Tencent (Facebook cinese) e Xiaomi, che hanno anche loro un acronimo: BATX (Baidu, Alibaba, Tencent, and Xiaomi). L’egemonia delle imprese americane nel mercato digitale sembra piuttosto rivelare l’incapacità europea di mettere in piedi aziende dello stesso calibro per poter concorrere nei rispettivi mercati.

Il ritorno della Stato

La potenza del GAFAM non deve peraltro essere sottovalutata. Essa è considerevole e pone due grandi problemi agli Stati.
In primo luogo nel campo economico, dove la posizione dominante ha finito per preoccupare i governi, negli Stati Uniti ma anche in Europa: negli ultimi anni sono stati avviati procedimenti per esaminare il modo con il quale le imprese del GAFAM hanno acquisito le start up suscettibili di diventare loro concorrenti. Negli Stati Uniti la commissione antitrust della Camera dei Rappresentanti ha emanato nell’ottobre del 2020 un rapporto nel quale suggerisce lo smantellamento del GAFAM. Parallelamente, dalla fine del 2020, tali tipo di procedimenti si sono moltiplicati contro Apple, Google, Amazon e Facebook, da parte di alcuni Stati federali americani o anche dal Regno Unito e tutte le volte per abuso di posizione dominante. Il Procuratore del Distretto di Columbia ha lanciato nel maggio 2021 il primo procedimento giudiziario contro Amazon per la stessa ragione. L’Unione Europea e l’Australia si sono lanciati in una battaglia legislativa per costringere i giganti della big tech a remunerare i giornali o gli editori di cui utilizzano i contenuti.
Questi procedimenti giuridici evidenziano e documentano la reazione degli Stati di fronte alla potenza delle imprese. Si sta verificando uno scontento crescente nei confronti delle strategie di ottimizzazione fiscale dei GAFAM, che ha consentito a queste aziende di incassare profitti colossali.
Da questo punto di vista, la pandemia di Covid 19 ha forse marcato una accelerazione della presa di coscienza: i profitti realizzati da alcune imprese appaiono non corretti a fronte delle spese gigantesche degli Stati per impedire il crollo dell’economia mondiale. Se il GAFAM hanno conosciuto durante i primi venti anni del terzo millennio una situazione molto favorevole, la tendenza è probabilmente arrivata al punto di inversione, com’è attestato dal principio adottato nel giugno 2021, da parte del G7, di una tassazione internazionale del 15%.

Metodi aggressivi

Il secondo problema di rilievo posto dalla loro potenza è di ordine etico, ma anche politico, a causa della quantità considerevole di dati personali posseduti da queste imprese. Anche in questo caso interpretare il GAFAM come il possibile braccio armato dell’imperialismo economico americano costituisce una visione semplicista del problema. Questo è quello che evidenzia l’affare Cambridge Analitica, scoppiato nel 2018: tale società, fondata dai rappresentanti della destra conservatrice americana, ha sfruttato i dati personali di diverse decine di milioni di utenti di Facebook al fine di diffondere sui social messaggi favorevoli alla Brexit e all’elezione di Donald Trump. A tutto questo si aggiunga la possibile interferenza della Russia nell’elezione presidenziale del 2016 attraverso le reti social.
Le ripercussioni sono quindi anche di ordine geopolitico. In effetti, nel marzo 2018, l’amministrazione Trump ha votato il Cloud Act, che ha attribuito al governo degli Stati Uniti il diritto all’accesso ai dati conservati dal GAFAM riguardanti le imprese e gli individui in ogni parte del mondo. Questa legge extraterritoriale apre la strada allo sfruttamento di tali dati da parte del governo federale ai fini della sicurezza nazionale. La Russia, a riguardo, non è rimasta a guardare e ha reagito facendo rimpatriare la totalità dei suoi dati e servizi nei server impiantati sul suo territorio.
Il GAFAM è però solo una parte del Soft Power statunitense [2]. Se il suo successo dipende dalle innovazioni tecniche che esso ha saputo trasformare in prodotti attrattivi, i suoi metodi commerciali aggressivi e il sostegno sistematico ricevuto dal governo americano nella sua internazionalizzazione (gli Stati Uniti si sono lungamente opposti a qualsiasi tassazione, specie da parte dei paesi europei) evidenziano la sua dipendenza dall’Hard Power USA [3]. La potenza del GAFAM costituisce solo una componente della potenza economica politica e culturale americana. Come tutti i poteri, anche questo non può superare certi limiti: è dunque necessario una azione di controllo e di regolazione per evitare che diventi incontrollabile. Questo è forse una delle maggiori sfide mondiali dei prossimi decenni.

Note

[1] GAFAM: Nel suo insieme il suo valore in Borsa costituisce l’equivalente del 3° PIL mondiale, con un importo complessivo di 8.900 miliardi di Dollari USA (dati 2022), dopo USA (22 mila miliardi di Dollari) e CINA (17.800 miliardi di Dollari). Dietro il GAFAM seguono il Giappone (5.400 miliardi), la Germania (4.300 miliardi), il Regno Unito (3.100 miliardi) e l’India (3 mila miliardi).
[2] Soft Power, La sua nozione è stata definita nel 1990 politologo ed uomo politico americano Joseph Samuel Nye, già decano della John F. Kennedy School of Government presso la Harvard University, come: “Arte di convincere gli altri formulando idee attrattive, ad esempio attraverso la cultura (cinema, scambi universitari, ecc.), e non imponendosi per mezzo della forza bruta”. Il termine designa una strategia destinata a legittimare la politica estera USA nel mondo post Guerra Fredda. Il Soft Power, come molti tendono a pensare, non può funzionare indipendentemente dall’Hard Power (la politica di potenza basata sull’intimidazione, sia essa militare, diplomatica o economica). In tale contesto, poiché il successo del GAFAM dipende molto dagli aiuti ricevuti dal governo americano, porta a pensare che il GAFAM sia uno dei tanti strumenti del Soft Power USA nel contesto di una strategia politica del governo americano.
[3] Hard Power. Nell’ambito delle relazioni internazionali, con la locuzione Hard power (potere duro o potere coercitivo) si intende l’utilizzo del potere militare ed economico da parte di uno Stato o governo per influenzare il comportamento di altri enti politici. Questa forma di potere di solito è aggressiva ed è molto più efficace quando viene imposta da un governo o uno Stato che ha più potere economico-militare di un altro. L’Hard Power è l’opposto del concetto di Soft Power, che invece punta a influenzare gli altri enti politici tramite strumenti non militari o economici, come diplomazia, cultura e storia (da Wikipedia).