INFLUENZA SPAGNOLA: LA GRANDE PANDEMIA DEL 1918

di Renzo Paternoster -

 

 

Dal 1918, e per due anni, la terribile “influenza spagnola” devastò il mondo, senza risparmiare luoghi remoti come l’Alaska. La pandemia colpì soprattutto i più giovani, la generazione tra i 18 e i 29 anni di età, quella considerata più forte. Nonostante l’entità della tragedia, le conseguenze dell’influenza spagnola sono rimaste a lungo in secondo piano rispetto alla tragedia della Prima Guerra Mondiale.

 

Le raccomandazioni della Croce Rossa

Le raccomandazioni della Croce Rossa

A marzo del 1918, nel campo di addestramento militare di Fuston in Kansas, è registrato il primo caso di una terribile influenza chiamata “spagnola”.
La mattina dell’8 marzo il cuoco militare Albert Gitchell si presenta in infermeria lamentando mal di testa, dolori alla gola e febbre. Nel giro di poche ore numerosi suoi commilitoni mostrano i sintomi della stessa patologia. Nelle settimane seguenti il numero dei soldati di Forte Fuston con gli stessi sintomi lievita notevolmente.
Con l’arrivo delle truppe statunitensi in Europa per combattere sui fronti della Prima Guerra Mondiale, il virus è probabilmente esportato. Gli accampamenti affollati e le malsane trincee diventano terreno fertile per l’agente patogeno. Scoppia così la prima ondata della pandemia da influenza spagnola in Europa.
Dal vecchio continente, il virus marcia spedito arrivando a maggio in Russia e da qui in Asia, colpendo per prime la Cina e l’India, poi a partire da giugno il Giappone. Successivamente tocca all’Australia, e verso la fine dell’anno il contagio dilaga in America del Sud e Africa (specialmente Sudafrica e Kenya). Il virus non risparmia neppure le zone più remote del nostro pianeta, colpendo il 40% della scarsa popolazione di Bristol Bay in Alaska.
In Italia, il primo allarme è lanciato a fine settembre del 1918: a Sossano (Vicenza), il capitano medico dirigente del Servizio sanitario del secondo gruppo reparti d’assalto invitò il sindaco a chiudere le scuole per una sospetta epidemia di tifo.
La malattia che flagellò in nostro pianeta tra il 1918 e il 1919 fu chiamata erroneamente “influenza spagnola”.
Una curiosità sul termine influenza: il nome influenza allude alla puntualità di una malattia che si presenta nei mesi freddi di ogni anno. Il termine medico “influenza” è utilizzato dunque per identificare la malattia stagionale invernale e deriva dalla locuzione medievale ab occulta coeli influentia, ossia una congiunzione astrale sfavorevole, come a dire che gli antichi, non sapendo dei virus, pensavano che ce la mandasse il cielo nella stagione fredda.

Malati in un ricovero di fortuna a San Francisco

Malati in un ricovero di fortuna a San Francisco

Il nostro pianeta ha conosciuto molte epidemie e pandemie, tra cui la peste di Atene (430 a.C.) la peste Antonina (165-180 d.C.), la peste di Giustiniano (541 d.C.), la Peste nera (1347), l’epidemia di tifo (dal 1489) e di colera (dal 1816) arrivando all’attuale pandemia da SARS Coronavirus, passando per la cosiddetta influenza spagnola (1918-1920) e poi dall’influenza asiatica (1957-1958), l’influenza di Hong Kong (1968-1969), l’epidemia di HIV/AIDS (dal 1981), l’influenza suina A H1N1 (2009-2010).
Se nell’antichità le influenze ebbero per lo più un andamento epidemico (con il termine epidemia si intende la manifestazione frequente e localizzata e limitata nel tempo di una malattia infettiva, con una trasmissione diffusa del virus), con il procedere della mobilità delle popolazioni i virus possono infettare a livello globale assumendo un carattere pandemico (la pandemia è la diffusione di una malattia in più continenti o comunque in vaste aree del mondo).
Responsabile della pandemia da influenza spagnola è il virus RNA H1N1 (lo stesso del Coronavirus del nostro tempo), un agente patogeno con una incredibile “astuzia biologica”, poiché capace di evitare le risposte del sistema immunitario. L’influenza, infatti, non è la diretta responsabile del tasso di mortalità: i decessi sono provocati dalle infezioni batteriche che aggrediscono i pazienti influenzati. Le perdite di sangue dal naso e dalla bocca, dovute alle complicazioni polmonari, fuorviarono molti medici. Per molti la causa di morte è stata proprio l’emorragia polmonare, ma nella stragrande maggioranza la causa dei decessi è stata una polmonite batterica secondaria (come avviene in molte influenze).
Nel numero del 15 giugno 1919 il professor Polettini descrive i reperti di cinquanta autopsie eseguite all’Università di Pisa tra settembre e ottobre dell’anno prima. Si trattava in quaranta casi di individui giovani, in gran parte militari, cinque giovani donne in gravidanza e cinque persone più adulte. Si legge nel referto del professor Polettini: presenza di petecchie emorragiche (una ridotta macchia cutanea, piatta e rotonda, conseguenza di una piccola emorragia) alla cute del collo e sul torace; iperemia (aumento del flusso sanguigno) dell’encefalo e del midollo spinale; il cuore non mostrava segni particolari, a parte qualche petecchia epicardica; petecchie su tutta la superficie pleurica (la pleura è una membrana che riveste i due polmoni), entrambi i polmoni presentano una diffusa “epatizzazione” (alterazione del parenchima, ossia del tessuto che esplica le funzioni vitali specifiche del polmone) con presenza di aree emorragiche alternate ad aree più grigie ed epatizzate, talvolta purulente. I bronchi si presentavano di aspetto di colorito rosso carico e a tratti purulento. Dunque era il reperto polmonare a essere più significativo.
Le prime terapie utilizzate per curare questa influenza utilizzano il Fenazone per abbassare la febbre, la tintura di Noce vomica per stimolare il sistema nervoso ed estratti dalla pianta Digitale per sostenere il cuore. L’uso dell’aspirina, inventata da poco, non è stato sostenuto da molti medici del tempo, perché pur abbassando la febbre, favoriva complicazioni ai polmoni e al cuore.

Le precauzioni a Milano: la malattia è definita non grave

Le precauzioni a Milano: la malattia è definita a “bassa mortalità”

Sottovalutata agli esordi dalla medicina ufficiale perché considerata come un forte raffreddore, quindi con pochi giorni a letto, la pandemia registrò la cifra di oltre un miliardo di contagiati con 50 milioni di decessi (qualcuno arriva a sostenere che i decessi furono di più considerando la mancanza di statistiche sanitarie di molti Paesi “poveri” dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica).
In Italia a essere contagiati furono circa 4,5 milioni di persone, facendo registrare uno dei più alti tassi di mortalità in assoluto, secondo solo a quello russo.
L’inesperienza della medicina ad affrontare questa pandemia è racchiusa in una testimonianza tratta dal diario del soldato Silvio Piani di Imola (BO), 7° Reggimento Alpini Belluno: «Dopo un paio di settimane mi è venuta la febbre, eravamo in 2, ci anno portato alospedale da campo n° 305. Si anno messo nella camera mortuaria. Perché cera fuori della febbre che si moriva in 2 giorni. Una rete senza materazzo con uno sporco cusino senza federa, e poi ci anno chiusi dentro a chiave. A me la febbre mi stava passando, ma al mio povero amico ci omemtava. Alla notte mi chiamava che voleva un po’ daqua, eravamo senza luce, o provato di acendere fiammiferi per vedere se ce nera, non ne ò trovato, o provato a batere nella porta ma nessuno mi a risposto. Ci sono andato li vicino e poi ciò detto – aqua non ce né – . Lui mi a risposto – adesso chiamo mamma – Dopo circa unora non a più detto nulla. Mi a fatto tanto piangere, era un mio amico, della mia classe di 19 anni. Quando alla mattina sono venuti à aprire la porta anno preso su il morto e poi sono andati a sepelirlo. Io senza dire nulla sono scapato e poi guardavo dietro che avevo paura che mi venissero a prendere. Il mio reparto era distante 2 chilometri, o fatto tutta una corsa. Alla mattina dopo sono tornato in trincea». [citato da A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni].
La prima ondata durò da marzo a luglio 1918. Alla fine dell’agosto avvenne una seconda ondata, peggiore della prima. In estate sembrò in via di esaurimento, ma da settembre riprese ferocemente. La fine globale della pandemia arrivò nel 1920, anche se il virus ― come abbiamo imparato a nostre spese ― non è mai scomparso del tutto.
Le misure per circoscrivere la pandemia suonano oggi a noi familiari: chiusura delle scuole e degli spazi pubblici (come teatri, parchi e luoghi di culto) per evitare assembramenti, creazioni di cordoni sanitari, isolamento per chi era sospettato di essere contagiato, disinfezione continua dei pochi luoghi pubblici rimasti aperti (specialmente i posti telefonici), uso di mascherine (negli USA era prevista una multa di 100 dollari per chi non indossava una mascherina).
Un aspetto che caratterizzò questa epidemia è stata quella di colpire soprattutto i giovani, maggiormente i soldati al fronte. Per chiarire il perché è utile una breve spiegazione di virologia. In un virus è importante la sua contagiosità, ossia l’abilità di diffondersi, e la sua letalità, ovvero la capacità di provocare la morte. Nel caso della “spagnola”, la contagiosità dipende dalle proteine sulla superficie del virus, perché sono quelle che si attaccano alle vie respiratorie; la letalità è invece in rapporto a quanto il virus è capace di scendere nei polmoni, provocando polmoniti emorragiche, oppure di rendere vulnerabili l’organo essenziale per la respirazione a batteri a loro volta causa di polmonite. Quasi sicuramente, al momento della pandemia da influenza spagnola la popolazione più adulta aveva conosciuto epidemie precedenti da altri virus di tipo H1N1 meno letali, quindi era protetta da anticorpi, mentre i giovani no.

Passeggeri con mascherina in un tram negli Stati Uniti

L’uso della mascherina in un tram negli Stati Uniti

Allora come oggi, credenze e criteri non scientifici iniziarono a diffondersi ostacolando l’arginare della pandemia. Tra queste ci sono quelle espresse dal vescovo di Zamora, città situata nel nord-est della Spagna, e dal cardinale di Madrid.
Il primo affermava non solo che la malattia fosse dovuta “ai nostri peccati, a causa dei quali si è abbattuto il braccio vendicatore della giustizia eterna”, ma anche che la chiusura delle chiese nascondesse una volontà anticlericale e che l’unico modo per dimostrare la forza dei cristiani fosse quello di organizzare una grande e affollata Messa. Il secondo, invece, non osò annullare i festeggiamenti di San Isidro, patrono di Madrid. La conseguenza per gli spagnoli non tardò ad arrivare e pochi giorni dopo i due eventi moltissima gente iniziò a manifestare i sintomi dell’influenza da virus RNA H1N1. Il diffondersi dell’epidemia divenne incontrollabile.
I giornali spagnoli, liberi dalla censura militare imposta dagli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale (questo per la neutralità della Spagna nel conflitto mondiale), amplificarono una notizia diramata dall’Agenzia giornalistica iberica Fabra nel maggio del 1918 divulgando la notizia che arrivò dapprima nel resto dell’Europa, poi altrove. L’influenza è così battezzata “la spagnola”. A dire il vero inizialmente la pandemia fu battezzata con diversi nomi, ad esempio in Africa venne chiamata “brasiliana”, in Sudamerica “tedesca”, al nord dell’Europa “influenza del sud”, nell’Asia meridionale “cinese”. Solo quando si comprese che era una pandemia a livello globale si adottò il nome “spagnola”, grazie appunto alla grande copertura mediatica dei giornali spagnoli.
La “spagnola” non risparmiò nessuno e molti furono gli illustri infettati. A morire per questo virus ricordiamo lo scrittore lo scrittore Federigo Tozzi, i pittori austriaci Gustav Klimt ed Egon Schiele, il poeta francese Guillaume Apollinaire, il drammaturgo Edmond Rostand, i veggenti di Fatima Francisco Marto e Jacinta Marto, l’aristocratico Umberto di Savoia-Aosta, il presidente del Brasile Francisco de Paula Rodrigues Alves, il principe di Svezia Erik Gustaf Louis Albert Bernadotte, il rivoluzionario russo Jakov Michajlovič Sverdlov. Il sociologo tedesco Max Weber fu uno degli ultimi illustri a morire per questa influenza, probabilmente fu contagiato a Versailles, dove era tra i delegati della Germania per la firma del trattato di pace, spirando a Monaco di Baviera il 14 giugno 1920.
Tra i guariti celebri ci sono il sovrano Alfonso XIII di Spagna, il futuro presidente Franklin Delano Roosevelt, i romanzieri americani Ernest Hemingway e John Dos Passos, il produttore cinematografico statunitense Walt Disney, il romanziere Frank Kafka, l’etiope Tafari Maconnen, che nel 1930 diventerà “negus neghesti” (imperatore) d’Etiopia col nome di Hailé Selassiè.
Un caso anomalo durante questa pandemia per infetti e decessi è stato quello di una cittadina del Colorado: Gunnison. Quando iniziarono ad arrivare le prime notizie riguardo l’influenza, le autorità locali di Gunnison decisero di adottatore un rimedio ferreo: l’autoquarantena. Appurato l’assenza di contagiati, l’intero paese fu isolato, tutte le vie d’ingresso alla città furono barricate e pattugliate da uomini armati, la stazione ferroviaria bloccata, tutti i cittadini obbligati a restare in casa e consumare quello che avevano nella dispensa, nessuno poteva recarsi nei campi: chi disubbidiva era posto agli arresti. Il Natale di quell’anno non fu celebrato né in chiesa né in pranzi allargati. Dopo quattro mesi di blocco totale, il 5 febbraio del 1919 tutte le restrizioni furono abbandonate poiché le riserve alimentari nelle famiglie andavano esaurendosi e doveva iniziare il lavoro nei campi. Il virus si prese subito la sua rivincita facendo nel giro di pochi giorni uccidendo quattro giovani che erano tornati a lavoro.

Per saperne di più
S.A., Gunnison: case study, «Center for the History of Medicine», http://chm.med.umich.edu/research/1918-influenza-escape-communities/gunnison/
T.M. Tumpey, C.F. Basler, P.V. Aguilar et al., Characterization of the reconstructed 1918 Spanish influenza pandemic virus, «Science», 310, 2005, pp. 77-80.
S. Sabbatani, S. Fiorino, La pandemia influenzale “spagnola”, «Le Infezioni in Medicina», n. 4, 2007, pp. 272-285.
S.A., Influenza A H1N1: dal virus alla pandemia, «Agenzia del farmaco», XVI N.3 2009, http://www.agenziafarmaco.gov.it/allegati/bif3_09_aggiornamenti.pdf
A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie, Mondadori, Milano 2018.
L. Spinney, Pale Rider. The Spanish Flu of 1918 and How it Changed the World, Random House, New York 2017 (trad. it. 1918 L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo, Marsilio, Venezia 2018).
S. Cunha Ujvari, A História e suas epidemias. A convivéncia do homem com os microorganismos, Editora Senac Rio, Rio de Janeiro 2003, trad. it., Storia delle epidemie, Odoya, Città di Castello (Pg) 2020.