INDONESIA, UN GIGANTE INVISIBILE TRA ASIA E OCEANIA

di Max Trimurti -

Quarta nazione più popolata del pianeta e più grande paese musulmano al Mondo, l’Indonesia è stata a lungo invisibile sullo scacchiere internazionale. Per la sua storia e la sua geografia – una miriade di isole estese su oltre 5000 km da est a ovest e 2000 km da nord a sud – occupa una posizione di grande interesse strategico tra Asia e Oceania.

La sua posizione ai margini del concerto delle nazioni risponde a una scelta definita a partire dall’indipendenza, proclamata il 17 agosto 1945. L’Indonesia risulta, a quel tempo, il primo paese del sud ad affrancarsi dalla colonizzazione, così come è stato uno dei primi a scatenare una terribile sollevazione nazionale anticoloniale, la guerra di Giava (1825-1830). Si comprende da quel momento il senso della formula di Mohammad Hatta, nel suo discorso del 1948 “navigare fra due scogli”, che rappresenta il DNA della politica del nuovo Stato. L’Indonesia si tiene a distanza dalle grandi potenze, preservando gelosamente la sua indipendenza, al di fuori dei blocchi che si costituiscono con la Guerra fredda. Il paese diventa, con l’India, la guida del Movimento dei non allineati; la Conferenza di Bandung (1955), riunisce intorno a Sukarno, i padri fondatori del Movimento come Nehru, Nasser, Tito, Zhu Enlai, N’Krumah.

Volontà di indipendenza

La giovane repubblica risulta difficilmente governabile, poiché tante forze centrifughe la minacciano di implosione: movimenti separatisti (Aceh, Giava ovest, Sulawesi, Molucche…); partiti politici come il Partito Nazionale Indonesiano (PNI), il Partito mussulmano conservatore (Masjumi) o centrista (Nahdatul Ulama) o il Partito comunista (PKI) si disputano il potere; potenze straniere (Olanda) che sabotano l’emancipazione nazionale e la risoluzione del problema della Papuasi; gli Americani che tentano di fare del giovane stato un bastione contro l’espansionismo comunista in Asia.
Sukarno ha la saggezza di scartare immediatamente il progetto di uno Stato islamico e di imporre la sua filosofia del Pancasila (dei 5 principi): credere in un solo Dio (senza precisare quale!), nazionalismo, giustizia e civiltà umana, giustizia sociale, democrazia per forgiare l’unità nazionale. Il paese, scosso da rivolte, conosce nondimeno una evoluzione movimentata. Il colpo di stato militare del 30 settembre 1965 consente al generale Suharto di allontanare Sukarno dal potere. Avendo le voci ricorrenti accusato i comunisti dell’evento, nel paese si scatena una follia omicida collettiva senza precedenti, il PKI viene decimato, migliaia di Cinesi assassinati, con un bilancio totale di 500 mila morti da parte degli estremisti musulmani, delle milizie militari o di semplici vicini di casa. L’Indonesia di Suharto, ferita, abbandona la politica di Sukarno, che, col passare del tempo e nella sua lotta contro il colonialismo, si era avvicinata alla Cina, al punto da mettere in angoscia Washington, impegnata nella guerra nel Vietnam.
Suharto rompe con Pechino (1966), vieta il PKI, rinnova la sua alleanza con la Malesia e, schierato nel campo occidentale, aderisce alla Banca Mondiale, all’FMI (Fondo Monetario Internazionale) e all’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). Nell’agosto 1967 viene fondato l’ASEAN, con Giacarta come capofila e con la doppia vocazione di sviluppare l’integrazione economica regionale e di contenere l’espansione comunista in Asia. Il nuovo ordine, imposto da Suharto, combina abilmente una feroce chiusura politica e una salutare apertura economica. Riprendono così la crescita e gli investimenti: il PIL passa da 58,1 a 400 miliardi di dollari fra il 1965 ed il 1998. Uno spettacolare recupero e consolidamento reso fragile da agitazioni interne: la guerra separatista scatenata nel 1975 che insanguina l’isola di Timor per 25 anni, mentre una reislamizzazione insidiosa si diffonde sotto la spinta di predicatori salafiti di origine arabo-yemenita. Violenze fra musulmani e cristiani scoppiano a Giacarta e a Medan. Le prime donne velate e la segregazione dei sessi in scuole e università appaiono come altrettante minacce al pluralismo religioso indonesiano. La crisi economica asiatica (1997) contribuire a peggiorare la situazione (il PIL cade del 14%).
Sullo sfondo di una crisi morale e sociale, il corrotto regime militar-affarista cade nel 1998. In un sussulto democratico, il paese elegge come presidente Abdurrahman Wahid, un musulmano moderato, protettore dei cristiani, dei Cinesi e garante della laicità dello Stato. Il suo governo “arcobaleno”, con ministri provenienti da tutti i partiti, regioni e confessioni, simbolizza la volontà di unione nazionale. Ma un triplice pericolo interno minaccia la situazione: corruzione, tensioni separatiste (Aceh, Molucche, Papuasia, rivolta dei Dayaks del Borneo) e islamizzazione della società. Tra il 1998 ed il 2002 si registrano oltre 30 attentati: quello di Paddy’s Bar a Bali (2002) fa 202 morti.

Dall’isolamento al mondo in subbuglio

A fine secolo, l’Indonesia passa nel mondo in subbuglio. Per effetto della tirannia della geografia, il paese si ritrova al centro dei flussi economici globalizzati e della rivalità sino-americana.
Guardiana degli stretti strategici fra l’Asia, l’Europa e il Medio Oriente, l’Indonesia detiene le chiavi del “Gran Gioco”, schierandosi nell’Indo pacifico. Lo stretto di Malacca, attraversato da 17 cavi sottomarini internazionali, diventa l’arteria del commercio marittimo mondiale con 85 mila passaggi per anno e 2 miliardi di tonnellate di traffico, di cui 800 di petrolio del Medio Oriente. Lì transita l’80% dei rifornimenti della Cina in petrolio. La Convenzione di Montego Bay (1982), con l’espressione “passaggio in transito senza ostacoli”, ne garantisce il libero accesso agli Stati utilizzatori. Allo stesso modo, gli Stati rivieraschi (Indonesia, Malesia, Singapore) – che nel 1971 tentarono invano di assumerne il controllo – hanno la garanzia in materia di sovranità e si incaricano della sicurezza. L’Indonesia controlla, da sola, altri stretti importanti: quello della Sonda, con un traffico soprattutto regionale (30 mila passaggi, 100 milioni di tonnellate) e i due stretti, estremamente profondi, di Lombok e di Macassar, una autostrada marittima per i grandi produttori di metalli australiani, come anche per i sottomarini americani, che transitano da Guam a Diego Garcia, o cinesi, all’uscita dello stretto di Balabac. Questi stretti rendono il passaggio dei sommergibili quasi invisibile. Non a caso la Cina tentò (invano) nel 2007 di installare un radar a Timor Est.
L’arcipelago, con il suo dedalo di migliaia di isole nell’ambito di un immenso spazio marittimo (5,8 km2 e 54.716 km di coste), difficile da controllare, assume una rilevante dimensione geopolitica. Tuttavia, la marina indonesiana resta sottodimensionata e presenta una carenza di guardiacoste. Un altro vantaggio strategico è rappresentato dalle ricchezze naturali: il gas (meno il pretrolio), il caucciù naturale, il biocarburante, lo stagno, il carbone e il nikel prendono la via delle fabbriche cinesi, giapponesi o sud coreane. Il settore minerario occupa un milione e mezzo di persone.
Nell’Asia del sud-est, epicentro della competizione strategica sino-americana, l’Indonesia tenta di conservare la sua neutralità, rifiutando la nuova bipolarizzazione del mondo che sembra prospettarsi. La sua politica estera (indipendente e attiva) si basa sul dialogo, sulla mediazione e su una diplomazia “multivettoriale” al servizio del consolidamento della pace. Prudenza e misura di una potenza emergente che viene corteggiata per la sua posizione strategica, per le sue risorse e il suo mercato in espansione. Al non allineamento corrisponde anche l’ambizione di una sovranità economica: in tutti i settori, le imprese nazionali sono sostenute da holding di stato, come ad esempio Defend ID, nell’armamento. Vengono inoltre valorizzate le risorse minerarie, frenando l’esportazione del prezioso nikel, per trasformarlo sul posto ed edificare una filiera completa dalle batterie per i veicoli elettrici.

Prendere posizione senza schierarsi

Ma la ricerca di una “equidistanza pragmatica” fra i grandi costituisce un esercizio delicato, di cui la guerra in Ucraina sottolinea le ambiguità. L’Indonesia, presiedendo il G20, rigetta le richieste occidentali, tendenti ad escludere Vladimir Putin dal Summit di Bali, ma vi invita l’Ucraina come osservatore. Il fallimento di queste acrobazie si legge nella fumosa dichiarazione finale e nei i rimpianti di Joko Widodo per il quale: “il G20 non dovrebbe essere un forum politico”. Nei confronti della Cina, si alternano periodi di riavvicinamento (1950-1963), di ostilità (1966-1990) e di collaborazione (dopo il 1990). I mondi cinesi e malesi, tra l’altro, sono embricati da secoli e la comunità sino-indonesiana contra più di 7 milioni di persone. La Cina irriga l’arcipelago con i suoi investimenti e allontana il Giappone dal ruolo di primo partner commerciale. All’ONU, Giacarta cerca di risparmiare Pechino: nell’ottobre 2022, vota contro l’apertura di un’inchiesta sugli Uighuri, al pari dell’Eritrea. A Giacarta la crescita della Cina viene percepita più come un’opportunità che come una minaccia.
Del resto non ci sono contenziosi territoriale con Pechino, che riconosce la sovranità di Giacarta sulle isole Natuna ma facendo valere il fatto che le acque che circondano la Zona Economica Esclusiva sono “tradizionalmente zone di pesca cinese”. Pechino moltiplica le incursioni di flottiglie, la cui pesca allegale provoca un danno di diversi miliardi di dollari l’anno. Giacarta ha sempre reagito blandamente, ma nel 2020 ha inviato 8 navi da guerra per allontanare i pescherecci.
Poche sono state le reazioni dopo la scoperta di droni sottomarini cinesi nelle sue acque territoriali. L’influenza di Pechino si accresce: Giacarta è certamente riuscita a contenere la diplomazia sanitaria cinese durante la pandemia (39% dei vaccini cinesi contro il 61% americani e inglesi), ma Huawei e ZT si impongono ormai come gli operatori fondamentali della trasformazione digitale dell’Indonesia e Bitdance (Tik Tok) censura i contenuti ostili alla Cina, anche se il sentimento anticinese rimane vivo fra la popolazione.
Giacarta, insensibilmente si riavvicina a Washington, la cui offerta di sicurezza non può essere sottovalutata. Accresce le sue spese militari, ma essendo contraria a qualsiasi alleanza militare, non accetta nessuna base straniera sul suo territorio. Nel 1954, l’Indonesia ha rifiutato di aderire alla OTASE una specie di NATO del Sud Est asiatico creata da Washington per contrastare lo sviluppo comunista. La recente creazione dell’AUKUS (2021), il patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti ha provocato qualche imbarazzo: l’Indonesia ne ha preso atto “con prudenza” dichiarandosi “preoccupata per la corsa agli armamenti e la proiezione di potenza” nella regione – cosa cui mira anche la Cina. L’ASEAN ha sempre privilegiato un approccio cooperativo e inclusivo dei problemi regionali, con l’obbiettivo di integrare la Cina piuttosto che considerarla come rivale; mentre l’AUKUS e il QUAD (Quadrilateral Security Dialogue, alleanza strategica tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti) vengono percepiti come una nuova dottrina di containment della Cina, offrendo la visione di un ordine regionale dominato dalle potenze occidentali, che de facto emarginano l’ASEAN e l’Indonesia. La posizione di Giacarta risulta peraltro più fragile per effetto delle divergenze di valutazione nell’ambito del’ASEAN: Singapore, le Filippine e il Vietnam hanno infatti accolto l’AUKUS abbastanza favorevolmente. L’Indonesia, nazione realista, ha avviato con Washington un partenariato strategico globale nel 2015, equilibrando quello firmato con Pechino nel 2005. Esso non implica trattati di difesa formale, ma apporta all’arcipelago un sostegno apprezzabile di ordine diplomatico, militare (acquisto di 36 F-15 per 13,9 miliardi di dollari nel 2022, formazione, esercitazioni navali) e tecnico (sorveglianza marittima e aerea, cybersicurezza).
L’opinione pubblica indonesiana offre un sostegno istintivo al non allineamento. Ma davanti alla crescita dei pericoli e in assenza di qualsiasi struttura di sicurezza regionale, non sarà facile continuare a non scegliere.