INDIVIDUATO NEL COLOSSEO IL DISEGNO DI UNA CROCE
di Pier Luigi Guiducci -
Nel corridoio di servizio che immette al terzo livello del Colosseo un signum crucis sembra confermare la “damnatio ad bestias” inflitta anche ai cristiani.
Nel corso dei decenni l’Amphitheatrum Flavium (Colosseo)[1], è stato più volte oggetto di indagini. Basti citare, ad esempio, quelle che hanno riguardato i sotterranei dell’arena.[2] Tra gli obiettivi: focalizzare con esattezza il disegno complessivo dell’opera, le fasi di splendore e quelle mortificate da periodi di decadenza ove si arrivò a utilizzare il luogo anche come cava dalla quale prelevare marmi e pietre per costruzioni in altri siti. In tale contesto, non è neanche mancata un’attenzione degli storici della Chiesa.[3] Il fatto è da collegare a una traditio che riferisce di un elevato numero di martiri cristiani sacrificati nel Colosseo. Sulla base di scritti ascetici e di contributi omiletici si costruirono nell’antico anfiteatro: una croce (1750), una chiesetta[4], le stazioni della Via Crucis (1750), e si utilizzò il luogo per promuovere rappresentazioni sacre (1528, 1531, 1534, 1537, 1539), e momenti assembleari liturgici in occasione degli Anni Santi (1675, 1750… fino al grande giubileo dell’anno 2000).[5] Tale tendenza, però, ha trovato nel tempo resistenze da parte di più autori.[6] La tesi-chiave è stata: nel grandioso edificio i cristiani non furono mai uccisi. Di conseguenza, le affermazioni dei rappresentanti della Chiesa dovevano essere considerate erronee, fornivano orientamenti non corretti ai fedeli. Malgrado ciò, la venerazione cristiana verso il luogo in questione non si è interrotta. Ciò si riscontra in diverse croci ritrovate nel migrare del tempo.[7] Di recente, è stato poi individuato il disegno di una croce[8] su un lacerto d’intonaco sulla cui datazione è possibile formulare delle ipotesi. A questo punto, emergono tre questioni-chiave: 1) nel Colosseo morirono anche i cristiani? 2) Quale significato conservò il Colosseo per la Chiesa di Roma nei diversi secoli? 3) Quali nuovi ritrovamenti inducono a pensare che tra i condannati si trovarono anche dei cristiani?
Nel Colosseo morirono cristiani?
Nel corso dell’epoca moderna alcuni autori hanno sostenuto che nessun cristiano subì la morte nel Colosseo.[9] Diverse le argomentazioni: 1) le condanne a morte vennero eseguite nel Circo Massimo o in quello di Nerone; 2) i cristiani subirono la morte in più luoghi dell’Urbe o in località vicine a Roma; 3) per i cittadini romani era prevista la morte per decapitazione (con talune eccezioni).
Tale orientamento potrebbe essere rimodulato. Per più motivi. Occorre intanto premettere che il martirio di cristiani nel periodo neroniano non avvenne probabilmente all’interno del circo dell’imperatore[10] ma nell’area circostante (forse lungo la via Cornelia[11]). È necessario, poi, tener conto di alcuni dati.
1) Il Circo Massimo fu costruito soprattutto per la corsa dei carri.[12] Lo attesta la spina centrale e l’esistenza di dodici carceres[13].
2) Con le prime venationes (caccia e uccisione di animali selvatici) ci si rese conto dei pericoli che incombevano sugli spettatori. Occorrevano sbarramenti robusti. Soprattutto era necessario strutturare un trasporto sicuro degli animali, una loro custodia temporanea (vivaria), e una costruzione di passaggi protetti in direzione dell’arena (con uso di montacarichi). Tutto questo trovò una soluzione definitiva con la costruzione dell’anfiteatro Flavio.
3) Esiste una letteratura che attesta le condanne ad bestias di diversi cristiani nei circhi. Si pensi, ad esempio, a quanto scrive Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160 d.C.-220 d.C.): Si Tiberis ascendit in moenia, si Nilus non ascendit in rura, si caelum stetit, si terra movit, si fames, si lues, statim “Christianos ad leonem (Se il Tevere supera gli argini, se il Nilo non si riversa nei campi, se dal cielo non scende pioggia, se si verifica un terremoto, se ci sono carestia o pestilenza, subito si grida “I cristiani al leone”).[14]
4) Sono conservati dati su cristiani uccisi durante lo svolgimento dei ‘giochi’ del Colosseo.[15]
In particolare: i luoghi del martirio
In tale contesto, attraverso la letteratura scientifica riguardante la Chiesa antica, si possono acquisire più informazioni riguardanti i luoghi di martirio. In Africa, ad esempio, era noto l’anfiteatro di Cartagine[16] (Carthago; vi morirono nel 203 Perpetua e Felicita, originarie di Thuburbo Minus).[17] In Gallia si trovava l’anfiteatro di Lione (Lugdunum).[18] Più cristiani vi trovarono la morte. Tra questi la schiava Blandina. Le persecuzioni iniziarono prima del giugno del 177.[19] In oriente, nell’anfiteatro di Pergamo avvenne il martirio di Carpo e compagni.[20] Nell’area di Smirne, diversi cristiani subirono la damnatio ad bestias [21]. Esisteva, inoltre, un’attenzione non debole verso gli spettacoli dell’anfiteatro Flavio.
Proprio sant’Agostino (354-430), nel libro delle Confessioni, ricorda la figura di un suo amico che si chiamava Alipio. Quest’ultimo, era stato sottratto dal vescovo di Ippona al fascino dei giochi gladiatori che si svolgevano a Cartagine (Confessioni VI, 7.11). Però, una volta raggiunta Roma poco prima del maestro, si era lasciato nuovamente trascinare dall’ebbrezza degli spettacoli cruenti dell’anfiteatro Flavio (Confessioni VI, 8.13). Alla fine, Agostino riuscì a farlo allontanare in modo definitivo dalle rappresentazioni sanguinose. Nei luoghi in precedenza citati vennero fatti confluire (in più occasioni): schiavi, prigionieri di guerra, condannati a morte per diversi reati (anche parricidio).[22] I cristiani, in genere, facevano parte della prima e della terza categoria. Si spiegano così talune vicende di accettazione e di respingimento del martirio.
La vicenda di Ignazio di Antiochia
Queste vicende sono documentate. E forniscono indicazioni. Una storia riguarda Ignazio, vescovo di Antiochia di Siria (35ca-107ca). Si tratta di un padre della Chiesa. È anche un padre apostolico.[23] Per grandezza, la sua città era la terza del mondo antico gravitante intorno al ‘Mare nostrum’. Durante il regno di Traiano fu imprigionato e condannato ad bestias nell’anfiteatro Flavio.[24] Per tale motivo, sotto scorta, venne imbarcato su una nave diretta al porto dell’Urbe. Gli storici non conoscono i dettagli dell’itinerario. È noto, però, che Ignazio – durante l’iter via mare – poté scrivere messaggi a più Chiese locali, inclusa quella di Roma.[25] Nel testo indirizzato ai fedeli dell’Urbe sollecitò i suoi correligionari a non esperire tentativi per salvarlo dalla morte nell’arena. Tale contesto motiva due considerazioni.
1) È improbabile pensare a una nave allestita per trasportare un solo cristiano dalla Siria a Roma. È noto infatti che, dopo aver sconfitto i Daci, Traiano organizzò nel Colosseo combattimenti tra gladiatori per 123 giorni (107 d.C.). Vennero promosse anche le venationes. Furono uccise 11mila fiere e impiegati circa 10mila gladiatori. Da ciò si deduce che fu necessario reperire un elevato numero di persone per poter organizzare i ‘giochi’. Evidentemente furono soprattutto i prigionieri di guerra a soccombere, ma non mancò chi aveva subìto condanne a morte.[26] Proprio lo studio di tale contesto (che ripete situazioni analoghe avvenute con Tito) induce a pensare che altri cristiani, oltre a Ignazio, furono costretti ad affrontare animali feroci nel Colosseo. Molti di loro vennero probabilmente condotti nell’Urbe via mare.
2) In presenza di un trasporto di condannati a Roma dai diversi territori dell’impero, si comprende meglio l’atteggiamento del santo (evidente nei suoi scritti). Al riguardo, si ricorda che per taluni critici il desiderio di Ignazio di morire tra le belve del Colosseo è da considerare anomalo. Non condivisibile. Si argomenta: nessuno può volere – in modo inerme – incontrare un leone (reso più aggressivo dalle tecniche di incitamento del tempo). Se la vicenda, però, si legge in un contesto più ampio, ci si accorge che muta la dinamica. Ignazio avrà incontrato altri cristiani (della sua terra o di altri Paesi). Sarà stato quindi testimone di drammi. Di scene di disperazione. Avrà compreso che, in quelle particolari ore, l’unico contributo possibile rimaneva un messaggio di sostegno (sul piano umano) e un’orazione personale (sul versante religioso). In tal senso, senza ignorare paure, angosce dei prigionieri, inevitabili scene di panico, egli scelse di proseguire in una paternità difficile. E negli appunti che trasmise ad alcune comunità cristiane evidenziò punti che richiamavano alla coesione, alla vita ecclesiale.[27]
Comunque, l’informazione storica che è possibile acquisire[28], non indica solo la figura del martire Ignazio, ma anche quella di altri cristiani di area orientale. Si ricordano: Abdon e Sennen (III sec.-251ca). Nella Chiesa di Roma il loro culto è attestato dalla Depositio martyrum del ‘cronografo del 354’: III kal. augusti Abdos et Semnes in Pontiani, quod est ad Ursum pileatum. La notizia si ritrova nel martirologio geronimiano. L’indicazione del cimitero di Ponziano[29] trova conferma anche dagli antichi itinerarî delle tombe dei martiri romani. Si tende a ritenere che le loro reliquie siano rimaste per qualche tempo in un sarcofago di mattoni.[30] Questa tomba è sormontata da un affresco, in cui i due santi sono rappresentati vestiti di una specie di costume orientale[31], e di un mantello, agganciato sul petto, che si apre su di una tunica.
La vicenda di Quintus
Non tutti i cristiani accettarono di essere sbranati dai leoni. Anche questo dato rimane significativo. Oltre ad attestare delle scelte personali, conferma pure il fatto che nelle arene furono trascinati diversi seguaci di Cristo. È il caso, ad esempio, di un certo Quintus. La sua vicenda si trova descritta nel Martyrium Polycarpi (‘Martirio di Policarpo’; II sec.).[32] La morte di quest’ultimo è narrata in una lettera che i fedeli di Smirne inviarono a quelli di Filomelio (in Lidia, odierna Turchia) e ad altri cristiani. Nello sviluppo del racconto c’è un riferimento a un certo Quintus, nativo della Frigia. Si trovava da poco tempo a Smirne. In piena persecuzione anti-cristiana si presentò al magistrato (il pro-console Lucio Stazio Quadrato[33]). Era convinto di poter affrontare il martirio. Però, quando vide le belve avvicinarsi ebbe paura, e mutò atteggiamento. In pratica, rinnegò la propria fede (sacrificò agli dei). L’episodio conferma che tra i condannati ad bestias c’erano anche cristiani. Chi morì martire e chi cercò di salvarsi.
Quale significato conservò il Colosseo per la Chiesa di Roma nei secoli?
Al termine del periodo delle persecuzioni, la Chiesa di Roma dovette affrontare più urgenze. Riguardarono: il rafforzamento del corpus dottrinale (esistevano anche correnti eterodosse), la vita liturgica, l’edificazione di chiese, l’assetto organizzativo interno (con valorizzazione anche dei diaconi). In tale contesto, non si dimenticò comunque la testimonianza dei martiri. Oltre le catacombe, esistevano infatti specifiche memorie, momenti di culto e una più non debole traditio. In particolare, ci si rese conto della necessità di preparare anche un martirologio, cioè un testo nel quale annotare i nomi di coloro che avevano testimoniato la propria fede in Cristo fino alla morte. È a questo punto che ebbero inizio anche dei problemi. Non esisteva infatti una documentazione impostata in modo sistematico. Anche se alcune notizie erano supportate da riscontri, diversi dati biografici rimanevano scarni. Si aggiunse poi un’altra quaestio: la maggioranza dei cristiani uccisi durante le persecuzioni rimaneva in genere anonima. I cadaveri dei santi (quando non si riusciva a recuperarli in tempo) facevano la fine di tutti coloro che erano stati uccisi a motivo di una condanna (fosse comuni in luoghi posti ai margini dell’abitato). Aggiungasi, inoltre, che l’assenza di dati su vari cristiani è pure legata al fatto che le esecuzioni riguardarono gente di basso livello sociale. La loro fine non interessava nessuno (tranne i correligionari). Di conseguenza, le autorità del tempo e gli stessi carcerieri non si preoccuparono di registrare dati su chi attendeva il momento di essere esposto alle fiere. Davanti a tale problema, nelle Passiones si cercò di colmare in qualche modo le frequenti lacune con commenti del curatore, o con l’inserimento di dati non supportati talvolta da puntuali riscontri storici. Si comprende allora la reazione di più critici che, nei secoli successivi, dimostrarono l’inesattezza di molti testi, e il persistere di schemi ’fantasiosi’. In realtà, nella divulgazione di storie edificanti, l’obbiettivo-base non fu quello di diffondere dati spuri, ma fu piuttosto quello di fornire un itinerario catechetico basato su ‘exempla’. In tal modo, gli ‘atti di eroismo’ diventavano delle esortazioni a conservare nel proprio cammino vocazionale e in quello comunitario la forza delle virtù teologali (fede, speranza, carità).
Evidentemente, con il trascorrere del tempo, anche all’interno della Chiesa ci si rese conto della necessità di sostituire metodi catechetici divenuti ormai anacronistici, con dei piani pastorali ove la riflessione sulla santificazione non era di natura ‘derivata’ (seguire esempi altrui), ma traeva origine piuttosto dall’evento battesimale, percorrendo poi l’originale e irripetibile crescita in Cristo di ogni singola persona.[34] A questo punto, quale significato attribuire ai martiri e ai luoghi ove quest’ultimi testimoniarono la propria fede nel Signore risorto?
1) Il primo significato fu quello di recuperare il senso di un vissuto quotidiano cristiano. Non è solo l’evento ‘straordinario’ (la passio) che sancisce una fedeltà a Cristo, ma è anche il fiat offertoriale che si vive nei luoghi del proprio esodo terreno (hic et nunc).
2) Il secondo significato fu quello di valorizzare la communio Ecclesiae. L’eroismo del singolo è importante, ma è anche significativo un moto corale di fedeli verso appuntamenti spirituali-chiave: Eucharistía, Verbum Dei, charitas.
3) Il terzo significato fu quello di collocare il passaggio tra la croce segno di morte (di non-speranza), e la Croce della Redenzione (arbor Vitae), da collocare nell’intero “evento pasquale”. Per tale motivo, diversi fedeli vollero segnare delle croci anche nei luoghi che videro la tragica morte di molti condannati in epoca antica (tra questi, anche cristiani), e che in tempi successivi divennero ambienti di lavoro e ricoveri.
Il ‘signum Crucis’ nel Colosseo
Il contesto fin qui delineato può aiutare a comprendere perché in diversi periodi i fedeli abbiano voluto lasciare il segno di una croce sulle pietre del Colosseo. A livello storico (fino al 2002), lungo il I ordine, sono stati individuati numerosi graffiti e alcune tracce relative alla presenza di ‘targhe proprietarie’ oggi non più esistenti. Come evidenzia la dott.ssa Rossella Rea, i graffiti sono attestati sulle superfici dei pilastri di travertino. Unica eccezione il documento redatto lungo i blocchi di tufo delle parete orientale del corridoio LXXIIII. I documenti sono concentrati lungo i pilastri perimetrali del versante settentrionale dell’edificio. Scarse, al contrario, le attestazioni sulla superficie dei pilastri retrostanti, nonché lungo il settore meridionale. Le ‘targhe proprietarie’, poste al di sopra o ai lati delle arcate, appaiono invece equamente distribuite lungo il perimetro del monumento. Su un totale di 55 graffiti, 13 sono croci, 18 simboli fallici, 24 scritte eterogenee. I campi iscritti sono concentrati in numero di 25 lungo il I ambulacro, 4 lungo il II, 8 lungo il III, 4 sulla superficie esterna dei pilastri e uno, come ricordato in precedenza, lungo la parete di un corridoio. I graffiti sono, in generale, incisi profondamente sulle superfici in travertino. Uniche eccezioni i documenti XXXVII, 37, 1 e LXIII, 66, III. In alcuni casi la lettura è incompleta, come nel cuneo nord, 39, I, a quota m +3,58, e nel XXXVI, 37, I, a causa della consunzione della superficie scrittoria verificatasi dopo la redazione del documento e della diffusa patina nera, peculiare dei pilastri del versante settentrionale.[35]
Le croci nel Colosseo
Le croci che sono state individuate dagli studiosi nel Colosseo si possono ricondurre a cinque tipi:
1) croce greca a bracci equilateri: LIIII, 56, I; XXXVI, 37, II; XXXII, 32, semicolonna esterna; V, 5, III; LXIII, 66, III;
2) croce latina semplice, con terminali espansi, sormontante colle: LXV, 67, III; XLII, 44, I; XLIIII, 46, I; XXXVI, 37, II;
3) a doppio braccio orizzontale: LV, 56, I; LIIII, 56, I;
4) con due bracci orizzontali sovrapposti e tagliati dal braccio verticale: LXIII, 66, III;
5) sormontante scudo sannitico quadripartito: L, 52, I. Quest’ultimo tipo sembra diffondersi nel periodo posteriore alla Crociate, quindi dalla fine del XIII secolo.
Le quote alle quali le croci sono state realizzate variano da un minimo di m +1,30 a un massimo di m +4,35: rispettivamente LXIII, 66, III e V, 5, III.[36] Scrive al riguardo la Rea: “La presenza delle croci, e forse anche dei falli, è legata a una valenza apotropaica a favore degli ambienti utilizzati quali domus o semplici ricoveri per animali e utensili, e quindi come protezione della proprietà, della casa, del bestiame, degli attrezzi da lavoro. Non è casuale infatti la loro dislocazione, anche se rada, presso gli ambienti interni prossimi all’arena, oltre che adiacente ai ricoveri realizzati negli ambulacri I e II a ridosso della viabilità settentrionale; al contrario, sono quasi totalmente assenti nel versante opposto, utilizzato come cava”.[37] In tale contesto, può forse essere utile una sottolineatura. L’aggettivo ‘apotropaico’ (dal greco αποτρέπειν, apotrépein = ‘allontanare’), usato nel testo citato, è in genere attribuito a un atto, oggetto o persona in grado di allontanare gli influssi maligni. Nei periodi in esame esistevano certamente nelle persone preoccupazioni quotidiane e paure per l’avvenire che motivavano una ricerca di forme di rassicurazione. Studiando, però, gli insegnamenti ecclesiali del tempo si ritrovano anche due significati non deboli: la scelta di segnare una croce in ambiente domestico per facilitare un’oratio adeguata ai livelli culturali delle persone ivi presenti, e per conservare un memento. Il signum Crucis rimandava infatti alle prove della vita ma anche alla comunione con i defunti attraverso la Persona dell’unico Redentore.
Le iscrizioni
Oltre le croci, sono state ritrovate nel Colosseo anche delle iscrizioni. Quest’ultime, riportano in generale nomi di frequentatori del monumento e alcune date. Il 1538 (I, 1, III) è l’anno che precede l’ultima rappresentazione sacra svoltasi nell’Anfiteatro Flavio, mentre nel 1675 (LXXIIII, 77, III) fu indetto un Giubileo da Papa Clemente X: forse in tale occasione furono dipinte, sugli archi degli ingressi posti alle estremità dell’asse maggiore, le rappresentazioni di Gerusalemme a ovest e di Roma a est. A partire dall’anno 1534 (nord, 39, I) e fino al 1540, durante il pontificato di Paolo III, il Colosseo fu utilizzato quale cava: i nomi ritrovati (Ludovico, Micela e Romolo) fanno pensare a dei cavasassi. Di difficile scioglimento sono le varie sigle e/o iniziali di nomi, alcuni dei quali si ripetono: LUCR (XXII, 32, I) e LUCRE (XXX, 30, I), entrambi a m +3,60 su pilastri limitrofi; POST, in LUCRE POST (XXX, 30, I) e nel graffito su due righe XXX, 30, I, sulla mezzeria esterna orientale; mentre forse FC (LVII, 58, II) rappresenta la forma sincopata di FECE, come NICOLO FECE (XI, 41, I).[38]
Le posizioni dei reperti
La maggior parte delle iscrizioni è redatta da m +2,90 a m +3,80, rarefacendosi nei livelli superiori. I graffiti a livello più basso sono una croce a doppio braccio (m +1,30), un simbolo fallico (m +1,35), una croce greca (m +1,47) e una latina (m +1,50). Da quota m +1,50 ca fino a m +2,20 è una fascia senza epigrafi, tra i m +2,20 e i m +2,50 appaiono solo due simboli fallici; da m +2,60 circa a m +2,80 circa è una seconda, sottile fascia senza epigrafi. I graffiti riprendono, in quantità notevole, tra m +2,80 e m +4,00.
I lavori di ripulitura realizzati al Colosseo
In tale contesto una nuova fase di ripulitura del Colosseo (con operazioni di restauro) si è svolta a partire dall’ottobre del 2012. Da tale data, diversi ponteggi hanno cominciato a celare le arcate dell’anfiteatro. Nel 2013 il progetto è stato presentato alla stampa, con comunicazioni riguardanti alcune scoperte. Dalla pulitura e consolidamento delle pareti sono riaffiorate tracce di intonaco rivestito di affreschi policromi, oltre a una serie di iscrizioni color rosso.[39] Sotto strati di graffiti e scritte è apparsa una fascia rossa di zoccolatura. Rimangono anche pochi resti di decorazioni, probabilmente con foglie su fondo bianco; tracce di azzurrite, un pigmento utilizzato nella pittura antica. Tali colori fanno pensare alla composizione di motivi vegetali e di figure simboliche. Inoltre, sono state ritrovate decorazioni particolari, successive all’incendio del 217 d.C.. Ci sono due falli con probabile funzione apotropaica (scacciare la cattiva sorte). Nel 2016 i visitatori dell’edificio hanno potuto vedere un primo risultato del complesso progetto. Attraverso progressive fasi di ripulitura sono stati acquisiti dati significativi. Archeologi e restauratori, in una galleria intermedia (di servizio), con copertura a volta, dalla quale si accede al terzo livello[40] (sul lato nord), sono riusciti a individuare decorazioni pittoriche. All’inizio, ciò ha destato sorpresa, in considerazione del passaggio secondario, e per il fatto che anticamente vi erano pure collocati degli urinatoi. Unitamente a ciò sono apparsi forme e simboli fallici (unici esempi ritrovati nei piani superiori, frequentissimi invece al piano terra). L’importanza dei documenti è legata a un motivo: attualmente le superfici intonacate superstiti rappresentano solo l’uno per cento del totale delle superfici del Colosseo. Esse rivelano un palinsesto di graffiti e disegni che, come nel caso di Pompei, aiutano a ricostruire la vita dell’anfiteatro nel corso della sua storia. Il piano di calpestio, poi, della galleria intermedia citata è il risultato di una serie di interventi di messa in sicurezza della pavimentazione e risulta pertanto più elevato rispetto al piano originale oggi visibile nel tratto scoperto.
Lo studio di un lacerto [41] d’intonaco
Le pareti del corridoio in precedenza citate sono state fotografate e fatte conoscere via internet [42]. A questo punto, osservando l’immagine di un lacerto d’intonaco ho individuato una croce. La lunghezza massima dell’intero reperto è di cm 120, l’altezza massima è di cm 54. Dalla fine del lacerto d’intonaco a terra ci sono 1,35 m; dalla linea rossa di campitura sommitale della parete in rosso sono 1,63 m. Grazie al permesso ottenuto dalla direzione del Colosseo (dott.ssa Rossella Rea, archeologa), mi è stato possibile salire fino alla galleria intermedia posizionata al terzo livello. Qui, con la direttrice citata, due archeologhe (dr.sse Francesca Montella, e Maria Laura Cafini) e la restauratrice sig.ra Sonia Paula Lanzellotti, ho studiato il documento in loco. In seguito, ho proseguito l’approfondimento del reperto utilizzando la consulenza dell’archeologa prof.ssa Cristina Gennaccari (Musei Vaticani), e quella dell’ingegnere Luciano Le Donne (processi informatici). Durante la fase di lettura del documento, sono state affrontate talune criticità. Nel lacerto si riscontra la presenza di colore rosso originale nella parte inferiore, e di carboncino e matita per le scritte moderne [43]. In quest’ultime vi compaiono i nomi, le date e a volte il luogo di origine del visitatore. In particolare:
-partendo da sinistra si nota la scritta “WANDA e AMEDEO”… “20-2-1859”… “1945”… “GINO”… “ISERE”;
-spostandoci poi verso il centro si distingue: “SERGIO IOLANDA”… “MU (…)”… “DE (…)”… “ISERE”… “STEVE”… J. MILBER STRASBURG 1892”…;
-proseguendo verso destra sembra di intravedere in alto un possibile debole profilo grigio di un volto inciso. Più in basso è possibile leggere: “Feo (…)”. Sono evidenti, ancora: una parola che si riferisce all’apparato genitale femminile, il numero “82”, le scritte: “BIGOR”… “MARZO 1868”… “SILVANE”… “MARIA”… “P. FOSSATI 14.1.953”… “ALBERTO 1952”.
Il disegno di due grandi lettere: la “T” e la “S”
Pur in presenza di una debole luce che illuminava il passaggio sopra citato, i disegni dipinti in rosso si distinguevano forse in modo abbastanza visibile sullo sfondo bianco dell’intonaco. È proprio in tale contesto che una mano ignota volle tracciare due grandi lettere. Si tratta di una “T” e di una “S”. Dopo la seconda lettera il tratto di linea prosegue curvando in basso verso sinistra fino ad arrivare alla “T”. Esiste quindi un collegamento tra le due lettere. Tutto ciò pare esprimere: rilievo, risalto, sottolineatura. Emerge allora un secondo problema: che significato attribuire alle due grandi lettere? Quest’ultime, a un attento esame, non sembrerebbero indicare la prima e ultima lettera di un nome.[44] Darebbero piuttosto l’idea di voler esprimere – pur in una ristretta parte di muro – un’esclamazione. Di esaltare una realtà considerata importante. Una possibile conferma di ciò si potrebbe ricavare proprio dalla linea che collega le due lettere tra loro. A questo punto l’interrogativo è: quale termine può essere contenuto tra la lettera iniziale “T” e quella finale “S”? Un’indicazione potrebbe derivare dalle esclamazioni in uso durante le venationes. Rivedendo vari esempi ci si accorge che esiste una parola-chiave che inizia con “T” e che termina con “S”. Si tratta di “taurus”. Cioè: “toro”. Se si propende per tale lettura le due lettere esprimono allora, in modo sintetico, un’esclamazione molto chiara: “taurus! taurus! taurus!”. Tale grido era ripetuto di frequente dagli spettatori che, specie dai livelli più alti del Colosseo (riservati alla gente del popolo), attendevano l’entrata di un toro aizzato (dai succursores) contro un altro animale (es. elefante)[45], o di un toro spinto contro i taurarii (che lo affrontavano in piedi, con una picca o una lancia), o di un toro che si avventava contro degli inermi condannati a morte.
Proprio questa esclamazione aiuta a ricordare il periodo storico nel quale venne utilizzato un elevato numero di animali nei ‘giochi’ del Colosseo. Tale arco temporale va dall’80 d.C. al 523 (ultime venationes promosse da Anicius Maximus). È noto, però, che fin dal IV secolo d.C. cominciò l’uso di prelevare materiali dell’anfiteatro (la legislazione filo-cristiana non approvava i combattimenti tra gladiatori). Nel 523 l’edificio si presentava ormai privo del colonnato. Esistevano gravi danni alla cavea, agli ingressi e in altri punti. Tale fatto motivò probabilmente un’organizzazione delle venationes secondo programmi meno estesi rispetto a quelli, ad esempio, di un Tito o di un Traiano. Si tende quindi a ritenere che l’uso dei tori nei ‘giochi’ del Colosseo rimase circoscritto a una fase temporale più ridotta: esigeva, infatti, un sistema di trasporto e di controllo degli animali non indifferente.
Una sottolineatura
Il riferimento al toro assume ulteriore valenza se si considera il fatto che a Roma era diffuso il mitraismo (religione misterica) e il culto alla dea Cybele.
1. Il culto di Mitra (divinità persiana) cominciò a diffondersi a Roma verso la fine del I secolo, dopo la conquista dell’Armenia (ove era diffuso lo zoroastrismo). Raggiunse il suo apogeo tra il III e il IV secolo (molto popolare tra i soldati romani). Il mitreo costituiva il centro del culto (una cavità o caverna naturale adattata). In ogni tempio mitraico, il posto d’onore era occupato da una rappresentazione del dio Mitra, raffigurato in genere nell’atto di uccidere un toro sacro, (tauroctonia).[46]
2. Proprio sul Palatino, il 10 aprile del 191 a.C. venne dedicato un tempio alla Magna Mater [47]. Ogni anno si celebravano delle cerimonie chiamate Ludi Megalenses (dal 4 al 10 aprile di ogni anno). Accanto alla figura di questa divinità era associata quella di un giovane pastore, molto bello, chiamato Attis. Si tramandava al riguardo (esistono più versioni) che proveniva dalla Frigia. Un giorno, in preda a un’esaltazione provocata da un’entità avversa, si tagliò i genitali. E morì sotto un albero di pino. La dea raccolse gli organi rimasti a terra, li seppellì, e ottenne da Zeus l’esenzione del corpo del defunto dalla corruzione e dalla dissoluzione. Il culto di Cibele era segnato dal Taurobolio (sacrificio di un toro), connesso con il Criobolio (sacrificio di un ariete). Si trattava di una sorta di battesimo di sangue.[48] Il fedele o il sacerdote (che doveva essere consacrato) scendeva sul fondo di una fossa. Questa, era chiusa da tavole di legno forate e appena accostate, sulle quali veniva sgozzato un toro. Attraverso le fessure del legno, colava il sangue che bagnava l’uomo sottostante. Quest’ultimo usciva poi dalla fossa. E si mostrava ai partecipanti in adorazione. Era purificato. “Rinato” a una nuova vita. Il sacrificio cit. assicurava una protezione divina in ambito pubblico e privato.[49] La comprensione di tale culto fa capire perché gli antichi romani riservavano una particolare attenzione al toro.
Il ritrovamento della ‘crux’
Nel contesto delineato, l’attenzione dello studioso è attirata anche da un altro fatto. Vicino alla grande lettera “P”, e comunque tra la medesima lettera e la “S”, si individua il disegno di una croce latina. Le particolarità di quest’ultima sono:
-si tratta di una crux di tipo semplice;
-ha il medesimo colore rosso della “P” e della “S”;
-è vicina alla “P” ma è visibilmente staccata da quest’ultima;
-è posizionata lungo la linea che collega la “P” e la “S”;
-le dimensioni della crux sono molto ridotte rispetto alle già citate lettere;
-il tratto non è debole; esprime un’intenzionalità precisa;
-la base della crux è rovinata, sembra di scorgere un ‘colle’;
-accanto alla crux ci sono scritte moderne: in alto, a destra, in basso (“MU…T”… “1945”);
-a sinistra della crux non si individuano scritte.
Si pone a questo punto una nuova quaestio: quale interpretazione dare a una crux che non si trova in una zona prossima all’arena? Al riguardo, è da ricordare che più di una ricerca aveva già individuato delle croci nell’anfiteatro Flavio. Ma non posizionate nei livelli superiori [50]. Erano signa fidei. La loro dislocazione è stata individuata presso gli ambienti interni prossimi all’arena, oltre che adiacente ai ricoveri realizzati negli ambulacri I e II a ridosso della viabilità settentrionale. Ora, il ritrovamento di una croce a un livello superiore pone almeno un interrogativo: perché disegnare un signum fidei proprio in un ambiente ‘marginale, poco illuminato, vicino a degli urinatoi? Nascono da qui delle ipotesi.
Le ipotesi sul signum fidei
Con riferimento al ‘signum fidei’ ritrovato di recente si possono annotare alcuni quesiti e cercare di dare delle possibili risposte.
1) La crux è stata dipinta per favorire l’oratio fidelium? L’ipotesi pare debole perché in genere i fedeli avevano la possibilità di pregare direttamente in posti vicini all’arena. Lo attestano i graffiti di croci (cit.). Inoltre, per favorire una sosta davanti alla croce, si poneva quest’ultima in un luogo facilmente accessibile a più persone. Esisteva inoltre una chiesetta.
2) La crux attesta una devotio Crucis? Al riguardo si ricorda che la devotio Crucis venne favorita con il pio esercizio della Via Crucis (1750). Inoltre, proprio sull’arena venne eretta una croce.
3) La crux è una memoria in presenza della quale si celebravano dei culti? Tale ipotesi non convince perché il disegno è chiaro ma non è posizionato secondo i criteri classici della ‘memoria’ (positio centralis), e soprattutto non si trova in un ambiente adeguato a favorire preghiere corali e meditazioni.
Una possibile tesi
A questo punto, sembrerebbe di essere arrivati a una via senza uscita. E si potrebbe concludere: il disegno della crux fu l’iniziativa isolata di qualcuno che, in un momento di inattività, volle ‘aggiungere’ su un muro anche un signum religioso. Tale tesi, però, è contraddetta da alcune considerazioni.
1. Nessun fedele disegnava una croce ‘per gioco’. Per ‘passatempo’. Senza una ‘motivazione’.
2. La crux sembra essere una ‘risposta’ aggiunta a chi in precedenza aveva disegnato le due lettere “T” ed “S”.
3. Il voler ricondurre l’attenzione di chi transitava in quell’ambiente su un simbolo religioso pare richiamare dei contenuti: il realismo della croce (sofferenza) e il significato salvifico (Cristo salva).
In tale contesto, sembra emergere una possibile ipotesi. In un contesto ove molte persone morivano nell’arena (anche cristiani), qualche seguace di Gesù di Nazareth volle sottolineare pietas e affidamento. In tal modo, mentre da una parte si esaltava il vigore, la forza, il sangue, la dominanza, dall’altra l’immagine di una piccola croce, abbastanza celata (per le persecuzioni?)[51], venne utilizzata per richiamare un’altra realtà. Dolorosa. Ma salvifica.
Note
[1] Si tratta di un anfiteatro di forma ellittica. La circonferenza è di 527 metri. L’asse maggiore: 188 metri, quello minore 156. L’altezza è di 57 metri. L’edificio era in grado di contenere fino a 70mila posti. L’arena misura 76 metri x 46. I primi tre piani sono costituiti da arcate inquadrate da semicolonne. Il quarto piano è scompartito da lesene. Vi erano inseriti i pali che sorreggevano il grande velarium a spicchi che serviva a riparare gli spettatori dal sole.
[2] Tra i molti studi cf anche: AA.VV., Il Colosseo. Studi e ricerche, Gangemi, Roma 2002. E. Brienza, Valle del Colosseo e pendici nord orientali del Palatino. La via tra Valle e Foro. Dal dato stratigrafico alla narrazione virtuale (64 d.C. – 138 d.C.), Quasar, Roma 2017. R. Rea, Anfiteatro Flavio, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1996.
[3] Rafforzata dalla presenza di vari santi che visitarono il Colosseo: Ignazio di Loyola, Camillo de’ Lellis, Filippo Neri, Benedetto Giuseppe Labre.
[4] Santa Maria della Pietà al Colosseo. È inserita in uno dei fornici dell’anfiteatro. Esisteva già come edicola sacra negli anni di pontificato di Paolo IV (1555-1559).
[5] Il Colosseo fu dedicato alla memoria di tutti martiri da Papa Benedetto XIV nel 1744.
[6] Cf ad es.: F. Gori, Le memorie storiche. I giuochi e gli scavi dell’anfiteatro Flavio. I pretesi martiri cristiani del Colosseo, Francesco Capaccini Editore, Roma 1875.
[7] Su questo punto cf anche: R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, in AA.VV., ‘Rota Colisei. La valle del Colosseo attraverso i secoli’, a cura di R. Rea, Electa, Milano 2002, pp.231-239.
[8] P.L. Guiducci, Le persecuzioni dei cristiani a Roma. I risultati delle indagini archeologiche, in ‘Storia in Network’, novembre 2017. https://www.storiain.net/storia/le-persecuzioni-dei-cristiani-a-roma-i-risultati-delle-indagini-archeologiche/. Cf paragrafo: ‘I ritrovamenti. La crux tra i graffiti del Colosseo’.
[9] Su questo punto non mancano anche articoli giornalistici. Cf ad esempio: C. Valenziano, Il crollo di un mito, in ‘la Repubblica’, 18 giugno 1992.
[10] Utilizzato soprattutto per le corse dei cavalli.
[11] Collegava Roma con Caere. O lungo la Triumphalis (congiungeva Roma a Veio).
[12] http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/monumenti/circo_massimo.
[13] Si tratta della struttura di partenza.
[14] Tertulliano (Apologeticum 40, 2). Tertulliano scrisse anche un testo dal titolo De spectaculis. Nello scritto espresse la sua esecrazione per gli spettacoli e i giochi gladiatorî, fornendo utili dati sulle origini degli stessi.
[15] Eusebio di Cesarea, uno storico del IV secolo, dedica un intero capitolo della sua Storia Ecclesiastica alla vita e all’opera letteraria di Ignazio di Antiochia (santo; condannato ad bestias a Roma).
[16] Vi potevano trovare posto tra le 30mila e le 50mila persone. Cf anche: E. Gandolfo – A. Polo, Testimonianze cristiane nell’Africa romana. Alla ricerca delle prime comunità cristiane (II-VI sec. d.C.), Edizioni Istituto San Gaetano, Vicenza 1999, p. 41.
[17] La passione di Perpetua e Felicita, testo latino a fronte, a cura di M. Formisano, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2008.
[18] Nel II secolo poteva ospitare circa 27mila spettatori.
[19] Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, V libro.
[20] Conteneva circa 25mila spettatori.
[21] Su questo punto cf anche: C. Vismara, Il supplizio come spettacolo, in: N. Savarese, ‘Teatri romani. Gli spettacoli nell’antica Roma’, CuePress, Imola 2015, p. 149.
[22] Cf anche: D. Augenti, Spettacoli del Colosseo nelle cronache degli antichi, L’Erma di Bretschneider, Roma 2001.
[23] Indicato come uno dei successori dell’apostolo Pietro alla guida della Chiesa locale di Antiochia.
[24] Eusebio di Cesarea, nel Chronicon, trattando dell’anno 107/108, scrive che Ignazio, vescovo di Antiochia, fu portato a Roma ed esposto alle fiere. Cf anche: Martyrium Antiochenum VI, 3. 8.
[25] E. Prinzivalli – M. Simonetti, Testi cristiani delle origini, Mondadori, Milano 2010. Cf “Le lettere di Ignazio”, pp. 279 ss.
[26] In tali occasioni vennero impiegati anche schiavi ma non quelli che servivano a supportare il sistema economico del tempo.
[27] Le prime sei lettere sono state tramandate, con l’eccezione della lettera ai Romani, dal codice Mediceo Laurenziano 57,7 (databile all’XI secolo). Parte della lettera alla comunità di Smirne è contenuta nel papiro Berlinese 10581 (V secolo). La lettera ai Romani è contenuta nel codice Parigino greco 1451 (risalente ai secoli X-XI), dov’è incorporata nello scritto intitolato Martirio di Ignazio.
[28] Diversi corpi di martiri furono sepolti nelle catacombe ma di loro non si conosce il luogo ove vennero uccisi. Su questo punto cf anche: A. Amore, I Martiri di Roma, a cura di A. Bonfiglio, Tau Editrice, Pian di Porto (Todi) 2013.
[29] Vi si celebrava il loro anniversario.
[30] Scoperto dal Bosio nella camera situata ai piedi della scala d’entrata della catacomba.
[31] Cioè di un alto cappuccio ripiegato a forma di berretto frigio.
[32] Martirio di san Policarpo vescovo di Smirne, in: ‘Atti e passioni dei martiri’, a cura di A.A.R. Bastiaensen, A. Hilhorst, G.A.A. Kortekaas, A.P. Orbán, M.M. Van Assendelft, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2014 (VII ed.). Cf pp. 6-45 e 371-383.
[33] Cfr anche: Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1750, compilati da L. Antonio Muratori …, volume 7, Giuseppe Antonelli Editore, Venezia 1846, p. 733.
[34] Su questo punto cf anche: S. Sofia Boesch Gajano, Dai leggendari medievali agli Acta Sanctorum. Forme di trasmissione e nuove funzioni dell’agiografia, in: ‘Rivista di storia e letteratura religiosa’, XXI (1985), pp. 219-244. De Rosweyde aux Acta Sanctorum: la recherche hagiographique des Bollandistes à travers quatre siècles, Actes du Colloque international (Bruxelles, 5 octobre 2007), édités par Robert Godding et alii, Société des Bollandistes, Bruxelles 2009, pp.149-284. V. Saxer, La ricerca agiografica dai Bollandisti in poi, in: ‘Augustinianum’, XXIV (1984), pp. 333-345.
[35] R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, in op. cit., pp. 231-233. Le numerazioni indicano la catalogazione.
[36] R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, op. cit., p. 233.
[37] R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, op. cit., p. 233.
[38] R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, op. cit., pp. 233-234.
[39] Sul piano scientifico, i pigmenti rossi sono numerosi e suddivisibili in cinque gruppi: i pigmenti a base di ossidi di ferro, il rosso piombo, il cinabro, il realgar e le lacche. Il gruppo più numeroso è quello degli ossidi di ferro che sono, sostanzialmente, ocre rosse di varia origine geografica o geologica.
[40] A circa 30 metri d’altezza dal livello stradale.
[41] Frammento.
[42] A.R. Williams, Che cosa significano gli antichi graffiti scoperti al Colosseo? La ristrutturazione dell’anfiteatro Flavio fa riemergere alcune antiche iscrizioni, nascoste da secoli di sporcizia e calcificazione. Ma il loro significato non è ancora del tutto chiaro, in: ‘National Geographic Italia’, 30 gennaio 2013.
[43] I segni in carboncino di notevoli dimensioni visibili in alto a sinistra e al centro ricorrono anche in un secondo lacerto situato a metà galleria.
[44] Esempi: Tarsicius, Theseus. La tendenza non era di indicare nomi annotando di questi la prima e l’ultima lettera. Si scriveva il nome intero.
[45] Su questo punto cf il Liber de spectaculis dello scrittore latino Marco Valerio Marziale. Seneca fa riferimento a un toro e a un orso legati insieme e incitati a massacrarsi a vicenda, per finire poi uccisi da un confector, che dà loro il colpo di grazia (Sull’ira, 3, 43, 2).
[46] C. Pavia, Guida dei mitrei di Roma antica, Gangemi, Roma 1999.
[47] Oggi sono visibili solo i resti del basamento.
[48] Ebbe largo sviluppo in epoca imperiale (non prima della seconda metà del II secolo d.C.).
[49] Per ulteriori approfondimenti cf anche: M. J. Vermaseren, Cybele and Attis: the Myth and the Cult, Thames and Hudson, London 1977.
[50] R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, op. cit., p. 233.
[51] Le persecuzioni anticristiane ebbero termine con l’Accordo di Milano del 313 d.C. tra Costantino e Licinio.
Per saperne di più
AA.VV, Il Colosseo, a cura di A. Gabucci, Electa, Milano 1999.
AA.VV., La Croce. Iconografia e interpretazione (secoli I-inizio XVI). Vol. 1: ‘Dal mondo pagano al Cristianesimo. Croce e iconografia nel periodo patristico’, a cura di B. Ulianich, Elio de Rosa Editore, Roma 2007.
AA.VV., Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F. Bisconti, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2000.
A. Amore, I Martiri di Roma, a cura di A. Bonfiglio, Tau Editrice, Pian di Porto (Todi) 2013.
G.-H. Baudry, Simboli cristiani delle origini. I-VII secolo, Jaca Book, Milano 2016.
A. Carfora, I cristiani ai leoni. I martiri cristiani nel contesto mediatico dei giochi gladiatori, Il Pozzo di Giacobbe Editore, Trapani 2009.
C. Carletti, Epigrafia dei cristiani in Occidente dal III al VII secolo. Ideologia e prassi, Edipuglia, Bari 2008.
C. Corti, La croce nei primi quattro secoli. Dal buio alla luce, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
Graffiti latini, a cura di L. Canali e di G. Cavallo, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1998.
J. Daniélou, I simboli cristiani primitivi, Edizioni Arkeios, Roma 2000.
M. Guarducci, Misteri dell’alfabeto. Enigmistica degli antichi cristiani, Rusconi, Milano 1993.
P.L. Guiducci, Nell’ora della prova. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo, Albatros-Il Filo, Roma 2017.
C. Lo Giudice, L’impiego degli animali negli spettacoli romani. Venatio e damnatio ad bestias, in: ‘Italies’, 12, 2008, pp. 361-395. Cf https://italies.revues.org/1374.
Marziale, Liber de spectaculis. Il testo fu scritto nell’80 d.C. per raccontare e celebrare l’inaugurazione dell’anfiteatro Flavio da parte di Tito.
F. Meijer, Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori, Laterza, Bari-Roma 2006 (II ed.).
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium. Questo filosofo esecra le esecuzioni dei condannati a morte.
R. Rea, Il Colosseo, teatro per gli spettacoli di caccia. Le fonti e i reperti, in: AA.VV., ‘Sangue e arena’, a cura di A. La Regina, Electa, Milano 2001, pp. 223-243.
P. Testini, Archeologia cristiana, EdiPuglia, Bari 1980.
M.C. Tocci, Dal simbolo solare al signum crucis. Archeologia dell’idea per un’immagine, Editoriale Progetto 2000, Cosenza 2013.
ALLEGATO 1: immagini del lacerto d’intonaco usando un programma informatico in grado di evidenziare la “T”, la “S” e la croce.
ALLEGATO 2: database epigrafici
EDR, Epigraphic Database Roma (http://www.edr-edr.it)
EDH, Epigraphische Datenbank Heidelberg (http://edh-www.adw.uni-heidelberg.de/home)
EDB, Epigraphic Database Bari (http://www.edb.uniba.it
HE, Hispania Epigraphica (http://eda-bea.es)
PETRAE, Programme d’enregistrement, de traitement et de recherches automatiques en épigraphie
Epigraphische Datenbank Clauss – Slaby (http://www.manfredclauss.de)
Ringraziamenti
Per gli aiuti ricevuti, l’A. esprime una particolare riconoscenza alla Dottoressa Rossella Rea (Archeologa), Direttrice del Parco archeologico del Colosseo, alla Dottoressa Francesca Montella (Archeologa), Funzionaria della Direzione del Parco cit., alla Restauratrice Signora Sonia Paula Lanzellotti, alla Professoressa Cristina Gennaccari (Archeologa) dei Musei Vaticani, all’Ingegnere Luciano Le Donne per il prezioso lavoro informatico. Senza il loro sostegno non sarebbe stato possibile realizzare il lavoro descritto in questo studio.