In libreria: Vita di Robespierre

RobDa bambino serio, ragionevole e operoso a ideologo fanatico e tiranno, una sorta di anticipatore di  Stalin e Pol Pot. Ma questo secondo alcuni storici, perché per altri Robespierre non fu solo lo stereotipo del sanguinario dittatore moderno, il teorico del Terrore e lo spietato ghigliottinatore di tutte le opposizioni, ma anche un uomo di grande fermezza, il difensore del Terzo Stato, colui che di fronte al pericolo di una restaurazione decise di tutelare le conquiste rivoluzionarie cancellando i principi libertari che avevano ispirato il 1789.
In questa appassionata biografia lo storico australiano Peter McPhee indulge sostanzialmente alla seconda ipotesi, dipingendo il ritratto un uomo che «si era impegnato a cercare un senso nel caos di un mondo in sconvolgimento rivoluzionario e a usare i suoi talenti per creare stabilità e certezza per un nuovo ordine». L’autore segue Robespierre lungo tutta la sua vita, mettendo in evidenza l’ambiente e le vicende familiari – dalla nascita illegittima agli studi in cui dimostrò sempre grande talento –  al fine di evitare, spiega, quel «carattere stranamente non umano e statico» delle oltre cento biografie dedicate al personaggio, attente cioè a descrivere Robespierre come l’esclusiva «espressione di un insieme di princìpi rivoluzionari che cercò di realizzare nel corso dei cinque ani della sua carriera politica». Uno dei pregi di questo volume, quindi, è proprio quello di scandagliare a fondo il Robespierre prerivoluzionario: perché se la sua fama si costruì negli ultimi cinque anni di vita, dal 1789 al 1794, ora finalmente veniamo a conoscere nel dettaglio anche i trentuno anni precedenti (morì a 36 anni), di cui poco si sapeva se non in modo frammentario.
McPhee ci consegna naturalmente anche un attento ritratto del rivoluzionario – dell’Incorruttibile, come era chiamato – negli anni convulsi che lo condussero da deputato dell’assemblea costituente alla Convenzione, fino al Comitato di salute pubblica con Saint-Just e Couthon. Di fatto, Robespierre occupò una rilevante posizione di potere, come membro del governo, soltanto per un anno. E il Terrore non fu imposto da lui ma accettato e votato dall’intero Comitato. Ecco perché, quando fu ucciso «molti si affrettarono a ripudiare quel che ora chiamavano “il Terrore di Robespierre”, e per ogni sorta di ragioni. Ex girondini, che erano stati intimiditi sino all’acquiescenza nel 1793‑94, ora potevano non solo denigrare il nome di Robespierre con impunità, ma anche riscrivere il proprio ruolo come quello di “moderati legalisti”, malgrado la loro complicità, per esempio, nei massacri di settembre». Un destino, aggiungiamo noi, che lo accomuna ai piccoli e grandi tiranni della Storia.
Peter McPhee, Robespierre. Una vita rivoluzionaria – Saggiatore, Milano 2015, pp. 358, euro 26,00

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S. Pivato, Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra fredda – il Mulino, Bologna 2015, pp. 208, euro 19,00
Nell’età delle masse la politica deve parlare a tutti e adottare un linguaggio semplice e persuasivo; il parlare figurato, per metafore e apologhi, è strumento principe della propaganda. Così non stupisce che la politica ami, alla lettera, raccontar favole. Non tanto (o non solo) nel senso di dire panzane, ma in quello di ricorrere a strutture narrative proprie della tradizione favolistica, mescolando al dato reale elementi di satira, leggende, miracolistica, zoologia, fisiognomica, profezie. Ecco allora Pinocchio diventare campione fascista ma anche comunista, il lupo di Cappuccetto rosso impersonare Togliatti, e Truman e Stalin vestire i panni dell’Orco mangiafuoco…Il grottesco mondo della propaganda politica riportato alla luce in un divertente e istruttivo campionario di favole che la politica, soprattutto negli anni della Guerra fredda, ha propinato agli italiani. «Qui si narra l’avventura dell’eroe d’ogni bambino che una vecchia dittatura trasformò in un burattino. A quei tempi era ridicolo, ma purtroppo esiste ancora per Pinocchio oggi il pericolo di tornare come allora. Nella storia che vedrete c’è la strada più sicura per salvarlo dalla rete d’una nuova dittatura».

M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974 – Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 454, euro 28,00
Le ‘stragi nere’ iniziano il 12 dicembre 1969 con Piazza Fontana e terminano il 4 agosto 1974 con l’attentato al treno Italicus. Alcuni giorni dopo la bomba di Milano, il settimanale britannico “The Observer” parlerà di ‘strategia della tensione’, riferendosi non solo alle bombe ma al modo in cui sono stati strumentalizzati attentati e disordini sociali, chiamando in causa la stampa e i politici.
La stagione dello stragismo, ignota ai Paesi dell’Europa occidentale, ha minato le istituzioni democratiche e la convivenza sociale dell’Italia, con l’aggravante che in quarant’anni non sono stati condannati né i mandanti né gran parte degli esecutori. Solo in sede storica si è fatto un po’ di ordine.
Mirco Dondi ricostruisce gli episodi stragisti, soffermandosi in particolare sul loro impatto immediato.

D. Leoni, La guerra verticale. Uomini, animali e macchine sul fronte di montagna 1915-1918 – Einaudi, Torino 2015, pp. 576, euro 36,00
Quando, il 24 maggio 1915, si aprí il fronte italo-austriaco, nessuno di coloro che avevano teorizzato la guerra di montagna avrebbe mai immaginato che cosa sarebbe stata. Tanto meno coloro che si accingevano a combatterla. Non fu guerra lampo, né di movimento, fu guerra di posizione: ma su un terreno sconosciuto, inospitale, e che da lí a poco avrebbe mietuto le sue vittime con il freddo e le valanghe. Gli eserciti dovettero misurarsi anche con quella Natura: sublime alla vista, celebrata, nemica. Lí dove si pensava potessero agire solo piccole pattuglie, si stanziarono ingenti masse d’uomini che, per vivere, dovettero trascinare in quota masse di animali, e una quantità iperbolica di materiali, macchine e armi; sfollare parte delle popolazioni e militarizzarne altra; allestire un esercito parallelo di lavoratori civili e prigionieri. La guerra di montagna fu molte guerre: di masse sugli altopiani, alpinistica sulle Dolomiti e sui ghiacciai, sotterranea in tutti i settori, tecnologica e di saperi. Infine, si fece sistema che si autoregolava, sovrapponendosi e sostituendosi a quello alpino. Il libro di Leoni racconta come tutto ciò poté accadere, di come la sfida militare fosse stata preannunciata da quella turistico-alpinistica fin dalla seconda metà dell’Ottocento; di come vissero e raccontarono quell’esperienza i combattenti, ma anche i prigionieri, i civili; di come cambiarono le relazioni fra uomo e ambiente. Lo fa mettendo in campo al pari degli eserciti, molte discipline, molti saperi, molte voci e molti corpi.

M. Mondini, Andare per i luoghi della Grande Guerra – il Mulino, Bologna 2015, pp. 176, euro 12,00
L’escursionista che voglia inerpicarsi per il Col di Lana attraversa anonimi pendii erbosi interrotti da qualche bosco senza nulla di notevole per trovarsi improvvisamente, oltrepassati i 2.000 metri, nel mezzo di un paesaggio lunare… solo a quel punto, forse, si rende conto di camminare tra i resti di un campo di battaglia.
Raramente una guerra ha lasciato tracce tanto indelebili come il primo conflitto mondiale in Italia. Non solo nelle città, bombardate, occupate, a volte completamente distrutte e ricostruite poi dalle fondamenta, ma anche nel paesaggio, piegato alle esigenze belliche e spesso sconvolto. Senza dimenticare opere d’arte o edifici storici, a volte persi per sempre, a volte solo feriti e recuperati, come il duomo di Padova, la chiesa degli Scalzi di Venezia, la gipsoteca di Possagno.

S. Tabacchi, Mazzarino – Salerno Editore, Roma 2015, pp. 368, euro 19,90
Mazzarino: abile burattinaio della politica europea o pallida controfigura di Richelieu? Stefano Tabacchi ricompone l’immagine di Mazzarino, il Cardinale italiano alla corte di Francia, l’abile manovratore e dominus assoluto della politica europea del XVII secolo. La biografia indaga sul vero ruolo che Mazzarino ebbe in quella particolare fase della storia francese ed europea rappresentata dalla transizione verso l’assolutismo monarchico. Da sempre messo a confronto con il suo predecessore Richelieu, il suo modello politico fu più “romano” che “francese”, appreso negli anni della giovinezza al servizio della Santa Sede. Ne emerge la figura di un politico che intese la sua azione come un’arte, una pratica molto raffinata, nel fedele servizio al sovrano.

M. Pellegrini, Guerra santa contro i Turchi. La crociata impossibile di Carlo V – il Mulino, Bologna 2015, pp. 416, euro 25,00
«Lo spirito di crociata accompagnò l’identità spagnola fin molto addentro l’età moderna. Il Medioevo, terminato con successo per la Spagna cristiana, lasciò il posto a un’età nella quale una nazione orgogliosa di sé e vocata all’imperialismo si sarebbe protesa verso gli spazi marittimi, incamminandosi verso l’esportazione della Reconquista su scala planetaria».
Nel periodo 1519-56 Carlo V d’Asburgo fu a capo di un impero esteso tra Europa e Nuovo Mondo, sul quale proverbialmente «non tramontava mai il sole». Eppure egli non riuscì mai a stabilire un regime di controllo della zona centro-occidentale del Mar Mediterraneo, dove crebbe l’insicurezza causata dall’emergere dell’Impero ottomano come potenza anche marittima. Sotto Solimano il Magnifico(1520-66) la Mezzaluna ottomana si dotò di una flotta moderna e nel contempo sostenne la formazione dello stato barbaresco di Algeri, caratterizzato da un’aggressiva politica corsara ai danni di Italia, Grecia e Spagna. Contro tali forze Carlo V non poté mai coordinare una spedizione internazionale modellata sul prototipo della crociata medievale, complice la disunione del mondo europeo e la sotterranea opposizione del papato romano.

L. Canfora, Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante – Salerno Editore, Roma 2015, pp. 104, euro 8,90
Qual era il Cesare che Dante conosceva? Cosa vi ha aggiunto di suo? Come si concilia un tale impianto ideale incentrato sull’idea di impero con l’enfasi ammirativa riservata da Dante al nemico giurato di Cesare, Catone l’Uticense? Entrare in tale labirinto intellettuale e poetico è l’obiettivo di questo breve libro, che approda ad una riconsiderazione del rapporto complesso  e ammirativo di Dante nei confronti del mondo cosiddetto classico e soprattutto della grande cultura pagana.