In libreria: Tegetthoff a Lissa
Insieme ad altri episodi del Risorgimento, la battaglia di Lissa rappresenta uno dei nodi in cui si intrecciano realtà militare, mito patriottico e una memoria collettiva fatta di vittimismo e autoflagellazione. La vicenda, nei suoi sviluppi è abbastanza nota e rientra nel filone delle cattive prove dei nostri vertici militari, anche se non in quello delle sconfitte tout court. Il 20 luglio 1866 – a Terza guerra di indipendenza praticamente conclusa – la flotta italiana di Carlo Pellion di Persano si scontra con quella austriaca guidata dal contrammiraglio Wilhelm von Tegetthoff. Tra cannonate e dense nubi di fumo, la corazzata Re d’Italia, resa ingovernabile, viene colpita e poi speronata dall’ammiraglia austriaca Ferdinand Max, che la affonda insieme a 400 marinai. Anche gli austriaci devono leccarsi le ferite, con la corazzata Kaiser che, ripetutamente bersagliata, sfugge miracolosamente all’affondamento.
Come spiega bene in questo volume Giuliano da Frè, esperto in storia militare e collaboratore della nostra rivista, il motivo dell’insuccesso – apparso agli occhi dei contemporanei più ampio del vero, anche a motivo della superiorità numerica e tecnologica della nostra flotta – va ricercato in un insieme di cause, il cui peso andò a gravare unicamente sulle spalle di Persano e non, ad esempio, su quelle degli ammiragli Albini e Vacca, che per invidia e insipienza tennero lontane le loro unità dal cuore dello scontro. Allo stesso modo furono nascoste le pesanti responsabilità politiche di Depretis che, avendo alimentato un clima velenoso nei vertici della nostra marina, gettò allo sbaraglio la flotta alla ricerca di un successo da spendere nelle imminenti trattative di pace.
Da Frè affronta questi e numerosi altri aspetti della vicenda con un approccio che unisce rigore storiografico a una felice scrittura divulgativa, restituendo al lettore non solo la cronaca di uno scontro navale, ma anche il senso profondo di un evento che ha inciso nell’immaginario italiano. Smontando luoghi comuni, leggende e false accuse, il volume ci offre una rilettura critica di tutta la vicenda. Senza trascurare, anzi collocando nel giusto contesto gli sviluppi delle tecnologie (l’elica al posto delle ruote a pale), le tattiche e le grandi trasformazioni nella guerra navale imposte dalla comparsa delle navi corazzate.
Con linguaggio chiaro e preciso, Ferro, legno e acqua salata conduce il lettore in un racconto a cui non sono estranei – e anzi risultano facilmente accessibili – anche i dettagli più tecnici delle strategie navali e delle manovre di combattimento. Senza trascurare le dinamiche politiche, le tensioni interne alle due marine e le ragioni del successo austriaco.
Ne emerge una narrazione che riporta alle corrette dimensioni la nostra retorica vittimistica (nella cittadina abruzzese di Vasto, una lapide ufficiale dedicata ai caduti definisce “fosco” l’ammiraglio Persano) e restituisce complessità storica all’evento, mostrando come la battaglia sia stata al tempo stesso un fallimento tattico e l’inizio di un mito negativo destinato a durare negli annali della nostra marina da guerra. Mito che per contrappunto rese a lungo Tegetthoff, secondo la nostra opinione pubblica, una specie di Rommel dei mari, quando invece, come spiega bene l’autore, fu comandante solo prudentemente audace. «Perché il vero successo Tegetthoff lo aveva costruito prima della battaglia: addestrando comandanti ed equipaggi in maniera adeguata e mettendo a punto navi e tattiche che comprendevano non solo lo speronamento, ma anche la concentrazione del tiro e la “tattica di mischia” per portare contro ogni corazzata italiana un maggior numero di navi». Due visioni opposte e due leadership che segnarono il destino di questo celebre scontro.
Giuliano Da Frè, Ferro, legno e acqua salata: l’ammiraglio Tegetthoff a Lissa – il Mulino, Bologna 2025, pp. 256, euro 18,00
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John Hersey, Hiroshima: il racconto di sei sopravvissuti – UTET, Novara 2025, pp. 192, euro 17,00
Due immagini ricorrono spesso di Hiroshima: il sinistro fungo atomico che si leva in alto, tra le nuvole, e le ombre allungate di quelle che un tempo erano persone, vaporizzate e come impresse sul selciato. Sono immagini forti, che però cancellano di nuovo proprio le vittime, i morti e i sopravvissuti: donne e uomini, bambini e anziani, persone comuni con le loro vite ordinarie perdute per sempre. È forse il rischio della Storia, che guarda sempre le cose dall’alto e da lontano, disumanizzandole. Questo libro è diverso, e infatti nasce come reportage: a meno di un anno da quel tetro 6 agosto 1945, il corrispondente John Hersey viene spedito dal “New Yorker” per capire che ne è stato della città giapponese, sconosciuta al mondo fino a pochi mesi prima. Il reporter si aggira tra le cicatrici urbane e umane, raccogliendo le storie dei superstiti, tra cui ne sceglie con cura sei: Kiyoshi Tanimoto, pastore della Chiesa metodista; Toshiko Sasaki, giovanissima impiegata in una fonderia; Masakazu Fujii, rispettato patron di una clinica privata; Hatsuyo Nakamura, sarta e madre, fresca vedova di guerra; Terufumi Sasaki, giovane chirurgo della Croce Rossa; Wilhelm Kleinsorge, gesuita tedesco in missione. Quello che doveva essere solo un articolo diventa molto di più: le sei testimonianze si intrecciano insieme, toccano e attraversano altre storie, fotografano vividamente ogni attimo, il prima, il durante e soprattutto il dopo, fino a comporre un affresco di misurata ma altissima letteratura – d’altra parte Hersey solo due anni prima aveva vinto il premio Pulitzer con un romanzo. In pagine toccanti e mai retoriche, Hiroshima restituisce alle vittime la parola, consegnando una testimonianza indimenticabile ai contemporanei e alle generazioni future. E infatti quarant’anni dopo, nel 1985, Hersey torna a trovare i sei sopravvissuti e aggiunge al libro una seconda parte che chiude il cerchio e parla di eredità e memoria, prefigurando in qualche modo il Nobel per la Pace assegnato nel 2024 all’associazione Nihon Hidankyō, creata dai superstiti di Hiroshima e Nagasaki.
Richard Overy, Pioggia di distruzione: Tokyo, Hiroshima e la bomba – Einaudi, Torino 2025, pp. 194, euro 25,00
Servirono veramente le bombe atomiche a porre fine alla guerra o vennero sganciate seguendo altre logiche e finalità? Perché non fu sufficiente il precedente bombardamento incendiario di Tokyo, quasi altrettanto distruttivo e crudele? Uno dei maggiori storici militari al mondo, Richard Overy, ripercorre quei mesi drammatici, dalla guerra nel Pacifico agli sforzi tecnologici e scientifici della corsa atomica, fino all’escalation che portò alla scelta di colpire Hiroshima e Nagasaki. Sono mesi che gettano la loro ombra inquietante sull’oggi, in un tempo in cui insieme agli interrogativi etici minacciano di sollevarsi gli stessi venti nucleari.
Benedetta Calandra, Francesco Davide Ragno, Argentina: biografia di una nazione dall’indipendenza a oggi – il Mulino, Bologna 2025, pp. 232, euro 18,00
Dalle grandi migrazioni dell’Ottocento alla globalizzazione, l’Argentina ha vissuto una traiettoria complessa, segnata da promesse mancate e ritorni ricorrenti del passato. Questo libro ripercorre le tappe fondamentali della sua storia contemporanea, mostrando come, fin dall’inizio del XX secolo, si siano stratificati elementi destinati a modellarne il destino: populismi nati nel vuoto lasciato dai fascismi europei, cicli di crescita e crisi economica, conflitti tra rivoluzionari e reazionari, e un ruolo costante della Chiesa e dei militari nella vita pubblica. Attraverso una lettura attenta delle discontinuità e delle permanenze, gli autori arrivano all’Argentina di oggi, dove le fratture storiche continuano a esercitare un’influenza profonda. In questo scenario si inserisce la figura controversa del presidente Javier Milei, simbolo di una nuova stagione politica che divide il paese secondo linee antiche, tra adesioni entusiastiche e rifiuti radicali.
Paolo Massari, La vacanza degli intellettuali: Pasolini, Moravia e il circolo di Sabaudia – UTET, Novara 2025, pp. 192, euro 19,00
«Ho scelto Sabaudia come luogo dello spirito per i miei riposi forzati e le mie ansie di lavori futuri, sogni furiosi che mi tengono ancorato al mondo.» Con queste parole Pier Paolo Pasolini, nel documentario. La forma della città, raccontava il suo rapporto con Sabaudia, dove insieme ad Alberto Moravia aveva comprato una casa. Un edificio squadrato sul lungomare, a pochi chilometri dalla città di costruzione razionalista voluta da Mussolini nel progetto di bonifica dell’Agro pontino. Quel luogo, prima simbolo dell’intraprendenza del regime, diventa pochi anni dopo il ritrovo prediletto dell’intellighenzia italiana: così è possibile incontrare Moravia che fa la spesa in pescheria, Bernardo Bertolucci e Ian McEwan che discutono la sceneggiatura di un film mai realizzato, Laura Betti a passeggio con Dario Bellezza e Renzo Paris, Jean Genet a caccia di firme su una petizione per la Palestina… Ma non sono solo gli intellettuali a scegliere quei luoghi per le loro vacanze. Presto il litorale diventa meta di villeggiatura anche della borghesia romana: Sabaudia e il Circeo appaiono tra le pagine mondane delle riviste scandalistiche ma, soprattutto, diventano il teatro oscuro di uno dei delitti più efferati del secondo Novecento, destinato a imprimersi nella coscienza del paese. Paolo Massari in questa storia ha un punto di vista privilegiato: il suo prozio è stato il fondatore della biblioteca della città, ha incontrato i protagonisti di questa storia e ha conversato con loro tra i portici del bar Italia. Guidato da documenti d’archivio e romanzi, e aiutato dalle parole di testimoni illustri come Dacia Maraini, Alain Elkann e Edoardo Albinati, Massari ricostruisce il momento in cui Sabaudia diviene uno dei poli d’avanguardia dell’arte, del cinema e della letteratura italiana, una scuola platonica e un circolo letterario: il punto focale da cui osservare la storia culturale del dopoguerra.
Paul Morland, Senza futuro: il malessere demografico che minaccia l’umanità – Liberilibri, Macerata 2025, pp. 304, euro 18,00
Una calamità demografica si sta verificando davanti ai nostri occhi. È strisciante e silenziosa, ma pervasiva. Le sue conseguenze rischiano di minare il benessere dell’intero pianeta. Come un morbo, scaturito nel “mondo sviluppato”, si diffonde ormai a livello globale: i bambini che nascono sono troppo pochi perché l’umanità possa continuare ad avvicendarsi.
Il demografo anglosassone Paul Morland sostiene che le ricadute di questa congiuntura saranno devastanti. Mancanza di manodopera, crisi delle pensioni, aumento del debito pubblico, minore capacità di innovazione in ogni ambito della società: quello che sta accadendo minaccia di travolgerci tutti, e prima di quanto pensiamo. Nelle nazioni sviluppate potremmo forse temporaneamente arginare i suoi effetti peggiori con l’immigrazione, ma occorre tener conto delle problematiche implicazioni etiche di questa possibile soluzione.
Se non cambiamo radicalmente il nostro atteggiamento nei confronti della genitorialità e non abbracciamo un nuovo e positivo spirito pro- natalità, sostiene Morland, andremo incontro a un disastro. Il libro traccia un quadro di questo possibile futuro, ne spiega le cause e suggerisce cosa si potrebbe fare per renderlo migliore.
Mark Thompson, La guerra bianca: vita e morte sul fronte italiano 1915-1919 – il Saggiatore, Milano 2025, pp. 608, euro 28,00
La guerra bianca è il racconto documentato degli anni della Prima guerra mondiale sul fronte del Nordest italiano: un’«opera-mondo», per citare l’espressione usata da Carlo Greppi nella sua prefazione, che tocca ogni aspetto – dalla quotidianità in trincea all’impreparazione tecnica, dagli errori degli alti comandi alle difficoltà logistiche – di un momento storico in cui, ogni giorno, per migliaia di persone la vita e la morte sono state distanti solo pochi attimi.
Agli albori del 1915 l’Italia è una nazione ancora da forgiare: non c’è una lingua, non c’è un sentimento comune, non c’è un’idea diffusa di patria. Per le classi dirigenti del paese è ora che gli italiani si temprino in una solida unità nazionale, e con l’uccisione di Francesco Ferdinando d’Austria la soluzione è a portata di mano: la guerra. La fucina, il campo di battaglia. A pagarne il prezzo saranno i giovani costretti in un fronte lungo seicento chilometri, dalle Dolomiti all’Adriatico; giovani che, uniti nella paura e nell’angoscia, combatteranno in un biancore costante di pietre e di neve, uccideranno e saranno uccisi.
Grazie ai diari dell’epoca, alle interviste dei reduci e alle esperienze di scrittori come Ungaretti, Hemingway, Musil e Gadda, Mark Thompson delinea con lucidità il panorama socio-culturale e politico-economico di un’epoca spartiacque non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, la cui fisionomia verrà stravolta dalla dissoluzione degli imperi centrali che aprirà la strada ai totalitarismi. Questo libro mostra in modo evidente come le illusioni e le attese evocate dalla retorica nazionalista furono sconfessate dalla brutalità della guerra di logoramento. Un monito che, a distanza di più di cento anni e di fronte a guerre sempre nuove, continua a supplicarci affinché la prossima «inutile strage» possa essere evitata.
Pino Ippolito Armino, Storia dell’Italia meridionale – Laterza, Roma-Bari 2025, pp. 336, euro 20,00
L’Italia è stabilmente tra i 10 Paesi con l’economia più sviluppata al mondo ma, al tempo stesso, il Meridione è l’area arretrata più estesa d’Europa. Com’è possibile che oltre 160 anni dopo l’unificazione ancora esista questa differenza? Questa storia dell’Italia meridionale ce lo racconta in sette snodi cruciali. Un libro per conoscere e comprendere le cause dei problemi contemporanei oltre gli stereotipi e i pregiudizi. Tre secoli fa circostanze eccezionali e imprevedibili riunirono sotto un unico regno la Sicilia e il resto del Mezzogiorno. La pace siglata all’Aia il 20 febbraio 1720 portò nell’arco di breve tempo al dominio dei Borbone su entrambi gli Stati. Se scattassimo una fotografia di quel momento storico vedremmo Napoli tra le città più popolose d’Europa, un territorio carico di potenzialità inserito in un impero che arrivava fino all’America Latina, una vita culturale ricca di fermenti e di intellettuali in dialogo con Parigi. Tre secoli dopo il panorama è completamente diverso. Cosa è andato storto? Quali sono gli avvenimenti che hanno condizionato il destino dell’Italia meridionale tanto da renderla l’area arretrata più estesa d’Europa? Perché facciamo ancora fatica a invertire la rotta e a immaginare un futuro diverso? È colpa di un popolo pigro e indolente, di classi dirigenti corrotte e indifferenti o di quella che i neoborbonici chiamano ‘conquista coloniale’ da parte del Nord? Questa storia dell’Italia meridionale, che non trascura la Sardegna, individua e racconta sette momenti che hanno plasmato l’identità del Mezzogiorno, dal disastroso esito della rivoluzione giacobina del 1799 fino alla nascita di una fittizia ‘Questione Settentrionale’, per aiutarci a districare alcuni degli interrogativi più tormentati del nostro Paese.
Giovanni Cadioli, Il pianificatore: economia, politica e potere in URSS – il Mulino, Bologna 2025, pp. 320, euro 32,00
Definito «stratega della vittoria economica» dell’URSS nella Seconda guerra mondiale, Nikolaj Voznesenskij diresse la pianificazione sovietica, ne fu uno dei principali teorici e collaborò direttamente con Stalin. Eppure, fuori dagli ambienti specialistici, il suo nome resta poco noto: travolto dalle purghe, fu giustiziato nel 1950. Questo libro ricostruisce la biografia politica di Voznesenskij, offrendo al contempo uno sguardo sul contesto politico, economico e ideologico dell’epoca. La sua parabola esemplare illumina le complesse dinamiche del potere nell’URSS staliniana e aiuta a comprendere l’evoluzione del sistema sovietico fino alla perestrojka di Gorbacëv, che ne segnerà il definitivo tramonto.
Jacopo Lorenzini, I colonnelli della Repubblica: esercito, eversione e democrazia in Italia 1945-1974 – Laterza, Roma-Bari 2025, pp. 336, euro 22,00
All’indomani della seconda guerra mondiale l’esercito italiano è reduce dalla peggiore disfatta della sua storia, ma questo è solo l’ultimo dei suoi problemi. La monarchia sabauda è sul punto di scomparire, l’esperienza fascista è sepolta sotto due anni di sanguinosa guerra civile e i suoi quadri devono giurare fedeltà a una Repubblica che non conoscono e in buona parte non condividono: un deficit di cultura democratica che rischia di indebolire significativamente la giovane Repubblica Italiana. Grazie a materiale inedito, questo libro dà forma alle vicende umane, professionali e politiche degli ufficiali che vivono quella transizione e delinea due storie parallele. Da un lato quella della difficile trasformazione del corpo ufficiali italiano da istituzione monarchica, nazionalista e aderente alla concezione fascista dello stato autoritario, a corpo professionale repubblicano, atlantista e almeno in parte democratico. Dall’altro la storia delle teorie e delle pratiche di controguerriglia e controsovversione elaborate da quegli stessi ufficiali nel quadro della guerra fredda. Negli anni che precedono Piazza Fontana, proprio lo scontro tra visioni del mondo confliggenti e incompatibili mette in pericolo come mai prima la coesione dell’istituzione militare italiana, introducendo nella storia della Repubblica il fantasma del golpe. Un libro di grande attualità oggi, in un momento in cui le forze armate riprendono ad avere un peso inedito rispetto agli ultimi trent’anni.
Adriano Prosperi, Delitto e perdono: la pena di morte nell’orizzonte mentale dell’Europa cristiana XIV-XVIII secolo – Einaudi, Torino 2025, pp. 584, euro 32,00
Durante i secoli di un «lungo Medioevo» nelle città europee si venne progressivamente elaborando e strutturando un grande spettacolo: quello della morte per via di giustizia. Come ogni dramma teatrale, ciò che manteneva alta la tensione degli spettatori era l’incertezza dell’esito. Erano in gioco due vite, quella del corpo e quella dell’anima e tutte e due rimanevano in pericolo fino alla fine: una fine che si prolungava oltre l’esecuzione, quando il corpo rimaneva esposto alla folla, talvolta squartato e infilzato sulle picche, talvolta pendente dalla forca, talvolta ancora «sparato» dai chirurghi nel rito della «notomia» pubblica. La sorte del corpo e quella dell’anima entrarono a far parte dei dialoghi che si svolsero tra il condannato e la folla per incanalarsi poi all’interno del confronto tra il condannato e gli esperti nell’arte del conforto, i membri di confraternite che si specializzarono in questa funzione e che, fiorite inizialmente nell’Italia centrosettentrionale fra Trecento e Quattrocento, si diffusero in seguito in tutta Europa.