In libreria: Prove di autodistruzione

kershawL’Europa tra il 1914 e il 1945 precipitò in un abisso di barbarie: combatté due guerre mondiali, minacciò le fondamenta stesse della sua civiltà e parve testardamente incamminata sulla via dell’autodistruzione.Ian Kershaw, uno degli storici più autorevoli del nostro tempo, ci racconta quello che fu un vero e proprio viaggio di andata e ritorno dall’inferno.
Estate del 1914: gran parte dell’Europa precipita in un conflitto sconvolgente. La gravità del disastro terrorizza i sopravvissuti, nessuno può credere che la civiltà modello per il resto del mondo sia sprofondata nella brutalità più assoluta.Solo vent’anni dopo la fine della Grande Guerra, nel 1939, gli europei iniziano un secondo conflitto, persino peggiore del primo. Nonostante le crude cifre non possano restituire la gravità dei tormenti inflitti alla popolazione, la conta dei morti – oltre quaranta milioni soltanto in Europa, quattro volte di più della prima guerra mondiale – ci fa percepire con concretezza questo orrore. Ian Kershaw ricostruisce una nuova, monumentale storia dell’Europa contemporanea: un periodo straordinariamente movimentato e tragico che ha visto il continente sfiorare l’autodistruzione e, solo quattro anni dopo aver toccato il fondo nel 1945, gettare le basi per una stupefacente risurrezione.
Ian Kershaw, All’inferno e ritorno: Europa 1914-1949 – Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 651, euro 28,00

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L. Pellicani, Cattivi maestri della Sinistra: Gramsci, Togliatti, Lukàcs, Sartre e Marcuse – Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp. 132, euro 12,00
Sin dalla Rivoluzione Francese, che le ha dato i natali, la sinistra non è mai stata un singolare. Sono sempre esistite due sinistre di cui una era la negazione secca dell’altra.
Di qui il duello permanente fra la sinistra liberalsocialista, determinata a universalizzare la fruizione dei diritti e delle libertà, e la sinistra totalitaria, animata da un progetto profondamente liberticida centrato sull’idea che la costruzione del comunismo esigeva l’abbattimento violento di tutte le istituzioni sociali esistenti e l’instaurazione del terrore catartico quale strumento di purificazione della società borghese, corrotta e corruttrice.

M. T. Giusti, La campagna di Russia 1941-1943 – il Mulino, Bologna 2016, pp. 392, euro 26,00
Quando nel giugno 1941 Hitler scatenò l’«operazione Barbarossa» contro l’Unione Sovietica, avrebbe fatto volentieri a meno dell’aiuto italiano; l’Italia, aveva scritto a Mussolini, avrebbe dovuto concentrare il suo impegno in Nordafrica. Ma Mussolini voleva esserci a tutti i costi, e fece costituire il Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir), che a metà luglio partì per il fronte orientale. Un anno dopo, unito a nuovi corpi d’armata nell’Armir (Armata italiana in Russia), fu schierato sul Don dove l’offensiva sovietica, fra dicembre 1942 e gennaio 1943, lo annientò. Dei 230 mila italiani partiti per la Russia, 95 mila non fecero ritorno: parte uccisi in combattimento, parte morti di stenti e di freddo nelle «marce del davaj» e in prigionia. Il racconto vivido e terribile della campagna più disastrosa e inutile della guerra fascista.

D. Lotti, Muscoli e frac: il divismo maschile nel cinema muto italiano – Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp. 228, euro 14,00
Un’esplorazione approfondita del divismo cinematografico maschile nella produzione nazionale, resa finalmente oggi possibile grazie ai recenti restauri delle pellicole del muto. Il fenomeno divistico maschile, accanto a quello femminile, ha attraversato i drammatici cambiamenti culturali e sociali del nostro Paese a cavallo della Grande guerra, dall’epoca giolittiana sino all’avvento di Mussolini. Il libro ne ripercorre le varie fasi: da quelle aurorali legate al teatro, sino alle interpretazioni cinematografiche più consapevoli. Dal protodivismo dei mattatori, passando per la nascita del tipo elegante – spalla della diva -, sino ai forzuti più o meno muscolosi. Si giunge, infine, al confronto con modelli e stereotipi che influenzano fortemente l’immaginario dello spettatore italiano, anche politico. Il percorso si presenta come una parabola che, di schermo in schermo, collega il vate al duce alla storia del primo Novecento italiano.

AA. VV., La vita è un sogno – Il Saggiatore, Milano 2016, pp. 400, euro 22,00
L’Italia delle grandi guerre, delle finestre serrate al passare delle ronde, dei soldati chiamati al fronte e delle mogli rimaste sole. L’Italia degli amori spezzati, dei figli scomparsi, della fame e della sete; quella delle famiglie con tanti fratelli e sorelle ma poco pane. L’Italia paese delle meraviglie, dei mestieri antichi, delle terre impareggiabili, dei racconti intorno al fuoco. L’Italia forgiata dalla fiamma dei miti popolari. L’Italia degli anni sessanta, tra lotte studentesche e bombe, scioperi e miracoli italiani, e quella degli anni novanta, con i computer in ogni casa, gli eccessi e le discoteche, le fantasie e le speranze di un millennio che finisce. L’Italia che sogna l’Italia dei nostri giorni e, poi, l’Italia che noi sogniamo.
“La vita è un sogno” è un’opera corale che raccoglie le voci, i volti e l’anima del popolo italiano, e ne racconta i momenti indimenticabili, visti attraverso gli occhi di chi li ha vissuti in prima persona. Lettere, diari e memorie si intrecciano imprevedibilmente riscrivendo la più autentica e commovente storia d’Italia dal Settecento a oggi: dalle epidemie di colera alla claustrofobia delle trincee nella Prima guerra mondiale; dalla rinascita come società industriale all’inizio della rivoluzione informatica; dalla fatica dei contadini nei campi a maggese alla frenesia degli impiegati nelle grandi città; dai primi viaggi di fortuna in America al nuovo mondo in cui sono state abbattute le frontiere; dai balli sfrenati del dopoguerra al terrore delle stragi mafiose, all’emancipazione femminile, ai giochi dei bambini di un secolo fa e a quelli di oggi, agli amori travolgenti affidati a fogli di carta nascosti poi in un forziere, o all’impalpabilità elettrica di un messaggio su Internet.

T. Pankiewicz, Il farmacista del ghetto di Cracovia – UTET, Torino 2016, pp. 272, euro 16,00
Quando in un quartiere periferico di Cracovia viene creato d’autorità il ghetto ebraico, il 3 marzo 1941, Tadeusz Pankiewicz ne diventa suo malgrado un abitante. Pur senza essere ebreo, infatti, gestisce l’unica farmacia del quartiere: contro ogni previsione e contro ogni logica di sopravvivenza, decide di rimanere e di tenere aperta la sua bottega, resistendo ai diversi tentativi di sgombero, agli ordini perentori di chiusura e trasferimento. Rimarrà anche quando il ghetto verrà diviso in due e in gran parte sfollato, quando diventerà sempre più difficile giustificare la necessità della sua presenza. Grazie a questa sua condizione anomala, coinvolto ed estraneo allo stesso tempo, Pankiewicz diventa una figura cardine del ghetto: si fa testimone delle brutalità del nazismo, fedele cronista dei fatti e silenzioso soccorritore, cercando in tutti i modi di salvare la vita e, quando impossibile, almeno la memoria delle migliaia di ebrei del ghetto di Cracovia. Mescolando il rigore della ricostruzione e la delicatezza del ricordo, Tadeusz Pankiewicz ci restituisce la sua versione di questa grande tragedia, raccogliendo le storie di chi ha subito impotente la “soluzione finale” e le storie di chi ha invece provato a reagire: i disperati tentativi di resistenza armata, la ricerca del cianuro di potassio come extrema ratio in caso di cattura, le fughe attraverso le fogne cittadine… “Il farmacista del ghetto di Cracovia” racconta tutta l’assurdità di un momento storico in cui il capriccio del caso decise il destino di molti, ma anche l’incredibile resilienza degli esseri umani di fronte all’orrore. Come dice un cliente a Pankiewicz: “Dottore, mi dica: come mai ci sono così pochi pazzi in giro dopo tutto quello che la gente ha dovuto sopportare? Possono le cellule grigie del nostro cervello reggere così tanto dolore?”

M. Fini, Catilina: ritratto di un uomo in rivolta – Marsilio, Venezia 2016, pp. 180, euro 10,00
Chi è stato davvero Catilina? Quali gli scopi della sua famosa congiura? In questo volume Massimo Fini ci offre una delle sue originali biografie, autentiche rivisitazioni critiche di personaggi troppo facilmente liquidati dalla storiografia tradizionale. La figura di Catilina che qui viene tratteggiata è ben lontana dal personaggio tramandatoci da Cicerone e Sallustio. Patrizio di nobilissima origine, bello e inquieto, Catilina si oppose alle corrotte oligarchie dominanti e abbracciò la causa della plebe. Guardava alla Roma delle origini, dove i valori erano l’onore, la dignità, il coraggio fisico e morale, la protezione dei deboli, un tempo in cui la classe dirigente non mascherava ancora dietro nobili parole la difesa dei propri privilegi. Più volte Catilina tentò la via legale del consolato: ne fu sempre respinto con brogli. Allora decise che ne aveva abbastanza e prese le armi. Impavido, affrontò lo scontro con forze enormemente superiori. E morì, pagando con la vita la fedeltà a se stesso.