In libreria: Perón e il tesoro delle SS

barcelliUn misterioso viaggio in Europa, nell’estate del 1947, è il preludio di questa avvincente storia, tra i cui protagonisti non c’è solo Eva Duarte, la moglie del presidente dell’Argentina Perón, ma soprattutto i fuggiaschi nazisti e i loro collaborazionisti durante l’ultimo conflitto mondiale.
Ancor prima che la guerra finisse, alcuni gerarchi tedeschi avevano provveduto a costituire efficienti reti di fuga per raggiungere soprattutto l’America Latina. Tra loro c’erano anche criminali di guerra appartenuti alle SS, responsabili delle atrocità commesse nei confronti degli ebrei nei campi di concentramento.
Ma tutto ha un prezzo. Anche la fuga verso l’Argentina, così da evitare i conti con la giustizia, comportò per i fuggitivi un esborso notevole di denaro, oro e gioielli, nell’ordine di centinaia di milioni di dollari.
In queste pagine si ricostruisce la fuga di questi uomini e il trasferimento all’estero degli ingenti tesori accumulati durante la guerra, spesso provenienti dalla depredazione dei beni degli ebrei.
Oggi non abbiamo più nessun dubbio che il governo argentino di Perón e della sua carismatica moglie, abbia scientemente accolto e protetto migliaia di fuggitivi provenienti dall’Europa postbellica, tra cui centinaia di nazisti e collaborazionisti, in cambio di cospicue somme di denaro, per lo più depositate nelle banche di Buenos Aires o in quelle svizzere.
Le traversie occorse a Perón ed Eva Duarte, soprattutto quel che successe alle rispettive salme, avvalorano ancor più l’ipotesi che all’origine della fuga dei nazisti ci fu realmente un tesoro scomparso, quello custodito ermeticamente nelle cassette di sicurezza di alcune banche elvetiche, vanamente inseguito per decenni, forse anche dagli uomini della P2 di Licio Gelli.
Simone Barcelli, L’ultimo rifugio delle SS: la fuga dei criminali di guerra in Argentina, il ruolo di Evita Perón e la ricerca del tesoro scomparso della Reichsbank - Panda Edizioni 2022, pp. 172, euro 15,00

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Umberto Berlenghini, Witness 2: il cinema al banco dei testimoni - Porto Seguro 2022, pp. 396, euro 19,00
A un anno di distanza dal primo tomo, Umberto Berlenghini pubblica un nuovo viaggio nella storia del cinema italiano attraverso i racconti di testimoni d’onore che, a vario titolo, hanno partecipato alla realizzazione di sessanta film. Se nel primo volume l’autore iniziava con “L’assassino” diretto da Elio Petri nel 1961 per terminare con “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini del 2018, stavolta allarga la sua forbice dal 1954 con “Camilla” di Luciano Emmer per finire a “5 è il numero perfetto” di Igort del 2019; in mezzo si spazia da Bernardo Bertolucci a Gabriele Muccino passando per Gillo Pontecorvo, i fratelli Taviani, Marco Ferreri, Matteo Garrone, Luigi Comencini, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e molti altri ancora. Nell’introduzione Berlenghini spiega che il suo lavoro va letto come di solito si guardano gli extra presenti nei dvd e per sottolineare l’analogia in questo secondo volume include un 61° titolo “La cotta”, mediometraggio diretto da Ermanno Olmi nel 1967 per il programma prodotto dalla Rai “Racconti di giovani amori”. Cinefili a parte, sono gli appassionati di Storia che in questo volume possono trovare soddisfazione per i loro interessi, grazie alla presenza di quei film le cui trame raccontano fatti realmente accaduti o anche semplicemente a loro ispirati: fra questi segnaliamo “La lunga notte del ‘43”, che ricostruisce un eccidio fascista avvenuto a Ferrara; “Ogro”, che narra la storia del clamoroso attentato dell’ETA a Luis Carrero Blanco; “La ciociara”, il celebre dramma ambientato durante l’avanzata degli alleati nel Lazio del 1943; “Il caso Mattei” cioè gli ultimi giorni di Enrico Mattei; “San Michele aveva un gallo”, film del Risorgimento amatissimo da Martin Scorsese; “Il generale dell’armata morta”, unica regia di Luciano Tovoli sul rientro delle salme dei soldati italiani caduti in Albania. A questi vanno aggiunti numerosi lungometraggi dei quali spesso Berlenghini si diverte a segnalare riferimenti, alcuni palesi, altri nascosti, alle cronache legate ai nostri turbolenti anni Settanta. Un libro da non perdere.

Antonio Varsori, Gennaro Acquaviva (a cura di), Craxi e il ruolo dell’Italia nel sistema internazionale – il Mulino, Bologna 2022, pp. 536, euro 38,00
Bettino Craxi resta una figura centrale per la comprensione della storia dell’Italia repubblicana tra la seconda metà degli anni Settanta e la fine della «Repubblica dei partiti». Se finora l’attenzione di chi si è occupato di quel periodo storico e del leader socialista si è concentrata prevalentemente sul contesto interno, non è possibile ignorare la funzione e l’immagine di Craxi rispetto al ruolo del nostro Paese nel contesto internazionale. Sono ora infatti disponibili importanti fonti archivistiche italiane e straniere, utili sia a tracciare un quadro dell’azione internazionale dell’Italia negli anni del Governo Craxi (1983-1987), sia a conoscere le opinioni dei maggiori attori internazionali sul leader socialista dal suo arrivo alla segreteria del partito fino alla fine degli anni Ottanta. Il volume, promosso dalla Fondazione Socialismo, con contributi di vari studiosi italiani, prende in esame temi quali le considerazioni delle autorità americane sull’ascesa politica di Bettino Craxi, le sue posizioni nei confronti della costruzione europea, l’«ostpolitik» del suo governo, i rapporti con l’Unione Sovietica, le relazioni col Medio oriente, i rapporti con alcuni importanti partner europei ecc. Ne emerge un quadro dai caratteri innovativi, non solo del ruolo di Craxi ma anche dell’azione internazionale dell’Italia e dell’atteggiamento dei suoi maggiori interlocutori.

Alberto Melloni, Persino la luna. 11 ottobre 1962: Come papa Giovanni XXIII aprì il Concilio – UTET, Torino 2022, pp. 151, euro 15,00
«Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo. Vi è che noi chiudiamo una grande giornata di pace; di pace: “Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà”».
Giovanni XXIII – il papa del concilio caramellato nella formula del “papa buono” – era stato eletto per essere un papa “di transizione” dopo il lungo pontificato di Pio XII. E invece decise di convocare la Chiesa a concilio, prima e unica assemblea globale di pari sul pianeta: un’assise che lasciò preparare alla curia romana, trattenendo per sé pochissime decisioni e pochissimi nodi, fino all’apertura l’11 ottobre 1962, quando già sapeva della sua malattia. E quando decise di “aprire” il concilio: non solo in senso formale ma sostanziale.
Alberto Melloni, una delle voci più autorevoli della ricerca storica sul cristianesimo, racconta quel momento, quel giorno nel quale il papa fa due discorsi, tanto diversi quanto epocali: la mattina in San Pietro, all’episcopato di tutto il mondo e agli osservatori delle altre Chiese, definendo le ragioni del concilio che aveva voluto; e la sera, nonostante non fosse preventivato, a una piazza affollata per una fiaccolata di saluto che ha segnato la storia del papato.
Si svelano così subito i due lati della struttura spirituale di Giovanni XXIII: la sua capacità di cogliere e riformare il patrimonio della grande tradizione, ma anche di essere maestro dei fedeli comuni. All’allocuzione di inizio del Vaticano ii, pronunciata in latino, studiata al millimetro, scritta e riscritta, risponde il discorso informale della sera, improvvisato in italiano, nella sua cadenza bergamasca, in cui riprende e quasi traduce le dimensioni di paternità e fraternità che il concilio chiede alla Chiesa. Negli annali televisivi resta la frase celeberrima, in cui la carica più alta di una delle istituzioni più longeve mostra un cristianesimo dal volto umano: «Date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del papa”». Ancora non lo sapevamo, ma era l’inizio di una rivoluzione.

Stefano Tabacchi, Richelieu: il cardinale che trasformò la monarchia francese e la politica internazionale – Salerno Editrice, Roma 2022, pp. 424, euro 27,00
Spirito religioso, politico a tratti spietato, ma tutt’altro che privo di ispirazioni ideali, Richelieu fu il protagonista della fase storica in cui si affermarono gli Stati assoluti e il moderno sistema delle relazioni internazionali, divenendo rapidamente una figura quasi mitica, che ancora affascina la cultura europea.
Cadetto di una famiglia di piccola nobiltà, divenne poco più che ventenne l’attivo vescovo riformatore della piccola diocesi di Luçon. Legatosi alla regina madre Maria de’ Medici, iniziò una carriera politica che fu bruscamente interrotta, nel 1617, dalla disgrazia della sua protettrice, allontanata dal potere dal figlio, Luigi XIII. Richelieu tornò al potere solo nel 1624, insieme a Maria de’ Medici, e divenne l’uomo di punta di un vasto progetto di rafforzamento del potere monarchico e di affermazione della Francia sul piano internazionale.
I successi conseguiti con la sconfitta dei protestanti francesi e l’intervento militare in Italia nella guerra di successione di Mantova gli portarono la completa fiducia di Luigi XIII, ma il suo crescente potere e le sue scelte di politica estera determinarono una rottura insanabile con il partito cattolico e con Maria de’ Medici, che nel 1631 fu costretta a fuggire dalla Francia. Da questo momento e fino alla morte, Richelieu fu un primo ministro quasi onnipotente, il centro di una estesissima rete di potere e il bersaglio di una serie infinita di congiure. Lontano da ogni forma di machiavellismo, Richelieu espresse una concezione del potere come una forma di razionalità, ispirata da Dio, chiamata a imporsi su una società conflittuale e lacerata. Da questa ispirazione derivarono una politica fortemente assolutista e l’intervento nella guerra dei Trent’anni (1635), che avviò la costruzione di una nuova struttura delle relazioni internazionali in Europa.

Laura Pepe, Storie meravigliose di giovani greci – Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 224, euro 20,00
«Agli inizi non gli fu facile far capire al mondo quanta audacia, quanta forza vi fosse nei suoi anni acerbi. Alessandro era appena subentrato al padre sul trono di Macedonia – aveva soltanto vent’anni – che le città greche credettero di poter approfittare della sua giovane età per recuperare la libertà perduta. Non era altro che un páis, un meirákion, ripetevano: un ‘bambinone’, un ‘ragazzotto’. Dovettero ricredersi tutti molto presto».
La Grecia che abbiamo imparato a conoscere e ad amare dall’epica, dalla tragedia, dalla storia è ricchissima di straordinarie figure di giovani uomini e giovani donne. Achille è l’eroe che a una vita lunga e incolore preferì la brevità di un’esistenza spezzata ma piena di gloria. Gli fa da contraltare il mite Telemaco: il figlio obbediente che vive nell’ombra di un padre mai conosciuto. E c’è Antigone, la vergine che, in un fragoroso assolo, osa levare la sua voce di dissenso. E Oreste, il figlio che uccide la madre per dare giustizia al padre. Fin qui il mito. Poi c’è la storia, che ci ha lasciato memoria dell’ambizioso Alcibiade, interprete perfetto di un tempo di cambiamenti nella cornice della guerra più atroce di Grecia. E come non ricordare Alessandro? Colui che osò sognare l’impossibile e che l’impossibile riuscì a realizzarlo, riunendo il mondo sotto di sé. Ma ci sono anche le figure femminili tratteggiate dai versi di Saffo, che ancora ci emozionano per la potenza dei sentimenti che esprimono. In queste pagine avvincenti le gesta, i desideri, le passioni di ragazzi e ragazze della Grecia antica cui dobbiamo essere tutti debitori per aver messo in discussione la tradizione e osato il nuovo.

Luigi Andrea Berto, Sudditi di un altro dio: cristiani sotto la Mezzaluna, musulmani sotto la Croce – Salerno Editrice, Roma 2022, pp. 232, euro 22,00
Tra il settimo e il sedicesimo secolo i musulmani conquistarono vaste aree delle regioni mediterranee e dell’Europa centro-orientale abitate prevalentemente da cristiani. Alcuni di quei territori, la cui popolazione nel frattempo era divenuta in maggioranza musulmana, furono riconquistati dai cristiani tra l’undicesimo e il quindicesimo secolo. Sovrani e sudditi si sono dunque trovati spesso a professare fedi diverse, ma quali sono state le strategie elaborate dalle élite nel corso dei secoli per governare questo avvicendamento di fedi e popoli? E cosa avvenne quando cambiarono gli equilibri e le genti “infedeli” divennero minoranza?
Questo libro esamina i complessi rapporti tra dominatori e sudditi di religioni diverse, osservandone l’evoluzione nell’ampio arco cronologico che va dalle prime conquiste degli Arabi nel Vicino Oriente nel settimo secolo, allo scambio nel 1923 tra Turchia e Grecia dei cristiani e musulmani residenti nei loro territori. Quanto emerge da uno sguardo così ampio, gettato sulla storia di un intreccio di culture tanto prossime, smonta molti pregiudizi ponendo domande che ci riguardano ancora.

Guido Barbujani, Come eravamo: storie dalla grande storia dell’uomo – Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 208, euro 20,00
Finalmente possiamo vederli, i nostri antenati. Grazie alla bravura degli artisti, dei paleontologi che hanno disseppellito e amorevolmente ricostruito vecchi scheletri e dei genetisti che spesso sono riusciti a leggere il loro DNA, la nostra curiosità trova un oggetto più concreto, che ci interpella e ci emoziona. Uno dei più importanti genetisti italiani ci racconta la storia di come eravamo e com’era la vita quotidiana milioni di anni fa, a partire dai volti dei nostri antenati restituiti in quindici magnifiche sculture iperrealistiche.
Dal primo avventurarsi su due gambe nelle pianure africane alla produzione di pitture rupestri, piramidi, bastimenti, parlamenti e molto altro: tanto si è scritto sul cammino evolutivo dell’umanità grazie al lavoro di paleontologi, archeologi e genetisti. Ciascuno di loro ha messo un tassello a formare un quadro generale della nostra storia. Ma oggi siamo riusciti a compiere un altro passo: con la capacità che abbiamo acquisito di leggere a fondo il DNA di tante persone, passate e presenti, e di interpretarne le differenze, quei resti non solo ci danno un’idea delle migrazioni, degli scambi, dei processi di adattamento all’ambiente che hanno fatto di noi quello che siamo, ma ci hanno anche permesso la ricostruzione delle sembianze dei nostri antenati. Il lavoro scrupoloso di un gruppo di artisti ci fa finalmente guardare in faccia Homo erectus, che per primo ha imparato a maneggiare il fuoco, e i piccoli ominidi dell’isola di Flores in Indonesia, che qualcuno ha ribattezzato hobbit; i vecchi europei, gli uomini di Neandertal e quelli nuovi come Ötzi, l’uomo dei ghiacci del Museo di Bolzano, e tanti altri. Guardandoli negli occhi possiamo capire meglio quanto abbiamo in comune, quanto ci siano vicini, quanto è vero che, nonostante la grande distanza temporale, noi in qualche modo siamo loro.

Giovanni Sole, Storia del baccalà – Rubbettino, Soveria Mannelli 2022, pp. 228, euro 18,00
Il baccalà era considerato dai nobili adatto alla gente rozza, dagli stomaci forti e che ne apprezzava l’odore intenso. era il cibo della penitenza e si mangiava nei giorni di magro e di Quaresima dopo le grandi abbuffate di carne nel Carnevale. Molti medici lo sconsigliavano perché indigesto mentre gli economisti lo indicavano come un nemico per le casse dello stato. Nonostante le avversioni, i velieri stranieri scaricavano nei porti italiani immense quantità di merluzzo secco e salato facendolo diventare alimento fondamentale nella dieta della povera gente e degli stessi cittadini borghesi che lo gustavano cucinato in vari modi.