In libreria: Nagy, un ungherese comunista

a cura di Alessandro Frigerio -

120900042781GRAMancava una biografia di Imre Nagy, il leader della rivoluzione ungherese del 1956 messo a morte prima dal regime di Kadar, nel 1958, e poi dall’oblio della storia fino alla caduta del Muro di Berlino. Mancava, e la lacuna è stata colmata da Romano Pietrosanti, un sacerdote che ha dimestichezza con la storia ungherese e con i suoi documenti quanto un accademico titolato. Lo ha fatto realizzando un profilo ricco di notizie e di retroscena del leader che per due settimane, tra il 23 ottobre e il 4 novembre 1956, assurse – prima con riluttanza e poi con decisa convinzione – a capo del governo nato dall’insurrezione studentesco-operaia contro il regime comunista e l’Armata Rossa.
Risultano estremamente interessanti, per il lettore italiano, le vicende, finora rimaste sempre piuttosto nell’ombra, della gioventù di Nagy, del suo avvicinamento al partito comunista magiaro prima e poi alle questioni agricole, passione se vogliamo innaturale per un giovane proveniente dalla media borghesia cittadina e che prima dell’ingresso nel partito aveva lavorato nel campo assicurativo. Ma sono le convulse vicende legate al 1956 ad occupare la parte più consistente del volume, seguite dall’autore  nel vorticoso accavallarsi di eventi che videro Nagy prima assistere all’innesco della scintilla rivoluzionaria e poi venirne chiamato alla guida, nel nome di un riformismo che Nagy aveva già provato a mettere in campo come artefice della riforma agraria del 1945-1947 e quindi come primo ministro. Tra il 1953 e il 1955, su indicazione di Mosca, aveva infatti avviato una stagione di aperture liberalizzatrici (fine degli abusi amministrativi, riduzione delle requisizioni di grano, ridimensionamento del ruolo della polizia segreta, liberazione dei prigionieri politici) in cui aveva messo in campo non solo tutte le sue competenze politiche ma anche il suo placido carisma, alieno agli estremismi e alle svolte radicali. L’opposizione interna al partito comunista ungherese ne aveva però vanificato gli sforzi, prima marginalizzandolo e poi espellendolo dal partito.
Pietrosanti mette in luce come l’eterodossia comunista abbia caratterizzato tutto il percorso politico Nagy, costringendolo a camminare sempre sul filo del rasoio: fu accusato di deviazionismo di destra e sfuggì, a differenza di altri esponenti del comunismo ungherese come Bela Kun, alle purghe staliniane degli anni ’30 quando era rifugiato a Mosca; sfuggì anche all’ondata di arresti e condanne a morte che nel 1949 coinvolsero i vertici del partito comunista ungherese. A proteggerlo, più che una collusione con gli alti esponenti moscoviti, fu sempre la sua immagine di funzionario devoto, affabile, e totalmente privo di ambizioni carrieristiche. Anche quando denunciava gli eccessi della collettivizzazione, Nagy non faceva paura a nessuno.
Quel che invece avrebbe dovuto insospettire i seguaci della “devozione” comunista, e che traspare chiaramente dal titolo della biografia di Pietrosanti, era il suo essere prima di tutto ungherese. Imre Nagy fu sempre «profondamente legato alla sua terra, anche quando le circostanze lo obbligarono ad abbandonarla per Mosca; l’internazionalismo proletario, tipico del movimento operaio, non entrò in lui mai in conflitto con la passione nazionale per il suo Paese».
Romano Pietrosanti, Imre Nagy, un ungherese comunista. Vita e martirio di un leader dell’ottobre 1956 – Le Monnier, Firenze 2014, pp. 476, euro 28,00

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G. Ghigi, Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra – Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 200, euro 16,00
In cent’anni sono stati prodotti un migliaio di film sulla Prima guerra mondiale che hanno contribuito a costruire il visibile dell’immane tragedia. Pur in diverse modalità e funzioni, il cinema ha determinato figure stabili, simbologie, cliché, diventati nel tempo parte dell’immaginario bellico. Il volume li ripercorre mettendoli in relazione all’arte, alla letteratura, alle storiografie, ai sistemi politici, culturali, e ai valori del tempo in cui sono stati creati, perché ogni film è figlio di una memoria, contribuisce a crearla, ed è la “cenere” del presente e del passato.

N. Kulish e S. Mekhennet, Il dottor Morte. Storia della caccia al medico boia di Mauthausen – Mondadori, Milano 2014, pp. 314, euro 17,00
Il dottor Aribert Heim prestò servizio nell’ambulatorio del campo di concentramento di Mauthausen soltanto per pochi mesi nel 1941, ma riuscì comunque a conquistarsi la fama di “volonteroso carnefice”, tanto da meritare l’appellativo di “dottor Morte”. Molti superstiti del lager hanno testimoniato che praticava l’eutanasia iniettando benzina nel cuore dei pazienti, operava persone assolutamente sane e, a detta di alcuni, amava tenere sulla scrivania il cranio di prigionieri con una bella dentatura. Eppure, nel caos dell’immediato dopoguerra, Heim riuscì a passare fra le maglie della denazificazione e a costruirsi l’immagine di stimato ginecologo e buon padre di famiglia nella città termale di Baden-Baden, dove conduceva un’esistenza agiata e tranquilla. La sua storia sarebbe potuta finire qui, se non fosse stato per un piccolo gruppo di tedeschi incapaci di rassegnarsi all’idea che i criminali di guerra non pagassero per le loro colpe. Uno di questi fu Alfred Aedtner, un giovane poliziotto che, entrato quasi per caso nell’ufficio per l’accertamento dei crimini nazisti, avrebbe fatto della caccia a Heim la propria ragione di vita. Quando nel 1962 il medico, informato che le autorità stavano per arrestarlo, si dileguò all’improvviso, la sua cattura divenne per Aedtner una vera e propria ossessione, che lo spinse a condurre le proprie indagini in tutta Europa e persino in Sudamerica, anche in collaborazione con Simon Wiesenthal, il leggendario cacciatore di nazisti…

C. King, Il miraggio della libertà. Storia del Caucaso – Einaudi, Torino 2014, pp. 321, euro 32,00
Montagne maestose e valli impervie che per oltre mille chilometri fanno da barriera tra le immense steppe asiatiche e gli aridi altipiani dell’Anatolia e dell’Iran, là dove si incontrano Europa, Russia e Oriente. Una terra di struggente bellezza e di quotidiana barbarie, che unisce in un inestricabile groviglio etnie, culture e lingue diverse, tra Georgia, Armenia, Azerbajdzan, Cecenia, Ossezia e una miriade di altri piccoli Stati. Forte di una prosa evocativa ed elegante, Charles King racconta l’intera storia del Caucaso moderno, dalla conquista ottocentesca da parte dell’impero russo ad oggi. Una storia drammatica e piena di fascino, un amalgama di libertà e anarchia, di vicende sbalorditive e terrificanti, che ha per protagonisti zar, montanari, avventurieri, predoni ed eserciti d’occupazione.

J. A. Davis, Napoli e Napoleone. L’Italia meridionale e le rivoluzioni europee (1780-1860) – Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 576, euro 29,00
Durante l’età napoleonica, gli stati italiani furono interessati da ambiziosi progetti di riforma che ebbero un impatto traumatico sulle strutture dell’Antico Regime, percorse già da lungo tempo da una crisi profonda. Il volume di John Davis si concentra sulla situazione del Mezzogiorno, cercando di superare le letture settoriali e faziose che si sono susseguite negli ultimi decenni, offrendo una prospettiva complessa, capace di fondere i temi principali della storia economica, sociale, politica, militare, la storia delle idee, la storia “culturale” e quella religiosa. Sovvertendo alcuni luoghi comuni tendenti a ingabbiare il Sud in un quadro di persistente immobilità e arretratezza, l’autore guarda con rinnovata attenzione alle trasformazioni che ebbero luogo nel corso del XVII e del XIX secolo. Ne viene fuori un quadro originale e sorprendente, che invita a guardare in una prospettiva totalmente nuova l’intero processo di unificazione della penisola italiana.

Antonello Battaglia, Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia – Salerno Editore, Roma 2014, pp. 144, euro 12,00
Il separatismo siciliano si diffonde nell’estate del ’43 con la creazione del Comitato provvisorio per l’Indipendenza, portavoce delle aspirazioni del popolo siciliano. Quando nel ’44 l’isola fu riconsegnata all’Italia dagli Alleati, e lo Stato rispose duramente alle istanze di autonomia dei suoi abitanti, ci fu un inasprimento della lotta che si tramutò ben presto nell’apertura di un fronte interno tra il Regio Esercito e i “guerriglieri” indipendentisti; fu poi intavolata una trattativa segreta tra Stato e separatisti che avrebbe portato alla concessione dell’autonomia. E proprio l’autonomia, associata non di rado al federalismo, è ancora oggi al centro di un ampio dibattito, in una fase storica caratterizzata da una crescente sfiducia nei confronti dello Stato e dalla nascita di movimenti che rivendicano l’indipendenza. Come nel Nord Italia, anche in Sicilia iniziano a serpeggiare e a ridestarsi timide simpatie filo-separatiste.

H. Gustavsson e L. Slongo, Gli assi del Fiat CR. 42 della Seconda guerra mondiale – Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2014, euro 20,00
Il Fiat CR.42 rappresenta la massima espressione del biplano da caccia, e tuttavia nel momento in cui entrò in servizio nel maggio del 1939 era già obsoleto. Ciò malgrado, si comportò onestamente su tutti i fronti, europei e africani, almeno nei primi anni della Seconda guerra mondiale. In effetti fu il principale velivolo da caccia della Regia Aeronautica in Africa settentrionale e orientale, in Grecia e su Malta nel 1940-1941, un periodo in cui i suoi piloti si batterono regolarmente con gli “squadron” britannici e del Commonwealth equipaggiati per lo più con gli Hurricane e i Gladiator. Diversi piloti italiani si aggiudicarono le loro prime vittorie volando con il Falco, e tra loro Mario Visintini, l’asso di maggior successo dei caccia biplani della Seconda guerra mondiale. Anche se a partire dal dicembre del 1940 fu gradualmente sostituito da macchine più moderne, il CR.42 continuò a essere impiegato in Africa settentrionale e sul Mediterraneo in compiti di difesa aerea di punta, scorta convogli e attacco al suolo fino al tardo 1942. Venne utilizzato anche dalle forze aeree ungherese, belga e svedese, come pure dalla Luftwaffe.

G. Brizzi, Annibale – Il Mulino, Bologna 2014, pp. 184, euro 14,00
«dalle mia ossa possa tu sorgere, uomo della vendetta, che con fuoco e con ferro incalzerai i coloni troiani, ora o poi, in qualsiasi tempo ci siano forze, sponda contro sponda io maledico, onde contro flutti, armi contro armi, combattano essi e i nipoti» Didone (Eneide IV, 625-629).
Con stile piano e scorrevole il libro rievoca la vita e le imprese leggendarie di Annibale, il condottiero cartaginese che nel corso della seconda guerra punica (218-201 a.C.) inflisse ai Romani una serie di spaventose disfatte (la più devastante nella battaglia di Canne, 216 a.C.). Annibale venne infine sconfitto a Zama, sul suolo africano, ad opera di Scipione, che della lezione del Barcide aveva sagacemente fatto tesoro, e che, in questo modo, avviò Roma verso il predominio sul Mediterraneo. Ne emerge la figura di un generale tra i più grandi di ogni tempo, genio militare innovativo dalle insuperate doti di condottiero, dotato di sicura padronanza delle concezioni tattiche più raffinate.

F. Landucci, Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni – Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 230, euro 20,00
Alessandro Magno, il Grande, il Conquistatore; i suoi due ultimi eredi; uno scacchiere politico-militare che va dalla Grecia all’Egitto, passando per l’Anatolia, la Siria e la Mesopotamia: è questo lo scenario della storia che stiamo leggendo. Siamo nel 281 avanti Cristo e muoiono Lisimaco, re di Macedonia, e Seleuco, re di Siria. Erano stati loro, Lisimaco e Seleuco, a succedere ad Alessandro Magno e sono loro, quaranta anni dopo la morte del grande condottiero nel 323, a decretare la fine del sogno ecumenico che era stato del sovrano macedone. Avevano conservato il potere per quei quaranta anni tessendo relazioni con gli altriDiadochi, coloro cioè che erano stati i collaboratori del sovrano e che alla sua morte, tanto repentina quanto prematura, si erano trovati a gestire una difficile (e imprevista) eredità.
La storia di Lisimaco e di Seleuco è la storia delle alleanze e delle inimicizie tra i vari dinasti, è la storia delle molte coalizioni militari sciolte e costruite senza soluzione di continuità, è la storia dei legami, a volte amichevoli e a volte ostili, con le città greche, gelose della loro indipendenza, ma incapaci, nei fatti, di difenderla. È la storia della nascita di una nuova geografia e un nuovo equilibrio multipolare nel Mediterraneo orientale, il vero inizio del mondo ellenistico, politicamente diviso, ma culturalmente omogeneo.