In libreria: Mito borbonico
Negli ultimi anni, la memoria collettiva dell’Unità d’Italia è stata messa in discussione e si sono moltiplicate le controstorie sul Risorgimento, in particolare da parte del movimento neoborbonico. Una rilettura della storia che vede nella spedizione garibaldina e nell’annessione del Regno delle Due Sicilie una vera e propria conquista coloniale da parte di un potere straniero, con tutte le conseguenze di violenza e subordinazione. I neoborbonici sostengono che i sabaudi avrebbero depredato il Meridione, impoverendolo a vantaggio del Settentrione, causando arretratezza culturale ed emigrazione di massa e lasciandolo in una condizione di inferiorità economica e sociale. Secondo questa fantasiosa interpretazione del passato, il più grande complesso siderurgico della Calabria sarebbe stato volutamente lasciato decadere per favorire l’industria settentrionale; le riserve auree dei Borbone e il sistema bancario del regno sarebbero stati depredati per riempire le casse sabaude. Una visione che considera i briganti come eroi resistenti, l’assedio di Gaeta come un evento da mitizzare, promuove giornate del ricordo per le vittime borboniche ma dimentica i tantissimi patrioti meridionali che si sono battuti per un’Italia unita. Attraverso un’appassionata e documentata analisi, lo storico Andrea Mammone esamina le numerose narrazioni antirisorgimentali e ne mette in luce le distorsioni, dissezionando il mito che le accompagna, raccontando le contraddizioni e la realtà del Regno delle due Sicilie e ripercorrendo i fatti ignorati dalla galassia revisionista. Partendo dal presupposto che il fenomeno del neoborbonismo è indissolubilmente legato alle attuali condizioni economiche e politiche. Perché l’abbandono del Sud è reale, e alimenta «il fascino di una narrazione che, in linea con le tendenze populiste odierne, e sfruttando alcune paure e malumori popolari, spinge al vittimismo e scarica le responsabilità su un nemico (immaginario o reale), offrendo soluzioni facili a problemi complessi».
Andrea Mammone, Il mito dei Borbone: il regno delle Due Sicilie tra realtà e invenzione – Mondadori, Milano 2024, pp. 192, euro 20,00
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Mauro Canali, Il delitto Matteotti – il Mulino, Bologna 2024, pp. 360, euro 26,00
Frutto di anni di ricerche e di un’indagine quasi poliziesca, questo libro di Mauro Canali, aggiornato agli ultimi documenti, è il testo di riferimento sul delitto Matteotti, quello che, se non «risolve» il caso, certo porta la maggior quantità di informazioni e argomenti a favore della tesi di una responsabilità diretta di Mussolini. Inseguendo la pista «affaristica» – quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera –, ricostruendo le vicende del primo e del secondo processo e infine seguendo il destino dei protagonisti del delitto durante il Ventennio, Canali riesce a delineare un quadro vivido e convincente di un affaire che è all’origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.
Russel A. Hart, Vittoria in Normandia – LEG, Gorizia 2024, pp. 720, euro 22,00
Questo volume si sofferma su come gli Alleati impararono, direttamente sul campo di battaglia, a sconfiggere la macchina da guerra nazista. A partire da una dettagliata disamina del periodo tra le due guerre, in cui l’incuria militare rese gli eserciti alleati incapaci di sconfiggere l’aggressione hitleriana all’inizio della Seconda guerra mondiale, Russell A. Hart analizza i metodi approntati e poi utilizzati da inglesi, canadesi e americani per migliorare la propria efficacia militare e comprendere anche il continuo adattamento tedesco, capace di protrarre gli scontri e aumentare il prezzo della vittoria alleata. Al centro del suo studio comparativo, che si conclude soffermandosi su uno dei momenti più cruciali del conflitto, ovvero lo sbarco in Normandia del 1944, c’è la complessa interazione tra personalità, cultura militare e realtà belliche che determinava la precisione con cui i combattenti imparavano le lezioni della guerra e con quanta efficacia miglioravano le loro capacità di battaglia.
AA.VV., Le scie della rivoluzione: brigantaggio e violenza politica nell’età della Restaurazione – Rubbettino, Soveria Mannelli 2024, pp. 279, euro 26,00
Le «scie della rivoluzione» indicano le conseguenze e i modelli prodotti dalla sconfitta dei regimi liberali in Italia e nella penisola iberica negli anni Venti del secolo XIX. A partire dai caratteri transnazionali della Restaurazione, il volume analizza il modo in cui le comunità politiche ed istituzionali costruirono discorsi, identità e strategie, adattandoli alla pratica del conflitto e alla vita politica che i contesti post-rivoluzionari avevano determinato in Italia, ma anche nell’Europa meridionale, con particolare attenzione ai fenomeni del brigantaggio, della repressione e della violenza politica. Uno studio che illustra le molteplici traiettorie del liberalismo, e dei suoi avversari, dopo la fine del momento costituzionale.
Adriano Prosperi, Missionari: dalle Indie remote alle Indie interne – Laterza, Roma-Bari 2024, pp. 214, euro 20,00
Quella del missionario è una delle figure chiave della modernità: un uomo pronto ad andare in terre lontane obbedendo a un ordine o a quella voce interna che si chiama vocazione. Fu così il mediatore dell’incontro tra diversi, il professionista del contatto fra popoli che si ignoravano, il testimone posto alla giuntura di culture e universi mentali diversi, spesso incompatibili. Fu a lui che spettò mettere d’accordo l’idea occidentale di Dio come persona con le nozioni totalmente diverse delle culture orientali. Il suo modello doveva scontrarsi con quello del crociato, pronto a ogni violenza, compresa la guerra, pur di ottenere con la forza l’adesione che gli era negata. Nel tempo, il potere di dare la missio, concentratosi a lungo nelle mani del pontefice, venne via via delegato ad altre figure della gerarchia ecclesiastica, ma anche a sovrani degli Stati europei che videro nell’organizzazione di ordini missionari un potente strumento di dominio coloniale. Una interpretazione originale e nuova di uno dei maestri della storiografia italiana.
Leah Redmond Chang, Le giovani regine: Caterina de’ Medici, Elisabetta di Valois, Maria Stuarda e il prezzo del potere – Mondadori, Milano 2024, pp. 588, euro 30,00
Quando nell’estate del 1559 Enrico II, re di Francia, morì in un terribile incidente, Caterina de’ Medici, la regina consorte, volle al suo fianco la figlia maggiore Elisabetta di Valois, da poco sposata con Filippo II di Spagna, e la nuora Maria Stuarda, regina di Scozia.
Tre donne che per oltre un decennio erano vissute insieme a corte, legate dall’affetto e dall’amicizia, oltreché dai vincoli del sangue e del matrimonio, si ritrovavano unite nel dolore per una perdita che avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Da quel momento, infatti, tutte e tre avrebbero affrontato, in paesi diversi e con temperamenti diversi, le sfide del potere. In un’Europa dilaniata dalle guerre di religione e alla vigilia di profondi cambiamenti, seppero farsi carico del peso delle responsabilità che il destino aveva riservato loro, muovendosi sulla scena politica internazionale con passione, coraggio e determinazione. Le giovani sovrane esercitarono il potere ai massimi livelli, promulgando leggi, organizzando eserciti, occupando un posto di primo piano nella conduzione degli affari di Stato, avvalendosi di capacità e facoltà che avevano acquisito con gli anni e affinato per necessità. Caterina fece della maternità il proprio punto di forza e, accorta e intelligente, imparò in ugual misura a comandare e mediare. Elisabetta fece affidamento soprattutto sul proprio carattere dolce, sul dono della diplomazia e sulla guida di sua madre. Maria si servì di fascino e bellezza, che coniugò con un radicato senso dello ius sanguinis.
Non furono certo le uniche donne potenti dell’Europa rinascimentale. Eppure, in un mondo che giudicava le donne fisicamente e intellettualmente inferiori, la loro autorità, al pari dei loro regni, fu sempre considerata precaria, vulnerabile. E soprattutto condizionata dal loro ruolo di mogli e di madri. Consapevoli di ciò e dei limiti imposti dal genere, cercarono di destreggiarsi meglio che poterono entro i confini stabiliti dalla cultura e dalla società del tempo. E tuttavia, vestendo i panni della sovrana, della regina consorte o della reine-mère, trovarono il modo di far sentire la propria voce ed estesero il loro raggio d’azione ben al di là di quanto potessero immaginare, inaugurando un’epoca di potere femminile senza precedenti, come queste pagine dimostrano magistralmente.
Michael J. Seth, Storia della Corea dall’antichità all’età moderna – Einaudi, Torino 2024, pp. 354, euro 26,00
Questo libro, a firma di uno dei piú importanti specialisti a livello internazionale, intende proporre al lettore generale come allo studente una sintesi della storia della Corea dall’età dei primi insediamenti umani nell’area agli inizi del XIX secolo. Tale storia presenta caratteri del tutto peculiari, e tuttavia non potrebbe essere adeguatamente compresa se non come parte di una piú ampia sfera di influenze reciproche che coinvolgono tre aree fondamentali: la Cina, il Giappone e la regione della Manciuria e dell’Asia Centrale. Seguendo la successione cronologica degli eventi, Michael J. Seth ricostruisce con grande equilibrio la storia sociale, culturale e politica del Paese, sempre attento a offrire suggestive descrizioni della vita quotidiana sia delle élite sia dei ceti piú umili della società coreana nel corso dei diversi periodi storici.
Paolo Matthiae, Senza veli: ricordi dell’archeologo che scoprì Ebla – il Mulino, Bologna 2024, pp. 168, euro 17,00
“Nella notte avanzata, stanco e felice di trovarmi finalmente in terra siriana sotto un cielo splendente di stelle, varcato l’allora desolato posto di frontiera di Bab el-Hawa, la Porta del Vento, nell’improvvisa frescura delle notti del clima predesertico osservavo tra le ombre fuggevoli distese sempre più fitte di ulivi e pistacchi.”
Il nome di Paolo Matthiae è indissolubilmente legato all’epocale missione archeologica che ha condotto alla scoperta di Ebla, in Siria, grazie a una serie di campagne ininterrotte da lui dirette tra il 1964 e il 2010. Con lo sguardo rivolto al passato, il grande archeologo dipana adesso senza reticenze il filo dei ricordi per raccontare un’esperienza di vita e di ricerca senza precedenti, tra imprese straordinarie e aspre difficoltà, delusioni imprevedibili e alti riconoscimenti. Sono memorie che trasudano le vibranti emozioni connesse ai ritrovamenti rievocati, il dolente rammarico per le tensioni accademiche e politiche collegate alle scoperte e il coraggio con cui lo studioso ha saputo affrontare e superare i problemi insorti in regioni segnate da conflitti senza fine.
Claudio E. A. Pizzi, I paradossi di Ustica: al vaglio della logica e del ragionevole dubbio – LoGisma, Vicchio 2024, pp. 192, euro 18,00
La ricerca della verità su Ustica ha dato origine a una vicenda kafkiana. I processi civili hanno stabilito senza prove l’esistenza di una battaglia aerea che era stata categoricamente esclusa dai precedenti processi penali. Le sentenze risarcitorie sono state emesse mentre era in corso un’inchiesta sulle cause della strage che a tutt’oggi, dopo sedici anni, non è ancora conclusa. In questo sconfortante panorama l’unica novità è l’emergere, lento ma costante, di una pubblicistica specializzata che contrasta in modo sempre più incisivo il monopolio della dominante teoria della battaglia aerea. Il libro qui presentato appartiene a questa nuova corrente di studi. È una raccolta di saggi che intende sviluppare l’analisi del caso Ustica proposta dall’autore in due libri precedenti e in diversi lavori pubblicati a stampa e online. A questo scopo vengono qui presentati spunti di ricerca inediti che sono in parte tecnici, in parte storici, in parte metodologici. L’ultimo saggio del libro, “I paradossi di Ustica”, rappresenta il punto di raccordo delle idee e dei metodi usati nei vari capitoli del volume. L’autore analizza la teoria dominante nelle sue varie declinazioni rilevando, con il puro e semplice impiego della logica intuitiva, numerose e gravi incongruenze che possono sfuggire a un esame superficiale. Il messaggio che si intende inviare al lettore è che la paradossalità delle credenze e delle idee correnti su Ustica è una vera e propria sfida alla ragione che fa di Ustica un caso unico tra molti altrettanto enigmatici “misteri d’Italia”.
Eckart Frahm, Gli Assiri – Mondadori, Milano 2024, pp. 528, euro 27,00
Nell’estate del 671 a.C. l’esercito del re Esarhaddon attraversò la penisola del Sinai, entrò in Egitto e si impossessò della terra dei faraoni. Migliaia di prigionieri furono condotti a Ninive, la capitale del regno assiro, un immenso impero che dal Mediterraneo si estendeva all’Iran occidentale e dall’Anatolia arrivava al Golfo Persico.
La conquista dell’Egitto fu il culmine di un lungo viaggio attraverso la storia. Un viaggio iniziato nella seconda metà del III millennio a.C. ad Assur, una piccola città che nel corso di alcuni secoli assunse un ruolo di primo piano nel commercio internazionale, accumulò una notevole ricchezza e divenne il centro di uno stato con una monarchia bramosa di misurarsi con le grandi potenze dell’epoca e di estendere i confini nazionali con la forza delle armi. Fu proprio la guerra, infatti, la cifra della politica assira, l’espressione della sua hýbris imperiale. «Davanti a me le città, dietro di me le rovine» recitava un’iscrizione del re Esarhaddon, che, come gli altri sovrani, condusse sistematiche campagne di sottomissione nei confronti dei popoli vicini. Feroci e spietati, i re assiri diventarono così il simbolo del «dispotismo orientale», nonché l’emblema della corruzione dei costumi, e le loro città finirono con l’incarnare l’«alterità» rispetto alle capitali religiose, culturali e politiche dell’Occidente.
Ma l’Assiria, a lungo conosciuta soltanto attraverso la Bibbia ebraica e i testi degli autori greci, non fu soltanto un regno oppressivo e sanguinario. La circolazione delle merci e delle idee, i centri urbani ornati di giardini, le sculture monumentali, la scrittura, i grandi poemi epici, le ricche biblioteche, un efficiente apparato burocratico e una società cosmopolita ne fecero una delle più fiorenti civiltà del mondo antico. Essa fu il primo grande organismo sovranazionale, un modello per gli imperi successivi. E la sua scomparsa, avvenuta nel 612 a.C., rimane un enigma per certi versi inesplicabile. Un mistero che solo le straordinarie scoperte archeologiche avvenute a partire dalla metà del XIX secolo hanno iniziato a penetrare e alle quali Frahm attinge per questo ricco e magistrale volume.