In libreria: Mille e ancora Mille

CatturaPer usare un’espressione del grande storico Lucien Febvre, possiamo dire che è una «gigantesca falsa credenza» quella della paura della fine del mondo in prossimità dell’anno Mille. Ma forse era davvero l’avvento della fine. Manuale della fine del mondo si propone di parlare di un susseguirsi impetuoso di accadimenti, e delle visioni che li attraversarono: la lotta fra Papato e Impero, i grandi regni, i Comuni in Italia. Un libro che racconta le vicende di cui gli uomini dei secoli XI e XII furono spettatori, attori e vittime. Un mosaico di eventi decisivi, che aprirono la strada a soluzioni inedite. Glauco Cantarella ci offre un saggio ambizioso e affascinante, per risalire alle lontanissime radici del nostro presente e comprendere la rivoluzionaria portata storica dell’invenzione della «fine dei tempi».
È un grande falso storiografico quello della paura della fine del mondo in prossimità dell’avvento dell’anno Mille. Ma è indubbio che gli uomini di mille anni fa hanno dovuto vivere in mezzo alla fine del loro mondo: cambiamenti incessanti che hanno tarlato quel mondo, con aggiustamenti continui, che hanno inseguito la stabilizzazione ottenendola solo in apparenza. E alla fine hanno fatto esplodere il mondo e sono stati all’origine di mutamenti epocali, di lunghissimo periodo: la lotta fra Impero e Papato, la centralità dell’esperienza monastica, i primi germi dei regni d’Inghilterra e di Spagna, il movimento dei Comuni in Italia. Con l’allargamento progressivo dei confini del vecchio spazio europeo e con l’estensione delle aree di conoscenza, ad esempio l’“invenzione” della filosofia. Nel secolo XII sarebbe ormai molto difficile riconoscere le tracce del mondo di partenza, quello che si proponeva come la forma definitiva del mondo, e in realtà si cercava disperatamente di regolare perché garantisse la pace. Una crisi continua, popolata di soggetti nuovi, per cerniere successive da un passaggio all’altro che ha portato alle origini della modernità. Il tutto entro un’unica, grande cerniera: quella del passaggio dal mondo tardo-antico e primo-medievale a quello tardo-medievale e moderno, in cui i protagonisti cambiano o si moltiplicano. Tra Ottone III (1001) e Innocenzo III (1199) due secoli in cui quel mondo è finito, definitivamente relegato nel passato.

Glauco Maria Cantarella, Manuale della fine del mondo. Il travaglio dell’Europa medievale – Einaudi, Torino 2015, pp. 356, euro 32,00

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B. Lidegaard, Il popolo che disse no. La storia mai raccontata di come una nazione sfidò Hitler e salvò i suoi compatrioti ebrei – Garzanti, Milano 2014, pp. 464, euro 28,00
Danimarca, 1943. L’esercito nazista occupa il paese da oltre due anni, e la potenza politica e militare di Hitler sembra inarrestabile. Ma quando cominciano a trapelare notizie di un imminente rastrellamento dell’intera comunità ebraica, tutto il popolo danese sceglie di ribellarsi. Il re, i ministri e il parlamento si stringono attorno ai propri concittadini, e mentre il governo utilizza le sue risorse diplomatiche per ostacolare i piani tedeschi, un allarme viene inviato alle famiglie in pericolo. Per quattordici giorni gli ebrei danesi sono assistiti, nascosti e protetti da persone comuni che spontaneamente aiutano i propri compatrioti diventati improvvisamente dei rifugiati. Su 7000 ebrei, 6500 riescono a salvarsi dai campi di concentramento raggiungendo la Svezia con ogni tipo di imbarcazione. Bo Lidegaard narra la storia di un esodo straordinario e descrive le due settimane, dal 26 settembre al 9 ottobre 1943, in cui un intero popolo ha compiuto la più normale e allo stesso tempo eroica delle azioni: salvare i propri fratelli. “Il popolo che disse no” è il racconto di una vicenda ricca di umanità e di coraggio, di gloria e forza morale che brilla luminosa in uno dei periodi più cupi della storia: gli anonimi cittadini danesi si affiancano così, grazie a questo libro, a Oskar Schindler e Giorgio Perlasca nella ideale Galleria dei Giusti della Shoà.

M. Graziano, Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo – il Mulino, Bologna 2015,  pp. 360, euro 25,00
Nel tormentato scenario globale contemporaneo, il rapporto religione-politica è spesso visto in una prospettiva parziale, che dà risalto solo all’islam e a certe sue correnti più fondamentaliste. In realtà, nel corso degli ultimi decenni, tutte le religioni tradizionali sono tornate ad avere un peso sulla scena politica. Su questo ritorno, sono state costruite delle teorie di politica internazionale, come quella dello «scontro tra civiltà». Analizzandone i presupposti e le finalità geopolitiche, il libro intende mostrare come la «guerra santa» non sia che una forma del ruolo politico delle religioni. Nell’attuale crisi della politica come sfera autonoma e dello Stato come fonte della sovranità, l’autore si interroga sulla possibilità che si delinei una «santa alleanza» fra le principali confessioni, volta a riportare una «morale universale» nel cuore della polis.

Arcadi Espada, L’autentica impostura. Giorgio Perlasca e gli eroi dell’ambasciata di Spagna nella Budapest occupata – Le Monnier, 2015, pp. 304, euro 16,00
Budapest, inverno del 1944. Il conflitto mondiale volge al termine, ma in Ungheria si intensificano le deportazioni e la barbarie nazista. Uno sparuto numero di diplomatici decide di fronteggiare il massacro. Tra loro c’è Ángel Sanz Briz, un giovane ambasciatore spagnolo che agisce agli ordini di Franco. Il diplomatico è coadiuvato dal personale della legazione: la segretaria, l’avvocato, l’autista, e da altri volonterosi, fra cui l’italiano Giorgio Perlasca. Sarà proprio quest’ultimo, a distanza di anni, a raccontare meglio, e più degli altri, l’opera umanitaria dell’ambasciata spagnola a Budapest, addossandosene però tutti i meriti. La ricerca storica non può, tuttavia, lasciarsi sedurre dalla leggenda. Ed ecco che dai nuovi documenti emerge una storia contrastante con quella narrata da Perlasca. Una storia che svestirà lo Schindler italiano dei panni dell’eroe e lo collocherà nel ruolo che più gli compete.

G. van Wyngarden, Il “circo volante” Richthofen. L’aviazione da caccia tedesca sul fronte occidentale 1916-1918 – LEG Edizioni, Gorizia 2015, euro 22,00
Senza dubbio la più famosa unità aerea della Prima guerra mondiale, il leggendario Jagdgeschwader Nr. 1, chiamato con rispetto “il circo volante” dai nemici, fu il primo vero stormo da caccia tedesco. Composto dalle Jagdstaffeln 4, 6, 10, 11, sarebbe stato per sempre associato nell’immaginario collettivo al suo primo comandante, il carismatico e celebrato Manfred von Richthofen. L’JG I fu creato nel luglio del 1917 e per 16 mesi i suoi giovani piloti con i loro variopinti velivoli si sarebbero battuti per il controllo dei cieli del fronte occidentale, opponendosi alla forza crescente delle aviazioni dell’Intesa. Prima della fine del conflitto sul modello di questa unità d’élite, accreditata di 644 vittorie aeree, sarebbero stati costituiti altri tre Jagdgeschwadern.

Antonio Ciocca, Storia della psicoanalisi – il Mulino, Bologna 2015, pp. 296, euro 22,00
«La cura con la parola» ha attraversato tutto il Novecento fino a giungere ai giorni nostri, influenzando non solo la medicina ma, in profondità, la cultura occidentale. Come è nata la psicoanalisi intesa come teoria dell’inconscio e prassi psicoterapeutica? Quali sono i percorsi di pensiero e le correnti che la identificano? Il volume parte dagli esordi e dalle prime riflessioni di Freud, evoca le esperienze fondanti e delinea le tappe sia storiche sia teoriche che hanno fatto della psicoanalisi un approccio unico rispetto ad altre forme di psicoterapia. Possiamo così immergerci nei casi clinici famosi e nelle vite dei protagonisti (da Jung, Ferenczi, Anna Freud e Melanie Klein fino a Kohut, Bion e Ferrari) di un movimento che, nato con «L’interpretazione dei sogni» nel 1899, ancora oggi ci affascina.

M. Bucciantini, Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto – Einaudi, Torino 2015, pp. 392, euro 32,00
I cattolici piú intransigenti le cambiarono persino il nome. Dopo quanto accadde la mattina del 9 giugno 1889 chiamarono quella piazza non piú Campo dei Fiori ma Campo Maledetto. E nelle loro intenzioni sarebbe rimasta tale fino al giorno in cui al posto del “monumento infame” non sarebbe sorta una cappella di espiazione al Cuore Santissimo di Gesú. Questo libro è il racconto drammatico di un conflitto durato la bellezza di tredici anni, tanti ne occorsero per erigere quella statua. Un burrascoso affresco che trovò linfa vitale nelle passioni di studenti innamorati di Bruno e Mazzini, di Garibaldi e Oberdan, e decisi a mettere in pratica un disegno radicale che in breve tempo si trasformò in una seconda Porta Pia. Ma Campo dei Fiori è anche il capitolo di una storia piú grande, che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento è scandita dalle battaglie per l’emancipazione femminile e il suffragio universale, per la cremazione e l’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole e della pena di morte. Sono trascorsi 125 anni dall’inaugurazione della statua, e oltre quattro secoli da quando, all’alba di un giovedí di febbraio, a dorso di mulo, Giordano Bruno venne trasportato in quella piazza, e lí legato a un palo e bruciato vivo.
Campo dei Fiori è una biografia: la biografia di una statua. Ma è anche un libro sull’Italia, sulle tante debolezze del fronte laico e sulla ostinata chiusura a ogni idea di modernità presente nella Chiesa cattolica di allora. È l’avvincente ricostruzione di una lotta politica che ebbe numerosi protagonisti: il movimento studentesco romano, Francesco Crispi e la massoneria, Ettore Ferrari e Giovanni Bovio, papa Leone XIII e i gesuiti della «Civiltà Cattolica», Francesco De Sanctis, Antonio Labriola, Giuseppe Garibaldi. E anche un certo Armand Lévy, di professione rivoluzionario, ex comunardo, esule, ebreo e socialista, sconosciuto ai piú, ma che svolse un ruolo decisivo nella fase preparatoria del monumento. Si trattò di una vera e propria battaglia laica e anticlericale: una delle poche combattute nel nostro Paese e che è giusto non dimenticare. Non tanto per celebrarla quanto per conoscerla, anzi forse è meglio dire per decifrarla: attraverso la comprensione di uno scontro che fu violentissimo e dei tentativi compiuti per disinnescarlo, come delle alleanze e degli opportunismi che di volta in volta furono messi in campo per vincere la partita o per rinviarla per sempre.

P. Delpiano, Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell’età dei Lumi – Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 208, euro 22,00
Nell’età dei Lumi fece la sua comparsa sulla scena europea un nuovo attore: il philosophe, che rivendicava apertamente, tra le altre, la libertà di esprimersi a livello pubblico attraverso la parola scritta. Concentrandosi in particolare su Francia e Italia, Patrizia Delpiano esplora il processo che tra la fine del Seicento e la fine del Settecento condusse alla teorizzazione e alla messa in pratica della libertà di stampa. È una storia segnata da ostacoli istituzionali come la censura ecclesiastica e statale e da altri, non meno coercitivi, posti dalla coscienza degli autori stessi. Tra l’etica del silenzio e la libertà di scrivere si apriva infatti il vasto campo dell’autocensura: un universo del non scritto sinora largamente inesplorato, che segnò a lungo la vicenda degli intellettuali europei.