In libreria: Meditazioni atipiche

machetisaltinmenteMeditare sull’oggi con uno sguardo garbatamente irriverente sui vizi italici, per denunciare (parola forse troppo grossa) una realtà fatta di malcostume, bassezze e miserie quotidiane. Meditare senza rancore su ciò che ci circonda, con il senso e il gusto dell’ironia, con i giochi di parole di chi sa che la vita, anche se di ludico ha ben poco, è meglio prenderla con leggerezza, per evitare cattivo sangue e travasi biliari. Meditare sui grandi uomini senza farne i nomi, con il piacere dell’apologo che nasconde l’istinto etico e pedagogico messo a fuoco da chi, dopo una vita trascorsa tra le aule universitarie e i piani alti di grandi aziende, nonostante tutto sente ancora la necessità di dire la sua a giovani e meno giovani.
Il nostro Paolo Di Stefano ha abituato da anni i lettori di “Storia in Network” a osservare il mondo senza lenti deformanti, a commentare le vicende della quotidianità nazionale e internazionale come fossero tanti tasselli che in un futuro, nemmeno tanto remoto, leggeremo, ahinoi, come Storia con la S maiuscola. O come schegge impazzite di una realtà spesso indecifrabile, se non nelle sue chiarissime ed evidenti degenerazioni umane, politiche ed economiche.
Ora Di Stefano esce in libreria con una raccolta di “Meditazioni trascendentali per manager e pensatori atipici” intitolata Machetisaltinmente, una collezione, continua il sottotitolo “di micro e di mini saggi da leggersi uno (o anche meno) per sera”. Sono pagine in cui l’autore condensa considerazioni tranchant sul nepotismo e sulla musica, sulla gavetta nel mondo del lavoro e sulla professionalità, sull’arte della generalizzazione e sul ruolo dell’istruzione pubblica. Il tutto intercalando personaggi inventati di sana pianta – Putifarre Maria, Davelino Ciofeca, Farabrutto Cacaglio… – i cui cromosomi sono presi dall’esperienza di una vita, da incontri di lavoro, dall’osservazione di tutto ciò che la quotidianità, soprattutto nelle sue manifestazioni meno elevate e più presuntuose, riesce a offrire.
Quello di Di Stefano è uno sguardo disincantato ma non cinico, intensamente cristiano (si può ancora dire?) ma non bigotto su un mondo che non è più preda di guerre ma ha perso umanità in favore di un pacifico tecnicismo economico-finanziario che condiziona ogni aspetto della vita. Ed è proprio questo asettico e malinteso senso di modernità l’oggetto di una parte delle pagine del volume, soprattutto la categoria dei manager e dei politici, sommi esempi di potere esibito e di elevata improvvisazione  ma quasi mai di capacità di programmazione e di pianificazione del futuro di un’azienda/Paese. Del resto, qui ad aiutarlo c’è la lunga esperienza come docente di marketing all’università, c’è l’uomo esperto di gestione e comunicazione d’impresa, c’è lo specialista in marketing della politica e dell’amministrazione. E dove finisce l’esperienza professionale, fa capolino, quasi senza soluzione di continuità, l’uomo. Perché in questo breviario laico di un moderno affabulatore, a metà tra la saggezza di Montaigne e il sorriso di Jerome Klapka Jerome, c’è spazio anche per gli affetti familiari e per Milano, con il suo salotto buono, la Galleria, anima di uno spazio che è anche, proustianamente, il luogo delle intermittenze del cuore. I pensatori atipici e gli spiriti liberi non mancheranno di apprezzarlo.

Paolo Maria Di Stefano, Machetislatinmente. Meditazioni trascendentali per manager e pensatori atipici, sotto forma di micro e mini saggi, da leggersi uno (o anche meno) per sera – Edizioni Tigulliana, Santa Margherita Ligure 2016, pp. 134, euro 15,00

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Victor Davis Hanson, L’arte occidentale della guerra – UTET, Torino 2017, euro 18,00
Si narra che, quando gli fu suggerito di attaccare i persiani di notte per coglierli impreparati, Alessandro Magno rispose sdegnato: «La strada che indichi è quella dei banditi e dei ladri, il cui unico fine è l’inganno. Preferisco rammaricarmi della sorte avversa anziché provar vergogna per la mia vittoria». Il grande condottiero macedone dimostrava così di aver interiorizzato la cultura greca anche nell’ethos disperato e fiero della battaglia campale. Perché l’arte occidentale della guerra, spiega Victor Davis Hanson in questo saggio ormai classico, si fonda sulla ricerca dello scontro diretto di fanteria, terribile e risolutivo. Un’invenzione greca, tramandata dall’epica di Omero e dalle storie di Tucidide e Senofonte.
La battaglia campale non era infatti una pratica comune, nelle guerre antiche, spesso più simili a una guerriglia episodica e selvaggia. Proprio per evitare gli assalti e la devastazione di campi e vigneti, i Greci costruirono una diversa idea di guerra, che si legava a doppio filo con l’essenza stessa della libertà e della democrazia: ogni uomo libero era disposto a correre il rischio di morire in poche ore nel cozzo brutale di lance e scudi, anziché lasciare le proprie terre e i propri cari in ostaggio delle sortite, delle razzie e degli incendi.
È impossibile, allora, ragionare di questa idea di guerra senza calarsi nei panni del soldato semplice, dell’oplite schierato nella falange sul far della battaglia. Hanson non si limita infatti ad analizzare la struttura sociale delle città-stato, a ricostruire le tattiche o descrivere nel dettaglio le pesanti armi e gli equipaggiamenti. Riesce invece a disciogliere la storia nel racconto, facendoci rivivere in prima persona quel momento: respiriamo l’eccitazione e la paura, la solidarietà tra compagni di linea e la ferocia del corpo a corpo, ma anche i suoni, gli odori, la fatica… Tutta la dimensione umana dello scontro, tutto il peso di quell’ethos e di quel sacrificio.
L’arte occidentale della guerra sopravviverà ai Greci e ad Alessandro Magno, perseguitando come un mito e un fantasma tutta la storia militare occidentale, dalle crociate a Napoleone, dal secondo conflitto mondiale fino alla disfatta americana del Vietnam, quando una nuova e diversa guerriglia segnerà la crisi e forse la fine di quel modello, l’illusione di una guerra nobile, di una vittoria pulita e priva di vergogna.

Sara Lorenzini, Una strana guerra fredda, lo sviluppo e le relazioni Nord-Sud – Il Mulino, Bologna 2017, pp. 304, euro 29,00
Con la decolonizzazione l’aiuto allo sviluppo divenne un elemento costante nella politica degli Stati e delle organizzazioni internazionali, strumento di emancipazione in Asia, Africa e America Latina. Nel rileggere le relazioni Nord-Sud durante la guerra fredda attraverso la lente dello sviluppo, il volume racconta come i paesi avanzati affrontarono la questione della povertà, come elaborarono le loro scelte politiche, dove investirono, con quali obiettivi e in quali progetti, secondo quali modelli concorrenti di società.

Gigi di Fiore, Briganti, controstoria della guerra contadina nel Sud dei Gattopardi – UTET, Torino 2017, euro 18,00
«Lo Stato italiano ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri.» Con queste parole Antonio Gramsci commenta gli avvenimenti che intorno agli anni sessanta dell’Ottocento insanguinano le campagne nel sud del paese.
La storiografia ufficiale ha dipinto a lungo le truppe piemontesi come un esercito di liberazione, strumento di riscatto per tutti i “cafoni” del Sud. Invece, da subito, quei militari si dimostrarono una vera e propria forza di repressione a difesa di una dominazione violenta, statale e di classe, con metodi che fornirono ulteriori argomenti a una rilettura storica del processo di unificazione politica della penisola. In questa prospettiva i “briganti” criminalizzati sulle pagine dei quotidiani del tempo assumono una fisionomia diversa. Non più solo capibanda ma eroi popolari, rivoluzionari romantici costretti a combattere contro un governo miope e tiranno.
Utilizzando testimonianze, verbali di polizia e diari, Gigi Di Fiore ripercorre quei mesi in cui il Sud divenne un Far West, salvando la memoria di uomini simbolo di identità e riscatto di un meridione umiliato e offeso. Incontriamo così Carmine Crocco Donatelli, il “generale dei briganti” che raccolse sotto la sua bandiera affamati e disperati, spinti da una voglia di rivincita che sfocerà infine nella lunga marcia attraverso la Basilicata; Cosimo Giordano che sollevò il Sannio contro i bersaglieri responsabili poi del tremendo massacro di innocenti nel paese di Pontelandolfo; e infine la storia del legittimista Pasquale Romano, detto “Enrico la Morte”, che guidò lo scontro fratricida per le strade di Gioia del Colle e poi, rimasto solo con un drappello di rivoltosi, fu trucidato a colpi di sciabola. Con loro, tante altre storie di contadini ribelli. A scatenare quella guerra tuttavia non fu solo lo Stato italiano. In queste pagine Di Fiore amplia la schiera dei colpevoli, puntando il dito contro i “Gattopardi” meridionali, proprietari terrieri e notabili che manovrarono la ribellione per i loro tornaconti, restando alla fine ancora i veri detentori del potere. Una classe dirigente immobile e codarda, rimasta al suo posto facendosi scudo con la violenta repressione e le armi dell’esercito. Una classe dirigente che ha purtroppo, ancora oggi, tanti successori.

Marcello Carmagnani, L’altro Occidente, l’America Latina dall’invasione europea al nuovo millennio – Einaudi, Torino 2017, pp. 452
La storia internazionale si è affermata come una disciplina volta a descrivere e studiare le interazioni esistenti tra le dimensioni locali e nazionali e il contesto mondiale. Questa specifica forma di analisi storica, che si avvale di metodologie comparative, intende illustrare i processi di intersezione, convergenza e divergenza fra le diverse regioni del mondo, ricostruendo le logiche soggiacenti a tali processi.
L’altro Occidente è una storia internazionale dell’America Latina dal Cinquecento a oggi che, alla luce dei processi di occidentalizzazione intercorsi tra l’invasione europea e il nuovo millennio, riscatta la pluralità di forze e il gioco delle reciproche influenze che ha consentito ai Latino-americani di partecipare sempre piú alle vicende del mondo, senza rinunciare alle proprie specificità locali e nazionali.
Quest’opera di sintesi, che tiene conto dell’importanza che hanno acquisito gli studi internazionali nelle nostre università, intende offrire una visione completa, documentata ed equilibrata del sottocontinente e del popolo latino-americano, sempre piú impegnato a individuare e perseguire, in sintonia con il contesto mondiale, delle strategie che consentano di migliorare a tutti i livelli le sue condizioni economiche e sociali nel prossimo futuro.

Emanuele Ertola, In terra d’Africa, gli italiani che colonizzarono l’impero – Laterza, Bari-Roma 2017, pp. 260, euro 20,00
Il 9 maggio 1936, dal balcone di piazza Venezia, Mussolini annunciava agli italiani la «riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma». L’Etiopia, fin dai tempi della disastrosa battaglia di Adua del 1896, era stata l’oggetto del desiderio del colonialismo italiano. Gli italiani per decenni l’avevano voluta, sognata, avevano ucciso ed erano morti per possederla.
Il duce aveva piani grandiosi: eliminare l’emigrazione all’estero popolando l’Etiopia con milioni di italiani, che avrebbero dato vita a una società ideale, produttiva, razzialmente pura e perfettamente fascista. In decine di migliaia risposero all’appello, lasciarono le loro case e partirono, convinti dalla propaganda del regime che avrebbero potuto fare fortuna in una terra ricca di opportunità. La realtà sarebbe stata molto diversa.
Ma quali furono le esperienze di coloro che si trasferirono nelle terre del Negus? Dove e come emigrarono? Quanto fu diversa la loro quotidianità da quella vissuta in Italia? Come interagirono con gli etiopici e con il regime? La risposta a queste domande ci restituisce la storia degli uomini e delle donne che colonizzarono l’impero, con i loro sogni e le loro aspettative, le loro esperienze e i loro giudizi su questa breve, ma decisiva, esperienza Oltremare.

Francois Fauvelle-Aymar, Il rinoceronte d’oro – Einaudi, torino 2017, pp. 296, euro 30,00
Anche se non documentata da testimonianze scritte, l’Africa antica possiede una storia, spesso sottostimata quando non brutalmente negata. A partire dalle tracce lasciate da civiltà il piú delle volte scomparse e dalle tradizioni orali, François-Xavier Fauvelle ricostruisce in modo rigoroso e appassionante la ricchezza di questo continente ritrovato. In trentaquattro brevi saggi offre al lettore un panorama dell’Africa subsahariana dall’viii al xv secolo: dai viaggiatori cinesi del periodo Tang alle avventurose spedizioni di Vasco da Gama lungo le coste dell’oceano Indiano. Tra questi due estremi il lettore incontrerà momenti memorabili: una città introvabile, la capitale del Ghana, descritta nel 1068 da un geografo di Cordova; una cerimonia grandiosa svoltasi a Marrakech con l’arrivo del re dell’oscuro regno di Zafun; una misteriosa tomba sudafricana dove nel 1932 è stato trovato un piccolo rinoceronte d’oro del xii secolo; una chiesa costruita dal sovrano cristiano d’Etiopia nel xiii secolo… Un mosaico di testimonianze, siti archeologici, oggetti e frammenti che permettono all’autore di ricostruire il volto di un’Africa per lungo tempo rimasto nell’ombra. Dal Sahara al fiume Niger, dall’impero del Mali al regno cristiano della Nubia, dai principati della costa orientale alle maestose rovine di un enigmatico regno del Grande Zimbabwe.

Thierry Camous, Tarquinio il Superbo, il re maledetto degli etruschi – Salerno Editore, Roma 2017, pp. 288,  euro 22,00

Il più fastoso, il più potente dei re di Roma, colui che fece costruire i suoi monumenti più grandiosi e che impose ai Latini il suo potere, sarà considerato dai Romani un tiranno sanguinario. Il ricordo della sua dominazione basterà da solo a scongiurare per sempre il ritorno della monarchia.
Ma il Superbo fu davvero un tiranno così megalomane e crudele? O tale giudizio esprime il punto di vista dei vincitori, che volevano vendicarsi del nemico etrusco e rovinarne la reputazione, dopo averne distrutto il potere e persino l’identità culturale? E ancora, i sette re, di cui tre etruschi, regnarono veramente su Roma come sostengono in coro gli storici greci e romani?
Ripercorrendo le varie tappe di una leggenda, quella del re di Roma maledetto e superbo, l’autore cerca di scoprire le caratteristiche di un regno magnifico e crudele, quale fu la monarchia etrusca di Roma, indagando le cause della sua potenza.