In libreria: Le canzoni del Risorgimento

RisLa storia del Risorgimento rivista attraverso i suoi canti più celebri e diffusi. Un tentativo di mostrare una prospettiva diversa rispetto al racconto dei documenti ufficiali, dalla quale è possibile cogliere il modo in cui gli avvenimenti di quel periodo furono percepiti e vissuti dalla popolazione. Il percorso inizia con i canti della tradizione giacobina, composti durante la dominazione napoleonica in Italia, attraversa gli inni delle lotte per l’indipendenza e termina con le canzoni popolari degli anni post unitari, caratterizzati dalla disillusione e dal risentimento delle classi popolari del meridione.
Il merito del volume di Crocco sta proprio nel prendere in considerazione non solo la stagione centrale del Risorgimento, ma di rintracciarne le origini “canore” fin dagli anni sucessivi alla rivoluzione francese e nel periodo napoleonico, così come nei canti patriottici dedicati alla breve stagione riformista di Pio IX.  Naturalmente, un posto centrale è riservato ai canti che hanno avuto per oggetto Giuseppe Garibaldi, suscitatore di passioni e quindi di ispirazioni compositive di diversa efficacia (“Quando la tromba sonava all’armi / con Garibaldi corsi ad arruolarmi…”, “Ha bionda la chioma, purpurea la vesta / brandisce la spada, l’Italia s’è desta…). Tutte però testimonianza di una devozione sincera, e quasi religiosa (nell’iconografia la somiglianza Garibaldi-Gesù era molto apprezzata), verso quell’eroe che per molti italiani sembrò incarnare la figura dell’uomo del destino.
Tuttavia, come spiega l’autore, in alcuni canti di origine anonima, e quindi più schiettamente popolari, «le idee risorgimentali – e il processo di unificazione – furono molto spesso accolte con ostilità (come nei canti sanfedisti e in quelli postunitari) o indifferenza, nel migliore dei casi, dagli strati più poveri della popolazione, soprattutto delle zone rurali». Il cerchio si stava chiudendo sull’epopea risorgimentale, evidenziandone i limiti. Ma anche su queste basi, e sulle loro declinazioni in versi e note, è stata costruita la storia del nostro Paese.

Alessandro Crocco, Il Risorgimento tra rivoluzioni e canzoni – Prospettiva Editrice, Siena, pp. 138, euro 13,00

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V. Bianchi, Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista – Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 310, euro 20,00
Nel 1480 l’impero ottomano era in prepotente espansione verso l’Europa e il Mediterraneo. Sulla sua traiettoria, l’Italia lacerata da congiure e lotte intestine fra le più splendide signorie rinascimentali. In questa storia c’è il sogno di un sultano affascinato dai fasti dell’antichità, che intende riunificare l’impero romano. Ci sono gli interessi della Repubblica di Venezia. Lorenzo il Magnifico, appena scampato alla congiura dei Pazzi. Un ex gran visir caduto in disgrazia. Le mire di dominio sulla Penisola del re di Napoli. Un pontefice che, mentre pensa alla decorazione della Cappella Sistina, briga per favorire i propri nipoti. Condottieri al servizio del miglior offerente, il coraggio dei Cavalieri di Rodi. Un grandioso mosaico che profetizza l’avvento del Male. Alla fine della guerra di Otranto non ci saranno vincitori, se non la peste. Si cercherà di recuperare gloria almeno dai resti delle vittime, facendone dei ‘martiri della cristianità’, contro ogni evidenza e testimonianza. Su tutto, l’indifferenza del potere nei confronti degli umili, degli ultimi, degli inermi, costretti a pagare il prezzo delle altrui ambizioni.

R. Chiaberge, 1918: la grande epidemia. Quindici storie della febbre spagnola – UTET, Torino 2016, pp. 304, euro 16,00
Che cos’hanno in comune Walt Disney e Guillaume Apollinaire, Edvard Munch e Franklin Delano Roosevelt? Il pittore dello scandalo Egon Schiele e Leopoldo Torlonia, sindaco di Roma deposto per le sue simpatie papiste? Il padre dell’atomica Leó Szilárd e Sophie, la figlia perduta di Freud? In apparenza poco o nulla. Eppure, una cosa li unisce: le loro vite vengono tutte attraversate dalla febbre spagnola, la terribile epidemia che infuria nel mondo tra il 1918 e il 1920, facendo più vittime della prima guerra mondiale. Il virus non fa distinzioni di merito e stato sociale: colpisce alla cieca, cambiando in modo imprevedibile i destini individuali e, a volte, collettivi. Con o senza Spagnola, la Grande guerra sarebbe finita certo nello stesso modo, ma è lecito domandarsi che cosa sarebbe accaduto se il presidente americano Woodrow Wilson non fosse stato annebbiato dalla febbre durante i negoziati di pace di Parigi, o se il suo successore Roosevelt fosse morto prima di conquistare la Casa Bianca e varare il New Deal, o se Szilárd non fosse sopravvissuto al contagio, venendo così meno al suo ruolo fondamentale nella costruzione della bomba atomica statunitense. Riccardo Chiaberge trasforma la storia della Spagnola in un castello dei destini incrociati, dove si incontrano o si sfiorano le vite diverse, fragili e mirabili di quindici donne e uomini che hanno contribuito a forgiare il Novecento per come lo conosciamo.

M. Meriggi, Racconti di confine. Nel Mezzogiorno del Settecento – il Mulino, Bologna 2016, pp. 152, euro 16,00
Nel corso del Settecento in Europa l’affermazione dello Stato moderno comportò un pieno e omogeneo controllo dei governi sul territorio, con la definizione dei confini statali, fino ad allora fluidi e imprecisi. È l’epoca della cartografia, ossia della formalizzazione dei confini che diventano, anche in senso militare, frontiere. Questa originale ricerca indaga l’impatto di tali dinamiche generali nelle comunità che vivevano a cavallo del confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli: abituate a regolarsi senza intromissioni del governo centrale furono oggetto di un disciplinamento peraltro non del tutto riuscito.

M. Castoldi, 1943-1945. I «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi – Donzelli, Roma 2016, pp. 110, euro 24,00
L’elaborazione di una memoria condivisa e consapevole sugli ultimi anni della seconda guerra mondiale ha conosciuto, in Germania e in Italia, percorsi differenti, scanditi da tempi e sensibilità che è utile mettere a confronto, in sede di ricostruzione storica. Questo volume presenta un approccio comparativo alla questione, attraverso la voce di alcuni tra i massimi specialisti, italiani e tedeschi, della materia. Dopo decenni di oblio, in Germania, scrive Thomas Altmeyer, si è avviato un processo di recupero dei luoghi della memoria del nazismo e di fondazione di centri di documentazione, nei quali è in atto una ricerca costante sui modi di trasmissione della memoria alla collettività e alle nuove generazioni. Diversa la storia italiana, che, pur avendo elaborato fin dal 1945 una memoria diffusa dell’antifascismo e della Resistenza, è ancora segnata da reticenze sui crimini perpetrati dal fascismo in Italia e nei territori occupati. Ciò è in relazione con lo stereotipo culturale del “bravo italiano” che, secondo Filippo Focardi, sia la monarchia, desiderosa di liberarsi dalle complicità col regime, sia le forze antifasciste, in cerca di una legittimazione interna e internazionale, avevano interesse a diffondere. Sulle vicende del confine orientale Raoul Pupo, indagando oltre i miti interpretativi, riposiziona i conflitti in questi territori in una prospettiva plurale e storicamente compiuta.

R. Davis Higgins, Dietro le linee sovietiche. 1942: i Brandenburger di Hitler all’assalto dei pozzi di petrolio di Majkop – Editrice Goriziana, Gorizia 2016, pp. 129, euro 20,00
Nell’estate del 1942 la campagna tedesca sul fronte orientale aveva tra i principali obiettivi il petrolio: le possibilità di rifornimento erano determinanti per l’esito della guerra. La macchina da guerra nazista era assetata di carburante e puntava alle raffinerie sovietiche vicino ai pozzi sul Caucaso. Ma non bastava conquistare le posizioni: i sovietici avrebbero anche distrutto i pozzi pur di non lasciarli al nemico. Era necessaria un’azione audace, veloce e rischiosa. I Brandenburger erano forze d’élite, esperti nell’operare alle spalle delle linee nemiche, e furono scelti per una missione decisiva: vennero mandati alla città petrolifera di Majkop, dove passarono una settimana parlando in russo e ingannando le temute forze di polizia di Stalin. Era l’inizio di una serie di azioni volte a seminare la confusione in città nell’attesa della chance per colpire e impossessarsi dei giacimenti senza che i sovietici avessero modo di impedirlo.

J. T. Gross, I. G. Gross, Un raccolto d’oro. Il saccheggio dei beni ebraici – Einaudi, Torino 2016, pp. 126, euro 17,00
Tutto inizia da una fotografia di gruppo. A prima vista la scena appare familiare: contadini che si riposano dopo il lavoro della mietitura. Ma quando ci accorgiamo con orrore che il raccolto disposto ai piedi del gruppo è fatto di ossa e di teschi umani, il senso di smarrimento cresce. Si tratta di un raccolto di un genere molto differente. Il punto di partenza di “Un raccolto d’oro”, ritrae, effettivamente, un gruppo di persone sulla collina formata dalle ceneri degli ottocentomila ebrei gassati e cremati a Treblinka tra il luglio 1942 e l’ottobre 1943. L’occupazione di coloro che vediamo nella foto è quella di scavare tra i resti umani alla ricerca dell’oro e dei beni preziosi sfuggiti agli assassini nazisti. Anche a guerra finita, scavatori andavano alla ricerca di oggetti di valore delle vittime che i nazisti potevano aver tralasciato. La storia racchiusa in questa fotografia, scattata poco dopo la guerra, simboleggia il saccheggio dei beni ebraici che, nell’intero continente europeo, è andato di pari passo con la Shoah. La spoliazione degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale ha generato occasionalmente attenzione quando banche svizzere sono state forzate a produrre liste dei beni occultati o musei nazionali sono stati costretti a restituire opere d’arte trafugate.

P. M. Cobb, La conquista del Paradiso. Una storia islamica delle Crociate – Einaudi, Torino 2016, pp. 367, euro 32,00
La storia delle Crociate è nota, eppure è una storia spesso raccontata a metà, perche si basa quasi esclusivamente su fonti occidentali. Questo saggio intende considerare secondo una nuova, più equilibrata, prospettiva gli scontri fra musulmani e cristiani durante il Medioevo su tutte le sponde del Mediterraneo musulmano. Trattate come parte attiva della relazione dinamica tra gli stati islamici medievali e le società che vanno dalla Spagna all’Iran, le Crociate vengono dunque lette non soltanto come un episodio esotico, ma come parte integrante della storia della civiltà islamica stessa. Intrecciando la prospettiva tradizionale e il punto di vista dei musulmani medievali, le Crociate emergono come qualcosa di completamente diverso dalla pretenziosa retorica delle cronache europee: diventano un gioco degli scacchi diplomatico da padroneggiare, un’opportunità commerciale da cogliere, un incontro culturale che ha plasmato le esperienze musulmane ed europee fino alla fine del Medioevo e, come spesso è accaduto, una contesa politica sfruttata da ambiziosi governanti che fecero un uso astuto del linguaggio del jihad.