In libreria: Eresie e fiuto per il business
a cura di Alessandro Frigerio -
Un volume che racconta la storia dell’Inquisizione romana alla luce della sua conduzione economica. L’attività quotidiana dei tribunali del Sant’Officio vide un intreccio continuo fra l’opera di salvaguardia dell’integrità del patrimonio dogmatico cattolico e l’oculata gestione del denaro necessaria a realizzarla. Gli inquisitori, oltre a perseguire gli eretici, stilarono bilanci e individuarono finanziamenti per condurre i processi, confiscando i beni dei condannati o impiegando risorse proprie. Alcuni giudici di fede divennero dei veri e propri imprenditori: gestirono terre e botteghe, commerciarono in beni agricoli e manifatturieri, aprirono crediti e investimenti finanziari. Tutto ciò generò un sistema d’incentivi in grado di orientare l’attività giudiziaria. Alleandosi con i governi secolari, operando attivamente sui mercati, sorvegliando gli spostamenti degli uomini d’affari, l’Inquisizione poté inserirsi nel cuore della vita pubblica, pur continuando essa a operare, per antica tradizione canonica, nel piú rigoroso segreto.
L’Inquisizione romana di età moderna fu un tribunale della fede la cui giurisdizione si estese potenzialmente su tutta la cattolicità. Il suo funzionamento ha affascinato studiosi delle più svariate discipline: nella storia della lotta contro l’eresia s’intrecciano temi di carattere religioso, filosofico, sociologico, politico ed economico. Il volume di Germano Maifreda è dedicato all’esame di quest’ultimo aspetto, attraverso la ricostruzione di alcuni retroscena inattesi. I pontefici, dopo la fondazione della Congregazione del Sant’Officio (1542), predisposero un’organizzazione territoriale largamente autosufficiente, in grado di garantire per oltre due secoli il funzionamento di un esteso sistema giudiziario. Grazie anche alla scoperta di numerosi documenti inediti, tratti dagli Archivi vaticani, l’autore ricostruisce la dinamica di molti processi, dalla denuncia all’irrogazione della pena, svelando come l’analisi degli incentivi economici determinati dal modello stesso dell’apparato inquisitoriale possa oggi rivelarsi essenziale per comprendere le forme di esercizio della giustizia ecclesiastica in età moderna. Coniugando un uso preciso delle fonti storiche e una scrittura che ha il passo dell’investigazione, questo libro apre scenari nuovi nello studio del Sant’Officio e della sua economia intesa, nelle parole di Alfred Marshall, come impegno «negli affari ordinari della vita». Un punto di vista inedito e demitizzante su uno degli argomenti piú complessi dell’epoca moderna.
Germano Maifreda, I denari dell’inquisitore. Affari e giustizia di fede nell’Italia moderna – Einaudi, Torino 2014, pp. 364 , euro 32,00.
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G. Pansa, Bella ciao. Controstoria della resistenza – Rizzoli, Milano 2014, pp. 432, euro 19,90.
Il 25 aprile chi va in piazza a cantare “Bella ciao” è convinto che tutti i partigiani abbiano combattuto per la libertà dell’Italia. È un’immagine suggestiva della Resistenza, ma non corrisponde alla verità. I comunisti si battevano, e morivano, per un obiettivo inaccettabile da chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e fascisti era soltanto il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura popolare, agli ordini dell’Unione Sovietica. Giampaolo Pansa racconta come i capi delle Garibaldi abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario e in che modo si siano comportati nei confronti di chi non voleva sottomettersi alla loro egemonia. Quando si sparava, dire di no ai comunisti richiedeva molto coraggio. Il Pci era il protagonista assoluto della Resistenza. Più della metà delle formazioni rispondeva soltanto a comandanti e commissari politici rossi. Bella ciao ricostruisce il cammino delle bande guidate da Luigi Longo e da Pietro Secchia sin dall’agosto 1943, con la partenza dal confino di Ventotene. Poi le prime azioni terroristiche dei Gap, l’omicidio di capi partigiani ostili al Pci, il cinismo nel provocare le rappresaglie nemiche, ritenute il passaggio obbligato per allargare l’incendio della guerra civile. La controstoria di Pansa svela il lato oscuro della Resistenza e la spietatezza di uno scontro tutto interno al fronte antifascista. E riporta alla luce vicende, personaggi e delitti sempre ignorati. Pagina dopo pagina, prendono vita i protagonisti di un dramma gonfio di veleno ideologico. A cominciare dagli “spagnoli”, i reduci delle Brigate internazionali nella guerra di Spagna, presenti in tutte le bande garibaldine, inchiodati a un comunismo primitivo e brutale. Pansa ce li presenta anche nei loro errori di rivoluzionari senza onore, pronti a uccidere chi li contrastava. E nel metterli a confronto con i partigiani che si battevano per un’Italia libera da qualsiasi dittatura rievoca una pagina di storia che la sinistra ha finto di non vedere. Bella ciao verrà ritenuto un libro scandaloso dai gendarmi della memoria resistenziale. E questa sarà la conferma che Pansa ha fatto un importante passo in più nel suo percorso di narratore revisionista.
M. Veronesi, Samurai sul Pacifico. La Marina Imperiale Giapponese dalle origini alla seconda guerra mondiale – Medea, Pavia 2013, pp. 264, euro 19,00
Il Giappone è il più conosciuto e il più sconosciuto tra i paesi della terra. Profondamente asiatico è occidentalizzato, tradizionalista e guerriero. E’ orgogliosamente insulare, come l’Inghilterra, e il giapponese è giapponese e null’altro, fiero della sua indipendenza conservata per millenni. Per i giapponesi tutto è serio, tutto è importante, tutto è tragico. Le formidabili eruzioni vulcaniche che formano il “cerchio di fuoco” che avviluppa l’arcipelago, i terremoti demolitori che lo distruggono, i tifoni e gli tsunami devastatori che lo investono, alternando con tragica regolarità le loro insidie ed i loro danni, debbono aver forgiato sul loro modello l’anima nipponica. Nel periodo Mejii il Giappone si lasciò alle spalle il medioevo, ma conservò nel Bushido o “via del guerriero” le antiche tradizioni dei Samurai, che impresse nella popolazione giapponese quel senso d’appartenenza e di dovere verso l’imperatore.
La Marina imperiale era composta in prevalenza da ex samurai, membri della casta guerriera. I suoi uomini combattevano per convinzione, appoggiandosi a un’antica tradizione. Non vedevano di buon occhio i cittadini, i contadini o i commercianti, i quali erano confluiti perlopiù nelle file dell’esercito. La Marina Imperiale è stata la marina dell’impero giapponese dal 1869 fino al 1947, quando è stata sciolta dopo la rinuncia costituzionale del Giappone all’uso della forza come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Le sue origini risalgono alle prime interazioni con le nazioni del continente asiatico, raggiungendo un picco d’attività nel corso dei secoli XVI-XVII. Seguirono, nel periodo Edo, due secoli di stagnazione e di isolamento del Paese, nel corso della politica dello shogunato.
Questa è una storia di navi, di battaglie e di uomini, è la storia della Marina Imperiale Giapponese, conosciuta anche come “Flotta combinata”. L’ascesa di questa forza armata e la sua caduta alla fine della seconda guerra mondiale sono al centro della ricostruzione di questo volume.
L. Accattoli, La strage di Farneta. Storia sconosciuta dei dodici Certosini fucilati dai tedeschi nel 1944 – Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 144, euro 12,00.
Il racconto di un fatto primario e sconosciuto della reazione italiana all’occupazione tedesca: dodici monaci della Certosa di Farneta, Lucca, fucilati dai tedeschi nel settembre del 1944 perché nascondono nel monastero un centinaio di perseguitati politici, partigiani ed ebrei. Fatti prigionieri dalle SS nella notte tra l’1 e il 2 settembre 1944, condotti prigionieri a Nocchi di Camaiore e poi a Massa, uccisi a piccoli gruppi e in diversi luoghi, tra il 7 e il 10 di quel mese insieme a 32 persone da loro accolte nel monastero. L’atteggiamento riservato dei Certosini e il conflitto interpretativo dell’evento – tra chi lo voleva “resistenziale” e chi l’intendeva come opera di carità – hanno impedito fino a oggi che questa storia arrivasse al grande pubblico. Accattoli ha ottenuto dall’Ordine Certosino l’autorizzazione a pubblicare un documento riservato e, ad oggi, inedito, ha conversato con gli ultimi protagonisti dei fatti e ne svolge un racconto asciutto e vivo, il più completo realizzato fino a ora, fruibile a ogni lettore.
G. E. Rusconi, 1914: attacco a occidente – il Mulino, Bologna 2014, pp. 330.
Era inevitabile la Grande Guerra? Dall’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo doveva necessariamente scaturire un conflitto mondiale? O si è trattato di una guerra «improbabile», scoppiata per una serie di malintesi e di errori di valutazione? Rusconi ricostruisce il febbrile lavorio politico-diplomatico del luglio 1914 e analizza le vicende belliche sino alla battaglia cruciale della Marna. Il conflitto si configura come una «guerra tedesca» per rompere l’accerchiamento di cui la Germania si sente vittima da parte dell’Intesa russo-francese e inglese. Ma la lotta per l’egemonia sul Continente assume i tratti di una «guerra di civiltà» all’interno dell’Occidente stesso. Gli effetti sono di lunga durata, anche in termini strategico-militari: il secondo conflitto mondiale inizierà infatti con l’attacco alla Francia nel 1940 inteso come replica e rivincita del 1914.
C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna – Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 248, euro 19,00.
Per molto tempo la cultura europea ha sottovalutato, considerandole marginali, molte esperienze di governo di regine o reggenti. Solo recentemente gli studi hanno riconsiderato la ‘mostruosità’ della trasmissione dinastica del potere alle donne e hanno messo in dubbio che il principio che legittimava l’esclusione fosse fondato su ragioni legate al sesso per una divisione ‘naturale’ dei ruoli di genere. I casi delle impreviste successioni femminili al trono sono state rappresentate, nel Medioevo e nella prima età moderna, da ritratti a tinte fosche: sovrane schiave di vizi innominabili, inadeguate a esercitare il comando, incapaci per natura di essere alla testa di eserciti, facili prede di passioni incontrollate, streghe, avvelenatrici o incestuose. Se il governo andava a una donna ne derivavano effetti di instabilità e di disordine. Per controversie relative a contestate successioni femminili vennero combattute, ad esempio, la guerra dei Cento anni, le guerre d’Italia e la guerra settecentesca che contrastò il trono a Maria Teresa d’Austria. Le colpe attribuite al disordine sessuale e alla sfrenatezza femminile sono voci del lungo catalogo dei topoi misogini che hanno radicato a lungo nel senso comune l’associazione tra crisi politiche e comportamenti irragionevoli e disordinati delle donne. La pretesa anomalia della regalità femminile è stata un’eccezione felice solo quando le sovrane non erano né propriamente donne né propriamente sessuate: guerriere ‘virili’ o sante donne, emule della vergine Maria o della casta Diana.
T. R. Trautmann, La civiltà dell’India – il Mulino, Bologna 2014, pp. 268.
Una sintesi puntuale e autorevole delle caratteristiche peculiari e delle vicende che concorrono a definire una civiltà antichissima e complessa come quella indiana. Abbracciando oltre cinquemila anni di storia, il libro dà largo spazio all’origine e all’evoluzione dei tratti forti di tale civiltà (struttura della famiglia e della società, forme delle religioni), e non manca di illustrare il ruolo che essi svolgono nella dinamica realtà dell’India contemporanea.
C. A. Brignoli, Guerre fluviali. Le lotte fra Venezia e Milano nel XV secolo – Mursia, Milano 2014, pp. 234, euro 18,00.
Il confronto e la rivalità fra la Serenissima e il ducato di Milano hanno caratterizzato la storia dell’Italia settentrionale del XV secolo. L’una regina dei mari e l’altro signore dell’entroterra da sempre spinto verso l’Adriatico, hanno ingaggiato una dura lotta che non fu solo terrestre ma anche navale lungo il corso dei maggiori fiumi, come lo stesso Po, e nei laghi del Nord Italia.L’armata fluviale lombarda, che non è mai stata oggetto di particolare attenzione da parte degli storici navali, e degli studiosi del Quattrocento in generale, può al contrario gettare una nuova luce sul lungo conflitto combattuto fra le due città. Si trattò di una guerra a tutti gli effetti anche nautica, in virtù delle numerose, e documentate, azioni anfibie concluse da entrambi gli schieramenti. Sotto questo aspetto, lo scontro fra milanesi e veneziani assume una connotazione sorprendentemente moderna, fino ad oggi mai considerata.
Le fonti consultate dall’autore si trovano nell’Archivio Storico del Comune di Pavia, città dove aveva sede la flotta, e nell’Archivio di Stato di Venezia, e consentono inoltre di conoscere le diverse tipologie delle imbarcazioni viscontee e le manovre tipiche degli scafi fluviali.