In libreria: Dresda 1945

dresdaIl 13 febbraio 1945 alle 22.03, 244 bombardieri britannici e 9 marcatori sganciarono sulla città tedesca di Dresda qualcosa come 880 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. All’inizio del giorno seguente, i bombardieri americani finirono ciò che era rimasto. Nel giro di quattordici ore, la città fu così completamente distrutta in uno degli attacchi più devastanti della Seconda guerra mondiale.
A raccontare, in questo libro monumentale, quella drammatica notte e i giorni che seguirono sono i sopravvissuti, miracolosamente scampati alla tempesta di fuoco che incenerì palazzi storici, ridusse in macerie strade e abitazioni, e uccise, secondo le stime, 25.000 persone. Accanto ai loro tragici ricordi, i diari e le lettere di quanti, rischiando a propria volta la vita, ubbidirono all’ordine di radere al suolo la città, in un’azione che turbò a lungo le loro coscienze. Ancora oggi, a settantacinque anni di distanza, Dresda è rimasta il simbolo dell’oscenità della guerra e il suo nome associato all’annientamento, come già per Hiroshima e Nagasaki.
Nel corso dei decenni, del carattere morale – o immorale – sia del comportamento della città sotto il nazismo sia della decisione di distruggerla con il fuoco s’è discusso con rabbia, rimorso e dolore in gradi variabili. Dibattiti che fanno ancora parte del paesaggio: a Dresda il passato è nel presente. Per quanto la città sia stata infatti miracolosamente ricostruita, e i restauri scrupolosi fin nei minimi dettagli, è ancora in qualche modo possibile scorgerne le rovine.
Ma le toccanti pagine di Sinclair McKay non parlano soltanto di un’indicibile catastrofe, restituiscono anche la vita della città prima e dopo l’attacco, il lungo periodo di ricostruzione e recupero, e soprattutto il racconto di come tante vite spezzate siano riuscite a rigenerarsi.
Sinclair McKay, Il fuoco e l’oscurità: Dresda 1945 – Mondadori, Milano, 2020, pp. 456, euro 27,00

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Daniel Immerwahr, L’impero nascosto: breve storia dei Grandi Stati Uniti d’America – Einaudi, Torino, 2020, pp. 616, euro 34,00
L’America si è sempre vantata di essere un esempio di sovranità e indipendenza. Sappiamo che ha diffuso il suo denaro, la sua lingua e cultura in giro per il mondo, ma continuiamo a pensare ad essa come a un universo geo-graficamente ben definito, limitato a nord dal Canada, a sud dal Messico e dagli oceani ai lati. Nulla di meno vero. A partire dall’Ottocento, gli Stati Uniti cominciarono ad annettere numerosissimi territori oltremare e dopo la Seconda guerra mondiale l’impero americano raggiunse la sua massima espansione, con più persone che vivevano al di fuori del continente che al suo interno. Tuttavia, negli anni che seguirono, si concepì un nuovo tipo di influenza che non richiedesse il controllo delle colonie, anche grazie a innovazioni in diversi campi (dall’elettronica ai trasporti e dalla medicina alla cultura popolare). La pillola anticoncezionale, la chemioterapia, la plastica, Godzilla, i Beatles, lo stesso nome «America»: non possiamo capire niente di tutto ciò senza comprendere il concetto di impero territoriale. Ricco di sorprese e analisi innovative, sempre animato da una concezione originale di cosa significhino oggi impero e globalizzazione, questo libro getta una luce piena di contrasti sul ruolo degli Stati Uniti nella storia mondiale.

Patrizia Gabrielli (a cura di), Elette ed eletti: rappresentanza e rappresentazioni di genere nell’Italia Repubblicana – Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020, pp. 198, euro 16,00
Da ormai diversi anni si è andato articolando un ampio dibattito e una ricca bibliografia sul gap di genere nella rappresentanza politica. Sono stati esaminati fattori, variabili e si è prestata attenzione agli stereotipi di genere. Questo volume, parte del più ampio progetto di ricerca Elette ed eletti. Rappresentanza e rappresentazioni di Genere nell’Italia Repubblicana, coordinato da Patrizia Gabrielli, realizzato dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, si inserisce nel dibattito nell’intento di promuovere ulteriori approfondimenti proprio a partire dallo studio dei significati che l’“universo semiotico” della politica attribuisce alle differenze di genere nello spazio pubblico. Sulla base di diverse ricerche sulle fonti a stampa e d’archivio, i saggi raccolti in questo volume esaminano le rappresentazioni sull’“uomo politico” e sulla “donna politica” nei primi vent’anni dell’Italia repubblicana e offrono un panorama su spazi, periodizzazioni e traiettorie diverse assunte dalla rappresentanza di genere in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti d’America. Il tema è affrontato problematicamente al fine di offrire strumenti di riflessione sulla rappresentanza e sulle pratiche discorsive che la definiscono.

Angelo Ventrone, La strategia della paura: eversione e stragismo nell’Italia del Novecento – Mondadori, Milano, 2019, pp. 312, euro 22,00
La strage di piazza Fontana apre il periodo più buio e sanguinoso della storia italiana recente, quello segnato dalla strategia della tensione. A cinquant’anni dall’eccidio, Angelo Ventrone prova a collocare quel disegno eversivo in una cornice storica più ampia, che non comprende solo l’Italia. I primi progetti volti a rovesciare l’assetto politico esistente con la pretesa di «salvare il Paese» dalla sovversione emergono infatti già all’inizio del Novecento.
Ogni volta che all’orizzonte si profilano trasformazioni sociali importanti, del resto, si propagano la sfiducia nelle procedure del sistema parlamentare, l’insofferenza verso i compromessi imposti dal pluralismo e il timore che il Paese si snaturi, perda la propria identità. È proprio allora che affiora la tentazione di fare un passo indietro e sconfessare i valori della democrazia, accusata di non essere in grado di gestire quelle trasformazioni. Una circostanza di grande attualità, che Ventrone affronta delineando il quadro delle riflessioni e delle prospettive che guidano l’azione degli eversori, così come le loro modalità operative.
Dalla Grande Guerra al Ventennio fascista, dal secondo dopoguerra al Sessantotto e alla sotterranea opposizione a ogni svolta politica che veda la sinistra assumere responsabilità di governo, fino ai progettati e mai realizzati golpe anticomunisti, l’autore ci accompagna lungo una strada nella quale attentati, stragi, insabbiamenti, depistaggi e omissioni si rivelano lo strumento primario di un disegno indirizzato a tenere in perenne stato di allarme la popolazione e far sentire la sinistra, identificata con il nemico interno, sempre sotto scacco.
La dettagliata ricostruzione della traiettoria eversiva e l’individuazione della composita schiera dei soggetti impegnati in queste trame – non solo i nostalgici del fascismo e gli anticomunisti più irriducibili, ma anche ampi settori dei servizi segreti, politici di primo piano, esponenti delle istituzioni, alti gradi dell’esercito e delle forze dell’ordine – portano a galla la domanda che tutti gli eversori si sono dovuti porre e che Indro Montanelli ha efficacemente sintetizzato: «Difendere la democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell’Italia; o difendere l’Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della democrazia?». I registi della strategia che ha puntato a destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico, convinti di essere gli unici rappresentanti della «vera» Italia, hanno evidentemente scelto la seconda strada.

Eva Curie, Vita della signora Curie – Rizzoli, Milano, 2020, pp. 384, euro 16,00
Marie Curie è una donna povera e bella, figlia di una nazione oppressa. Una vocazione potente la costringe a lasciare la sua patria, la Polonia, per andare a studiare a Parigi, dove vive per lunghi anni in solitudine e difficoltà. Poi, incontra un uomo: è un genio come lei, lo sposa e la loro felicità è unica. Insieme, attraverso uno sforzo accanito, riescono a isolare un elemento magico, il radio. La loro scoperta non solo dà origine a una nuova scienza e a una nuova filosofia, ma offre agli uomini il modo di guarire una malattia terribile. Ma all’apice della gloria la tragedia colpisce Marie: la morte le porta via il compagno della sua vita. Con la disperazione nel cuore e il fisico minato da diversi mali, porta avanti da sola l’opera intrapresa col marito, e imprime un decisivo sviluppo alla scienza creata in collaborazione con lui. Marie Sklodowska Curie (1867-1934), prima donna di scienza a ricevere riconoscimento mondiale, è stata una dei più grandi scienziati del XX secolo. Scritta dalla figlia Ève, questa biografia, basata su esclusivi documenti di famiglia, racconta i leggendari risultati di Marie Curie nella fisica e nella chimica, premiati con due Nobel (nel 1904, con il marito, e nel 1911), ma anche la sua storia privata e personale, che solo chi visse al suo fianco poteva svelare.

Per J. Andersson, Storia meravigliosa dei viaggi in treno – UTET, Torino, 2020, pp. 352, euro 22,00
«Quando Watt e Stephenson costruirono la prima locomotiva, si può dire che così facendo inventarono il tempo.» Era il 1936 e Aldous Huxley rifletteva sulla portata rivoluzionaria del treno a vapore; già da un secolo la terra si stava coprendo di uno scintillante reticolo di binari, su cui correvano, puntuali come l’orologio di Greenwich, le icone della velocità e del progresso. Oggi, invece, ai lunghi viaggi su rotaia associamo un sentimento diverso. Un desiderio di fuga nel passato, la fantasia dell’attesa prima di raggiungere la meta, la volontà di perdersi e confondersi tra i passeggeri. Sembra quasi che il treno risvegli non più la speranza in un futuro migliore, ma la nostalgia per un mondo quasi scomparso. Queste due sensibilità, apparentemente così distanti, animano entrambe lo spirito girovago di Per J. Andersson e del suo libro, che è sia una storia delle ferrovie dalle origini ai giorni nostri, sia un invito a mettersi in viaggio alla riscoperta dello slow travel. Il reporter svedese guida il nostro sguardo fuori dal finestrino e racconta i segreti nascosti sotto la ruggine: dai sanguinosi delitti letterari tra gli scompartimenti dell’Orient Express alla vera e tragica fine del primo finanziatore dell’impresa ferroviaria, travolto sui binari dalla locomotiva Rocket all’arrivo inaugurale in stazione; dalle grandi rapine ai vagoni in corsa sulle praterie nel West più selvaggio al cuore della giungla indiana, dove un treno azzurro arrampicandosi sulle cime del Nilgiri all’incontrario va… E a ritroso sembriamo andare anche noi, trasportati magicamente da un paese all’altro oltre i confini di quella che crederemmo essere solo immaginazione e invece è la Storia che, secondo Andersson, possiamo continuare a scrivere: la Storia meravigliosa dei viaggi in treno.

Mara Fazio, Voltaire contro Shakespeare – Laterza, Roma-Bari, 2020, pp. 232, euro 19,00
La storia del rapporto tra Voltaire e l’ingombrante eredità di Shakespeare che, con il suo genio, pose fine alla tradizione del mondo classico e all’egemonia culturale francese, annunciò il Romanticismo e aprì alla modernità. Un capitolo affascinante della storia della cultura europea.
Voltaire è stato il primo grande intellettuale in senso moderno: l’autore più letto, criticato, discusso ed emulato del suo secolo. Grande ammiratore degli inglesi, della loro libertà di pensiero e delle loro istituzioni, giovane esule, tra il 1724 e il 1728, nei teatri di Londra scoprì Shakespeare, allora in Francia del tutto sconosciuto, e contribuì alla diffusione della sua fama in tutta Europa. Solo pochi decenni dopo però – in concomitanza con la guerra dei Sette anni (1756-1763) vinta dagli inglesi – il successo del poeta inglese in Europa crebbe a dismisura, mettendo in crisi la tragedia, il ruolo della Francia nel mondo e, quindi, lo stesso Voltaire, la cui cultura significava regole, norme, principi e, soprattutto, buon gusto. Shakespeare, invece, che trascendeva i limiti aristocratici, metteva in scena non eroi ma uomini moderni, con un linguaggio ora ricercato ora triviale, unendo tragico e comico, alto e basso, divenne emblema del genio. Pur riconosciuto come il teorico della tolleranza, Voltaire vide vacillare il suo mondo e attaccò il poeta inglese, che considerava un barbaro e il cui sorprendente successo gli parve, a un secolo e mezzo dalla morte, uno scandalo intollerabile. Ma sapeva, dal punto di vista letterario e teatrale, di essere ormai uno sconfitto.

Massimiliano David, Ravenna eterna: dagli Etruschi ai Veneziani – Jaca Book, Milano, 2020, pp. 288, euro 50,00
Ravenna, una delle più importanti città del Mediterraneo, dispone tuttora di una serie straordinaria di monumenti eccezionalmente conservati, spesso con le decorazioni originarie, in particolare musive. Non sbagliava il grande storico Arnaldo Momigliano quando diceva: «Se vuoi conoscere la storia dell’Italia, prendi un treno e vai a Ravenna». La città, infatti, costituisce un caso urbanistico eccezionale per la sua capacità di autoconservazione. La definizione di «Bisanzio d’Italia» non è sufficiente a rendere la peculiarità e la grandezza di questa straordinaria città «romana», con Onorio e Galla Placidia, che vede, dopo il periodo di Teoderico, un’importante stagione bizantina. Al moltiplicarsi vertiginoso degli studi specialistici, da anni faceva difetto la pubblicazione di opere di sintesi generale che enucleassero con efficacia i tratti salienti. Il presente volume, che unisce rigore scientifico a una scrittura di grande chiarezza, traccia la vicenda storica e urbanistica di Ravenna dalle lontane origini etrusche sino alla battaglia che nel 1512 ne cambiò in modo definitivo il destino, segnandone l’ingresso nei dominii pontifici. L’intera serie dei sontuosi edifici sorti nella tarda Antichità con la loro decorazione (da S. Giovanni Evangelista a S. Croce, dalla cattedrale ariana di S. Spirito a S. Apollinare Nuovo, da S. Vitale a S. Francesco) viene qui riesaminata e inquadrata nel contesto storico che l’ha generata, e nella complessa situazione urbana in equilibrio, prima perfetto, poi sempre più precario, fra terra e acqua. Molte sono le novità emerse, grazie anche a una estesa campagna fotografica realizzata in sinergia con l’autore, con la collaborazione della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Ravenna e dell’Ufficio Beni Culturali della Curia arcivescovile. Quella che emerge è una Ravenna radicalmente rinnovata, che riserverà molte sorprese anche ai conoscitori più esperti.