In libreria: Da Zara, professione ammiraglio

di Vincenzo Grienti -

CopertinaLa storia navale italiana è ricca di protagonisti coraggiosi e di imprese difficili vissute dagli uomini e dagli equipaggi della Marina Militare. La prima e la seconda guerra mondiale sono ricche di capitoli drammatici ed eroici che hanno messo in evidenza le capacità professionali e le doti umane di coloro che sono stati educati alla scuola del mare. Tra questi l’ammiraglio Alberto Da Zara, regista della “battaglia di Pantelleria” del 15 giugno 1942. Uno scontro che resterà negli annali della strategia marittima di guerra per via del colpo messo a segno dalla Marina italiana nei confronti della Royal Navy e che mise in evidenza le peculiarità della tattica dell’ammiraglio Da Zara. Tutte caratteristiche che emergono nella nuova edizione del libro Pelle d’Ammiraglio curata e commentata da Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, pubblicato dall’Ufficio storico della Marina Militare. Un’idea espressa dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che di fatto ha consentito alle generazioni future di marinai, ma anche a quanti prestano servizio oggi nell’arma navale, la possibilità di disporre, come ha sottolineato il capitano di vascello Giosuè Allegrini, Capo dell’Ufficio Storico, «di un lavoro editoriale unico nel suo genere per memoria storica espressa, oltre che fonte di riflessioni di profondo valore umano e di assoluta modernità». Una pubblicazione che il comandante Allegrini definisce «corsara» ma che allo stesso tempo fa rilevare le grandi potenzialità dell’Ufficio Storico della Marina Militare, voluto cento anni fa dall’ammiraglio Paolo Thaon Di Revel. «Pelle d’Ammiraglio di Alberto Da Zara ripropone un libro importante, stampato nel 1949 e mai andato in ristampa – spiega il capitano di fregata Leonardo Merlini, capo della sezione editoria dell’Ufficio storico della Marina Militare –. Nonostante la sua rarità il libro è sempre presente nelle bibliografie delle opere dedicate alla storia della Marina italiana delle due guerre mondiali e rappresentò uno spaccato della realtà marinara dell’epoca narrata con schietta serenità e sincerità dall’autore».
Dell’ammiraglio Da Zara si potrebbe dire molto: approfondire le sue imprese, studiare la sua tattica e ripercorrerne il profilo di uomo di mare e di guerra, ma basta leggere le pagine di Pelle d’ammiraglio per capire la tempra di questo ufficiale. Di lui Dino Buzzati sul “Corriere della Sera” del 6 giugno 1951 nell’articolo intitolato Il testamento dell’ammiraglio scrisse a pochi giorni dalla morte: «La fedeltà, grandissima, al “mestiere”, la Marina come modo di vivere, la passione per i cavalli e per la vela, il gran mondo internazionale, gli amori, la Cina, la poesia, la effettiva gloria, l’orgoglio, e in fondo un superiore distacco da gran signore: nel Testamento c’è dunque l’autoritratto di un classico ufficiale di Marina, così come almeno una volta lo sognavano i ragazzi. Un “brillante” ufficiale nel senso migliore del termine, che delle tradizioni marinare fa la propria fede ma conserva una ambiziosa e spregiudicata personalità, che ammira i marinai inglesi però senza complesso d’inferiorità (e lo dimostrò in battaglia), che ama le donne, i viaggi, l’eleganza, gli onori, la cultura, la bella vita ma con la riserva di un ben nutrito humor, e soprattutto che trova il completo appagamento soltanto in plancia, al comando di una bella nave, quando ai primi barlumi di un’alba splendida all’orizzonte compaiono le alberature del nemico».
Una descrizione che inquadra in maniera molto chiara la personalità dell’ammiraglio in un volume che ha visto l’impegno a vari livelli di autori come Maurizio Brescia e il comandante Andrea Tani, ma anche il contributo del capitano di fregata Ennio Chiffi, responsabile dell’Archivio dell’USMM e di tanti altri come il sottotenente di vascello Désirée Tommaselli e Marina Pagano. L’opera è accompagnata da un importante corredo di note redazionali, da un indice dei nomi – assente nell’edizione originaria – da un’introduzione e da una postfazione. Completano il volume tre corpose appendici sulla Battaglia navale di Pantelleria (15 giugno 1942, il capolavoro di Da Zara), sulle vicende susseguitesi a Malta nel settembre del 1943 (quando Da Zara affrontò la prova più difficile della sua carriera) e sulle testimonianze lasciate da chi lo conobbe. L’iconografia è stata arricchita con foto e immagini nuove, esclusive e in parte ancora inedite. «Questa nuova iniziativa editoriale, intrapresa con entusiasmo dall’Ufficio Storico della Marina Militare – aggiunge il comandante Merlini – appartiene alla nuova collana La Marina vista con gli occhi dei protagonisti e mira a riproporre un bestseller dell’epoca che ci auguriamo riscuota l’apprezzamento e il riconoscimento degli storici, degli studiosi e degli appassionati di storia navale in genere».
Un libro che pagina dopo pagina mette in evidenza «le grandi potenzialità che l’Ufficio Storico della Marina Militare può assicurare sia nel campo dottrinario – come spiega il capitano di vascello Giosué Allegrini, capo dell’USMM –, sia educativo e sia, perché no?, in quello del puro e semplice intrattenimento».
Alberto Da Zara, Pelle d’Ammiraglio – Nuova edizione commentata a cura di Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola – Ufficio storico della Marina Militare, Roma, 2014, pp. 450, euro 30,00 (per l’acquisto 06 36807240/06 36807220)

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F. Sessi, Mano nera. Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti – Marsilio, 2014, pp. 255, euro 17,00
Con l’invasione della Francia da parte dell’esercito di Hitler, in Alsazia vengono aperti due lager: Schirmeck e Natzweiler. Proprio lì, un medico virologo, il dottor Eugen Haagen, praticherà esperimenti medici utilizzando gli internati come cavie, alla ricerca di un vaccino contro il tifo, la febbre gialla e altre malattie infettive. Nel contempo, nei due lager verranno rinchiusi i giovani, non ancora maggiorenni, che hanno dato vita a un’organizzazione di resistenza e di opposizione al nazismo in Alsazia. Le esistenze del dottor Haagen e dei ribelli della “Mano nera”, si incrociano drammaticamente, dando luogo a due modelli di vita in contrasto tra loro: quella di un uomo che, considerandosi uno scienziato al servizio dell’umanità, coglie nella guerra l’opportunità di servire insieme la Germania nazista e la scienza; e quella di un gruppo di adolescenti, che decide di lottare a costo della vita per restituire la libertà alla loro terra. Due storie parallele, dimenticate, che ci consentono di comprendere, non solo il dramma della deportazione ma soprattutto la barbarie di una guerra che puntava a disumanizzare gli esseri umani. Due storie che mettono l’accento su aspetti della dominazione nazista troppo spesso trascurati. Laddove la giustizia umana non è arrivata (il dottore morirà in libertà con il massimo della considerazione, mentre il nome dei giovani martiri si è perduto nella polvere del nulla) il libro di Frediano Sessi pone rimedio.

F. Cardini, Istanbul: seduttrice, conquistatrice, sovrana – Il Mulino, Bologna 2014, pp. 336, euro 16,00
Viaggiatori avveduti e turisti diligenti che mettete in conto di affidarvi, prima di partire, a voluminose guide: nelle mie intenzioni – e nelle mie speranze – l’ideale sarebbe che lasciaste da parte libri, guide e mappe e vi affidaste fiduciosamente a queste pagine. Certo, questa è la «mia» Istanbul. Non pretendo che diventi anche la «vostra»: mi basterebbe che quanto qui leggete vi aiutasse a trovarla.
Istanbul, la Nuova Roma. Ma è Costantinopoli il suo vero nome, da sempre e per sempre. Un nome che evoca immagini mirabili: il sogno dell’Oriente, le lontananze che si profilano oltre il Bosforo e l’Anatolia. Le moschee, gli harem, i sufi danzanti, gli aromi dei bazar. Da mezzo millennio l’Europa identifica in quella sola città il prezioso anello di congiunzione tra l’Antichità perduta e la Modernità mai davvero raggiunta, tra il Levante e l’Occidente. Ancor oggi, dietro la megalopoli brulicante di vita, noi cerchiamo la città incantata, le tracce di un passato che ci appartiene.

E. Gentile, In Italia ai tempi di Mussolini. Viaggio in compagnia di osservatori stranieri – Mondadori, Milano 2014, pp. 352, euro 20,00
La sera del 29 ottobre 1922, alla stazione di Milano, tra una folla di giovani armati in camicia nera, il corrispondente dall’Italia del “Chicago Daily News”, Edgar Ansel Mowrer, scorse Benito Mussolini. Il giornalista gli si avvicinò e gli chiese: “Signor Mussolini, mi dice cosa succede?”. “Non lo sapete?” rispose lui. “Vado a Roma per instaurare il fascismo.” “Congratulazioni” soggiunse Mowrer, e salì sul treno che il giorno dopo avrebbe portato il duce del fascismo alla conquista del potere. Inizia così, alla vigilia della “marcia su Roma”, questo particolarissimo viaggio nell’Italia di Mussolini, ripercorso, nelle sue tappe cruciali, a partire dalle pagine che giornalisti, studiosi, viaggiatori e scrittori stranieri dedicarono alle vicende del nostro paese negli anni più tragici del Novecento. Un viaggio durato oltre un ventennio, dalla Grande guerra alle lotte operaie e contadine del “biennio rosso”, dalle violenze squadriste ai fasti dell’Italia imperiale sino ai giorni bui della seconda guerra mondiale, quando l’Italia finì “sotto le ruote della storia”.

E. Caroni, Michele Bianchi. Il quadrumviro dimenticato – Infilaindiana Edizioni, formato e-book, euro 1,99
La biografia di Michele Bianchi presenta alcuni elementi di singolarità e rilievo tali che lo studio della sua figura appare come indispensabile al fine di comprendere in pieno non soltanto le vicende che conducono all’avvento del fascismo in Italia, ma anche la complessa opera di consolidamento del nuovo regime. Bianchi ha avuto una parabola politica particolare. Prima sindacalista rivoluzionario, poi segretario del Pnf e quadrumviro della marcia su Roma, infine uomo di governo (fino alla morte prematura a causa della tubercolosi). La vita di questo poco noto, ma interessante, personaggio storico è segnata in maniera determinante dalla dura esperienza della Grande guerra. Durante il conflitto nel suo pensiero politico si verifica un importante processo di trasformazione che si conclude nell’approdo a una visione reazionaria intrisa di spunti patriottici e vicina al produttivismo mussoliniano, mentre sul piano della politica estera si concretizza in una concezione di stampo nazionalistico. Dopo aver seguito le principali tappe attraverso le quali si snoda la maturazione politica di Bianchi, nella seconda parte viene analizzata da vicino la sua azione come uomo di Stato, chiamato tra l’altro a intervenire su questioni fondamentali riguardanti l’assetto e l’equilibrio interni del Pnf. Di grande importanza sono i suoi progetti di riforma elettorale che portano al varo della famosa legge maggioritaria del 1923, tappa cruciale nel processo di mutamento dello Stato liberale in regime autoritario. Attenzione particolare viene infine dedicata al rapporto con la sua terra di origine: la Calabria. In veste di dirigente nazionale egli torna nella sua regione come “uomo nuovo” non subordinato alle locali clientele e in grado quindi di crearsi direttamente dall’alto una solida base di potere locale.

N. Cornish, L’esercito russo nella prima guerra mondiale – Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2014, euro 15,00
Spesso oscurata dal dramma del suo catastrofico collasso verificatosi durante la Rivoluzione dell’ottobre 1917 la storia dell’esercito imperiale russo negli anni 1914-16 annovera alcune importanti vittorie. Il patriottismo e la capacità di sopportazione dei suoi uomini furono degni di nota, e nel 1916 l’offensiva Brusilov sul fronte sudorientale superò qualunque risultato conseguito dalle forze dell’Intesa nello stesso periodo in Francia. La varietà e il fascino delle sue uniformi – di fanteria e cavalleria, delle Guardie e delle unità di linea, dei cosacchi e degli equipaggi di autoblindo e aeroplani, senza tralasciare i paramenti dei preti ortodossi – sono splendidamente resi dalle tavole a colori realizzate per questo libro dal migliore illustratore russo di soggetti militari, mentre il testo firmato dall’esperto Nik Cornish è accompagnato da tabelle descrittive di insegne e distintivi, nonché da numerose e rare fotografie.

M. Veronesi, Dagli zar ai soviet, la marina russa dal 1600 al 1939 – Amazon 2014, pp. 140, euro 12,00
La Marina russa rispecchiava la società russa nel suo insieme, non era meritocratica. C’era una classe d’ufficiali ereditaria che spesso falliva le prove d’iniziativa e coraggio. I figli di nobili venivano educati per il servizio navale, presso la Scuola di Scienze Matematiche e di Navigazione, fondata a Mosca nel 1701. Gli studenti erano inviati all’estero per la formazione in flotte straniere. Fondamentale per la Scuola di Navigazione era l’assunzione di stranieri con una significativa esperienza navale, come il norvegese Cornelius Cruys (1655–1727), o il greco Ivan Botsis (?-1714) uno dei fondatori della Marina sotto Pietro il Grande (1672-1725). Come l’impero russo, la Marina russa era enorme, sgraziata, mal organizzata, corrotta e piena di favoritismi. Un altro motivo della sua inefficacia, rispetto alle altre Marine del tempo, fu la sua suddivisione in tre comandi di grandi dimensioni regionali. La prima, nata per proteggere la capitale Pietroburgo fu la flotta del Baltico, con base principale a Kronstadt, e Libau (Liepaja) sulla costa occidentale del dominio dello zar nell’attuale Lettonia. Poi venne la flotta del Mar Nero, una guardia contro il turco, nemico ereditario della Russia, con la base principale a Sebastopoli in Crimea. E nel XIX secolo quando gli zar raggiunsero la Cina, la flotta del Pacifico con sede nel superbo porto militare di Vladivostòk ossia (domina l’Oriente), questo porto in realtà, non era che una brutta stazione terminale della Transiberiana. Costruito nel 1860, e dopo quarant’anni al tempo della guerra con il Giappone, non aveva altro che un cattivo arsenale e un solo bacino per navi da guerra. Il porto gelava in dicembre e rimaneva bloccato per quattro mesi. Un rompighiaccio doveva quotidianamente liberare l’entrata del porto, e questo costava carbone, il carbone costava denaro, e denaro non ce n’era per questa attività. E dopo il 1897 a Port Arthur. Questa forza garantì il libero accesso della Russia alle ricchezze minerarie della Manciuria. Di fatto, fino alla Russia sovietica, la flotta non venne mai anteposta all’esercito, e non fu utilizzata come strumento di controllo e dominio dei mari, ma solo come arma sussidiaria, il cui uso fu spesso viziato da scelte politiche e l’efficienza minata da un insufficiente addestramento degli equipaggi. La Marina russa non raggiunse mai la potenza di altre marine europee, e i marinai russi erano soltanto contadini e operai che entravano nella flotta per compiere il loro servizio militare obbligatorio, ma rimanevano sempre profondamente legati alla terra. Ma questa Marina seppe anche esprimere grandi uomini di mare.

S. Turnbull, Ninja 1460-1650 – Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2014, euro 16,00
Uomini sfuggenti, specialisti in operazioni belliche clandestine e nelle azioni di guerriglia, i ninja furono altresì abili spie, esperti di arti marziali e spietati sicari prezzolati che costituirono una delle più potenti, temute e, a causa le loro umili origini sociali, detestate organizzazioni militari del Giappone medievale. Attivi nel Paese fin dai secoli IX e X, quando ebbero inizio le sanguinose lotte per il potere che caratterizzarono secoli di storia del Sol Levante, fino alla metà del XVII secolo furono di volta in volta al soldo dei daimyo (signori della guerra o feudali) con l’incarico di portare a termine le missioni più “sgradite” al samurai tradizionale in quanto leale ai princìpi morali del bushido, il suo rigido codice d’onore. Circondata sino ai giorni nostri da un’aura di mistero e soprattutto da una fama che – alimentata dall’immaginario popolare e da una mitologia fuorviante – gli ha attribuito facoltà magiche e virtù sovrumane (come la presunta capacità di volare), la figura dello shinobi – com’era altrimenti noto – ci viene qui restituita in modo realistico e sulla scorta di fonti autorevoli (fra cui il Bansenshukai ): l’evidenza storica su cui si basa questo libro ci presenta un combattente e un agente segreto preparato nell’uso delle armi, in particolare quelle più sofisticate e tipiche degli “uomini in nero”, ma addestrato anche all’impiego di esplosivi e alle tecniche di sopravvivenza, conoscitore dei veleni (spesso utili per l’eliminazione dell’avversario) e fin dall’infanzia educato a un visione della vita per cui si giudicava “l’accettazione incondizionata dell’uso del pugnale nell’oscurità come attività del tutto legittima”. Con il supporto di un apparato iconografico che comprende tavole a colori, riproduzioni di materiali contenuti nelle originali cronache riguardanti i ninja, fino alle foto delle rievocazioni storiche che ogni anno si tengono nei luoghi legati alla loro tradizione, il volume offre un prezioso quadro della vita e delle gesta dei guerrieri-ombra, descrivendone i luoghi di origine, le successive fasi della formazione, soffermandosi inoltre sulla loro peculiare psicologia, senza tralasciare i maggiori fatti d’armi nei quali si distinsero, le complesse modalità operative sul campo, con un’analisi finale dell’Autore sul confine tra la leggenda creatasi intorno a questi presunti supereroi e la realtà fattuale che ne evidenzia invece la precisa contestualità storica.