In libreria: Cinquecento di questi giorni

500Cinquecento giorni trascorrono, nella vita di Napoleone Bonaparte, tra il crollo dell’Impero, l’esilio all’Elba, i Cento giorni e la partenza, infine, per Sant’Elena. Meno intensi delle poche settimane che passano tra l’avventurosa riconquista del trono e l’ultima disfatta; meno drammatici degli anni trascorsi in un’isola abbandonata nell’Oceano Atlantico, questi cinquecento giorni – che gli storici non hanno mai considerato nella loro unità e che Luigi Mascilli Migliorini ci racconta in 500 giorni. Napoleone dall’Elba a Sant’Elena – mettono Napoleone, quasi come un moderno Edipo, al crocevia di tutte le possibilità di esistenza e di storia. Qui un breve estratto.
« Insomma, poteva anche darsi che con la fuga del Borbone e con l’aggressiva Dichiarazione sottoscritta a Vienna dalle potenze europee la Francia fosse stata ricondotta – come sostiene Carnot – alla primavera del 1792 e al proclama del duca di Brunswick; ma la differenza fondamentale stava nel fatto che i francesi sapevano bene che ora non era in gioco la Rivoluzione, o almeno non era soprattutto in gioco la Rivoluzione, quanto, invece, la sorte di Napoleone e che, separando la loro sorte da quella dell’Imperatore, ed evitando, dunque, una nuova guerra che avrebbe assai facilmente aperto, anche in caso di vittoria, un ulteriore periodo d’instabilità internazionale, avrebbero probabilmente ottenuto le stesse possibilità di salvaguardare i risultati della Rivoluzione, e forse anche maggiori.
Napoleone, dopo la prima notte alle Tuileries, ha perfetta chiarezza di tutto ciò e per questo è disorientato. Già le prime ore trascorse nella formazione del governo (quando riceve dei no palesi e dei sì imbarazzati, quando negli antichi amici che si allontanano furtivamente intuisce la stessa doppiezza dei nemici che si avvicinano a lui) gli offrono un avant-goût di quello che si potrebbe chiamare il volto non eroico dei Cento Giorni. Di esso non può che essere alfiere Joseph Fouché, che dal momento in cui accetta l’incarico di ministro di Napoleone prepara già (e lo fa con maggiore facilità proprio grazie a quell’incarico) il dopo-Napoleone, spiegando all’incerto e meno sperimentato Pasquier (uno di quei fedeli che si sottraggono allora all’abbraccio troppo compromettente dell’Imperatore) che in quattro mesi tutto questo sarà finito ed egli sarà in grado di controllare un ritorno dei Borbone poggiato su accordi più solidi e più vantaggiosi per la borghesia francese figlia della Rivoluzione (e per se stesso ovviamente) di quanto non avesse saputo fare un anno prima il vanesio e superficiale Talleyrand.
Non è facile capire che cosa provasse Napoleone di fronte all’agitarsi di tante viltà, di tante duplicità dell’animo umano, di tante meschinità rivestite di inoppugnabile buon senso. A Sant’Elena, egli torna più volte a riflettere sulla natura del potere, sul suo carattere effimero, esposto com’è alla mutevolezza degli accadimenti, sul contorcersi di quelle vite che intendono agire nel suo spazio, esposte esse pure al mutare di eventi che le obbligano a servire sempre e diversamente, nell’illusione di conservarsi così liberi e felici. In molte occasioni lo spunto per queste riflessioni è offerto dai Cento Giorni, sul cui teatro si riproducono, in forma nascosta, i tradimenti, i voltafaccia, i giochi doppi, che avevano accompagnato un anno prima, in maniera più scoperta, gli ultimi giorni dell’Impero.
Certo è, però, che la realtà umana che si offre ai suoi occhi è tale da convincerlo che ogni ipotesi di una nuova alleanza sociale, un rinnovato – come si è detto – “patto di Brumaio”, non è accettabile da una Francia che, al fondo ed estesamente, diffida di lui; e che, semmai esso fosse realizzabile, lo sarebbe solo grazie ad un ennesimo successo militare, una vittoria non meno sorprendente ed inebriante di quanto lo è stata la marcia dei mille uomini sbarcati sulla costa di Antibes e giunti a Parigi in meno di tre settimane. Ma se la fuga dall’Elba è stata un’avventura, tutto ciò suona come paradosso. Napoleone lo sa bene, ma sa anche che è l’unica partita che egli può giocare; o, meglio, è l’unica partita per la quale ha le carte che gli consentono almeno di sedersi al tavolo da gioco.
Quando Carnot lo sollecita a recuperare ideali e obiettivi della Rivoluzione e a tenersi lontano da ogni progetto militare che non sia quello della difesa nazionale, non ha torto dal suo punto di vista, ma non comprende il paradosso. Più Napoleone si reincarna nel processo rivoluzionario più deve amplificare – come era accaduto quindici anni prima – i caratteri eccezionali della situazione e la necessità di una conduzione eccezionale del potere. E questo significherebbe ciò che i contemporanei definiscono, allarmati, il suo tendenziale dispotismo, nonché la ineluttabilità della guerra contro le potenze europee».
Luigi Mascilli Migliorini, 500 giorni. Napoleone dall’Elba a Sant’Elena – Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 272, euro 18,00

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G. E. Rusconi, Egemonia vulnerabile. La Germania e la sindrome Bismarck – il Mulino, Bologna 2016, pp. 176, euro 14,00
«Dobbiamo convincere il mondo che un’egemonia tedesca in Europa agisce in modo più utile, imparziale e meno dannoso per la libertà che un’egemonia di altri»: così scriveva Otto von Bismarck. Per il «cancelliere di ferro» si trattava di un’egemonia consapevole della forza e dei limiti della«potenza di centro» tedesca e quindi della sua vulnerabilità. Oggi naturalmente la Germania agisce in un contesto storico e politico inconfrontabile con quello bismarckiano, innanzi tutto per l’esistenza dell’Unione europea di cui è parte integrante e insostituibile. Ma proprio nel corso dell’attuale crisi economico-finanziaria si è delineata una nuova (sia pur controversa) egemonia tedesca. Di nuovo una «sindrome Bismarck»? La crisi dei rifugiati rischia di portare l’Unione verso la paralisi decisionale e di far perdere a Berlino la capacità di svolgere il suo ruolo di orientamento. «Tutto quello che facciamo in Europa è infinitamente faticoso» dice Angela Merkel. Ancora una volta la Germania si trova a fare i conti con la vulnerabilità della sua egemonia.

C. Nubola, Fasciste di Salò. Una storia giudiziaria – Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 234, euro 20,00
A fianco dei tedeschi, negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, furono molte le donne italiane che si impegnarono per la difesa della Repubblica sociale italiana. La maggior parte di loro erano ‘donne in armi’; inquadrate in bande e brigate nere, avevano partecipato a rastrellamenti e stragi, commesso omicidi, sevizie e torture nei confronti di civili e partigiani. Altre erano spie al servizio dei tedeschi o degli uffici politici della Rsi, avevano denunciato ebrei e partigiani contribuendo attivamente alla loro cattura e molto spesso alla loro morte. Le vicende di queste fasciste saloine (e di alcuni loro camerati) permettono di riflettere su alcuni temi rilevanti per comprendere l’Italia uscita dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale: il rapporto con la violenza, le posizioni di dura condanna o di clemenza assunte dalle Corti nei loro confronti, le strategie messe in atto per negare le accuse o per difendersi, l’atteggiamento dell’opinione pubblica. È una storia che non si conclude nelle aule dei tribunali. Le scelte politiche dei governi del dopoguerra, i numerosi provvedimenti di clemenza (amnistie, grazie, liberazioni condizionali) a partire dall’amnistia Togliatti del 1946, permetteranno, nel giro di un decennio, il ritorno in libertà degli ex fascisti, uomini e donne.

L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 – il Saggiatore, Milano 2016, pp. 482, euro 30,00
Le Lettere di prigionieri di guerra italiani ritraggono il momento in cui le voci degli umili – da sempre relegate nell’oralità dei dialetti – si riversarono come un’ondata di piena nell’italiano scritto, spinte dalle urgenze tragiche della guerra, della fame e della lontananza. La loro comparsa segnò un punto di svolta per gli studi storici e linguistici, che si aprirono a una prospettiva dal basso sulla guerra e sulla lingua. Oggi quest’opera capitale del Novecento italiano ed europeo viene riproposta dal Saggiatore in una nuova edizione, che grazie a importanti scoperte filologiche completa le lettere con i nomi dei mittenti, finora coperti dall’oblio, e con preziose correzioni che restituiscono i testi alla loro integrità.
Le Lettere non avrebbero mai visto la luce se nel settembre del 1915 Leo Spitzer, allora giovane filologo romanzo, non avesse assunto il ruolo di censore per il ministero della Guerra austro-ungarico. Il suo compito era filtrare la corrispondenza dei prigionieri italiani: una quantità immane e senza precedenti di lettere, scritte da uomini e donne poco o per nulla scolarizzati, spesso più a loro agio con gli attrezzi del lavoro che con una penna o una matita, e quasi sempre più abituati al dialetto che alla lingua. Se si sforzarono di scrivere, fu perché l’abisso tra il mondo che conoscevano e il paesaggio umano che si trovavano di fronte era troppo profondo, e troppo fragili le loro vite davanti all’enormità della guerra.

D. Hume, Libertà e Moderazione. Scritti politici – Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp. 314, euro 19,00
Gli scritti politici di David Hume, raccolti in questa prima edizione italiana integrale e completa, sollevano questioni scomode, difficilmente collocabili nelle classificazioni canoniche della storiografia moderna e contemporanea, che ha sin qui delineato dello Hume politico un’immagine di pensatore ambiguo, indecifrabile, persino “inquietante”. Ciò nonostante, le sue idee sull’origine dello Stato e dell’obbedienza politica, la sua visione della libertà, della proprietà, della giustizia, della natura immutabile dell’uomo, delle istituzioni, del libero mercato, della stabilità politica e delle relazioni internazionali, oltre ad iscriverlo di diritto nel novero dei principali teorici politici moderni, costituiscono anche una preziosa fonte di ispirazioni per lo sviluppo del liberalismo e, soprattutto, del conservatorismo. Hume, infatti, si rivela il primo, vero conservatore dei tempi moderni, per avere inaugurato, anticipando di qualche decennio le tesi controrivoluzionarie di Edmund Burke, un conservatorismo “politico” nel vero senso del termine, libero dall’influenza del tradizionalismo religioso e basato sulla difesa dell’ordine, della sicurezza e dell’interesse della nazione, su una visione realistica dell’esperienza politica e sulla diffidenza verso il radicalismo, lo spirito di innovazione violenta, l’arroganza razionalista, la retorica ideologica e il fanatismo settario.

Alessandro Marzo Magno, Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo – Garzanti, Milano 2016, pp. 195, euro 18,00
L’Italia è oggi, in tutto il mondo, sinonimo di eccellenza, qualità, fascino. In una sola parola, di stile. Dagli abiti delle passerelle al prestigio del made in Italy, il nostro paese detta legge nella moda e nel bel vivere grazie alla capacità senza uguali di unire l’abilità secolare degli artigiani alle intuizioni di brillanti imprenditori. Ma quali sono le origini di questo straordinario successo? Dopo aver raccontato le storie tutte italiane del libro, della finanza e della buona cucina, Alessandro Marzo Magno ci mostra, in un viaggio nel tempo che dall’antichità arriva fino ai nostri giorni, in che modo e perché nei secoli è cambiata l’idea di eleganza, e perché l’Italia è sempre stata al centro di questi cambiamenti. Ci racconta di come gli uomini nel Cinquecento si imbottissero le calzemaglie sui polpacci e sulle natiche per sembrare più muscolosi, o come le donne nel Seicento, in attesa dell’era del silicone, indossassero seni artificiali di cartapesta. Ci rivela in che modo si sia passati dagli abiti variopinti del rinascimento a quelli noiosamente monocromi della nostra epoca, e di quando il buon gusto imponeva scarpe altissime, fino a mezzo metro, o strettissime, un paio di misure in meno, e apparire alla moda provocava sofferenze e svenimenti. Si parla dei singolari tatuaggi religiosi che dal santuario di Loreto si affermano nel resto d’Europa, di quando a Venezia l’unguento è diventato profumo, e di come grazie ai Medici si sia diffuso nelle corti di Firenze prima e di Parigi poi.

E. Hall, Gli antichi greci – Einaudi, Torino 2016, pp. 323, euro 30,00
Chi erano davvero gli antichi Greci? Ci hanno dato la democrazia, la filosofia razionale, la poesia, la scienza, il piacere di un umorismo pungente. E cosa ha permesso loro di raggiungere tali vette di conoscenza e identità?
Gli antichi Greci occuparono un vasto spazio geografico, la loro civiltà durò piú di venti secoli e con essa non abbiamo mai smesso di dialogare. Edith Hall ci fa scoprire questa civiltà in modo inconsueto e rivelatore: individuando dieci brillanti caratteristiche, uniche e peculiari, che ne permisero la diffusione nel mondo mediterraneo. L’autrice associa ciascuna qualità dello spirito greco a dieci periodi della storia greca, ambientandole in dieci diverse aree geografiche, poiché il centro di gravità della cultura greca spesso si spostò attorno all’antico Mediterraneo, fino a toccare l’Asia e le regioni del Mar Nero. I Greci furono un popolo curioso, intellettualmente brillante e di mentalità aperta, ma anche ribelle, individualista, competitivo ed edonista; ammiravano l’eccellenza nelle persone di talento ed erano per di piú dotati di un grande senso dell’umorismo. Centrale per la loro identità fu poi il rapporto che sempre ebbero con il mare, e che resta alla base di ogni aspetto della loro società. Estremamente documentato e spesso illuminante, questo originale saggio svela in modo chiaro e vivace una civiltà di incomparabile ricchezza e un popolo di incredibile complessità.

S. Walker e S.H. Ashton, Cleopatra – il Mulino, Bologna 2016, pp. 128, euro 12,00
Una vita leggendaria e una morte da eroina tragica: la figura di Cleopatra (69-30 a.C.) irradia fascino da sempre. La sua storia s’intreccia con le vicende della Roma del I secolo a.C. e con le biografie di grandi personaggi come Cesare e Marco Antonio. Insieme a quest’ultimo, costituì un impero che giunse a minacciare il predominio di Roma. Dopo la disfatta a opera di Ottaviano, Cleopatra sopravviverà nel mito, ispirando la letteratura e la pittura e in ultimo anche il cinema.