In libreria: CIA e Mani pulite

spiriNegli anni della Guerra fredda il rapporto tra l’Italia e gli Stati Uniti assume una valenza decisiva, su ogni altra considerazione prevale l’interesse degli americani per la stabilità di un Paese alleato che riveste una funzione strategica nel quadro degli equilibri geopolitici internazionali. Poi, dopo l’Ottantanove l’approccio degli Usa si modifica, e con le prime avvisaglie di Mani pulite matura il convincimento che vada esaurendosi la spinta propulsiva delle forze politiche tradizionali. La «Repubblica dei partiti» sprofonda nel discredito, la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato sembrano guardare con «favorevole predisposizione» alle inchieste dei giudici milanesi, ma cresce al contempo il bisogno di decifrare gli scenari futuri. Si intensifica allora il flusso comunicativo lungo i canali riservati, attraverso il potenziamento delle dinamiche di raccolta e scambio delle informazioni: l’attivismo crescente dei diplomatici e degli agenti della Cia incrocia le varie tappe della «rivoluzione» italiana, dagli avvisi di garanzia che piovono sul capo del vecchio ceto politico fino alla vittoria elettorale del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, passando attraverso l’attacco della mafia al cuore dello Stato, con le stragi di Capaci e via D’Amelio. Sulla scorta del materiale inedito proveniente dagli Archivi di Washington, questo libro ricostruisce il biennio 1992-94, aggiungendo un tassello fondamentale al mosaico interpretativo sulla fine della «prima Repubblica».
Andrea Spiri, The end 1992-1994: la fine della prima repubblica negli archivi segreti americani – Baldini & Castoldi, Milano 2022, pp. 125, euro 18,00

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Giuliano Da Frè, Almanacco navale del XXI secolo: dalla Guerra Fredda alla crisi ucraina – Odoya Library, Città di Castello 2022, pp. 1072, euro 42,00
Dopo il 1945, gli Stati Uniti possedevano quella che di gran lunga era la maggiore potenza navale del mondo: la US Navy, vera erede della Royal Navy, con la quale Londra aveva dominato i mari per quasi 250 anni. La grande flotta giapponese e la Marina tedesca non esistevano più, spazzate via dagli eventi bellici e politici, mentre quelle italiana e francese sopravvivevano sulle rovine delle ambizioni degli anni Venti e Trenta, al pari della mal bilanciata Marina sovietica. Vi erano anche realtà più piccole ma importanti, come quelle olandese e svedese, mentre di lì a poco sarebbero nate marine presto provate in guerra come quelle indiana e israeliana.
Questo Almanacco fotografa la rivoluzione degli assetti marittimi mondiali dopo la Seconda Guerra Mondiale; un saggio storico dal taglio divulgativo capace di fornire sintetici e completi dati tecnici. L’autore descrive le evoluzioni tecnologiche e operative, analizzando Marina per Marina in ordine alfabetico, dall’Albania allo Yemen. Grande spazio è dedicato alla Marina italiana e alle principali marine mondiali quali Stati Uniti e Cina, seguite da Gran Bretagna, Francia, Giappone, Russia, India, Australia, Sud Corea, Germania, Brasile, Spagna, Turchia. Vi sono indicazioni sull’attuale struttura, sui programmi futuri, sull’esperienza operativa di questi decenni.
Un volume che tratta anche delle marine che non esistono più, come quelle delle defunte Germania Est e Iugoslavia, ma anche di quella etiope, rimasta senza sbocco sul mare, e dei più recenti sviluppi riguardanti il conflitto ucraino attualmente in corso.

Carlo M. Fiorentino, L’armata delle ombre: gappisti e militari a via Rasella (Roma, 23 marzo 1944) – LEG, Gorizia 2022, pp. 296, euro 20,00
L’azione militare di via Rasella del 23 marzo 1944 è stata sino a oggi studiata sulla base delle testimonianze dei gappisti che vi presero parte, pubblicate dall’indomani della liberazione di Roma fino ai giorni nostri. Attraverso una diversa lettura critica di queste testimonianze e con l’ausilio di una imponente documentazione d’archivio, in gran parte inedita, il libro si propone di dare una più articolata e compiuta interpretazione di questo importante episodio non soltanto della Resistenza romana, ma di quella italiana e dell’Europa Occidentale. L’azione di via Rasella vide protagonisti oltre ai GAP centrali, anche altri soggetti politici e militari, nel momento in cui si riteneva prossimo lo sfondamento da parte degli Alleati dei fronti di Cassino e di Anzio. Degli stessi gappisti o di alcuni di loro il libro mette inoltre in luce il percorso politico giovanile, caratterizzato dall’influenza culturale esercitata dall’opera di Benedetto Croce e dai contatti diretti con Giorgio Amendola e i suoi fratelli, ma anche dalle diverse relazioni sociali delle loro famiglie, in particolare con il Vaticano, che giocarono un ruolo di primo piano nei loro destini negli anni drammatici dell’occupazione nazista di Roma.

Lorenzo Renzi, Lettere dalla Grande Guerra: messaggi, diari e memorie dall’Italia e dal mondo – il Saggiatore, Milano 2021, pp. 432, euro 43,00
«Moglie mia, ti dico che sto bene e sono vivo, e vedo morire e morire ogni giorno.» Tra il 1914 e il 1918 un’unica trincea divide e unisce l’Europa e il mondo: per la prima volta nella storia moderna, infatti, dalla Francia al Medio Oriente uomini di ogni estrazione culturale e sociale si trovano a condividere – gli uni contro gli altri, gli uni come gli altri – le medesime misere condizioni di vita sui campi di battaglia, le medesime paure, la medesima vicinanza con la violenza e la morte. Di tutto questo soldati e ufficiali – chi prendendo la penna in mano in prima persona, chi affidandosi a un commilitone istruito – scrivono a casa: a moglie e famiglia, amici e parenti, informando e cercando conforto, condividendo speranze e confessando smarrimenti, in un diluvio epistolare composto da decine di miliardi di messaggi.
Lorenzo Renzi ripercorre la Prima guerra mondiale attraverso le missive spedite dal fronte, da Caporetto alla Transilvania, dalla Russia al fronte occidentale. Ne emerge una vera e propria controstoria del conflitto, narrata in prima persona da campi di battaglia e retrovie e fatta di momenti di quotidianità sotto le bombe, vedette all’alba, sonni sulla terra nuda, marce infinite, tentativi d’imboscamento e infermerie d’emergenza, ma anche di attimi di allegria, canti sulla tradotta e slanci nazionalistici. Un racconto costellato di richieste di notizie rassicuranti dalle mura domestiche, confessioni disperate e preoccupazioni per la censura. Un mosaico di lingue e culture diverse – italiani e austriaci, francesi e tedeschi, romeni e indiani – che rappresenta una testimonianza unica della realtà vissuta da chi ha preso parte al primo conflitto mondiale, al di là di resoconti ufficiali e propaganda governativa.
Questo volume ci restituisce intatte le voci dei protagonisti di uno dei momenti di svolta della modernità. Un’opera dai contorni spitzeriani, che ci ricorda che la storia si scrive sì con il piombo dei proiettili e l’inchiostro dei trattati; ma anche con i telegrammi, le cartoline e le missive che le persone comuni si sono inviate da un capo all’altro del mondo per dirsi di essere ancora vive. Ancora un giorno, ancora vive. La Grande Guerra attraverso le parole dei suoi protagonisti: una testimonianza unica delle speranze, dei sogni e delle paure degli uomini che l’hanno vissuta in prima linea.

Alessandro Stanziani, Le metamorfosi del lavoro coatto: una storia globale XVIII-XIX secolo – il Mulino, Bologna 2022, pp. 352, euro 29,00
I servi dell’Impero russo, i salariati e i marinai in seno all’Impero francese e a quello britannico, gli schiavi e i migranti nell’Oceano indiano battuto dai monsoni, e il Congo, dove le violenze estreme perpetrate verso le popolazioni indigene sono pari solo alla paura, alla solitudine dei bianchi e alla brama di profitto delle compagnie coloniali. Sono questi tra i protagonisti dei libri di Conrad e il punto di partenza per il libro di Alessandro Stanziani. Un viaggio per comprendere che lavoro libero e lavoro coatto (servile, forzato) non sono due modalità che si escludono a vicenda ma si intrecciano, si sovrappongono e quasi sempre rispondono l’una all’altra; per capire le mutazioni delle forme storiche del lavoro, le conseguenze in termini di libertà e di costrizione e, in ultima analisi, afferrare le ragioni per cui i progressi intellettuali, politici e delle condizioni di vita, soprattutto in Occidente, non sono riusciti a sradicare la coercizione al lavoro anche nelle sue forme più estreme su buona parte del pianeta.

Mario Di Vito, Colpirne uno: ritratto di famiglia con Brigate Rosse – Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 192, euro 19,00
Una storia vera incartata in un’altra storia vera. Il caso Peci, un episodio del lungo, sanguinario e, a tratti, malinconico crepuscolo delle Brigate Rosse, ma anche la storia del magistrato che seguì le indagini. Questo libro prova a guardare a quella vicenda e a quegli anni con uno sguardo nuovo, lo sguardo di chi ancora non era nato e che di quelle storie ne ha soltanto sentito parlare in casa, nei ricordi di famiglia o ne ha letto nelle pagine del diario della nonna.
È l’inizio di giugno del 1981 e a San Benedetto del Tronto, all’estrema periferia della Repubblica, le Brigate Rosse rapiscono Roberto Peci, fratello di Patrizio, primo pentito della storia dell’organizzazione. Sottoposto a un terrificante ‘processo popolare’, sarà giustiziato poche settimane dopo in un casolare nella campagna romana. Mario Mandrelli, il magistrato che segue le indagini e porta a processo i brigatisti responsabili dell’omicidio, è il nonno dell’autore. Attraverso le carte giudiziarie, i giornali dell’epoca, gli appunti finali, i ricordi e i diari di famiglia, emerge il racconto di un episodio di storia italiana e delle sue ombre che si nascondono dietro ogni angolo, malgrado le apparenze. O forse proprio come le apparenze. Il tutto viene visto con gli occhi di chi da queste storie è sempre stato circondato, sentendole raccontare a pezzetti dai protagonisti. E ognuno ha una sua verità, un suo orgoglio da rivendicare, una sua cicatrice da nascondere. L’importante è tenere a mente che si tratta di una storia vera. Che non vuol dire che dentro ci siano solo verità̀. Le bugie, in fondo, non hanno meno valore.

Robert I. Frost, Le guerre del nord 1558-1721 – LEG, Gorizia 2022, pp. 596, euro 24,00
Questo libro offre uno studio accurato sulla serie di guerre, ancora poco conosciute ma di cruciale importanza, combattute per il controllo del Baltico e dell’Europa nord-orientale negli anni 1558-1721. All’inizio del periodo, Svezia e Polonia erano le potenze dominanti del Nord Europa, mentre alla fine verranno entrambe eclissate da Russia e Prussia, le due nuove superpotenze internazionali che domineranno la scena. Si tratta della prima opera completa nel panorama italiano a prendere in con siderazione la rivoluzione in tema di strategia militare avvenuta nei campi di battaglia dell’Europa orientale.< Robert I. Frost esamina l’impatto della guerra sui sistemi sociali e politici molto diversi di Svezia, Danimarca, Polonia-Lituania e Russia, e spiega le ragioni del successo della Russia, mettendo anche in discussione i racconti tradizionali di personaggi importanti come Pietro il Grande e Gustav Adolf. Basato su un’ampia ricerca su fonti primarie e secondarie, questo libro forni sce un importante contributo al dibattito sull’innovazione in materia di strate gia militare e sullo sviluppo politico nell’ Europa moderna.

Tim Parks, Il cammino dell’eroe: a piedi con Garibaldi da Roma a Ravenna – Rizzoli, Milano 2022, pp. 492, euro 22,00
Il 2 luglio 1849 Giuseppe Garibaldi deve prendere una decisione difficile. L’effimera esperienza della Repubblica romana volge al termine; impossibile resistere ancora all’assedio dell’esercito francese guidato dal generale Oudinot, inviato a restaurare l’autorità papale sulla città eterna. I repubblicani hanno combattuto con coraggio, ma è giunto il momento di accettare la realtà: devono lasciare Roma in mano al nemico. Garibaldi, però, non intende arrendersi. È pronto a partire alla testa di un corpo di volontari per proseguire altrove la lotta per l’unità d’Italia; quella mattina ha pronunciato parole infuocate, chiedendo ai suoi uomini di seguirlo ancora una volta. Ne attende diecimila, ma a rispondere alla chiamata sono solo quattromila fanti e ottocento soldati a cavallo. E hanno con sé un unico cannone. Così, in piena notte, affiancato dalla moglie Anita incinta di sei mesi, l’eroe dei due mondi che ha sposato gli ideali risorgimentali si mette alla guida di una colonna mesta e silenziosa e intraprende un cammino che li porterà a risalire l’Appennino. Una marcia a tappe forzate lunga seicentoquaranta chilometri, attraverso l’Umbria, la Toscana e l’Emilia-Romagna, costantemente incalzati dai francesi e dagli austriaci. Solo poche centinaia di loro vedranno il termine del viaggio, due mesi più tardi, e l’impresa costerà la vita anche ad Anita. Nel torrido luglio del 2019, Tim Parks e la moglie Eleonora hanno minuziosamente ricostruito – e ripercorso, giorno dopo giorno, passo dopo passo – il cammino di Garibaldi e di Anita. Muniti di Gps, hanno dormito nei bed&breakfast; attraversato desolate periferie industriali; scoperto incantevoli strade secondarie e borghi quasi immutati dopo un secolo e mezzo; incontrato gli italiani dell’ultima estate prima della pandemia. Questo volume è il racconto della loro immersione in un momento storico eccezionale e, insieme, in una Italia minore, sconosciuta e di struggente bellezza.

Krzysztof Pomian, Il museo: una storia mondiale. II. L’affermazione europea 1789-1850 – Einaudi, Torino 2022, pp. 394, euro 85,00
Con la Rivoluzione francese, l’accesso ai capolavori artistici fu elevato al rango dei diritti dell’uomo, e il museo, deputato a garantirne l’esercizio, divenne l’attributo fondante di una nazione. Il rivoluzionario e imperiale Louvre ne è il prototipo. In Europa, l’impatto del 1789 si protrasse fino alla metà del XIX secolo. Il saccheggio praticato dagli eserciti rivoluzionari e imperiali a beneficio della Francia rese gli individui consapevoli del carattere emblematico dei beni artistico-culturali per i popoli, e i musei contribuirono a legittimare il potere del sovrano conferendogli un carattere nazionale. Il Prado, la National Gallery, il British Museum, i musei borghesi di Francoforte e Lipsia cosí come l’Altes Museum di Berlino, la Gliptoteca e la Pinacoteca di Monaco, il Walhalla vicino a Ratisbona, nonché le innovazioni intervenute nei musei danesi, sono tutti il prodotto di questa dinamica. Con la rivoluzione industriale, che trovò la sua piú compiuta espressione nell’Esposizione universale di Londra del 1851, si chiude un’epoca che trasformò per sempre l’istituzione museale, trasformandola in una realtà democratica e nazionale.
La politica museale rivoluzionaria e imperiale produsse effetti in gran parte dell’Europa continentale. L’affermazione del museo inizia con l’apertura al Louvre del Muséum Français che esponeva, in principio, l’ex collezione reale, e prosegue seguendo la storia movimentata di quell’istituzione, esemplare museo rivoluzionario divenuto poi Musée Napoléon, raccolta di opere d’arte saccheggiate in quasi tutti i paesi europei che verranno restituite dopo Waterloo. Ad accompagnarlo era il Museo di Versailles, destinato alla scuola francese. Vengono poi i musei parigini fondati o trasformati durante questo periodo: il Muséum national d’histoire naturelle, il Conservatoire des arts et métiers, il Cabinet d’anatomie, il Musée de l’Artillerie e il Musée des Monuments français. Passando in rassegna i musei di provincia, Krzysztof Pomian valuta la portata del decreto consolare del 14 fruttidoro dell’anno IX (1° settembre 1801), che legalizzò o creò quindici nuovi musei nelle città francesi di provincia e nei territori conquistati (Bruxelles, Ginevra, Magonza). A questi si aggiunsero i musei fondati nel Regno napoleonico d’Italia e nei Paesi Bassi. Ma le conseguenze di questo periodo cruciale non finiscono qui: esso comportò anche la seconda grande redistribuzione di opere d’arte in Europa dopo quella della guerra dei Trent’anni, principalmente a vantaggio della Gran Bretagna. Imponendo l’idea che l’accesso alle opere d’arte fa parte dei diritti dell’uomo, questo momento storico elevò il museo – piú precisamente il museo d’arte – al rango di istituzione indispensabile in un paese civilizzato.

Linda Colley, Navi, penne e cannoni: guerre, costituzioni e la creazione del mondo moderno – Rizoli, Milano 2022, pp. 468, euro 26,00
Il Settecento non è stato solo il secolo delle rivoluzioni: proprio in quel periodo, infatti, gli Stati iniziarono a dotarsi delle prime costituzioni moderne. Carte nate sulla spinta di idee capaci di varcare i confini nazionali e diffondersi in tutto il mondo; documenti figli sia dei moti di rivendicazione popolare sia della necessità di legittimazione dei governanti, intenzionati a formalizzare il proprio potere sancendo diritti e doveri di cittadini e istituzioni. Ma quelle costituzioni furono anche molto altro, come ci mostra Linda Colley in questo saggio tanto ampio quanto originale. Studiosa affermata e saggista di talento, Colley delinea una storia globale delle carte costituzionali dal Settecento a oggi, sovvertendo alcune delle convinzioni più diffuse in materia: certo, la loro emanazione fu un passaggio fondamentale per molte epiche rivoluzioni (basti pensare a quella americana) e per l’affermazione dei diritti dei diseredati, ma si trasformò anche in uno strumento di violenta espansione imperialista, di espropriazione e di marginalizzazione sociale (soprattutto a discapito delle donne e delle persone di colore). E, in ogni caso, quelle costituzioni – testi in cui politica, ideologia, pragmatismo e letterarietà si mescolavano – furono sempre inestricabilmente legate alle guerre tra nazioni. Dall’innovativo Nakaz emanato da Caterina II di Russia al testo di James Africanus Beale Horton, visionario legislatore della Sierra Leone; dalla celebre carta dei padri fondatori degli Stati Uniti alla prima moderna costituzione islamica, opera dello statista-soldato tunisino Khayr al-Din; dagli originali documenti elaborati in Corsica nel 1775 e in Giappone nel 1889 fino a quello promulgato nella minuscola Pitcairn, isola del Pacifico dove furono per la prima volta riconosciuti pieni diritti di cittadinanza alle donne: con autorevolezza e una straordinaria verve narrativa, Linda Colley ci guida alla scoperta di una grande storia fatta di personaggi affascinanti, eventi epocali e idee in grado di cambiare il mondo.

Elisabetta Rosaspina, Enigma Evita: storia della donna che ammaliò il mondo – Mondadori, Milano 2022, pp. 264, euro 22,00
Giovedì 2 settembre 1971. Un carro funebre, partito dal cimitero Maggiore di Milano, sfreccia lungo la Riviera italiana e francese in direzione del confine spagnolo. L’autista non sa ancora chi sta portando a Madrid. I documenti identificano la defunta come Maria Maggi vedova De Magistris, ma l’eccentrico personaggio che accompagna il feretro, e si presenta come il fratello, sa che quelle carte mentono. Nella bara c’è il corpo mummificato di Evita, che per quattordici anni è stata sepolta sotto falso nome. Sta tornando dal marito, Juan Domingo Peron, l’ex presidente dell’Argentina, esule nella Spagna di Francisco Franco dopo essere stato deposto nel 1955 dalla Revolucion Libertadora. Inizia così, con i ricordi tuttora vividi dello chauffeur italiano che inconsapevolmente contribuì a trafugare la mummia più ricercata al mondo, la biografia della donna che in patria continua a essere venerata come una santa. Oppure odiata come un’arrampicatrice senza scrupoli. Quel viaggio, in fondo, è anche la metafora della vita di Eva Duarte: un’esistenza vissuta a tutta velocità, bruciata dall’ansia di arrivare. Viva o morta, il suo traguardo è sempre stato Peron. Le intense pagine di Elisabetta Rosaspina la seguono da quando, sedicenne, partì dall’anonimato e dalla povertà della pampa verso il suo riscatto, nella Buenos Aires degli anni Trenta e Quaranta. Cercava fortuna come attrice, l’avrebbe trovata come politica e filantropa, fino a diventare la donna più potente dell’America Latina, capace di riscuotere l’ammirazione dell’Europa intera, allorché, nell’immediato dopoguerra, girò la Spagna, l’Italia, il Vaticano, la Francia, il Portogallo e la Svizzera in settantanove giorni di lussi e di misteri. Ha «regnato» sull’Argentina appena sette anni, consacrandosi all’amore per i suoi descamisados e all’odio per l’oligarchia, eppure sarà sempre circondata da intrighi e sospetti, idolatria e maldicenza. Persino sulle sue spoglie, «eternizzate» da un medico spagnolo, si scateneranno battaglie, e sulla sua memoria continueranno a scontrarsi sostenitori e detrattori. L’enigma di Evita, agli occhi del mondo, non è mai stato svelato.