In libreria: Assedio a Przemysl

assedioIl 14 settembre 1914 la città-fortezza di Przemysl fu raggiunta dalle truppe in ritirata dell’esercito asburgico: a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra, le propaggini nordorientali dell’impero stavano già cadendo in mano all’armata russa. L’Europa era ormai sprofondata in un conflitto che in molti avevano reputato impossibile, ed entrambi gli schieramenti avevano già subìto perdite inimmaginabili prima di allora. Di lì a poco i piani strategici elaborati tanto sul fronte occidentale quanto su quello orientale si sarebbero sgretolati, per lasciare spazio a una disperata improvvisazione tattica; e mentre a ovest lo scontro si trasformava in una guerra di trincea, a est gli occhi erano tutti puntati sulla vecchia fortezza austroungarica, giudicata la più grande e solida del tempo. Ma assaltandola a due riprese, tra l’autunno del 1914 e la primavera del 1915, le truppe dello zar avrebbero dimostrato che il gioiello degli Asburgo non poteva nulla di fronte ai progressi compiuti dall’artiglieria moderna. La vicenda di Przemysl tenne con il fiato sospeso l’opinione pubblica e suscitò una vasta eco nella stampa popolare; la strenua difesa di quella che sarebbe passata alla storia come la «Stalingrado austroungarica» ebbe il suo altissimo tributo di sangue tra soldati e popolazione civile. Alla fine, l’esercito nemico riuscì a espugnarla, ma quell’assedio – il più lungo della Prima guerra mondiale – fiaccò le forze russe prima che potessero dilagare nell’Europa centrale. Entrambi gli imperi uscirono indeboliti da quello scontro, che segnò uno dei punti di svolta nel conflitto. Eppure la tragica storia di Przemysl è stata quasi dimenticata in Occidente. Oggi, grazie a una rigorosa ricerca tra i documenti dell’epoca e i diari inediti degli abitanti assediati, lo storico e saggista Alexander Watson ci restituisce il vivido racconto di quell’epica resistenza. Mostrandoci che proprio lì vanno cercate le radici dell’orrore che avrebbe travolto la regione nei decenni a venire, tra nazionalismo, antisemitismo e furia sterminatrice.
Alexander Watson, Il grande assedio di Przemysl: 1914, storia di una battaglia dimenticata – Rizzoli, Milano 2021, pp. 400, euro 24,00

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Agnès Poirier, Rive Gauche: arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950 – Einaudi, Torino 2021, pp. 356, euro 21,00
Culla della fervente bohème del primo dopoguerra, alla fine degli anni Trenta Parigi è una città in attesa. Il presentimento della catastrofe pervade le lettere che Beckett manda a Dublino, appesantisce le anonime casse di legno in cui il direttore Jaujard fa nascondere i capolavori del Louvre, grava sulla scelta di Picasso di trasferirsi a Royan. È da qui, dall’angoscia di quei giorni, che Agnès Poirier sceglie di iniziare, perché per comprendere l’euforia della rinascita bisogna prima raccontare il dolore che la precedette. La Parigi degli anni Quaranta, infatti, è stata anche la Parigi occupata e straziata, percorsa da profonde cicatrici: proprio come l’architettura della città, quegli eventi hanno influenzato per sempre il modo di pensare e agire di chi li ha vissuti. Per i personaggi, tra i piú illuminati del tempo, che per nascita, caso o necessità si ritrovano nella Ville Lumière, la guerra è anche sprone alla riflessione e alla creazione. L’iconica Rive gauche fa da sfondo alla tenace vivacità culturale del periodo con i suoi tanti luoghi emblematici. Il Café de Flore e Les Deux Magots, spazi frequentati per bere, discutere, fumare, lavorare da protagonisti dell’epoca come Sartre e Camus; l’Hôtel La Louisiane, con le sue grandi camere rotonde, in cui elessero dimora anche Simone de Beauvoir e Juliette Gréco; il numero 5 della Rue Saint-Benoît, casa di Duras e simbolo dell’impegno della sinistra intellettuale; la monumentale Sorbona, la piú importante istituzione del sapere francese frequentata da studenti internazionali come Mailer e Seaver; Le Tabou, il jazz club seminterrato dove un irriverente Vian suonava la tromba. Molti di questi edifici esistono ancora, e mantengono piú o meno intatta l’aura magica di quel periodo. Ma a renderli speciali è soprattutto «il caleidoscopio di destini» che vi si sono incrociati e che Agnès Poirier restituisce qui in una galleria di indimenticabili ritratti. Gustoso e arguto, come lo ha definito Julian Barnes, Rive gauche è un viaggio letterario alla scoperta di una Parigi brulicante di arte, passione, amore, vita.

Gigi Di Fiore, I vinti del Risorgimento: storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli – UTET, Torino 2021, pp. 384, euro 17,00
Quasi tremila morti, migliaia di dispersi e deportati: fu questo il Risorgimento per i vinti nel Mezzogiorno d’Italia. Dallo sbarco di Garibaldi fino alla capitolazione dell’esercito delle Due Sicilie a Gaeta passarono appena nove mesi.
Tanto bastò a sfaldare un regno, che la dinastia dei Borbone aveva guidato per 127 anni. Su quel tracollo solo ora emerge finalmente nella sua interezza uno spaccato da conquista militare: diplomazia, forza delle armi e politica riuscirono a creare le condizioni per un’annessione al Piemonte che violava le norme del diritto internazionale, realizzata con i fucili senza il consenso delle popolazioni. In poco tempo le regioni meridionali, con nove milioni di abitanti, furono “italianizzate”: azzerati monete, codici penali e civili, burocrazie. Tra il 1860 e il 1861, come mette in luce l’autore, gli sconfitti, protagonisti di questa dettagliata ricostruzione storica, furono soprattutto migliaia di pastori, carbonari e contadini del Matese, delle Puglie, delle campagne salernitane, della Sicilia, dei Tre Abruzzi, del contado del Molise, della Calabria, di Napoli. Un esercito di oltre cinquantamila uomini: meridionali, a difendere quella che allora era la loro patria. Su quei mesi, sui militari, sulla generazione che realizzò nel concreto il Risorgimento, sia nella vittoria sia nella sconfitta, l’Archivio Borbone è una miniera ancora poco esplorata.
E da quelle carte, come da molte altre fonti esaminate negli anni da Di Fiore (memorie autobiografiche di ufficiali borbonici, piemontesi e garibaldini, la collezione della “Gazzetta di Gaeta”, documenti in parte trascurati negli archivi di mezza Italia) emergono anche i piccoli drammi personali, storie di eroismi, opportunismi e miserie, comuni a tutti i trapassi di epoche e poteri, che arricchiscono questo affresco sugli ultimi giorni dell’esercito borbonico e del Regno delle Due Sicilie.

Claudia Salaris, Donne d’avanguardia – il Mulino, Bologna 2021, pp. 288, euro 22,00
Scrittrici, pittrici, polemiste, attrici, ballerine, fotografe; il mondo dell’avanguardia artistica nella prima metà del Novecento, dal futurismo in poi, è popolato da una numerosa schiera di donne, spesso ingiustamente poco conosciute. Donne che si sono espresse non solo nelle più varie forme artistiche ma anche nel comportamento e nelle scelte di vita, e che hanno animato un precoce dibattito sul ruolo della donna. Fra i maggiori studiosi delle avanguardie, Claudia Salaris è andata alla ricerca di queste donne, e le ha riscoperte e raccontate: da Eva Kühn Amendola a Benedetta Cappa Marinetti, dalla marchesa Casati a Tina Modotti, dalla rivoluzionaria alla spia sovietica, questa trentina di ritratti di artiste italiane, o straniere ma connesse all’ambiente italiano, disegna un’«altra metà del cielo» movimentata, affollata di personaggi in qualche caso romanzeschi, spesso di sorprendente modernità.

Cinzia Bearzot, Alcibiade: il politico più spregiudicato della democrazia ateniese – Salerno editrice, Roma 2021, pp. 336, euro 23,00
Non sono molti nella storia i personaggi come Alcibiade, capaci di generare odi e amori tanto potenti da smuovere l’interesse appassionato degli storici a distanza di due millenni e mezzo. All’uomo politico possono essere mosse accuse fortissime, come quella di esser stato animato solo dalla sete di potere o di aver tradito la propria città. Ma tutto questo sfuma di fronte all’uomo Alcibiade, al “cucciolo di leone” del quale parla Aristofane, odiato e idolatrato dal suo popolo. L’uomo adottato da Pericle fu in effetti una personalità ambivalente, a cavallo tra poli opposti a livello pubblico e privato: un aristocratico che ha fatto una scelta democratica, ma anche l’esponente di una politica slegata dall’idea di servizio alla comunità. Le sue doti intellettuali erano formidabili, come d’altra parte la sua eloquenza e la simpatia che lo circondava, non a caso fu allievo e amante di Socrate. Quasi impossibile non amare un personaggio così eccezionale, smisurato nelle ambizioni così come nel carattere. Capace di concepire piani grandiosi, fu poco efficiente nel portarli a termine, per questo fu costantemente esposto alle altalenanti sorti, in termini di consenso, di chi molto promette e nulla mantiene. Volle troppo e perse tutto, prima fra tutte la sua credibilità, in un tempo in cui etica e politica erano ancora congiunte.

Giorgio Ravegnani, La vita a Venezia nel Medioevo – il Mulino, Bologna 2021, pp. 208, euro 14,00
Come si vive a Venezia nel Medioevo? Al vertice dello stato è il doge, affiancato dai consigli per regolare ogni aspetto della società civile. Al di sotto, il mondo variegato e spesso brillante dei cittadini, nobili o plebei, la cui attività si può spesso ricostruire nei particolari grazie alla singolare ricchezza delle fonti. È quanto fa questo volume, i cui temi privilegiati sono la famiglia, gli edifici privati o monumentali, i mestieri, gli abiti, la scuola e la cultura, cui si aggiungono gli aspetti più minuti della vita quotidiana quali i giochi, le feste, l’alimentazione, la cura delle strade, le donne virtuose e non, le pene inflitte dalla giustizia.

Luca Sarzi Amadè, I Gonzaga: una dinastia tra Medioevo e Rinascimento – Laterza, Roma-Bari 2021, pp. 320, euro 12,00
Ago della bilancia nelle intricate vicende italiane, centro di una attività diplomatica raffinatissima e cuore pulsante della vita culturale e delle arti del Rinascimento: per quasi quattro secoli Mantova è stata una delle capitali d’Europa. I Gonzaga, suoi signori, ne furono i protagonisti.
Pur dominando un territorio limitato e periferico, i Gonzaga sono stati una delle famiglie più importanti d’Europa, protagonisti per secoli della storia italiana. Signori di Mantova, poi marchesi e duchi, si imparentarono con gli Asburgo e annoverarono nei loro ranghi due imperatrici e una regina di Polonia. La promozione delle arti trasformò Mantova in una delle capitali della cultura del Rinascimento. Ai capolavori di Pisanello e Mantegna si aggiunsero nei secoli le meraviglie della Celeste Galleria e i prodigi della musica e del teatro. Ma come è stato possibile per questa casata ritagliarsi una simile posizione e conservarla per quasi quattro secoli? Che origini ha avuto? E a cosa fu dovuto tanto successo? Un affresco ricco di sorprese, una storia di guerre e di congiure, una lotta per la sopravvivenza prima e per la supremazia poi, attraverso cui si dipana la vicenda dell’Italia dal medioevo delle grandi abbazie all’età comunale e ai principati.

Marco Rocco, I Pretoriani: soldati e cospiratori nel cuore di Roma – Salerno editrice, Roma 2021, pp. 204, euro 18,00
A non molta distanza dalla stazione Termini, il profilo urbano di Roma è segnato dalla presenza di imponenti resti, integrati nelle mura della città: è tutto ciò che rimane del perimetro dei castra praetoria, la caserma che alloggiava le coorti pretorie. Ma chi erano i pretoriani?
Gli storici antichi, senatori animati per lo piú da sentimenti ostili nei confronti del regime imperiale, non esitavano a considerarli lo strumento di repressione utilizzato dai Principi per schiacciare l’antica libertas repubblicana, quando non addirittura una soldataglia interessata soltanto ad accrescere i propri privilegi. Ancora oggi l’immaginario comune, nutrito dalla vulgata di certa fiction, tende a vedere nei pretoriani gli sgherri in uniforme di imperatori crudeli e pazzoidi: una muta di spietati cani da caccia sempre pronti a mordere persino la mano di chi li nutriva. Questo volume si propone di ampliare la visuale sulle fonti, per meglio definire il volto degli uomini – soldati, tutori dell’ordine, funzionari – che marciarono sotto l’insegna dello Scorpione.