IL TERRORISMO DAGLI ANNI SETTANTA A OGGI

di Andrea Delpino -

Dalle formazioni di stampo comunista, nazionalista e di matrice indipendentista, combattute e “depotenziate” dai singoli Stati con operazioni interne, si è passati al terrore di ispirazione islamista, condotto da cellule sfuggenti e ramificate in tutto il mondo.

Il terrorismo si può definire come una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni criminali violente, premeditate, atte a suscitare clamore nell’opinione pubblica e indignazione. Queste azioni consistono in attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi ai danni di enti quali istituzioni statali e/o pubbliche, governi, esponenti politici o pubblici, gruppi politici, etnici o religiosi e civili. Le organizzazioni dedite a tale pratica vengono definite organizzazioni terroristiche.
Esistono diversi tipi di organizzazione terroristica a seconda della matrice ideologica e politica:   anarchica, comunista, nazionalista, neofascista, etnica e religiosa.  Ma esiste anche il cosiddetto “terrorismo di Stato” ovvero quando settori deviati di parti dello Stato agiscono come organizzazioni terroristiche (ad esempio, l’Iran di Khomeini, i gruppi paramilitari dell’America latina, la Libia di Muhammar Gheddafi, la Siria di Afez al Assad e l’Iraq di Saddam Hussein).

In Italia e in gran parte dell’Europa negli anni Settanta si sono sviluppate organizzazioni terroristiche di matrice marxista leninista (Brigate Rosse, Prima Linea, Proletari armati per il comunismo, nucleo di comunisti, NAP nuclei armati proletari ecc.), neofascista (quindi di carattere ultra-nazionalista) come Ordine nuovo, NAR nuclei armati rivoluzionari, Ordine nero, Terza posizione, Fronte Nazionale (leader Franco Freda) ecc. e anarchico individualista (Azione rivoluzionaria e singoli individui come gli anarchici Gianfranco Bertoli e Mario Merlino).
L’obiettivo di questi gruppi è di creare confusione nella società, quindi portare la divisione nel Paese, istigare alla guerra civile e imporre con le armi una ideologia politica e militare colpendo ripetutamente lo Stato, le istituzioni ma anche i politici, i partiti che accettano il sistema democratico e  non ultimo i giornalisti. Gli anni Settanta sono gli anni dei rapimenti, del traffico illecito di armi, delle bombe ma anche dei dirottamenti aerei. Quanto accade in Italia, avviene anche nel resto dell’ Europa dove si sviluppano organizzazioni simili a quelle italiane sia per matrice ideologica che per brutalità nelle azioni: RAF (Rote Armee Fraktion) di stampo marxista, l’OAS (Organization de l’arme secret) di stampo nazionalista e golpista, i Lupi Grigi in Turchia (organizzazione nazionalista), le CCC (cellule comuniste combattenti in Spagna) e molti altri gruppi violenti che agiscono con metodi terroristici.

La bandiera del PKK

La bandiera del PKK

Nel resto del mondo, e anche in alcune regioni europee come i Paesi Baschi, Irlanda del nord e Corsica,  negli anni Settanta, si sviluppano i cosiddetti movimenti di liberazione (gruppi organizzati e inquadrati militarmente che con l’uso della violenza e di azioni armate vogliono rivendicare l’indipendenza di un territorio, la libertà e l’organizzazione di una nazione indipendente, di un popolo, di un gruppo etnico e/o religioso). Gli anni Settanta, sono gli anni del terrorismo palestinese di matrice nazionalista e panaraba e di organizzazioni che si definiscono e, vengono definite da alcuni Stati sovrani e organizzazioni internazionali quali movimenti di liberazione.
Tra le organizzazioni palestinesi spiccano: Al Fatah (leader Yasser Arafat), Settembre Nero (leader Abu Nidal), Fronte Popolare per la liberazione della Palestina (George Habbash), Fronte per la liberazione della Palestina (Abu Abbas) che si battono contro l’occupazione israeliana dei territori di Gaza e Cisgiordania e quindi per la nascita di uno Stato di Palestina; in Europa si trovano l’ETA (Euskadi Ta askatasuna) l’organizzazione nazionalista e socialista che si batte per l’indipendenza e la secessione dalla Spagna dei Paesi Baschi; Terra Llure che si batte per l’indipendenza della Catalogna; il PKK per l’indipendenza del popolo curdo contro la Turchia, l’ASALA per l’indipendenza degli armeni dall’URSS e dalla Turchia, il Fronte di liberazione nazionale corso per la secessione della Corsica dalla Francia ed infine l’IRA (esercito repubblicano irlandese) per l’unione dell’Ulster all’Irlanda e i lealisti dell’UVF per il mantenimento dell’unione politica e territoriale dell’Ulster con il Regno Unito.

Il terrorismo degli anni Settanta e in parte degli anni Ottanta è costellato da queste matrici ideologiche e politiche; le organizzazioni infatti, pur essendo “piccoli eserciti” e i militanti inquadrati per la maggior parte militarmente vengono tuttavia depotenziate con il corso del tempo dagli Stati e dalle nazioni sovrane sia perché molte richieste dei movimenti di liberazione vengono accettate dai poteri centrali di quegli stati che in primo tempo si sono violentemente opposti ai movimenti di liberazione, sia perché in gran parte dei casi, le organizzazioni internazionali quali l’ONU, la Lega Araba e i Paesi non allineati fanno proprie le istanze  e le richieste di questi gruppi e in tal caso (come per l’Irlanda e la Palestina e per molti paesi dell’Africa nera e Asia) viene data legittimità internazionale ai loro leader e riconoscimenti quali interlocutori negli scenari internazionali.

L'attacco dell'11 settembre 2001

L’attacco dell’11 settembre 2001

La situazione appena descritta e la matrice ideologica terroristica subiscono un cambiamento con la fine della guerra sovietica in Afghanistan, con l’attentato a Sadat in Egitto e soprattutto con la fine degli anni Novanta e l’11 settembre 2001. Si sviluppano infatti proprio nella fascia di territorio che comprende il sud del Mediterraneo, la penisola arabica, il deserto africano e l’Asia centrale delle organizzazioni islamiche che fanno della jihad o “guerra santa islamica” l’unica ideologia politica e militare. Nei territori palestinesi, sale il malcontento verso quei movimenti di liberazione laici e nazionalisti che erano stati i protagonisti indiscussi sulla scena politica degli anni precedenti e nasce Hamas (dapprima denominato movimento dei Fratelli musulmani palestinesi) il cui obiettivo è la creazione di uno stato palestinese in cui l’Islam sia religione ufficiale. In Egitto viene ucciso per mano della Jihad islamica egiziana il Presidente Sadat, colpevole di portare la nazione verso una deriva occidentale dei costumi. Si sviluppa inoltre tra i ceti popolari la confraternita religiosa dell’Ikhwan Muslimin (Fratellanza Musulmana) che, ritenendosi perseguitata da anni in Egitto prima da Nasser e poi da Sadat e successivamente da Mubarak,  accetta sì a grandi linee il sistema democratico per la presa del potere ma ha obiettivi del tutto comuni – eccetto naturalmente l’uso spropositato della violenza – alla Jihad islamica egiziana o alla Jamat al islamiya (altro gruppo terroristico egiziano di matrice islamista).
Ma è in Afghanistan e nelle aree del sud del deserto africano, le più vicine all’Africa nera che si sviluppano i gruppi terroristici jihadisti e islamisti più radicali e intransigenti che ancora oggi occupano tristemente le prime pagine dei media internazionali.
I regimi sauditi e arabi “cacciano” dai loro paesi elementi e predicatori religiosi che saranno tra i più pericolosi per la storia del terrorismo internazionale; tra questi vi è Osama Bin Laden.

La guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica è il campo di addestramento per la nascita di quell’organizzazione  (Al Qaeda: la base) che sarà la protagonista assoluta del terrore tra la fine del XX secolo e i primi dieci anni del XXI secolo. Al Qaeda raggruppa combattenti arabi che lottano insieme a una fazione estremista di religiosi islamici: i Talebani formatisi nelle scuole coraniche del sud dell’Afghanistan e in Pakistan.  L’obiettivo è cacciare gli invasori comunisti che “sporcano” con la loro presenza il suolo afghano per instaurare uno stato islamico nel quale siano vigenti la sharia e la legge coranica più repressiva e dura. Per ottenere questo, i qaedisti e i talebani trovano subito l’appoggio degli Stati Uniti e di tutti gli altri attori anti-sovietici dell’epoca, Cina compresa. Bin Laden, insieme ad altri personaggi di altre fazioni combattenti, diviene uomo di fiducia della coalizione anti-URSS in Afghanistan; la CIA e gli americani si fidano di lui. Nel 1998 però, Al Qaeda e Bin Laden cominciano a minacciare, con gli attentati alle ambasciate USA a Nairobi e Dar es Salam, gli Stati Uniti e i loro alleati arabi: la motivazione è l’aver concesso qualche anno prima le basi territoriali militari della coalizione per la guerra nel Golfo Persico contro l’invasione del Kuwait sul sacro territorio dell’Arabia Saudita. Per Al Qaeda si tratta di un atto blasfemo inaccettabile verso l’Islam e verso la terra del profeta Maometto; le truppe americane “lordano” il sacro suolo di Medina e La Mecca e per questo, secondo le loro intenzioni, la devono pagare.
L’escalation di minacce dell’oltranzismo islamico culminerà con gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York. Da quel momento, la strategia degli americani è un disastro, uno sfacelo a cominciare dall’invasione dell’Afghanistan alla guerra in Iraq; questi eventi rafforzano ulteriormente Al Qaeda che diventa così la più grande rete terroristica mondiale mai conosciuta.

Osama bin Laden intervistato da un giornalista - Hamid Mir

Osama bin Laden intervistato da un giornalista – Hamid Mir

Il potere di Al Qaeda su altri gruppi fino a quel momento sconosciuti o semi-sconosciuti si consolida sempre di più almeno fino alla morte di Osama Bin Laden e all’avvento delle primavere arabe del 2011. Al Qaeda subisce infatti a partire da quell’anno una forte trasformazione interna dovuta a diversi fattori: cambio al vertice dell’organizzazione terroristica attraverso il medico egiziano Ayman Al Zawahiri, che però da buona parte dei jihadisti è considerato un pessimo teologo, un traditore, responsabile della morte di Bin Laden e di Al Zarqawi, pronto a vendersi ai migliori offerenti e tradire la causa santa jihadista.
Un secondo fattore è l’essere stati presenti nelle retrovie delle primavere arabe sfruttando la protesta della piazza; le bandiere nere qaediste sventolano nelle manifestazioni in Siria, Libia, Egitto e Iraq assieme alle bandiere nazionali e di altre organizzazioni che nulla hanno a che vedere con il terrorismo o la dittatura. Membri salafiti e qaedisti intervengono nelle piazze protestando pacificamente contro i regimi autoritari arabi.
Certamente altro fattore è la chiusura di Guantanamo e il graduale ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan che indeboliscono l’azione anti-americana e antioccidentale di Al Qaeda. Ma ciò che determina la graduale fine e in alcuni casi un mutamento è sicuramente la divisione interna e il ruolo futuro che l’islam wahabita deve avere dopo la protesta delle primavere arabe e l’abbattimento degli stessi regimi.  La frangia più violenta che già faceva riferimento ad Al Zarqawi si separa nettamente da Al Qaeda ed entra in competizione criminale con essa: nasce l’ISIL/ISIS oggi autoproclamato IS (Islamic State, o Daesh, in lingua araba) cui si affiliano le sigle peggiori del terrorismo ex qaedista e oltre (Boko Haram, Al Qaeda in Yemen, Abu Sayyaf, Al Shabaab, quasi tutti i capi dei gruppi terroristici ceceni, Al Qaeda nel Magreb, alcuni ex membri del disciolto partito Baath, supporto di alcune milizie di tribù sunnite irachene, talebani pakistani, gruppi terroristici che operano nel sud-est asiatico, gruppi ex qaedisti che operano ai confini tra Uzbekistan e Russia, Ansar Al Sharia, ecc.).

Nel Daesh vi è il rifiuto di qualsiasi altra guida al di fuori di Al Baghdadi, erede politico e religioso di Al Zarqawi; il rifiuto di qualsiasi altro simbolo se non della bandiera nera e del tondo bianco interno con le scritte inneggianti a Dio e al Profeta Maometto. Cambiano pertanto le strategie di comunicazione; le iconografie di qualsiasi tipo sono blasfeme e cominciano le persecuzioni di massa contro le minoranze, i genocidi, i massacri, l’annullamento di ogni minima concessione religiosa, le fughe di massa; il territorio del Daesh diventa impenetrabile, reale e quindi il mondo si trova davanti a una realtà territoriale e strutturata con organi di informazione interni che raccontano la vita nel Daesh, documentari abominevoli in cui si vedono cristiani crocifissi, sciiti trucidati, sgozzamenti e quanto di peggio ci possa essere.
Il terrorismo che il mondo ha conosciuto fino a ieri è mutato totalmente; esiste una realtà territoriale, esistono capi militari e politici, esiste un esercito vero e proprio di volontari e foreign fighters e di affiliati sparsi in Europa.

A questo punto ci si dovrebbe porre il problema di quali possano essere le strategie più proficue per eliminare Daesh, e come identificare le forze capaci di opporsi al Califfato islamico. Le forze in campo contro lo Stato islamico sono molteplici, diversissime e in opposizione fra loro. Ma proprio il fatto che siano così diverse, ma soprattutto l’essere in opposizione fra loro  rende particolarmente difficile  conseguire un  risultato comune.  Oltre alle strutture di intelligence delle nazioni alleate degli USA, della NATO e degli stati del Golfo si oppongono all’avanzata del califfato anche Russia, Egitto, Stati del Maghreb, Cina, Iran, governo siriano di Assad, Hezbollah, Hamas, opposizione siriana ad Assad, Fronte Al Nusra, Al Qaeda, Khorasan group, talebani afghani, brigate Abdullah Azzam, Curdi, tribù arabe siriane e irachene, milizie cristiane assire e caldee, yazidi, sciiti iracheni e siriani, profughi palestinesi nei campi siriani, la rete di hackers Anonymous che conduce una guerra mediatica all’ISIS, il governo libico ribelle di Alba libica, le milizie regolari del governo libico, gli Houthi yemeniti, la Fratellanza islamica, gruppi salafiti siriani, Hizb ut Tahrir.

Secondo alcuni punti di vista, la strategia per combattere sul campo di battaglia questo esercito del male dovrebbe essere la seguente: anzitutto la formazione di coalizioni territoriali anti-ISIS; in aree come la Siria le agenzie di intelligence degli Stati nazionali devono trovare alleanze anche con il nemico di ieri rappresentato da Al Qaeda e dai gruppi fedeli all’organizzazione per abbattere il califfato. Al Nusra, Khorasan e gruppi salafiti cooperano già con l’opposizione siriana e con il Mossad israeliano per coordinare azioni militari anti-Assad ma anche per togliere territorio al Daesh. La Giordania ha chiesto la collaborazione di un pool di predicatori che un tempo erano molto vicini ad Al Qaeda (Al Maqdisi, Abu Qatada, Abu Mussab al Suri e Abu Basir al Tartufi) per lanciare sermoni e propaganda anti-califfato dalle moschee giordane e persuadere i giovani a non arruolarsi, a non combattere per una causa sbagliata. Si è chiesta infine la collaborazione con l’ex jihadista danese Morten Storm, che aveva formato diversi terroristi di Al Qaeda in Yemen, e con Auman Dain, ex militante qaedista oggi collaboratore dei servizi segreti britannici; la cancellazione di Hezbollah come organizzazione terroristica e dell’Iran dalla lista degli Stati canaglia, il trattato di non proliferazione nucleare sono certamente ottimi passi avanti ma chiaramente tutto ciò non basta, sono auspicabili coalizioni territoriali variabili non guidate da USA e alleati atlantici con il dittatore Assad e con Al Nusra (che va tolta dall’elenco delle organizzazioni terroristiche) e inevitabilmente anche Al Qaeda va coinvolta; Al Zawahiri deve avere un ruolo di guida spirituale anti-Daesh che gli consenta poi di trattare per ottenere concessioni politiche in Afghanistan, Pakistan e Yemen in un futuro dopo-guerra; in Iraq riprendere la exit strategy del comandante David Petraeus che mirava al coinvolgimento politico di tutte le tribù sunnite e parte degli ex baathisti. Allo stesso modo, si deve risolvere una volta per tutte il problema palestinese con la nascita di uno Stato palestinese indipendente che comprenda i territori della striscia di Gaza e Cisgiordania con la legittimazione internazionale di Hamas come movimento di resistenza all’occupazione israeliana; infine, è fondamentale supportare militarmente gli Stati africani per una maggiore sicurezza interna nei loro territori.

Sicuramente oggi più di ieri il pericolo terroristico è esploso, ma ha subito anche una implosione e, come si può notare dalla moltitudine di informazioni e dati reali, i nemici assoluti di ieri possono essere gli alleati di oggi e di domani.
Il terrorismo purtroppo si è sviluppato enormemente con lo sviluppo delle nuove tecnologie. Si è anche assistito, però, a una vera e propria assenza di   pianificazioni strategiche e tattiche da parte delle agenzie di intelligence internazionali (Interpol), al fallimento delle organizzazioni internazionali nella risoluzione delle controversie e l’abbandono di ogni tentativo diplomatico in questioni estere e militari. Un fallimento che vede come protagonisti le classi dirigenti di America, Europa e stati Arabi che negli anni precedenti e soprattutto negli ultimi vent’anni  hanno perso di vista i problemi reali delle popolazioni pensando solo a costruire imperi economici che si sono rivelati fragili “tigri di carta”.

 

Per saperne di più

Storia del terrorismo. Dall’antichità ad Al Qaeda, a cura di G. Chaliand e A. Blin A. – UTET, Torino 2007
Terra di nessuno. Il terrorismo internazionale nell’Italia del dopoguerra, di S. Lordi – Historica 2014
Terrore e terrorismi. La storia a mano armata dall’antichità ai giorni nostri, di R. Paternoster – Edizioni Associate, Roma 2010