IL TERREMOTO LUCANO DEL 1857 E LA NASCITA DELLA SISMOLOGIA

di Niccolò Caramel -

 

L’interesse degli studiosi si spostò da una ricerca della spiegazione della causa fisica del fenomeno a una analisi degli strati del terreno sui quali sono costruite le città. Nasceva la consapevolezza di dover conoscere la conformazione geologica del suolo per poter trarre delle spiegazioni ragionevoli del fenomeno.

1. Descrizione del fenomeno

Nonostante lo storico e politico Giacomo Racioppi affermi che «i tremuoti del 1857 avranno nell’avvenire minor spavento di fama che non i tristissimi del 1783»[1], il sisma che martoriò la Basilicata il 16 dicembre 1857 fu per molto tempo considerato il terzo più grave d’Europa, nonché il più forte d’Italia. La prima grande scossa colpì le regioni Basilicata, Calabria, Puglia e Campania, e i danni più ingenti interessarono la zona compresa nella Val d’Agri, nel Vallo di Diano e nella regione del Vulture. Fino al 2007 la maggior parte degli studiosi considerò il terremoto del 1857 caratterizzato da un’unica devastante scossa, mentre, ad una minuziosa analisi delle fonti storiche[2], si evince che i forti movimenti tellurici furono più di uno. Come viene messo in luce da Branno e dalla sua equipe di studiosi, nella lettera[3] inviata 17 dicembre da Leopoldo Del Re, il dirigente dell’Osservatorio Astronomico di Napoli, al Giornale del Regno delle Due Sicilie, si registrano due scosse nel giro di pochi minuti: «Alle ore 10 e minuti 10 di Francia si è sentita una prima scossa di tremuoto della durata di quattro in cinque secondi, la quale è stata dopo due minuti seguita da altra di assai maggiore intensità e della durata di circa venticinque secondi»[4]. Anche Baratta suggerisce, in seguito alla sua ricostruzione dell’evento basata sui documenti e riportata nel I Terremoti d’Italia che il terremoto sia stato costituito di più scosse singole in successione. Lo stesso Racioppi scrisse che «Il giorno 16 dicembre 1857 [...] già eran tutti a giacere, secondo il costume della provincia, quando poco oltre a 5 ore della notte[5] una prima e violenta scossa ci sbalza esterefatti dal letto; e nel cieco spavento del brancolanti nel buio a covrirsi di un cencio, ad accendere un lume, una seconda, feroce, fischiante e prolungata per 30 secondi, accese il cielo a sanguine fiamme, commosse a sbalzo la terra, agitò l’aere a fremito».[6]
Graziano Ferrari afferma[7] lo scatenarsi di una terza scossa a circa un’ora di distanza dalla prima. Dalle fonti storiche si desume inoltre che il mese di dicembre venne contrassegnato dalla successione di circa un centinaio di scosse, le quali si propagarono fino al maggio 1859. Limitandoci all’analisi dei primi tremori tellurici del 16 dicembre possiamo osservare, in accordo con i dati riportati dallo studio di Guidoboni e Ferrari[8], i disastrosi effetti del terremoto: in una superficie che si estende per circa 20.000 km2 e che comprende 180 località vennero contate, secondo le stime ufficiali[9], 10.939 vittime[10], nonché la distruzione pressoché totale, all’interno di un’area di 3.150 km2, di interi paesi e villaggi[11]. I danni maggiori vennero riportati dai paesi di Montemurro e Grumento Nuova, i quali, oltre alla quasi totale distruzione di case ed edifici, si videro sottrarre in pochi istanti rispettivamente il 75% (circa 6000 persone) ed il 50% della popolazione[12].
Gizzi e Masini cercano di ricostruire i danni riportati a Potenza prendendo in considerazione documenti inediti. Si nota come anche la città subì danni considerevoli[13], causati soprattutto della vulnerabilità degli edifici. Annalisa Sannino afferma che la commissione incaricata di riedificare le case danneggiate dal terremoto sottolineò come le abitazioni che subirono le rotture maggiori fossero quelle più vecchie e con crepe preesistenti[14]. A tal proposito Gizzi e Masini affermano che «after the earthquake, no work was undertaken toward systematically strengthening the buildings, due in part to the house owners’ poverty. Thus, the stronger 1857 earthquake happened at a time of structural vulnerability»[15]. Anche Racioppi, nella sua ricostruzione degli eventi, mette in evidenza i problemi legati alla grande vulnerabilità degli edifici ed alla loro costruzione su terreni sdrucciolevoli: «Questo al paese mal fermo suolo di creta in balia de’ torrenti che poco a poco sel portano via, il disacconcio materiale, onde erano murati gli edifizii, e il campare di quest’essi nell’alto su d’instabili basi, poiché non era dato distendersi di fianco ad abitarvi il popolo crescente, spiegano in parte come totalmente andò subissato dal recente tremuoto. Il quale dire che tutto abbia adequato al suolo è dir tutto; se gli è poco alla fantasia di chi mai non ebbe a spettacolo di simili scene». [16]
Negli scritti sui terremoti della metà del XIX secolo si nota, a differenza di quelli precedenti, come l’interesse degli studiosi si fosse spostato da una ricerca della spiegazione della causa fisica del fenomeno ad una analisi degli strati del terreno sui quali sono costruite le città. Gli intellettuali del tempo riacquistano la consapevolezza del bisogno di conoscere la conformazione geologica del suolo per poter trarre delle spiegazioni ragionevoli del fenomeno. L’analisi del suolo di un determinato paese e il confronto con il suolo dei paesi vicini[17], il controllo approfondito del materiale di costruzione dei fabbricati e l’indagine sulla cura con la quale gli edifici vennero rinnovati e restaurati[18] permetteva di trarre conclusioni in vista di una futura prevenzione.
Il secolo dei Lumi era ormai finito da tempo e nei trattati di metà Ottocento non si trovava più traccia dello scontro dicotomico tra il continuum naturale e il discontinuo per eccellenza che è il terremoto. Inoltre, era pressoché assente l’azione divina come causa del terremoto[19]. Le ipotesi deduttive lasciarono il posto ad uno studio geologico rigorosamente scientifico. Tale approccio venne incoraggiato dagli studiosi d’oltralpe ed ottenne il risultato di stimolare i ricercatori italiani, che ritornarono con maggior rigore ad analizzare il fenomeno. La grande impressione suscitata negli intellettuali italiani ed europei li spinse, in modo inedito rispetto agli episodi precedenti, ad indagare il fenomeno “sul campo”, così da poter raccogliere e catalogare il maggior numero possibile di dati, «con la fiducia che prima o poi si sarebbe arrivati a comprendere i motivi scatenanti del fenomeno sismico e a provvederne l’evoluzione»[20]. Gli intellettuali di metà Ottocento che si cimentarono nell’analisi dei vari aspetti del terremoto lucano non si limitarono a cercare soluzioni edilizie che potessero arginare il problema del crollo degli edifici, ma unirono questa ricerca all’analisi eziologica del fenomeno, consapevoli dei limiti delle conoscenze del loro tempo. Gli scienziati iniziavano a manifestare un forte realismo intellettuale, e, nei campi in cui non sentivano di avere le conoscenze adeguate, si limitarono a rinviare agli studiosi futuri.

2. L’intervento dello stato e gli aiuti dall’estero

Le rovine di Pertosa in una fotografia di Alphonse Bernoud

Le rovine di Pertosa in una fotografia di Alphonse Bernoud

Nel I terremoti della storia, Ferrari mette in luce come l’aiuto dei Borbone nelle aree colpite dal sisma, diversamente da quanto sostenuto negli scritti favorevoli al governo nei quali si presentarono interventi sostanziosi in aiuto delle popolazioni lucane, fu in realtà inconsistente, in certi casi addirittura dannoso[21]. Guidoboni e Ferrari[22] mostrano come le prime comunicazioni, in seguito alla rottura del telegrafo elettrico, arrivarono solamente fino a Salerno cosicché per molti giorni i sopravvissuti rimasero isolati e privi di soccorso. A marzo inoltrato l’Intendenza di Basilicata annunciò che, a tre mesi di distanza dal terremoto, il problema della sepoltura dei cadaveri non era ancora stato risolto. I corpi in decomposizione, ancora intrappolati tra le macerie, erano un dato sufficiente a far comprendere la reale portata dell’aiuto del Regno di Napoli. Il popolo rimase per diversi giorni in attesa, rassegnato all’abbandono governativo e bloccato dall’interpretazione religiosa e superstiziosa del terremoto: interpretazione che si tramutava nella costante preghiera collettiva. Intanto, mentre il popolo si lamentava per il mancato sostegno da parte dei Borboni e nelle campagne la mancata ripartizione dei terreni demaniali generava disaffezione tra i contadini, nelle città i briganti approfittavano della situazione creatasi. La polemica sul mancato intervento statale nel post-terremoto si estese anche all’estero, da dove arrivarono le critiche peggiori: i Borboni furono accusati di essere un potere capace soltanto di produrre ingiustizia e oscurantismo culturale. Le notizie sul numero dei morti e sulla gravità dei danni che giunsero fino all’Europa colta, e in particolare in Inghilterra, permisero anche l’organizzazione di spedizioni di studio e di aiuto umanitario verso l’Italia meridionale. Guidoboni e Ferrari evidenziano l’importanza degli aiuti privati portati dal protestante inglese Teofilo Roller assieme al conterraneo Mr. Major. Roller, in seguito ad una esplorazione delle zone devastate dal sisma, fornì una drammatica descrizione di Montemurro: «Arrivati molto tempo dopo il disastro [nel febbraio 1858], i soldati hanno costruito due o tre capanne [le fonti ufficiali ne dichiaravano 426], è vero, ma le autorità le hanno impiegate a loro proprio uso. In quanto alla popolazione, non ne sono affatto preoccupati, sotto lo stesso pretesto che essa era tutta sotto terra, e che 5.000 abitanti erano morti sui 7.500 che contava la città. Questa cifra è spaventosa, ma dolorosamente vera, ciò che è vero altresì, è il modo con cui le autorità e la truppa han reso gli ultimi doveri ai morti, e soccorso i vivi. Di quelle 5.000 vittime, 2.000 appena sono state tratte da quel cimitero».[23]
Il territorio lucano era isolato rispetto alle grandi linee di traffico mercantile in età moderna, tanto da renderlo marginale agli occhi del governo napoletano. Nonostante l’inadempienza borbonica è necessario ammettere, come si legge nel Great Neapolitan Earthquake of 1857 di Mallet, che la difficoltà a raggiungere i luoghi colpiti dal sisma rese complicati gli interventi ed le prime riparazioni.
I dati ottenuti dai rilievi di Cianciarulo[24] in territorio lucano mostrano un grande incremento del numero di abitazioni nel periodo successivo al 1857, nonostante le malattie e la carestia avessero provocato l’abbandono del paese da parte di numerosi sopravvissuti. Se la Basilicata era un territorio molto povero e la ricostruzione delle città era resa impossibile dallo scarso aiuto statale, come fece ad avere una crescita nel numero di costruzioni nel post-terremoto? Come prima cosa i lucani erano ormai abituati a vedere il proprio paese distrutto e a ricostruire da soli le loro case. Inoltre, dai risultati dello studio di Cianciarulo, si deduce che la notevole attività di ricostruzione urbanistica riscontrata in molti centri abitati fosse stata fomentata anche da coloro che «accorsero man mano da prossimi e men guasti paesi, e da lontani, quasi legioni di ogni sorta operai»[25]. A tal proposito Alliegro[26], parlando del paese di Viggiano, sito in territorio potentino, evidenzia come numerosi espatriati tornarono al paese natio e riedificarono le abitazioni della loro famiglia con il proprio denaro. Lo stato borbonico non era in grado di fornire gli aiuti necessari. Fortunatamente gli esuli ritornati in patria, gli studiosi in cerca di risposte o i viaggiatori guidati da spirito altruistico, principalmente inglesi, riuscirono a portare qualche aiuto a quelle terre martoriate.

3. Dickens, Major e la filantropia inglese

Una pratica assai sviluppata nel Settecento, come abbiamo visto per Goethe, era il Grand Tour, che portò molti studiosi ad abbandonare temporaneamente la cattedra per viaggiare e conoscere popoli differenti, confrontandosi con la loro alterità ideologica e culturale. Dagli inizi del Seicento la meta principale, che via via consolidò il proprio primato, fu l’Italia: «Nella varietà, due costanti sembrano comunque imporsi su altre: innanzitutto l’idea di un Grand Tour che a un certo punto fa rotta quasi esclusiva sull’Italia, e poi l’evidenza di un fenomeno che diventa progressivamente una questione inglese».[27]
Giuliana Arena[28] espone l’importanza di tale viaggio per la divulgazione della situazione dei terremotati della Basilicata e il valore di Major per gli aiuti concreti portati nel territorio. Infatti, oltre alla scrittura di romanzi, Dickens fondò e diresse, tra il 1850 ed il 1859, la rivista “Household Words”, nella quale pubblicò l’articolo Earthquake Experiences[29], che trattava del terremoto della Basilicata. L’apporto di Dickens nella diffusione delle notizie relative a quell’evento si rivelò fondamentale per la conoscenza dei bisogni impellenti nel Meridione, permettendo la formazione di iniziative di aiuto e di supporto ai terremotati. Nell’articolo emerge il background culturale della Londra ottocentesca, caratterizzato dal desiderio di evasione e dallo spirito di intervento umanitario: «Il viaggio degli inglesi in Italia compiuto for learning and pleasure e con implicazioni culturali e conseguenze storiche»[30] diveniva la motivazione ideale per unire la volontà di viaggiare verso terre ignote con il bisogno di dar voce al proprio spirito altruistico. In questo contesto si inseriscono le vicende di Mr. Major, un filantropo inglese residente a Napoli che decise di visitare i luoghi del sisma per portare aiuto. Otre agli attacchi espliciti indirizzati all’amministrazione centrale di Napoli, egli mosse delle critiche ai ministri del culto cattolico locali e ai fedeli, descrivendoli come avari ed incapaci di ricevere in modo adeguato i soccorsi gratuiti provenienti dall’esterno[31]. Nonostante Major metta in luce l’arretratezza dei popoli dell’Italia meridionale che incontrò durante i due mesi di permanenza nei territori colpiti – arretratezza riscontrata sia in rapporto al credo religioso che delle superstizioni[32], ma anche nell’economia e nei mezzi di trasporto[33] – la critica maggiore la rivolse al governo dei Borboni. Secondo il filantropo inglese fu tale governo a determinare gli esiti negativi nella gestione del post-terremoto. Dopo essere rientrato in Inghilterra per cercare sostentamento alla sua impresa caritatevole, Major tornò in Italia nel 1859, ma non poté far altro che notare, con grande dispiacere, che la situazione era rimasta immutata e forse peggiorata rispetto a due anni prima: «Ho ritrovato il paese nello stesso abbandono che all’indomani del terremoto. […] Le nostre limosine non hanno potuto essere che una goccia d’acqua nel deserto. Nessuno vi ha aggiunto niente. […] Una cosa soltanto mi è sembrata nuova, si è lo spaventevole accrescimento della miseria. I lembi dei vestimenti, che ciascuno aveva tratto da sotto le pietre, son consumati. Le ultime risorse della maggior parte son completamente esaurite. L’annata ha mal riparato alle perdite sofferte, imperocché il raccolto è stato molto scarso, come sapete, ed i piccoli proprietari continuano ad essere in mag­gior imbarazzo dei lavoratori. La carestia del pane ha ridotto una parte della popolazione alle ultime estremità»[34].
Durante quel periodo Major incontrò Robert Mallet, uno studioso di geologia giunto dall’Irlanda per osservare da vicino gli effetti del terremoto. In un tempo in cui gli studiosi anglosassoni imperavano in ambito scientifico ed avevano la possibilità di viaggiare per verificare le loro conoscenze, il terremoto del 1857 presentava un terreno fertile per sottoporre a controllo le più moderne conoscenze scientifiche e gli strumenti più all’avanguardia: l’esperienza di Mallet e la fotografia furono forse i due esempi più significativi.

4. Mallet e la nascita della sismologia

Robert Mallet

Robert Mallet

Le prime relazioni sugli avvenimenti di Basilicata vennero pubblicate su tutte le testate giornalistiche europee più importanti. Il Times riportò le prime notizie, mentre lIllustrated London News a Londra e L’Illustration a Parigi presentarono le prime immagini dei paesaggi devastati dal sisma. La notizia dei disastri fornì a Mallet, ingegnere e presidente della Irish Geological Society di Dublino, la possibilità di testare “sul campo” le sue teorie riguardo gli effetti delle onde sismiche sugli edifici e sulla loro propagazione nei terreni in relazione alla loro particolare struttura geologica. Il geologo irlandese chiese alla Royal Society un finanziamento di 150 sterline per raggiungere le zone terremotate così da riuscire ad acquisire le informazioni fondamentali per il suo studio e a riportarle in patria per discuterne con i colleghi. Il presidente della Royal Society accettò la proposta e Mallet partì per Napoli il 27 gennaio 1858. Giunto nella città partenopea, mentre aspettava l’autorizzazione del governo borbonico per poter proseguire nel suo viaggio, lo studioso irlandese vide delle foto scattate dal fotografo francese Alphonse Bernoud, il quale aveva visitato i paesi devastati per documentarne le condizioni, immortalandoli con l’uso della moderna tecnica fotografica: si trattava del primo reportage di un terremoto della storia[35]. Le foto venivano messe in vendita da Bernoud ed il ricavato distribuito in parte ai paesi della Basilicata. Sempre durante il soggiorno napoletano Mallet incontrò il fisico Luigi Palmieri ed il mineralogista, geologo e vulcanologo Arcangelo Scacchi, che gli dispensarono preziosi consigli per il proseguo del suo viaggio. Inoltre, egli si mise in contatto col fotografo Claude Grillet, con il quale prese accordi per una spedizione fotografica nei territori che avrebbe ritenuto degni di nota alla fine della sua ricognizione. Dopo aver spedito delle lettere ufficiali alle autorità delle zone che intendeva visitare, con la richiesta di ricevere gli aiuti necessari, l’ingegnere partì verso i luoghi devastati dal sisma. Durante il viaggio[36], che durò 15 giorni e nel quale percorse 500 chilometri lungo strade rese impraticabili dal terremoto[37], prese nota dei paesaggi incontrati e dei differenti ambienti geologici, raccolse notizie dalle genti locali e disegnò, con dovizia di particolari e con l’apporto di misure accurate, le conformazioni assunte dagli edifici accidentati dalle scosse. L’intento principale era quello di studiare la propagazione dell’onda sismica e di individuare il centro focale del terremoto. Lo riconobbe «al disotto della superficie terrestre a nord e a sud del grande gruppo montuoso di Muro e Bella, nel punto in cui, cioè, le catene appenniniche settentrionali e meridionali si incrociano con quelle orientali e occidentali»[38]. Dallo studio già citato di Valensise, Burrato e Vannoli comprendiamo come Mallet ideò un approccio che gli permetteva di «determinare l’epicentro come il punto di incontro di una serie di linee ideali tracciate lungo il prolungamento della direzione di caduta di manufatti»[39]. Il metodo delineato dall’ingegnere irlandese ebbe ampio seguito, tanto da venire utilizzato fino al 1915, per venire poi sostituito da procedimenti esclusivamente strumentali.
A differenza degli approcci di scienziati e naturalisti precedenti, che si limitavano quasi esclusivamente ad una corrispondenza con gli intellettuali dei luoghi martoriati, la novità rilevante portata dallo studioso irlandese fu l’ “analisi sul posto”, che permetteva di raccogliere le testimonianze dei locali e di osservare direttamente gli effetti delle onde sismiche sul suolo e sugli edifici. L’analisi del terremoto veniva così rinnovata sul piano metodologico, aprendo una nuova era dello studio sismologico e geologico. La descrizione fisico-matematica degli effetti del movimento tellurico veniva accompagna all’interesse e alla narrazione dei magnifici paesaggi e delle vicende umane, alternando esposizioni geologiche con racconti inerenti le storie drammatiche delle persone conosciute durante il viaggio. Il resoconto pubblicato nel 1862 rappresenta così la perfetta unione di una scrittura matematico-scientifica e letteraria, mettendo in mostra gli aspetti antropologici, culturali e sociali della zona lucano-salernitana. Inoltre, il rapporto consegnato da Mallet alla Royal Society era valorizzato da 156 fotografie; un’arte nascente, quella della fotografia, che fece abbandonare in poco tempo l’utilizzo della pittura per la rappresentazione dei terremoti. Si perdevano in questo modo la molteplicità dei simbolismi utilizzati dagli artisti per arricchire di significati intrinseci le proprie opere, ma lo spirito scientifico del movimento del Positivismo, che dalla prima metà del secolo dominava le menti degli intellettuali europei, necessitava ormai della perfezione riproduttiva che solamente lo scatto fotografico riusciva a dare. In quest’Europa sempre più alla ricerca di dati oggettivi e di risposte valide ai propri interrogativi, il Great Neapolitan earthquake of 1857, grazie alla sua minuziosa descrizione degli effetti del fenomeno, costituì un pilastro fondamentale per lo studio dei terremoti, uno studio che a partire dal 1862 iniziò ad essere chiamato “sismologia”, termine coniato da Mallet stesso.

Note

[1] G. Racioppi, Sui tremuoti della Basilicata nel Dicembre 1857, memoria di Giacopo Racioppi, Estratto dal Giornale l’Iride Anno II N. 41, Stabilimento Tipografico della Gazzetta dei Tribunali, Napoli, 1858, p. 3.
[2] Come mettono in luce G. Valensise, P. Burrato e P. Vannoli in un loro studio pubblicato on-line dal titolo La geologia dei terremoti: Il terremoto della Val d’Agri del 16 dicembre 1857, storia e geologia si interrogano per comprendere un grande terremoto di epoca pre-strumentale, https://ingvterremoti.wordpress.com/2015/03/12/
[3] Questa lettera presenta le prime informazioni sul terremoto scritte e divulgate.
[4] A. Branno, E. Esposito, A. Murturano, S. Porfido, V. Rinaldis, Studio, su base macrosismica dei terremoto della Basilicata del 16 dicembre 1857, Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli, Napoli, 1983, pp. 249-338.
[5] Qui l’autore precisa in nota «Cinque ore e 12 minuti: a questa ora precisa si fermò di botto un orologio a pendolo, come se franto allo scotimento l’intatto congegno». Mallet, al contrario di Racioppi, indicherà le 5.22 poiché, durante il suo viaggio, visitò la città medievale di Atella e vide nell’orologio della chiesa cittadine le lancette ferme alle ore 5.22 del 16 dicembre.
[6] G. Racioppi, Sui tremuoti della Basilicata nel Dicembre 1857, p.8.
[7] Nell’articolo pubblicato on-line di G. Ferrari, I terremoti nella storia: il terremoto del 16 dicembre 1857 in Basilicata, uno dei più distruttivi della storia sismica italiana. https://ingvterremoti.wordpress.com/2014/12/16/
[8] E. Guidoboni, G. Ferrari, Il grande terremoto del 16 dicembre 1857 e gli effetti di altri eventi sismici nel Vallo di Diano e nella Val d’Agri, in G. Ferrari 2004-2009, vol. 1, pp. 111-186. Vedi anche lo studio pubblicato on-line di E. Guidoboni, G. Ferrari, D. Mariotti, A. Comastri, G. Tarabusi, G. Valensise, Catalogue of Strong Earthquakes in Italy (461 B.C.-1997) and Mediterranean Area (760 B.C.-1500), An Advanced Laboratory of Historical Seismology, INGV-SGA. http://storing.ingv.it/cfti4med/
[9] Stime non ufficiali, ma probabilmente più veritiere avvicinano a 19.000 il numero dei morti.
[10] Di cui 9.732 nella provincia di Potenza e altre 1.207 a Salerno e nel territorio circostante.
[11] Si stima la distruzione di circa 6.000 tra edifici e case, di cui 3.313 completamente distrutte e 2.786 pericolanti.
[12] Dati ricavati dal Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1990, a cura di E. Boschi, G. Ferrari, P. Gasperini, g. Valensise, ING-SGA, Bologna, 1997.
[13] Uno studio approfondito sul rapporto storico tra Potenza ed i terremoti è l’Historical earthquakes and damage patterns in Potenza (Basilicata, Southern Italy), in Annals of Geophysics, Vol. 50, N. 5, October 2007, a cura di F. T. Gizzi e N. Masini. Delle testimonianze storiche sulle condizioni di Potenza nel post-terremoto si leggono in Tomacelli: «Potenza sfracellò sotto il proprio peso quasi tutta; tetti sfondati, muraglia rotte e cadenti [...] chiese e palagi parte sprofondati», Cfr. C. Tomacelli, Memorie storiche intorno la vita dell’eminentissimo e reverendissimo principe Sisto Riario Sforza, cardinale prete della S.R.C., del titolo di Santa Sabina arcivescovo, Stamp. di L. de Bonis, Napoli, 1892. Ma anche secondo R. Mallet: «The damage done was very diffused over every part of the town, though greatest upon the free lying flanks, to the east, west, and N.W., and many buildings are prostrated or fractured», Cfr. R. Mallet, The Great Neapolitan Earthquake of 1857, the first principles of observational seismology, London, 2 voll., 1862.
[14] Cfr. A. L. Sannino Cuomo, Territorio e Popolazione a Potenza nell’Età Moderna, Edizione di Storia e Letteratura, Roma, 1990.
[15] F. T. Gizzi e N. Masini, Historical earthquakes and damage patterns in Potenza (Basilicata, Southern Italy), in Annals of Geophysics, Vol. 50, N. 5, October 2007, Istituto per I Beni Archeologici e Monumentali, CNR, Area della Ricerca di Potenza, Tito Scalo (PZ), Italy, p. 679.
[16] Racioppi continua a proposito di Montemurro: «Posto sul declinar della pendice che digrada alla fiumana, assiso ad un buon miglio da questa su banchi di plastica argilla, che covre strati di pietra arenaria, era stretto ai due fianchi da due torrenti, che per lenta guerra al suolo cretoso scavarono a sé altissime ripe, e assottigliarono di anno in anno il fil d’inferma terra, su cui sedeva il caseggiato. Questi torrenti, che il corrodevano alla base, eran causa di sfranamento al terreno circostante, quando alle acque invernali l’argilla si venia rammollendo: sicché al mancar della base la schiena tra’ due fossati si ricalcava, e crepacci e screpolature e strapiombi apparivano alle fabbriche del mal fondato paese. [...] lo sfranamento del terreno, avvallandosi come di taglio, avea restato a nudo, ludibrio del vento e della pioggia, le ammassate reliquie dei cadaveri quivi deposti. [...] [in seguito al terremoto] tre soli edifizii rimangono in piedi, ma laceri e sconnessi, sull’alto del già affittito paese, là dove strati di pietra arenaria dànno più salda base alle fondamenta.», G. Racioppi, Sui tremuoti della Basilicata nel Dicembre 1857, pp. 10-11.
[17] «Ai dotti cui a descrivere la miseranda storia del gran flagello piacerà di investigare per le desolate regioni la costituzione geologica del suolo o la meccanica disposizione delle rocce, [...] E parrà certamente di speciale osservazione degno questo fenomeno di Moliterno, che tra gli otto scrollati paesi del vallo di Marsico è l’unico illeso; e prossimo a due miglia da Saponara, ad uno da Sarconi, a sette da Montemurro. Posto quasi a vedetta su di un colle, che è delle ultime ondulazioni dell’Appennino diramatesi nelle Calabrie, la stessa linea, forma, altezza e composizione mostrano a chiare note esso colle della stessa formazione ovvero epoca di quello, ove è sita Saponara. La stessa pietra bruno-calcarea e compatta, la stessa terra di un rosso ocraceo è ai due colli: qual dunque troverà differenza geologica la scienza de’ dotti, che a noi però manca? Più lungi Montemurro posava su strati di pietra arenaria ricoperta di plastica argilla; Spinoso, ad esso di fronte, sulla stessa qualità di strati, (di che è il fondo della pianura dell’Agri); e il primo non è più, l’altro è ben guasto sì, ma è ancora un paese. Nel terremoto di Melfi troppo forse corrive osservazioni asserirono, che più soffersero i paesi posti su strati di formazione vulcanica, e meno quelli, benché prossimi a Melfi, di formazione calcarea-appenninica. Oggi in questo vallo cotesta legge, se pure è legge, non sta. Son di calcarea formazione questi colli ove seggono Saponara e Viggiano; non è certo vulcanica l’arenaria di Montemurro; è calcarea senza dubbio la base dello scrollato Castel Saraceno [...] Di carbonato calcareo, che si accosta al marmo, è la bellissima pietra, ondeè gravido l’Appennino di Sala e Padula; e quella è illesa, questa non è. Ben altre saran dunque le condizioni che propagano il fenomeno nell’ordine geologico», Ivi, pp. 20-22.
[18] «Ai cui miserandi effetti non mi parrebbe esatto se altri intendesse di non considerare altresì le condizioni architettoniche de’ caseggiati. [...] Ottimo cemento, acconcio materiale alle costruzioni muratorie, suolo saldissimo, cura sollecita, ed assidua negli agiati abitatori di ristaurarne e rinnovarne gli edifizii, sono condizioni favorevoli, che l’osservatore troverà nell’abitato di Moliterno; e non punto nei paesi del Vallo scrolati; ove le pietre eran ciottoli di fiume, o agglomerata arenaria, o fragile schisto, ed ibrida specie di cemento, e poca o punto la cura negli abitanti di andarle cogli anni instaurando o riparando. Or dato un urto di egual intensità non sarà la varia resistenza degli edifizii in ragione di loro solidità? E furono i guasti in ragione della solidità, dell’altezza e dell’età degli edifizii. Per età le recentissime e le vetustissime, per altezza i più elevati soffrirono o si sfasciarono. Fu la solidità in ragione del terreno sodo, delle basi fonde, del materiale adatto, del peso gravitante, delle riparazioni annue, dell’isolamento maggiore o minore dell’edifizio», Ivi, pp. 22-23.
[19] L’aspetto religioso era ancora una caratteristica imperniata nel popolo, come si può leggere in Mallet: «Fu molto pe­noso testimoniare la sottomessa e paziente resistenza dei soprav­vissuti esposti alla terribile inclemenza delle locali notti invernali e la processione di donne e di bambini che portavano con sé alcune misere reliquie e mormoravano litanie alla Madonna con una triste disperazione nella voce», vedi R. Mallet, Il terremoto Napoletano del 1857, Primi principi di Sismolo­gia Osservazionale, E. Guidoboni, G. Ferrari (a cura di), SGA, Bologna, 1987., vol. 2, p. 85.
[20] Cfr. E. Guidoboni, Catalogue of Strong Earthquakes in Italy.
[21] Il rapporto tra il governo borbonico ed il terremoto fu da sempre problematico, ma in questo periodo di decadenza dev’essere stato ancora più difficoltoso: «Terremoto e cospirazione borbonica hanno proceduto quindi di pari passo, sì che il cataclisma può essere considerato come il banco di prova della burocrazia borbonica e come uno de­gli ultimi tentativi con cui la monarchia ha cercato di riacquistare una sua credibilità proprio nei confronti di quelle masse popolari tradizionalmente fedeli al trono», vedi A. Cestaro, Il terremoto del 1857 e la fondazione della “colonia agricola”, Ve­nosa, Edizioni Osanna, 1995, p. 27.
[22] Nel Mallet’s Macroseismic survey on the Neapolitan earthquake of 16th December, 1857, E. Guidoboni, G. Ferrari (a cura di), Bologna: SGA Storia Geofisica Ambiente, vol. 4, 1987.
[23] T. Roller, Il governo borbonico innanzi alla coscienza dell’umanità ossia i provvedimenti del governo nella tremenda catastrofe del Terremoto del 16 dicembre 1857, vol. 2, presentate in italiano dall’avv. D. A. Caldi., G. Morano, Napoli, 1862, in Ferrari G. I terremoti nella storia.
[24] E riportati in D. Cianciarulo, Il sisma del 1857 e la ricostruzione urbanistica di un centro lucano: L’applicazione dei GIS per lo studio dello sviluppo urbanistico di Viggiano (PZ), Atti del convegno “Geografie del Popolamento: casi di studio, metodi e teorie”, Grosseto 24-26 settembre 2008, C.S.
[25] G. Racioppi, Sui tremuoti della Basilicata nel Dicembre 1857, pp. 20.
[26] E. V. Alliegro, Il flautista magico. I musicanti di strada tra identità debole e rappresentazioni contradittorie (secc. XVIII-XIX), in Mélanges de l’École français de Rome, Tomo 115, 2003.
[27] R. Bonadei, I sensi del viaggio, Milano, FrancoAngeli s.r.l., 2007, p. 43.
[28] Nel suo Charles Dickens e il terremoto della Basilicata del 16 dicembre 1857, nella rivista Strumenti critici, il Mulino, Gennaio 2014, pp. 111-126.
[29] C. Dickens, Earthquake experiences, in Household Words: A Weekly Journal Conducted by Charles Dickens, Bradbury and Evans, London, (19 Dec 1857 to 12 Jun 1858, Nos 404–429), volume XVII n. 427 del 29 maggio 1858.
[30] R. Bonadei, I sensi del viaggio, p. 53.
[31] «My object was to distribute money, but so offended were the authorities at my undertaking to do it myself that, after the Syndic had given me a list of names, they left me unprotected, and told me that I might go into the church, and give the charity there. […] I was very ill received, and much neglected by all the civil local authorities. A huge fat priest met me in the church, and attempted to dis­suade me from taking the list which the Syndic gave me; […] I had distributed fifty ducats, according to the best of my judgment, and had placed twenty pias­tres on the ground by my side, when, all of a sudden, my fat clerical friend had got on my shoulders, and was making a long arm to get at my money. The people, too, like hungry dogs, were all crowding upon me, had pulled off my cravat in their greedy anxiety to get something, and had torn the buttons out of my shirt. […] I could not help reflecting, as I left Sarconi, what the Roman Catholic reli­gion had done for its inhabitant during fifteen centuries, and I told them, “You are fierce animals; you are not Christians”», C. Dickens, Earthquake Experiences, pp. 554-555.
[32] «If I were to describe the state of the population, I should say, that they are in a state of semi-barbarism; perhaps very similar to that of the English several cen­turies ago. […] As for the religion, it is a modified form of paganism: the worship of Venus under the figure of the Madonna», Ibidem.
[33] «The agricultural state of that part of the country, where I spent most of my time, was very bad and primitive. There were no olive nor fruit trees, but a good deal of grain was grown, and is exported from the province of Basili­cata. […] With the exception of the great road which runs through to Calakia, [sic] and on to Tarentum, there are no roads, and everything is transported on mules», C. Dickens, Ivi, p. 557.
[34] G. Ferrari, Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857, 2 voll., Bologna, SGA, 2004, vol. 1, p. 130.
[35] Molte delle foto erano corredate dalla presenza scenica di persone, ricordando l’usanza dei ritratti del terremoto nei quali erano presenti personaggi che rimandavano a significati simbolici oppure a disegni di studiosi che analizzavano il fenomeno nel momento in cui si manifestava.
[36] Lungo il tragitto, che lo portò a visitare molte città del Vallo di Diano e della Val d’Agri, mentre muoveva verso Viggiano, incontrò l’inglese Major, intento a soccorrere gli abitanti del paese. «Qui incontrai Mr. Major, un inglese che era arrivato fin qui nella zona terremotata con i suoi collaboratori per distribuire gli aiuti britannici che arrivavano da Napoli. Percorremmo così alcune miglia insieme verso Tramutola, dove io ero diretto, men­tre egli avrebbe proseguito alla volta di Viggiano» R. Mallet, Il terremoto del 16 dicembre 1857, trad. it., p. 286.
[37] Per muoversi nei territori a Sud di Napoli Mallet utilizzò delle carte geografiche, a questo proposito il saggio Le mappe della missione di Robert Mallet nelle aree del terremoto del 1857 di Vladimiro Valerio analizza le migliori mappe fisico-geografiche presenti all’epoca. Dallo studio emerge come, nonostante criticasse tutte le carte geografiche, le quali non tenevano in considerazione molti territori, «Mallet non potesse proprio disporre di nulla di meglio della carta di Rizzi Zannoni, sulla scorta della quale riuscì a realizzare le sue carte sismiche dell’area, come da egli stesso confermato in alcuni passi: “Prendiamo in considerazione la Mappa sismica A, ricavata della grande carta geografica delle Due Sicilie di Zannoni”» (R. Mallet, Il terremoto del 16 dicembre 1857. Primi principi di Sismolo­gia Osservazionale, trad. it. Bologna, SGA, 2004, vol. 2 p.421), vedi Le mappe della missione di Robert Mallet nelle aree del terremoto del 1857, V. Valerio, in Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857 L’opera di Robert Mallet nel contesto scientifico e ambientale attuale del Vallo di Diano e della Val d’Agri, G. Ferrari (a cura di), p.101.
[38] R. Mallet, Il terremoto del 16 dicembre 1857, p. 293.
[39] G. Valensise, P. Burrato e P. Vannoli, La geologia dei terremoti.