In libreria: Il sindacato che cambiò l’Europa

a cura di Alessandro Frigerio -

SovraccopertaCapire la Polonia contemporanea e la sua storia prescindendo dal ruolo della religione cattolica è un esercizio destinato a un sicuro fallimento. Perché in questo Paese dai confini sempre incerti e sempre discussi, dalle immense pianure su cui vicini bellicosi hanno avuto gioco facile a penetrare da ovest a est e viceversa, il cattolicesimo è sempre stato vissuto come un potente elemento dell’identità nazionale. Un inevitabile portato della storia se vogliamo, nel senso di una reazione necessaria alle spinte propulsive di matrice protestante provenienti dalla Mitteleuropa e da quelle ortodosse  di marca orientale.  Vincenzo Grienti, con questo agile volume, ripercorre un’ulteriore e feconda incarnazione della religiosità polacca nel seno della lotta per l’indipendenza e per la libertà della società. Cioè quella che si manifestò nel sindacato libero di Solidarnosc, che osò sfidare, nel 1980, dopo oltre un decennio di torpore della dissidenza in tutta l’area del blocco sovietico (cioè da Praga 1968), il potere costituito.
Grienti ripercorre la storia della Polonia nel secondo dopoguerra, ricostruendo in particolare il decennio che va dal 1978, anno dell’elezione papale del cardinale Karol Wojtyla, fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino. Le vicende del sindacato guidato da Lech Walesa si intrecciano quindi con il pontificato di Giovanni Paolo II e con l’intensa attività diplomatica della Santa Sede a favore della pace, del rispetto dei diritti umani e della dignità della persona.
Tutti impulsi e invocazioni che trovarono in Solidarnosc  una straordinaria sponda, politica, culturale e storica al tempo stesso. Perché attorno a quel sindacato si riunirono anche intellettuali laici o provenienti dall’area del marxismo critico, dando vita a un network trasversale alla società polacca degli anni ’80. In un obiettivo che vedeva la piena coincidenza tra la conquista dei diritti umani e l’affermazione della propria identità nazionale. Grande merito del sindacato guidato da Walesa fu quindi quello di riunire in un’unica figura il movimento operaio (in particolare quello delle acciaierie di Danzica, vera fucina di quella irripetibile stagione), con la richiesta di maggiore partecipazione democratica e di contemporanea  liberazione nazionale dalla cappa sovietico-comunista.
Nel volume, i fatti di cronaca trovano riscontro nelle fonti d’archivio, nei discorsi ufficiali, nei giornali dell’epoca e nei documenti declassificati. Vengono inoltre fornite risposte a numerose questioni che hanno oltrepassato i confini polacchi e investito l’Europa intera: le esortazioni di Giovanni Paolo II ai suoi connazionali in occasione del viaggio in Polonia del 1979 furono davvero all’origine del dissolvimento dei regimi comunisti dell’Est? La legge marziale imposta dal generale Jaruzelski nel 1981 fu la “soluzione interna” che scongiurò una nuova invasione della Polonia da parte dell’Unione Sovietica? Quale contributo diede l’Ostpolitik del cardinale Casaroli? Quale fu, in questo scenario, il ruolo della Germania occidentale con l’ascesa di Kohl? E quanto incisero questi fatti nella perestrojka e nella glasnost di Gorbacev?
Vincenzo Grienti, Operazione Solidarnosc. Dalla guerra fredda al nuovo ordine mondiale – Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2014, pp. 236, euro 20,0

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P. Ignazi, Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo –il Mulino, 2014, pp. 152, euro 13,00
Se è vero che in questi vent’anni i grandi progetti della costituzione di un partito liberal-conservatore, della modernizzazione del paese, e della rivoluzione liberale sono tutti falliti, è altrettanto vero che il ventennio berlusconiano ha lasciato una impronta profonda nella cultura politica e nella politica tout court del nostro paese. Vent’anni fa, la neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi usciva vincitrice dalle elezioni del 27-28 marzo 1994. Non è stata una fiammata episodica. Anzi. Il periodo che ci separa da quella data, fondativa del nuovo sistema partitico, è marcato dalla presenza del Cavaliere. Ripercorrendo le vicende politiche di questo periodo – ma anche degli anni Ottanta, che ne costituiscono l’incubazione – Ignazi mette in luce le origini del berlusconismo, i modi e le ragioni del suo dispiegarsi lungo un ventennio, i suoi punti di forza e di debolezza. Berlusconi si è posto al centro della scena politica grazie alle sue risorse, soprattutto nel campo della comunicazione, all’innovazione dei contenuti e dello stile, e alla balbettante reazione degli avversari. Ma il contenuto «rivoluzionario» della sua irruzione sulla scena politica in che modo ha modificato il sistema politico italiano? E quali esiti ha avuto? Siamo alla fine della parabola?

S. Falasca, Giovanni XXIII, in una carezza la rivoluzione – Rizzoli, 2014, pp. 206, euro 17,00
“Papa Giovanni ha vissuto una purificazione che gli ha permesso di distaccarsi completamente da se stesso e di aderire a Cristo, lasciando così emergere quella santità che la Chiesa ha poi ufficialmente riconosciuto.” Così Papa Francesco ha commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di Angelo Giuseppe Roncalli, l’uomo che il mondo ha imparato a conoscere e amare con il nome di Papa buono. Eppure la sua santità, avvertita nel cuore di tutti i fedeli fin dalle prime ore della sua morte, ha dovuto attendere ben cinquant’anni per ottenere l’approvazione della Chiesa. Giovanni XXIII è infatti il primo pontefice canonizzato pro gratia, non in presenza di un miracolo riconosciuto. Un evento eccezionale che Stefania Falasca racconta in questo libro, ripercorrendo la storia della sua causa e le motivazioni che hanno portato alla proclamazione della sua santità. Queste pagine dimostrano come la spiritualità e il messaggio di Papa Roncalli siano di grande attualità e rappresentino uno spartiacque del Novecento, una pietra miliare nel cammino della fede. L’esemplarità della sua vita e la fecondità del suo pontificato hanno arricchito i popoli di insegnamenti e gesti che oggi rappresentano le priorità della Chiesa. Un uomo che viene dal passato, eppure talmente contemporaneo da ispirare Papa Francesco, che dell’opera di Roncalli è custode e continuatore.

N. Ferguson, Il grido dei morti. La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo – Mondadori, 2014, pp. 590, euro 26,00
Porta d’accesso al “secolo breve”, guerra che avrebbe dovuto porre fine a tutte le guerre, “inutile strage”: il primo conflitto mondiale fu una tragedia che costò la vita a oltre nove milioni di persone. La Grande guerra fu lo sbocco finale della corsa agli armamenti perseguita dalle principali potenze europee (in particolare dalla Germania), il frutto avvelenato dell’imperialismo. Ma davvero il Reich tedesco rappresentava una minaccia per l’ordine e la stabilità dell’Europa? Davvero si trattò di un conflitto inevitabile? A queste e altre domande risponde lo storico Niall Ferguson. Muovendosi in una interdisciplinare “terra di nessuno”, confrontando dati economici e finanziari, rileggendo i testi dei “poeti di guerra”, gli articoli dei principali quotidiani dell’epoca, come pure i libri di memorie o i documenti diplomatici, Ferguson fa piazza pulita di tanti miti e luoghi comuni e solleva questioni cruciali che intaccano alla radice la nostra percezione e conoscenza della prima guerra mondiale: è vero che l’opinione pubblica accolse la guerra con entusiasmo? Chi vinse la pace, o meglio, a chi toccò di pagare il prezzo della guerra? E soprattutto: ne valse la pena? Alla fine “Il grido dei morti”, nelle sue conclusioni, ci consegna un’unica, terribile verità: la prima guerra mondiale non fu soltanto una tragedia. Fu il più grave errore della storia moderna.

G. Breccia, Le guerre afgane – il Mulino, 2014, pp. 192, euro 13,00
Dal «Grande gioco» degli imperi ottocenteschi, che ha contrapposto Gran Bretagna e Russia, fino alla «Guerra contro il terrorismo» iniziata dagli Stati Uniti col sostegno della coalizione internazionale nel 2001: due secoli di conflitti nell’inospitale quanto strategico cuore dell’Asia Centrale, nel corso dei quali sono emersi spesso i lati più oscuri della politica delle grandi potenze coinvolte nella «selvaggia terra degli afgani».

G. Monsagrati, Roma senza il Papa. La Repubblica romana del 1849 – Laterza, 2014, pp. 252, euro 20,00
Roma 1849. Incalzato dal ribellismo dei sudditi, papa Pio IX si rifugia a Gaeta e chiede l’intervento armato delle potenze cattoliche per tornare sul trono. Nel frattempo lo Stato papale si trasforma: a gennaio chiama al voto l’elettorato maschile e convoca l’assemblea costituente. Il 9 febbraio i deputati appena eletti proclamano la nascita della Repubblica romana. È un’esperienza di democrazia avanzata, che chiama a raccolta tutti i maggiori esponenti del patriottismo italiano, impegnando nella difesa volontari delle più varie tendenze ideologiche e delle più diverse provenienze geografiche. A tenerli insieme è la personalità di alcuni capi: Mazzini, per ciò che concerne il profilo politico, Garibaldi e Pisacane per l’organizzazione militare, Mameli come espressione dell’ansia di rinnovamento dell’ultima generazione. Benché raccontata tante volte dai contemporanei e fatta oggetto di molte ricerche storiche, la Repubblica romana del ’49 ha sempre qualcosa di nuovo da dire. La si è vista spesso nella sua dimensione locale, ma è la natura stessa di sede del cattolicesimo universale a metterla al centro degli interessi internazionali. Considerata come un esempio circoscritto dello spirito di rivolta dei popoli dello Stato pontificio, offre invece un punto di raccolta a rivoluzionari anche stranieri, esprime con la sua Costituzione una rilevante sapienza giuridica e propone forme nuove di violenza urbana, senza escludere le donne, chiamate per la prima volta a una presenza non solo simbolica nelle fasi più cruente della lotta. È ricerca di una patria, ma è soprattutto aspirazione alla libertà. E nuovo è anche il riformismo sociale che caratterizza l’attività di governo, causa non ultima della risolutezza con cui le potenze europee, perfino quelle non cattoliche, accettano la repressione.

C. Mann, I gladiatori – il Mulino, 2014, pp. 140, euro 12,00
Il libro racconta, al di là dei cliché e del folklore, com’era davvero la vita dei gladiatori: il loro posto nella società, l’addestramento, come erano equipaggiati, il trattamento economico, la quotidianità. Non erano lottatori sanguinari, ma combattenti che duellavano ad alto livello tecnico. Così pure lo spettacolo circense dei gladiatori non era un intrattenimento puramente ludico (secondo il famoso detto «Panem et circenses»): il circo, dove le masse si trovano insieme all’imperatore, emerge come il luogo dove si manifesta la forza popolare.