IL SECONDO TRATTATO NAVALE DI LONDRA

di Mario Veronesi -

Sottoscritto a Londra nel marzo 1936 per limitare la corsa agli armamenti delle grandi potenze, di fatto nacque monco a causa della mancata adesione di Italia e Giappone. Numerose deroghe al testo vanificarono poi la portata dell’accordo.

I lavori della conferenza, nei primi mesi del 1936

I lavori della conferenza nei primi mesi del 1936

Il trattato navale di Londra del 1936, a differenza dei precedenti trattati di Washington del 1922 e Londra del 1930, conteneva soltanto vincoli qualitativi, definiva le caratteristiche massime di tonnellaggio e di armamento per i diversi tipi di unità che compongono le flotte, ma non prevedeva alcun vincolo quantitativo. Lo firmarono Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Canada, Australia, Nuova Zelanda e India.
Per mitigare la tendenza al riarmo navale, la Gran Bretagna aveva cercato di estendere il trattato a tutte le altre principali potenze. Il Giappone era intervenuto alla conferenza, ma l’aveva abbandonata, non riuscendo a far accettare ai due paesi anglofoni un limite superiore comune per le flotte delle principali marine. Questa richiesta, avanzata sulla base della teorica minaccia e aggressione per tutti, trovò un’insuperabile resistenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. L’impero inglese, esteso in gran parte del mondo, aveva sposato una tesi inconciliabile con quella giapponese, i cui possedimenti erano invece estremamente concentrati.
Il ritiro del Giappone rese di fatto monco il trattato. Infatti, mentre l’articolo 4 fissava a 35.000 il tonnellaggio massimo delle navi di linea ed a 356 mm il massimo calibro, fu aggiunta a richiesta dagli Stati Uniti la clausola che, se entro il 1° aprile 1937 le cinque principali potenze navali non si fossero impegnate ad adottare il calibro 356 mm, sarebbe stato ammesso automaticamente come calibro massimo quello di 406 mm.
L’Italia pur avendo partecipato attivamente ai lavori della conferenza, non sottoscrisse l’accordo a causa della situazione politica determinatasi durante la guerra con l’Etiopia. Successivamente, in risposta alla domanda rivoltale dalla Gran Bretagna, aderì al trattato il 9 gennaio 1937 ed accettò per le future navi il calibro massimo di 356 mm. La mancata adesione di una delle principali potenze navali del mondo fece lievitare dal 1° aprile del 1937 il calibro a 406 mm.

US_warships_entering_Lingayen_Gulf_1945Le trattative con Germania e Unione Sovietica furono lunghe e laboriose. Trattandosi di accordi bilaterali apparve naturale che il Reich – già legato dagli accordi Hoare-Ribbentrop del 1935 nel limitare lo sviluppo della propria Marina al 35% del tonnellaggio globale di tutta la flotta dell’impero inglese – prima di aderire a legami qualitativi volesse assicurarsi che un identico impegno sarebbe stato assunto dall’altra grande potenza navale baltica, l’Unione Sovietica. Gli accordi anglo-tedesco e anglo-sovietico, firmati il 17 luglio 1937, contenevano quasi tutti gli articoli del trattato navale firmato a Londra nel marzo dell’anno precedente, ma con alcune varianti.
La prima e più importante si riferiva alla libertà concessa all’URSS per quanto riguarda le sue forze navali dell’Estremo Oriente. L’Unione Sovietica non poteva prendere iniziative, ma aveva la facoltà di derogare ai limiti qualora il Giappone avesse per primo dato corso a costruzioni al di fuori del trattato di Londra. Tuttavia, all’URSS era vietato l’impiego in mari diversi da quelli dell’Estremo Oriente delle navi con caratteristiche eccedenti quelle contemplate nell’accordo.
La seconda variante si riferiva alle caratteristiche massime fissate per gli incrociatori. Dato che l’URSS non possedeva alcuna unità tipo Washington (10.000 tonnellate con cannoni da 203 mm) ottenne di poterne costruire alcune da 8.000 tonnellate, armandole con cannoni da 180 mm.
Un ulteriore accordo bilaterale tra la Gran Bretagna e gli stati scandinavi consentì alle Marine di Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca di costruire dei tipi di navi che per le loro caratteristiche di armamento erano vietate dal trattato. Infatti, questo non consentiva di installare su navi di tonnellaggio inferiore a 8.000 tonnellate, cannoni di calibro inferiori ai 10 pollici (254 mm.). Questa precisazione fu introdotta dagli esperti navali per scongiurare la nascita di incrociatori con artiglierie capaci di sclassificare gran parte di quelli esistenti.

Tra le principali potenze navali, nella primavera del 1938 rimanevano escluse dal trattato il Giappone e l’Italia. La massima libertà costruttiva di cui godeva il Giappone, fece invece sentire i suoi effetti negativi. E questo fu chiaro quando diverse fonti non ufficiali riferirono che il Giappone stava costruendo navi di tonnellaggio superiore a quello previsto dal trattato. L’insistenza di tali notizie spinse nel febbraio 1938 l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti a chiedere separatamente all’impero del Sol Levante se intendesse fornire notizie sullo stato delle proprie costruzioni navali. La risposta del Giappone fu negativa e le potenze navali si accordarono nel far ricorso alla clausola di salvaguardia. Pertanto il 30 giugno 1938 queste decisero di elevare a 45.000 tonnellate il limite massimo unitario per le navi da battaglia.

La corazzata italiana Littorio

La corazzata italiana Littorio

L’Italia, superata la crisi politica che le aveva impedito di firmare l’atto londinese in pieno periodo di sanzioni, diede la sua sostanziale adesione al trattato navale con gli accordi italo-inglesi del 16 aprile 1938 sul Mediterraneo, il Mar Rosso e l’oceano Indiano. Il 2 dicembre 1938 aderì al trattato navale di Londra del 25 marzo 1936 e al protocollo aggiuntivo del 30 giugno 1938. Il 12 dicembre 1938 furono comunicati alle ambasciate di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia i dati riguardanti la flotta italiana. Per il periodo previsto dal trattato, cioè sino al 31 dicembre 1942, l’Italia contraeva i seguenti e principali obblighi:
- Osservare i limiti quantitativi;
- Non cedere navi da guerra a terze potenze;
- Limitare sulle navi mercantili i preparativi bellici al solo rinforzo del ponte, che consenta l’installazione di cannoni di calibro non superiore ai 155 mm;
- Scambio di informazioni con le altre potenze firmatarie (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti);
- Entro i primi quattro mesi di ogni anno comunicare il programma di costruzioni;
- Comunicare prima dell’impostazione le caratteristiche principali delle unità; le altre potenze firmatarie, dovranno comunicare all’Italia gli stessi dati riguardanti le loro flotte.
Degno di particolare menzione apparve il divieto fatto alle potenze firmatarie di costruire, per conto di potenze non firmatarie, navi da guerra le quali non rientrino nei limiti qualitativi stabiliti dal trattato, oppure che non tengano conto delle restrizioni costruttive sancite. A norma degli accordi firmati, le due potenze dovevano comunicarsi i grandi movimenti di carattere logistico che intendevano portare a compimento in Mediterraneo, Mar Rosso e oceano Indiano, e le nuove basi che intendevano costruire a levante del 19° meridiano di longitudine negli stessi mari. L’esplicito riconoscimento da parte della Gran Bretagna che il Mediterraneo era per l’Italia vitale, rappresentò un successo diplomatico di grande importanza.

Nei successivi due anni furono conclusi altri trattati, contenti disposizioni di carattere navale. Il Trattato di Montreux, con il quale la Turchia veniva autorizzata a riarmare gli Stretti, con la contemporanea abolizione della Commissione Internazionale creata dal trattato di Losanna del 1923. Il trattato anglo-egiziano, che assicurava alla Gran Bretagna in caso di conflitto, l’uso dei suoi porti. Il trattato anglo-irlandese, con il quale l’Inghilterra rinunciava all’uso, in tempo di pace, dei tre porti irlandesi di Berehaven, Queenstown e di Lough Swilly, che con un precedente accordo poteva liberamente utilizzare.
Nel dicembre del 1938 la Germania comunicava all’Inghilterra la sua intenzione di utilizzare due riserve inserite a suo favore nei trattati in vigore. La prima contenuta nell’accordo Hoare-Ribbentrop del 1935, che contemplava il diritto germanico di raggiungere il 100% dei sommergibili della Marina britannica; la seconda contenuta nel trattato bilaterale anglo-tedesco del 1937, che si riferiva al riconosciuto diritto tedesco di possedere cinque incrociatori da 10.000 tonnellate armati con pezzi da 203 mm.

Per saperne di più
Ufficio Collegamento Stampa del Ministero della Marina, Almanacco Navale 1939 – Arti Grafiche Panetto & Petrelli Spoleto, 1939.
AA. VV., Storia della Marina – Fratelli Fabbri Editori, Milano 1978.
M. Muir Jr., Gun Calibers and Battle Zones: The United States Navy’s Foremost Concern During the 1930s“Warship International”, n. 1, 1980.
H. P. Willmott, The Last Century of Sea Power, vol. 2: From Washington to Tokyo, 1922-1945 – Indiana University Press, 2010.