GIUGNO 1942: IL RAID SEGRETO ROMA-TOKYO

di Alberto Rosselli –

Nel 1942 un velivolo italiano comandato dal tenente colonnello Antonio Moscatelli riuscì a violare il blocco anglo-americano che aveva isolato il Giappone dalle potenze dell’Asse. E l’impresa suscitò l’invidia tedesca…

(Da Storia in Network n. 84, ottobre 2003) Nel corso del secondo conflitto mondiale le Forze Armate aeree e navali italiane hanno compiuto non poche missioni speciali: azioni che, per implicazioni di natura tecnica, militare e politica, hanno assunto i connotati di veri e propri record. Tuttavia, di queste operazioni – quasi tutte condotte con esito felice – poco si sa. Un po’ perché parte della documentazione top secret è andata distrutta o perduta dopo la resa dell’Italia (8 settembre 1943), un po’ perché è nell’indole degli italiani dimenticare in fretta le guerre e le sofferenze ad esse legate.
Dopo l’attacco giapponese alla base Usa di Pearl Harbour (7 dicembre 1941), l’aggressivo Impero del Sol Levante si trovò di fatto, paradossalmente, isolato dai suoi partners dell’Asse. In seguito alla forzata interruzione dei normali e regolari collegamenti navali e aerei tra l’Italia, la Germania e il Giappone (ricordiamo che queste nazioni il 26 settembre 1940 avevano sottoscritto un accordo di mutua assistenza militare ed economica: il “Patto Tripartito”) sia la Germania che l’Italia iniziarono ad escogitare sistemi alternativi per rompere il blocco anglo-americano che impediva ai loro mezzi di raggiungere il Far East. La necessità di forniture e di interscambio di materie prime rare (bisogno condiviso per altro anche dai giapponesi) e quello di coordinare (attraverso scambi di consiglieri militari, piani militari e di codici cifrati) le operazioni contro le forze alleate stimolarono non poco l’immaginazione e la capacità progettuale dei tecnici dell’Asse.

Mussolini con alcuni addetti militari giapponesi

Mussolini con alcuni addetti militari giapponesi

Tra le varie operazioni di collegamento elaborate ed attuate per riallacciare i rapporti tra l’Europa occupata e il Giappone, un posto particolare spetta al raid aeronautico Roma-Tokyo. Nel gennaio del 1942, il Comando dell’Aeronautica Italiana – sollecitato dal Ministero della Guerra – iniziò a pianificare un progetto di volo senza scalo tra l’Italia e il Giappone. Data l’enorme distanza che separava le due nazioni, il generale Fourgier (comandante in capo dell’Aviazione Italiana) si rivolse ad un gruppo di specialisti di raid a lunga distanza: piloti che, in parte, nel 1940, avevano già partecipato, a bordo di speciali trimotori da trasporto Savoia Marchetti SM83, a molti voli transatlantici in direzione del Sud America e, nel 1940/41, a missioni di rifornimento alle piazzeforti italiane isolate in Africa Orientale (Gimma e Gondar). Gli uomini scelti per equipaggiare l’aereo speciale che venne scelto (una versione molto modificata del celebre trimotore da trasporto Savoia Marchetti SM75 (parente stretto dell’altrettanto famoso SM82 che aveva una maggiore capacità di carico ma un’autonomia sensibilmente inferiore). L’SM75 era un robusto monoplano, ideato prima della guerra per i trasporti civili e militari su lunghe distanze, equipaggiato con tre motori Alfa Romeo 128 RC 18 da 750 hp, pesante 11.200 chilogrammi a vuoto e oltre 22.000 a pieno carico [1].

L’aereo, che avrebbe avuto un equipaggio di 4 uomini e un carico utile di poche centinaia di chilogrammi era in grado di viaggiare per oltre 8.000 chilometri (senza scalo) ad una velocità di crociera di circa 300 chilometri all’ora e ad una quota compresa tra i 3.500 e i 5.000 metri. Inizialmente, l’equipaggio scelto dal Comando Aeronautico di Roma era composto dai piloti tenente colonnello Amedeo Paradisi (che partecipò al Grand Prix 1937 Istres-Damasco-Parigi e nel 1938 al raid Roma-Dakar-Rio De Janeiro) e capitano Publio Magini (pioniere del “volo strumentale cieco”), dal marconista Ezio Vaschetto e dal motorista Vittorio Trovi. Questo stesso equipaggio effettua il 9 maggio 1942 un volo sperimentale di 28 ore di durata fino ad Asmara (ex colonia italiana di Eritrea) per lanciarvi manifestini patriottici (“Italiani di Eritrea: la Patria non vi dimentica. Ritorneremo!”). L’ardita missione riesce e l’entusiasmo è tale da fare accelerare i tempi per il grande balzo fino al Giappone. L’11 maggio 1942, al ritorno dalla missione in Eritrea, dopo gli ultimi lunghi collaudi compiuti dalla ditta, l’SM75 GA (Grande Autonomia) esce dal suo hangar di Roma-Ciampino. Sfortunatamente, per ironia della sorte, durante il suo brevissimo trasferimento dall’aeroporto di Ciampino a quello di Guidonia (poco più di 50 chilometri!), il mezzo ha un’avaria simultanea a tutti e tre i motori e precipita come un sasso. Il comandante Paradisi riesce a compiere un disperato atterraggio di emergenza ma l’aereo si sfascia al suolo e lo stesso Paradisi perde la gamba destra nell’incidente. Miracolosamente, il resto dell’equipaggio esce malconcio ma vivo dal disastro.
Ripresisi dallo shock i tecnici e i militari italiani iniziano a lavorare febbrilmente. Il Raid Roma-Tokyo non può essere rimandato. Con uno sforzo enorme i meccanici della ditta riescono ad approntare in tempo record un secondo esemplare di SM75 GA e il 9 giugno l’equipaggio di cui fanno parte ora il capitano pilota Mario Curto e il sottotenente radio-aerologista Ernesto Mazzotti. Il coordinamento dell’operazione viene affidato al tenente colonnello Antonio Moscatelli.

L'equipaggio dell'SM-75

L’equipaggio dell’SM-75

Il 29 giugno 1942, alle 05,30, l’SM75 “RT” (Roma-Tokyo) al comando di Moscatelli decolla da Guidonia (Roma) e dopo un volo di 2.030 chilometri atterra a Zaporoskje (nell’Ukraina occupata dalle forze tedesche), base effettiva di partenza. Il 30 giugno, alle ore 18,00, dopo gli ultimi controlli e dopo avere caricato alcune casse contenenti preziosi cifrari e documenti top secret destinati all’ambasciata italiana di Tokyo, l’aereo italiano, sovraccarico di benzina (10.300 litri) riesce a decollare su una pista di appena 700 metri. In caso di atterraggio di emergenza in zona sovietica, l’equipaggio ha l’ordine di bruciare l’aereo e naturalmente la busta sigillata contenente i nuovi cifrari segreti e le carte nautiche. Per assecondare i desideri dei giapponesi, che non vogliono compromettere i loro rapporti con Mosca, gli italiani non portano alcun documento ufficialmente destinato a personalità di Tokyo [2].
Malgrado tutte le precauzioni e l’assoluto silenzio radio, durante il sorvolo di Stalino e del delta del Volga l’SM75 è individuato dall’artiglieria antiaerea pesante sovietica e viene addirittura intercettato da un caccia (probabilmente uno “Yak”) che, fortunatamente, non riesce ad abbatterlo. Nelle sue memorie, il comandante Moscatelli a questo proposito scriverà: “Abbiamo avuto la netta sensazione che la nostra rotta fosse nota ai russi”. L’SM75 prosegue comunque il suo lungo viaggio sorvolando la costa settentrionale del Lago Aral, tagliando il Baikal e la catena dei monti Tarbagatai fino a raggiungere i cieli dell’immenso deserto del Gobi. La cartografia di bordo si rivela però inesatta in particolare per quanto concerne l’altitudine e la dislocazione delle catene montuose, e nel contempo la possibilità di volare a quote di sicurezza superiori ai 5.000 metri è molto limitata dallo scarso quantitativo di ossigeno delle bombole (circa 4/5 ore). Le condizioni meteorologiche poi si fanno difficili mano a mano che l’aereo procede in direzione Est, cioè verso l’area del pianeta influenzata dai venti e dalle piogge e dagli addensamenti tipici dell’estate monsonica. L’equipaggio, in questo contesto, fatica nel calcolo della navigazione astronomica. Senza contare che nell’ultimo tratto di volo, in prossimità del confine tra la Cina e la Mongolia, l’SM75 viene investito da una violentissima tempesta di sabbia che lo perseguita fino ad oltre 3.000 metri di quota.

Ciò nonostante, il comandante Moscatelli tiene duro e verso le 22,00 del 30 giugno buca le nuvole e inizia la discesa seguendo l’ampio corso del Fiume Giallo. Alle 15,30 del 1 luglio 1942, il trimotore italiano, quasi al limite della sua autonomia, individua finalmente il campo di atterraggio giapponese di Pao Tow Chen (situato nella Mongolia Interna da tempo occupata dalle truppe di Tokyo) e atterra felicemente su una pista abbastanza buona di 1.300 metri. L’equipaggio viene accolto da un generale dell’aviazione giapponese, responsabile del settore del Hansi, accompagnato da una delegazione militare e da due ufficiali italiani giunti apposta dalla capitale giapponese (il capitano di vascello Roberto De Leonardis e il capitano Enrico Rossi). Dopo avere riposato una giornata, l’aereo riparte in direzione del Giappone che dista ancora 2.700 chilometri, non prima di avere mutato le insegne italiane di riconoscimento con quelle dell’alleato (per evitare di essere abbattuti per errore dalla caccia amica) e di avere preso a bordo un capitano pilota nipponico in qualità di interprete. Alle ore 20,00 del 1 luglio il velivolo italiano atterra all’aeroporto di Tokyo, tra l’entusiasmo della folta rappresentanza italiana. I giapponesi, dal canto loro, si mostrano cordiali ma nulla di più. Il timore di infastidire l’Unione Sovietica è molto forte, come lo è pure il rimpianto di non essere ancora riusciti a mettere a punto un mezzo aereo adeguato per compiere un raid simile in direzione opposta.

L'SM-75 a Tokyo

L’SM-75 a Tokyo

L’addetto militare tedesco a Tokyo è anch’egli presente ai festeggiamenti di rito che si svolgono all’aeroporto (e poi all’ambasciata italiana) e comunica subito, in cifrato, il risultato strabiliante della missione italiana al Comando del Maresciallo Herman Goering. Quest’ultimo manda quindi un caloroso messaggio di congratulazioni al generale Fourgier e poi se la prende con suo staff accusando i suoi bravi tecnici di non essere in grado di emulare le gesta de quei “dannati camerati maccaroni”. Effettivamente, il volo dell’SM75 “RT” è stato un successo veramente eccezionale, dati i tempi e le contingenze. Il 16 luglio (dopo due settimane dense di incontri tecnici con parigrado e superiori giapponesi, italiani e tedeschi, e…di baldorie) l’equipaggio italiano riporta senza problemi l’aereo a Pao Tow Chen. Qui, dopo avere cancellato per bene le insegne giapponesi e averle sostituite nuovamente con quelle italiane, il velivolo viene revisionato e rifornito di 21.000 litri di carburante. E alle 21,45 del 18 luglio decolla, non senza problemi dato il sovraccarico e l’altitudine del campo (1.020 metri di quota), in direzione dell’Occidente. La rotta del rientro si snoda sul medesimo “routing” dell’andata e il viaggio si svolge tra parecchi inconvenienti: frequenti piovaschi, addensamenti di nuvole, violenti sbalzi di temperatura, formazioni di ghiaccio sulle ali.
Giunto in prossimità del Mar Caspio, il comandante Moscatelli cerca di mettersi in contatto radio con la base italiana di Stalino ma non ci riesce, forse per un guasto all’apparecchio. Fortunatamente, i sovietici non se ne accorgono e grazie ai calcoli astronomici effettuati dal navigatore Magini l’SM75 riesce, alle 02,10 del 20 luglio 1942, ad atterrare felicemente sul campo di riserva di Odessa (Mar Nero), dopo un volo di 6.350 chilometri percorsi il 29 ore e 25 minuti di volo. Pochi giorni dopo, a Guidonia (Roma), Moscatelli e i suoi uomini verranno decorati al valore da Mussolini in persona. Data la penuria di mezzi e di denaro e gli impedimenti di carattere politico, il Comando Supremo Italiano decise di non effettuare nessun altro volo in direzione del Far East. Tuttavia, le importanti osservazioni e gli insegnamenti scaturiti dalla missione dell’SM75 “RT” consentirono ai tedeschi di inaugurare, a partire dall’inizio del 1944, un piano di collegamenti aerei con il Giappone, riuscendo ad effettuare alcuni raid con quadrimotori da trasporto speciali Junker 290.

Note

[1] L’SM75 era un velivolo da trasporto civile e militare, monoplano ad ala bassa a sbalzo, trimotore, di costruzione mista. L’aereo fu progettato dall’ingegner Alessandro Marchetti nel 1936 e il primo prototipo (matricola n/c. 32001) decollò dal campo prova di Cameri (Novara), ai comandi del collaudatore Alessandro Passaleva, nel novembre del 1937. L’SM75 venne concepito per dotare l’Ala Littoria (compagnia di bandiera italiana) di un moderno e capace mezzo atto a coprire medie e lunghe distanze con carichi di passeggeri e di merci. Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940), il Comando dell’Aeronautica di Roma, sulla base delle ottime prestazioni fornite dai pochi modelli civili già operativi, decise di militarizzare gli SM75 già disponibili e di incentivare la produzione di un nuovo lotto destinato, con adeguate modifiche, a missioni speciali a lunga autonomia. La grande distanza che separava l’Italia dai suoi possedimenti coloniali in Africa Orientale (Etiopia, Eritrea e Somalia) e l’isolamento di questi territori, circondati dal nemico, richiedevano infatti l’urgente disponibilità di un aereo in grado di coprire percorsi di non meno di 2.500 chilometri di sola andata. E l’SM75, grazie alle sue buone qualità e caratteristiche, bene si prestava a questo scopo. La versione civile dell’aereo poteva trasportare, normalmente, 17 passeggeri più bagaglio ad una distanza di 1.720 chilometri e ad una velocità massima di 363 chilometri l’ora a 4.000 metri di quota. La versione militare (dotata di una mitragliatrice difensiva dorsale Breda Safat da 12,7 millimetri in torretta Caproni-Lanciani) trasportava invece 24 soldati, con le medesime prestazioni del modello base. L’SM75 era equipaggiato con tre motori radiali Alfa Romeo 126 RC.34 da 750 cavalli a 3.400 metri o da tre motori Alfa Romeo 128 RC.18 da 860 cavalli a 1.800 metri di quota. Il prototipo aveva un’apertura di 29,68 metri, una lunghezza totale di 21,60 metri, un’altezza di 5,10 metri, una superficie alare di 118,80 metri, eun peso a vuoto di 9.500 chilogrammi ed uno a carico massimo di 13.000 chilogrammi. L’SM75 poteva salire a 4.000 metri in 17 primi e 42 secondi ed aveva una quota di tangenza massima di 6.250 metri. Il mezzo era in grado di decollare in 337 metri e di atterrare in appena 280: caratteristiche che lo rendevano idoneo ad operare anche su aeroporti secondari. L’equipaggio del modello civile era di 4 uomini che aumentavano a 5 (il mitragliere) per quello militare.

[2] A bordo dell’aereo, oltre ai cinque membri di equipaggio, armati con pistole Beretta 7,65 e con a disposizione un fucile Carcano da 6,5, vengono caricati circa 10 chilogrammi di viveri e medicinali e una decina di litri di acqua potabile e caffè. In conformità con gli impegni precedentemente presi con l’ambasciata giapponese a Roma, gli italiani rinunciano a qualsiasi carteggio o indizio che possa mettere in imbarazzo il governo di Tokyo. Per sicurezza, anche il messaggio personale del ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, indirizzato al Primo ministro della Guerra nipponico Hideki Tojo, viene lasciato a terra (esso verrà trasmesso via radio solo a missione completata)