IL POPOLO DEI GOTI: QUATTRO SECOLI DI STORIA

di Massimo Iacopi –

Fra la tarda antichità e l’alto Medioevo la storia sembra perdersi, misteriosa ed oscura. Le conoscenze attuali, però, evidenziano che quest’epoca non è stata così tanto “barbara”.

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Nel 410 San Gerolamo scrive da Betlemme: “Una notizia spaventosa ci perviene: Roma è stata conquistata […] Roma è stata presa, questa città che ha conquistato l’universo!” L’esercito dei Goti si è impadronito della Città Eterna. Anche se la Roma dell’epoca non era più la capitale dell’Impero, il trauma è immenso e lo choc si ripercuote ben oltre il suo tempo. Nel XV secolo i Goti vengono ancora descritti come distruttori della grande civiltà antica. Poiché il Rinascimento intende giustamente far rivivere il mondo che questi barbari avrebbero messo a morte, gli italiani utilizzeranno il termine “gotico” per designare tutto quello che odiavano, ivi compresa, in un primo tempo, anche l’architettura delle grandi cattedrali francesi. Ma, incredibilmente, la storia si ripeterà qualche secolo più tardi con l’abate Gregoire, che, in piena Rivoluzione francese, affibbierà al popolo dei Vandali, popolo barbaro e distruttore anch’esso, il significato moderno che è stato attribuito al termine. Rapidamente, nel caso dei Goti, la denominazione negativa si estende a tutto il Medioevo, concepito come un periodo di tenebre e terrore. Dal romanzo gotico inglese del XIX secolo alla moda del vestire detta “gotica” (il dark della collezione di Jean Paul Gaultier del 1998) noi viviamo ancora nel seno di questa eredità.

Un popolo senza eredi

Il capitano Archibald Haddock, personaggio del fumetto Tintin, tratterà anch’egli, nel secolo scorso, come “Ostrogoti” i suoi interlocutori più scontrosi e maleducati. Paradossalmente, i veri Goti rimangono dei grandi dimenticati, forse perché, a differenza degli Anglo-Sassoni o dei Franchi, essi non hanno avuto eredi evidenti fra le grandi nazioni europee. In circa cinque secoli di storia, i loro successi sono, tuttavia, considerevoli. Il nome “goto” appare nei documenti nella prima metà del III secolo. Insediati sui bordi del Mar Nero, essi guidano una confederazione di tribù che, approfittando di una crisi dell’Impero romano, penetrano nelle province danubiane. Parlano una lingua appartenente al ceppo germanico orientale e hanno lasciato tracce di una cultura materiale abbastanza coerente nonostante non fossero perfettamente unificati. Prima di questa data, la storia dei Goti rimane oggetto di speculazioni. Secondo alcuni racconti del VI secolo, alcuni storici hanno supposto che essi abbiano realizzato una lunga migrazione, dal sud della Scandinavia fino al bacino della Vistola e quindi verso l’attuale Ucraina. Altri suggeriscono una fusione di popolazioni più recente, forse anche nello stesso III secolo, in un momento in cui i vicini dell’Impero romano hanno molto da guadagnare a raggrupparsi intorno a progetti guerrieri. Questa discussione storica è stata a lungo condizionata da considerazioni politiche.

Modus vivendi con l’Impero

visigoth_migrationsI teorici pangermanisti del XIX secolo presentano i Goti come un popolo stabile e conquistatore. Nella Polonia del XX secolo la presenza o l’assenza di Goti germanofoni nel I secolo è stata legata con questioni territoriali contemporanee. Dagli anni 2000, l’introduzione dell’analisi del DNA ha arricchito il dibattito senza necessariamente assopirlo: di fatto il problema è sapere se il sentimento di appartenenza può essere dedotto da una base genetica condivisa o se, invece, si basa sull’adesione a una cultura comune. Tutto dipende dalla definizione che noi attribuiamo il termine di “popolo”. Per quanto è noto i Goti del III secolo non si ponevano queste domande quando decisero di sfondare le difese dell’Impero romano. Sotto la guida di un capo denominato Cniva, essi giungono persino a uccidere, nel 251, l’imperatore Traiano Decio nella battaglia di Abrythos, nel nord dell’attuale Bulgaria.
Per circa una ventina di anni i Goti, accompagnati da altri gruppi barbari, devastano i Balcani, avanzano fino in Grecia e tentano persino alcune incursioni in Asia minore. L’identificazione dei diversi aggressori è resa difficile dagli storici antichi che parlano piuttosto di “Sciti” per designare i barbari venuti dal nord del Danubio. Sembra in effetti che i capi goti siano stati fra i primi dirigenti delle coalizioni, anche se si trovavano anche elementi del popolo dei Carpi (che daranno origine al nome dei Carpazi) e degli Eruli. Va inoltre sottolineato che nessuna fonte letteraria consente di parlare di invasione: si trattava allora di incursioni di saccheggio, senza dubbio estremamente devastanti, ma senza che i Goti avessero pianificato una conquista territoriale dell’Oriente romano. L’Impero riesce progressivamente a ristabilire la situazione. Nel 268 o 269, un importante gruppo di “Sciti” viene schiacciato nella battaglia di Naissus. L’imperatore vincitore, Marco Flavio Claudio II, si attribuirà il soprannome di “Gothicus”. Dopo la fine delle grandi razzie, i gruppi barbari ritrovano un modus vivendi con l’Impero, in cui fasi di pace si alternano con conflitti limitati e geograficamente ristretti, su una base di negoziati e di mutue razzie. Senza dubbio la sconfitta subita a Naissus deve aver contribuito a bloccare l’organizzazione del gruppo gotico, che da quel momento appare diviso in due entità: i Tervingi e i Greutungi, dai quali non emerge nessun capo di rilievo.

Perfetti correligionari

Verso il 270 l’Impero preferisce evacuare la provincia della Dacia (attuali Romania e Moldavia), fatto che consente a differenti gruppi barbari di circolare nella regione. Il Danubio costituisce ormai la frontiera nord dell’Impero. Al di là vivono i Goti. Nel IV secolo essi forniscono all’impero numerosi mercenari e schiavi; in cambio, essi ricevono ambasciatori, mercanti e missionari. Qualche Goto comincia a convertirsi al Cristianesimo sotto l’influenza di Ulfila o Wulfila, un romano d’Asia minore che traduce per loro la Bibbia in lingua gotica. Queste diffusione del Cristianesimo sembra essere stata mal tollerata da alcuni capi, che vi vedono una forma di imperialismo romano: diversi Goti convertiti vengono martirizzati, come San Niceta o San Saba (morti nel 370 nella Dacia), oggi venerati come santi dalla Chiesa; altri sono costretti a fuggire a Costantinopoli, La missione di Ulfila rimane comunque determinante per l’avvenire. Come molti vescovi orientali, egli aderisce all’idea che, in seno alla Trinità, il Figlio è simile al Padre (homoios), ma subordinato al Padre. Questo “Homeismo” è la professione di fede che l’imperatore Costanzo II fa proclamare al Concilio di Costantinopoli del 360 e questa confessione diviene la religione ufficiale dell’Impero romano. I Goti convertiti all’homeismo costituiscono dunque dei perfetti correligionari per la maggior parte dei Romani. I vescovi oppositori di Costanzo II considerano, tuttavia, che questa professione di fede costituisce un sosia (avatar) della dottrina di Ario, che aveva a suo tempo sostenuto l’idea di una differenza di sostanza fra il Padre e il Figlio. I trattati di polemica denunciano pertanto “l’arianesimo” di Ulfila. Queste invettive hanno condotto gli storici moderni a parlare di una conversione dei Goti all’arianesimo germanico, fatto che costituisce una doppia confusione: non si tratta del pensiero di Ario e non si tratta neanche di una eresia barbara, poiché l’homeismo è nato a Costantinopoli, la capitale dell’Impero. Ma nel Rinascimento, gli umanisti cattolici proveranno piacere a parlare di eresia “germanica” nell’ambito dei conquistatori di Roma, in quanto il fatto consentiva di creare un parallelismo ingiurioso fra i Goti e i Luterani.

Barbari federati

Nel corso degli anni 370, la nebulosa gotica sembra in piena agitazione. Fra i fattori di instabilità, i nomadi derivati dalle steppe eurasiatiche esercitano una forte pressione sulle frontiere orientali. Insediate nella regione dell’attuale Crimea, diverse tribù greutungie accettano di passare sotto il controllo degli Unni. Essi si alleano con l’insieme eteroclito di popoli, che a breve, costituiranno la forza d’urto di Attila. I Goti danubiani richiedono il diritto di riparare nelle terre dell’Impero romano nel contesto di un contratto di alleanza, un foedus; e a questo punto si parlerà di Barbari federati. Molti di questi rifugiati appartengono a una coalizione di Tervingi diretti da un certo Fritigern. Insediati nel 376 nella Tracia, i federati entrano in ribellione. Senza dubbio essi sono stati maltrattati dalle autorità romane, ma ne approfittano anche per riprendere una fruttuosa attività di saccheggio (giustificata anche dalla mancata consegna di viveri e armi da parte dei Romani). In breve, arrivano a ingrossare la rivolta dei federati anche i guerrieri venuti dall’oltre Danubio. L’imperatore romano d’Oriente, Valente, pensa di poter schiacciare l’insurrezione spingendo i Goti a battersi in campo aperto, ma sarà proprio l’imperatore che cadrà in battaglia nella piana di Adrianopoli nel 378.
Se questa sconfitta costituisce un duro colpo per l’Impero, i Goti si dimostreranno tuttavia incapaci di trarne un vantaggio immediato. Essi si affrettano a negoziare un nuovo contratto di alleanza con il successore di Valente, l’imperatore Flavio Teodosio il Grande (347-395), che propone loro nuovamente di accantonarli in diversi luoghi dei Balcani. Allo stesso tempo, numerosi capi dei Goti entrano dei ranghi dell’esercito romano centrale, dove riescono ad ottenere cariche di un certo rilievo. Il nome stesso di “goto” comincia a perdere il suo significato originario, poiché a seconda degli autori, potrà trattarsi di un nemico di oltre Danubio, di un federato delle province o anche di un comandante in capo di un esercito romano. Questi ultimi sono i “Goti dell’Impero”, che permettono a Teodosio il Grande di ottenere la vittoria nella battaglia del fiume Frigido nel settembre 394 contro un usurpatore occidentale. Uno di questi uomini, Gainas, viene promosso nel 399 “Magister utriusque militiae”, ovvero comandante supremo di tutte le truppe dell’Impero romano d’Oriente. In questo stesso anno, un altro veterano del fiume Frigido, Alarico I, si vede decorare con la dignità di Magister Militum per Illyricum (Comandante militare territoriale dell’Illirico).

Verso un impero romano-gotico

Proclamando il cattolicesimo religione di Stato, nel 380, l’Impero spinge l’homeismo nel campo dell’eresia e per questo i Goti divengono sudditi sospetti in materia di religione. Certuni li giudicano alquanto invadenti, in quanto essi occupano le migliori cariche a fianco dell’imperatore, poi dei due imperatori nel momento in cui il mondo romano si divide nel 395. A Costantinopoli una rivoluzione di palazzo caccia i Goti dal potere nel 400 e Gainas finisce per essere eliminato. Nelle province balcaniche, i goti federati ne beneficiano molto di più del loro stipendio; da esercito romano si trasformano in truppe di saccheggiatori, che devastano la Grecia. I discorsi ufficiali tendono a quel punto a radicalizzare l’opposizione fra i Goti (considerati barbari e homeisti) e i Romani (supposti come civilizzati e cattolici). In questo contesto, senza dubbio per la prima volta, comincia a cristallizzarsi un sentimento di forte identità intorno a capi dinamici che si presentano come protettori del popolo.
E’ il caso di Alarico I. Senza rinunciare al suo titolo di generale romano federato, egli si presenta come “re dei Goti”. Il gruppo di Tervingi, che egli dirige e che verranno poi chiamati “Visigoti”, si lancia in una serie di avventure in Oriente, quindi in Occidente a partire dal 401, sia al servizio delle autorità romane, sia per conto proprio. Sperando di poter negoziare un migliore “foedus”, Alarico esercita un ricatto sull’imperatore Onorio, applicando il blocco davanti a Milano nel 401, successivamente a Roma, a partire dal 408. Nel 409, egli pensa di trovare una porta di uscita onorevole, facendo proclamare “Augusto” un certo Prisco Attalo (prima del 394-416), che, in cambio, potrebbe concedergli sussidi regolari. Ma l’affare non sembra andare in porto. Neanche la stessa conquista di Roma nel 410 riesce a piegare la volontà del vero imperatore, Onorio, che dal sicuro rifugio di Ravenna, controlla la vera ricchezza dell’Impero: la ridistribuzione dei prodotti delle imposte. I Goti, trionfando su tutti i campi di battaglia, si ritrovano paradossalmente minacciati dalla fame. Ataulfo di Atanarico, il successore di Alarico, che muore in Calabria nel 410, comprende che occorre trasformare il suo esercito errante in uno Stato amministrato. Egli cerca di fondare un impero romano-gotico, sposando Galla Placidia, figlia di Teodosio il Grande, ma senza riuscire a convincere i Goti e i Romani di seguirlo in questo progetto.

Un oscuro re franco…

A partire dal 418 i Visigoti preferiscono ritrovare uno statuto di federati, ma con condizioni finanziarie riviste al rialzo. Essi si insediano nella regione fra Bordeaux e Tolosa, nell’Aquitania; anche se i termini esatti del contratto risultano sconosciuti, vengono loro concesse numerose terre, da dove essi possono prelevare direttamente le imposte. A partire dal regno di Teodorico I, la fame non minaccia più i Goti. Inoltre, l’accoglienza delle aristocrazie romane locali appare piuttosto buona. I Visigoti aiutano, in effetti, a schiacciare le rivolte fiscali nelle campagne e contribuiscono a respinge le incursioni dei Barbari venuti da oltre Reno. I re visigoti insediati a Tolosa rimangono “homeisti”, fatto che consente loro di mantenere una forte identità, ma nel contempo non cercano di convertire i cattolici alla loro fede. Nel’insieme, essi rispettano il loro contratto di alleanza con Roma e non lo rompono che per effettuare qualche conquista in Spagna e in Provenza, prima di protestarsi nuovamente fedeli servitori dell’imperatore o di un imperatore. In effetti, accade che essi intervengano per far accedere alla porpora un uomo di loro gradimento, come il gallo-romano Avitus nel 455. Profondamente romanizzati, i re di Tolosa sviluppano una amministrazione sempre più autonoma, producendo leggi in latino, delle quali la più significativa è un riassunto del diritto teodosiano, il “Breviario di Alarico” redatto nel 506. Questo primo Stato visigoto va incontro a una fine inattesa nel 507, quando un oscuro re franco del nord della Gallia, Clodoveo, riesce ad impadronirsi della parte principale dell’Aquitania. I Visigoti ripiegano a quel punto sulla regione di Narbona e sui loro domini spagnoli.
Per circa un secolo, i Goti Greutungi erano vissuti sotto il dominio degli Unni. Nel 454 l’implosione dell’Impero di Attila li rende liberi. Ormai conosciuti solo con il nome di “Ostrogoti” (Goti dell’Est, in contrapposizione a quelli dell’Ovest), essi riprendono un’attività da parassiti delle risorse fiscali dell’Impero d’Oriente, sia come servitori, sia come mercenari, ovvero saccheggiandoli come nemici. A ben vedere, i capi di questa confederazione gotica assomigliano molto ai generali di quella che ormai viene chiamata Bisanzio, ovvero combattenti della frontiera pronti a cambiare casacca in funzione dei loro interessi. E’ il caso di Teodorico il Grande, figlio di un re degli Ostrogoti. Egli trascorre tutta la sua infanzia a Costantinopoli, dove è ostaggio e dove la corte imperiale gli offre una educazione di notevole livello. Di ritorno sulla frontiera diventa, intorno al 474, il principale capo dei Goti della Pannonia, oltre a venire nominato dall’imperatore Magister Militum nel 473 e quindi console l’anno seguente. Tutto questo non gli impedisce di mettere il blocco a Constantinopoli nel 487 per poter rinegoziare il suo contratto.

Il padre dell’Occidente barbaro

Il palazo di Teodorico, mosaico a Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna.

Il palazo di Teodorico, mosaico a Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

Nel 490 l’imperatore Zenone pensa di essere in condizione di sbarazzarsi degli Ostrogoti e di diversi altri ingombranti gruppi di federati, inviandoli a riconquistare l’Italia a nome dell’Impero. Dal 476, la penisola risulta in effetti sotto l’occupazione di Odoacre, il quale, anche se federato, risulta in rottura di contratto. L’operazione ottiene il pieno successo, ma Teodorico il Grande rifiuta di “mollare la presa”. Nel 493 egli si dichiara “re d’Italia”; tutti i combattenti che l’hanno accompagnato vengono da quel momento chiamati “Ostrogoti”. Nell’Italia sotto dominazione gotica il regime della federazione non viene rimesso in discussione. In realtà, Teodorico il Grande opererà nella più totale indipendenza. Una sapiente campagna di matrimoni diplomatici gli consente di apparire come il padre di famiglia di tutto l’Occidente barbaro, dove si ripromette di mettere ordine. Si è parlato, a volte, di “pax ostrogothica” seguita alla “pax romana”. Teodorico estende la sua influenza fino ai Balcani centrali, alla Germania meridionale, alla Provenza e alla stessa Spagna visigotica, dove si presenta come tutore del nipote Amalarico. In Italia riesce a sviluppare una amministrazione di tipo romano e recluta i suoi ministri fra i senatori di alto rango. E se l’homeismo rimane la fede di Teodorico, il suo regime ammette l’esistenza di due religioni di Stato, la dottrina dell’Homeismo per i Goti, il cattolicesimo per i Romani e per i Goti che desiderano convertirsi. In tutto il regno le città vengono restaurate e abbellite per dimostrare la rinascita della romanità sotto la benevolente tutela gotica. La straordinaria abilità politica consente a Teodorico di governare molteplici popolazioni per circa 30 anni. Tuttavia, egli non ha un figlio maschio e il problema della successione avvelena gli ultimi anni del suo regno. A Ravenna la corte si divide. Un partito, composto da Romani come anche da Goti, si augura, a medio termine, un ritorno sotto l’amministrazione imperiale diretta. Un altro partito esige, al contrario, che il regno conservi la totale indipendenza.
Alla morte di Teodorico, nel 526, la figlia Amalasunta mantiene un fragile equilibrio, ma l’assassinio di quest’ultima, nel 535, contribuisce a demolire tutto l’edificio politico costruito. Teodato, cugino, assassino e successore di Amalasunta, afferma di voler mantenere il compromesso che aveva permesso al regno d’Italia di prosperare, ma la morte di una regina federata offre a Bisanzio il casus belli per intervenire militarmente in Italia. A partire dal 535 l’imperatore Giustiniano conduce una lunga guerra che gli consente di recuperare progressivamente il controllo della penisola, ma al prezzo di grandi devastazioni: gli eserciti “imperiali” sono, in effetti, composti da mercenari orientali nettamente meno romanizzati delle truppe gotiche. Nel 553, il generale bizantino Narsete riesce ad abbattere Teia (re dal 552), ultimo sovrano degli Ostrogoti. La penisola avrà bisogno di secoli per rimettersi dagli orrori della guerra e della peste che l’ha accompagnata.

La scelta di re Leovigildo

Della nebulosa gotica non rimane che il regno ispano dei Visigoti. Giustiniano tenta anche di impadronirsene nel corso degli anni 550 e le sue truppe riusciranno a occupare una fascia costiera fra Cartagena e Malaga. Poco numerosi e sprovvisti di una dinastia stabile, i Visigoti, messi all’angolo, sembrano destinati a una imminente sconfitta. Dopo un periodo di incertezza, re Leovigildo opera alcune scelte determinanti. In primo luogo, pone fine al “foedus” che poneva i Goti in una situazione di sottomissione: per la prima volta viene coniata una moneta d’oro visigotica, in nome del re e non dell’imperatore. Abbandonando Narbona, minacciata dai Franchi, Leovigildo sposta le sede dl potere reale nella meseta spagnola. Toledo si impone rapidamente come una forte capitale. Nel 580 Leovigildo propone persino di risolvere le dispute teologiche dei suoi sudditi: gli Homeisti vengono invitati a riconoscere l’uguaglianza del Padre e del Figlio nella Trinità, mentre i Cattolici devono ammettere che lo Spirito Santo è subordinato agli altri due. Insomma, Leovigildo si comporta come un imperatore bizantino (isoapostolo).

L’invenzione della incoronazione reale

Suo figlio e successore Recaredo sceglie di unire il suo regno intorno al solo cattolicesimo. In occasione del Terzo Concilio di Toledo, nel 589, egli proclama la conversione ufficiale dei Goti, fatto che provoca piccole sommosse, rapidamente schiacciate. Le distinzioni etniche scompaiono dalle fonti ispaniche nel giro di qualche decennio: dopo il 630 ogni uomo libero del regno viene denominato goto, a prescindere dalla sua discendenza. I Bizantini, avendo perduto il sostegno locale, sono costretti ad abbandonare Cartagena.
La Spagna visigotica del VII secolo presento un volto contrastato. Da un lato diventa uno fra i più brillanti punti di riferimento culturale dell’Occidente; Isidoro da Siviglia vi compone le sue Etymologie, compendio del sapere universale, che costituisce una delle prime enciclopedie della storia. Dall’altro, i Visigoti si guadagnano una reputazione poco piacevole, a causa di una serie di successioni molto disputate. I colpi di Stato non sono stati necessariamente più numerosi rispetto alla Roma imperiale, ma la situazione spagnola risulta troppo differente da quella dei vicini franchi, che, da parte loro, dispongono di un dinastia fortemente consolidata. Il Quarto Concilio di Toledo propone quindi di rendere la monarchia elettiva. Di fatto il canone 75 recita sorprendentemente: “una volta morto il re nella pace, tutto il popolo, insieme ai vescovi, deve scegliere, in comune accordo, un successore”.
Il Quarto Concilio di Toledo, del dicembre 633, segnala, inoltre, che il sovrano visigotico costituisce “l’Unto del Signore” e sotto questo aspetto egli è intoccabile come un re del Vecchio Testamento. Nel corso del VII secolo viene introdotta per lui una cerimonia di incoronazione (consacrazione), per conferirgli un’unzione materiale con olio santo. I Visigoti accordano, in tal modo, anche una importanza crescente alla nozione di “fides”, termine ambiguo che designa sia la fedeltà religiosa a Dio, sia la lealtà politica nei riguardi del re. Da allora, lo Stato e la Chiesa si lanceranno in una caccia sfrenata ai “perfidi”, traditori, ribelli o deviati religioso, specialmente gli Ebrei, forzati a convertirsi. La Spagna visigotica costituisce senza dubbio il primo regno a fare dell’unità cristiana lo scopo della sua esistenza. Ma questo atteggiamento quasi paranoico contribuisce a rendere fragile il regno di Toledo, che crolla nel 711, spazzato dal’invasione arabo-berbera.

In fin dei conti, Romani venuti dal Nord!

L’ultimo re, Roderico, muore in combattimento nel 711 e le principali città cadono una dopo l’altra. Narbona, l’antica capitale della omonima provincia romana, è l’ultima a essere investita nel 719. Gli ultimi Visigoti, privati di un territorio e di uno Stato, diventano i “Mozarabi”, i cristiani di Al Andalus; essi vi manterranno un alto livello della cultura latina, riscontrabile fino all’XI secolo. Altri sopravvissuti ricostituiranno dei piccoli regni nel nord della penisola iberica, dove si manterrà il ricordo dei Visigoti, anche se le tradizioni politiche risultano più mescolate. Verso Narbona e Barcellona, le popolazioni locali passeranno col tempo sotto il dominio dei Franchi. Diversi intellettuali goti, come Teodulfo o Benedetto d’Aniane graviteranno nella corte di Carlo Magno.
Ma il ricordo dei Goti si affievolisce, la loro gloria passata viene richiamata solo episodicamente, specialmente nel contesto della Reconquista dell’XI e XII secolo. Ricompaiono allora in Spagna alcuni nomi gotici come Rodrigo (Roderico) o Hermenegildo. Gli Europei, regolarmente si appassionano a questi Goti, che essi si immaginano come Barbari emigranti del Nord, eroici e brutali, associati a torto ad eterni pagani che vivevano liberi in una natura primitiva. In effetti, è come rimanere fuori dall’essenziale: il successo dei Goti è derivato dalla loro capacità nell’assimilare e integrare gli apporti forniti dalla civiltà antica. Nel VI secolo re Teodorico il Grande diceva già: “il Romano povero imita il Goto, ma il Goto ricco imita il Romano”. I Goti, dunque, più che essere affossatori dell’Antichità, sono stati un formidabile strumento di trasmissione di cultura fra Roma e il Medioevo.

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Per saperne di più
Michel Kazanski, Les Goths: Ier – VIIe siècle après J.-C., Paris, 1991
Hermann Schreiber, I Goti, Milano, Garzanti, 1981
Thomas S. Burns, A History of the Ostrogoths, Bloomington, Indiana university press, 1984