IL GIOVANE MARAT, SOLO E SEMPRE UN RIVOLUZIONARIO

di Giancarlo Ferraris -

 

Medico, scrittore, filosofo e scienziato, costantemente agitato da idee radicali. In gioventù Marat coltivò con alterni successi la passione per le scienze esatte, la speculazione teoretica e il sogno di un rivolgimento sociale che abbattesse il legame tra diritti politici e censo. 

 

Una famiglia particolare

Giampaolo Mara! Chi era costui? Anche noi dinanzi ad un nome del genere, parafrasando un po’ quello che il buon don Abbondio si chiede all’inizio dell’ottavo capitolo de I promessi sposi – «Carneade! Chi era costui?» – non possiamo non domandarci chi diavolo possa essere mai stato questo signore e che cosa di importante abbia fatto nella sua vita. Se però “traduciamo” il suo nome in francese allora tutto si chiarisce subito, perché Giampaolo Mara, “tradotto” nella lingua d’oltralpe, diventa Jean-Paul Marat: il medico, lo scrittore, il filosofo, lo scienziato, il giornalista più famoso della Rivoluzione francese, fondatore e direttore del quotidiano “L’Ami du peuple” (L’amico del popolo), l’uomo universalmente noto per essere stato ucciso da una donna con una coltellata mentre era nella sua vasca da bagno.
Jean-Paul Marat vide la luce il 24 maggio 1743 a Boudry, un piccolo centro abitato del Cantone di Neuchâtel, in Svizzera. Il padre si chiamava Giovanni Mara (1705 – 1761?), originario di Cagliari, ed era stato membro dell’Ordine di Santa Maria della Mercede fino al momento della sua conversione al calvinismo in seguito alla quale si rifugiò a Ginevra, cambiò il suo nome in Jean, ottenne la cittadinanza svizzera e sposò la giovane Louise Cabrol.
Successivamente la coppia si trasferì a Boudry, dove Jean lavorò dapprima come disegnatore nella locale manifattura di tessuti, poi come insegnante di lingue a Neuchâtel. La coppia ebbe sette figli, quattro maschi e tre femmine, che furono tutti chiamati con nomi francesi: Marianne, Jean-Paul, Henri, Marie, David, Albertine e Jean-Pierre. Fu una famiglia della piccola borghesia, al limite dell’estrazione popolare, che ebbe, comunque, la facoltà di far studiare Jean-Paul in un collegio locale. Tutti i membri maschi della famiglia Mara condussero una vita movimentata, coltivando idee politiche radicali: Henri fu costretto ad emigrare in Russia, dove fece l’insegnante di francese ed ebbe tra i suoi allievi il grande Aleksandr Puškin; David prese parte ai moti rivoluzionari di Neuchâtel, perse un occhio durante una manifestazione e successivamente studiò teologia diventando pastore; Jean-Pierre esercitò il mestiere di orologiaio a Ginevra e si fece notare, comunque, per le sue idee estremiste. Le sorelle rimasero nubili e, a differenza dei fratelli, condussero un’esistenza anonima e pacata; Marianne e Albertine poi dimostrarono il loro attaccamento a Jean-Paul quando, dopo la sua morte, si trasferirono a Parigi vivendo insieme a Simone Évrard, che ne era stata la convivente. Lo stesso Jean-Paul, più volte nel corso della sua esistenza, scrisse e parlò dell’influenza che la sua famiglia ebbe su di lui. Nel 1773 il padre Jean volle modificare, sempre francesizzandolo, il cognome in Marat per un motivo molto semplice: evitare che la sua famiglia venisse confusa con un altro ramo dei Mara residenti in Irlanda.

Gli anni a Bordeaux e a Parigi

Marat da giovane

Marat da giovane

Jean-Paul era un ragazzo vivace, intraprendente ed anche insofferente delle regole e degli schemi del suo tempo, che egli amava attaccare e soprattutto dileggiare: il suo spirito era, insomma, già quello di un rivoluzionario, come egli stesso ricordò molti anni dopo: «Nato con un’anima sensibile, una fervida immaginazione, un carattere ardente, franco, tenace; uno spirito retto, un cuore aperto a tutte le passioni esaltate e soprattutto all’amore della gloria, io non ho fatto nulla per alterare o distruggere questi doni della natura e ho fatto di tutto per coltivarli».
Dopo aver terminato gli studi secondari, nel 1760 Jean-Paul scrisse al re di Francia Luigi XV chiedendogli di poter partecipare alla spedizione organizzata dall’Académie des Sciences di Parigi in Siberia per osservare i passaggi del pianeta Venere davanti al Sole, utile per calcolare la distanza tra la Terra e il Sole, previsti nel 1761 e nel 1769. Dal sovrano non ottenne però nessuna risposta e si mise allora a fare il precettore per i figli di un ricco armatore di Bordeaux, città dove frequentò l’Università studiando medicina e chirurgia. Nel 1762 si trasferì a Parigi nel cui ateneo proseguì i suoi studi scientifici, svolgendo contemporaneamente la professione medica – all’epoca per esercitarla era sufficiente essere studenti di medicina e chirurgia – frequentando assiduamente le biblioteche cittadine, leggendo di letteratura, storia e scienze. Dei suoi anni parigini Jean-Paul scrisse: «Fui vergine fino a ventun anni e già da molto tempo dedito alle meditazioni dello studio».
Nella capitale francese il giovane di Boudry ebbe modo di conoscere il pensiero di Jean-Jacques Rousseau. Senza dubbio la sua formazione calvinista lo condusse verso il deismo proposto da Rousseau nella Professione di fede del vicario savoiardo, a cui egli rimase fedele per tutta la vita. Entrò anche in contatto con gli ambienti culturali degli enciplopedisti di cui, sia pure molto più tardi, scrisse: «Avevo appena raggiunto l’età di diciotto anni quando i nostri pretesi filosofi (vale a dire gli enciclopedisti) fecero diversi tentativi per attirarmi nel loro partito. L’avversione che mi si era ispirata per i loro principi, mi allontanò dalle loro assemblee».
L’antipatia di Jean-Paul per gli enciclopedisti era dovuta non solo a ragioni, oltre che caratteriali, culturali, come nel caso di Rousseau, ma anche a motivi sociali, dal momento che egli, di origine piccolo borghese al limite dell’estrazione popolare, non si sentiva a suo agio nei ricchi salotti alto borghesi dei filosofi dell’Encyclopédie. Nel periodo del soggiorno parigino Jean-Paul iniziò a scrivere, in francese, il saggio Le catene della schiavitù in cui, dal punto di vista politico-sociale, andò molto più in là di Rousseau e, a maggior ragione, degli enciclopedisti sostenitori del dispotismo illuminato.

Il soggiorno in Inghilterra

Marat scrive i suoi articoli, di Luc-Etienne Melingue

Marat scrive i suoi articoli, di Luc-Etienne Melingue

Nel 1765 Jean-Paul lasciò improvvisamente la Francia per l’Inghilterra, stabilendosi a Londra. I motivi che lo indussero a fare questa scelta furono diversi: il disgusto e il disprezzo che provava per il frivolo mondo parigino; la vivacità dell’ambiente scientifico d’oltre Manica; le possibilità di affermazione che la società inglese offriva; l’ammirazione, tipicamente illuministica, che egli aveva per il mondo anglosassone. Una volta sbarcato sull’isola fu però costretto a condurre un’esistenza grama, avendo come medico ben pochi clienti, oltre al fatto di non essere in possesso di un titolo ufficiale di studio. A questo rimediò dieci anni dopo, ottenendo la laurea in medicina e chirurgia dall’Università Saint-Andrew di Edimburgo la quale, però, sembra che vendesse i suoi attestati.
Durante gli anni trascorsi in Inghilterra frequentò gli immigrati europei, facendo conoscenza con due italiani: il pittore Antonio Zucchi, che sposò successivamente la pittrice svizzera Angelika Kauffmann, e l’architetto Giovanni Bonomi. Entrambi lo aiutarono più volte a superare momenti particolarmente difficili. In Inghilterra, nonostante i disagi, Jean-Paul continuò la stesura del suo saggio Le catene della schiavitù, iniziò, sempre in francese, il romanzo in forma epistolare Le avventure del giovane conte Potowski e mise mano al Saggio sull’anima umana, anch’esso redatto in francese. Il soggiorno inglese fu molto importante per il giovane Marat al punto che molto tempo più tardi scrisse al riguardo: «Credo di aver esaurito quasi tutte le combinazioni dello spirito umano sulla morale, la filosofia e la politica».
A Londra Jean-Paul si appassionò fortemente di politica. Nel 1768 l’opinione pubblica inglese stava seguendo le vicende politiche e giudiziarie di John Wilkes, un riformatore popolare inviso al re Giorgio III ed incarcerato per alcuni articoli polemici che egli aveva pubblicato nel suo giornale “North Briton”. Jean-Paul assistette alla dura repressione, messa in atto dalle autorità, di una protesta popolare scoppiata a favore di Wilkes che lo impressionò profondamente e al tempo stesso gli fece comprendere due cose molto importanti: la notevole libertà di cui godeva la stampa inglese contrariamente a quanto accadeva in Francia e nel resto del continente europeo; la possibilità di discutere di politica e di questioni civili e sociali nelle numerose associazioni, i cosiddetti club, così diffusi nelle città dell’Inghilterra. Stampa e club furono poi i suoi strumenti principali di lotta politica nel corso della Rivoluzione francese. Durante gli anni trascorsi in Inghilterra Jean-Paul maturò anche alcune idee politiche ben precise e decisamente rivoluzionarie in perfetta sintonia con il suo carattere: diffidare sempre del governo ossia del potere esecutivo; abbattere i limiti di una società fondata sul binomio diritti politici-censo; spingere il popolo a risolvere direttamente la cosiddetta questione sociale data l’incapacità o la non volontà della democrazia borghese.
Nel 1770 Jean-Paul lasciò Londra, divenne medico veterinario a Newcastle e concluse la stesura del romanzo Le avventure del giovane conte Potowski. Si tratta di un’opera di scarso valore letterario, ma interessante dal punto di vista storico-ideologico poiché essa contiene le idee politiche del giovane di Boudry, idee mutuate dal pensiero di Montesquieu e Rousseau e al tempo stesso ben lontane da quelle degli enciclopedisti. Jean-Paul, in sostanza, non accetta il dispotismo illuminato: i re non devono essere sovrani, ma solo amministratori delle entrate pubbliche; sono tenuti ad avere una condotta irreprensibile e non scandalosa; devono governare in pace i loro popoli; sono obbligati ad essere ministri della legge. Nel romanzo viene anche esaminata la particolare situazione della Polonia, ancora libera e indipendente, ma prossima ad essere spartita tra Prussia, Austria e Russia, e di cui Jean-Paul pone in evidenza la mancanza di libertà, le stridenti differenze sociali, l’arretratezza economica, lo scarso sviluppo culturale.
Nel 1772 Jean-Paul fece stampare, anonima, la traduzione in inglese del suo Saggio sull’anima umana che ricevette una vera e propria stroncatura dall’autorevole periodico “The Monthly Review”. Nel 1773 fece stampare, sempre anonimo e in inglese, il Saggio filosofico sull’uomo, tentativo di indagare i principi e le leggi della reciproca influenza dell’anima e del corpo, il quale tre anni dopo fu edito ad Amsterdam nella versione francese comprensiva del nome del suo autore. Il saggio ebbe successo tanto da ricevere l’apprezzamento del periodico “The Monthly Review”, della rivista “The Gentleman’s Magazine” e di un noto docente dell’Università di Cambridge mentre l’ambasciatore russo a Londra offrì a Jean-Paul un buon lavoro nel suo paese, che tuttavia egli rifiutò. Nel Saggio filosofico sull’uomo il giovane di Boudry intende spiegare la natura dell’uomo in quanto unione di corpo e di spirito partendo dal pensiero di Cartesio di cui egli accetta la concezione delle due sostanze, la res cogitans e la res extensa. Il corpo umano viene concepito da Jean-Paul come una complessa macchina meccanica ed idraulica. Da buon anatomista egli stabilisce le funzioni del corpo per poi asserire che è compito del filosofo definire le basi dell’anima non tanto però con ricerche astratte, quanto piuttosto con criteri scientifici in virtù del principio che l’osservazione è la sola base delle conoscenze umane. Secondo Jean-Paul le relazioni tra corpo ed anima sono garantite da un fluido che egli chiama insieme spirito animale e linfa nervosa e la sede dell’anima umana risiede nelle meningi, le membrane che rivestono il cervello e il sistema nervoso. Alcuni anni dopo Denis Diderot, sia pure con delle riserve, apprezzò il saggio di Jean-Paul sul quale, invece, Voltaire ironizzò molto pesantemente perché il giovane Marat rivoluzionario anche in filosofia e nelle scienze oltre che in politica, aveva rimproverato allo stesso Voltaire, a David Hume e a Blaise Pascal i pomposi sproloqui con cui essi avevano affrontato l’argomento e a Claude-Adrien Helvétius la mancanza di serie conoscenze di fisica e di anatomia.
Nel 1774 il giovane di Boudry pubblicò in inglese il saggio Opera in cui s’illustrano i sotterranei e gli scellerati tentativi dei principi di cancellare la libertà, che successivamente ripubblicò in francese con il titolo Le catene della schiavitù. Si tratta di un’opera d’ispirazione rousseauiana, che ebbe scarso successo, e nella quale Jean-Paul espone la sua concezione della nascita e dello sviluppo dei popoli che avviene attraverso alcune fasi: quella dell’infanzia, animata dal coraggio e dall’amore degli uomini per la libertà; quella della giovinezza, in cui si sviluppano l’organizzazione statale e il talento militare; quella della maturità, in cui nascono le lettere, le belle arti, le scienze e i commerci; quella della vecchiaia, in cui i popoli iniziano il loro declino.
L’instaurazione del dispotismo da parte dei sovrani avviene secondo Jean-Paul progressivamente, attraverso manovre oscure, provvedimenti in apparenza necessari, alterazioni della verità. Una volta instaurato il dispotismo si conserva e si rafforza sopprimendo la libertà di stampa, utilizzando la religione, l’esercito, le magistrature, gli imprenditori, i finanzieri e gli speculatori. Tuttavia, precisa l’autore, il dispotismo non è invincibile: infatti se la massa dei popoli è incapace di vigilare sulla propria libertà è necessario che nelle strutture statali vi siano degli uomini capaci di opporsi al dispotismo stesso e di scuotere i popoli dal loro torpore. Sempre nel 1774 il giovane Marat pubblicò a Londra, dove era ritornato, due saggi in inglese: Indagine sulla natura, la causa e la cura di una singolare malattia agli occhi riguardante alcuni casi di presbiopia provocati dall’uso improprio di farmaci a base di mercurio; Saggio sulla gonorrea, relativo ad un metodo nuovo di cura della malattia. Negli anni trascorsi in Inghilterra Jean-Paul esercitò con un certo successo la professione medica e si fece conoscere e rispettare come teorico innovativo nonché fortemente originale; non fu, dunque, il ciarlatano come vorrebbe una certa leggenda, semmai, come attestano i suoi esperimenti di cui parleremo più avanti, un abile sperimentatore, un ricercatore di secondo piano. Massone, ricevette attestati dalla Gran Loggia di Londra e dalla Massoneria olandese oltre ad essere membro della Loggia Les Neufs Soeurs all’obbedienza del Grande Oriente di Francia.

Il ritorno in Francia

La morte di Marat, di Jacques-Louis David

La morte di Marat, di Jacques-Louis David

Nel 1776 Jean-Paul, a causa delle ristrettezze economiche in cui era costretto a vivere, lasciò l’Inghilterra e fece ritorno in Francia, a Parigi. La svolta nella professione medica avvenne nel 1777, quando grazie ad un suo preparato guarì da una strana forma di polmonite la giovane marchesa Claire De Choiseul De L’Aubespine De Châteauneuf la quale, per riconoscenza, lo raccomandò presso la corte del re Luigi XVI il cui fratello, il conte d’Artois, lo nominò medico delle sue guardie del corpo. Jean-Paul aumentò improvvisamente e vertiginosamente le sue entrate e poté anche andare ad abitare in una grande casa in Rue de Bourgogne.
Nonostante la sua ascesa sociale, il giovane Marat continuò a dichiararsi nemico del dispotismo e ad occuparsi di politica. In quello stesso anno partecipò, infatti, ad un concorso che metteva in palio una buona somma di denaro riservata a chi tra i partecipanti avesse elaborato il migliore piano di legislazione criminale. Jean-Paul si mise subito al lavoro scrivendo in francese il Piano di legislazione criminale che non vinse il concorso, ma che il suo autore pubblicò, anonimo e a proprie spese, a Neuchâtel mentre a Parigi, dopo aver circolato per breve tempo, venne censurato. Il Piano costituisce una denuncia della legge, della giustizia e del diritto di proprietà fortemente classisti del tempo ed insieme un netto rifiuto dell’ordine sociale e morale costituito.
Nella sua opera Jean-Paul, partendo ancora una volta da Rousseau, afferma che gli uomini si sono organizzati in società per tutelare i loro interessi comuni anche se con il passare del tempo hanno rinunciato alla comunione primitiva dei beni preferendo ad essa la proprietà privata. Se però con il passare del tempo si verifica un accumulo di ricchezze nelle mani di pochi, coloro i quali sono diventati poveri, cioè i più, sono esentati dal rispettare le leggi dello Stato. Pertanto lo Stato può far rispettare le sue leggi soltanto dopo aver provveduto ad assicurare ad ogni individuo la libertà dal bisogno; in caso contrario ogni autorità politica è tirannica ed ogni autorità giudiziaria assassina. Jean-Paul precisa poi che in una società dove le ricchezze non sono limitate lo Stato deve assicurare a chi è povero il necessario per vivere mentre in una società dove le ricchezze sono fortemente diseguali lo Stato deve ridistribuirle a beneficio di chi non ha nulla.
Accanto alla letteratura, alla filosofia e alla politica Jean-Paul Marat, come abbiamo già visto, si occupò anche di scienze. E anche in questo ambito fu un rivoluzionario, ovviamente a modo suo. Nella sua casa parigina, dopo il rientro in Francia, impiantò un vero e proprio laboratorio dove compì diversi esperimenti sugli effetti prodotti dall’elettricità sugli organismi e dedicandosi contestualmente allo studio dei fenomeni ottici. Nel 1778 scrisse, in francese, la memoria Scoperte sul fuoco, l’elettricità e la luce sostenendo che il fluido igneo, cioè il calore emesso dai corpi incandescenti, era costituito da corpuscoli pesanti e trasparenti e il cui movimento era causa del calore stesso. La memoria fu presentata ad una commissione dell’Académie des Sciences di Parigi, di cui faceva parte anche Benjamin Franklin, la quale confermò quanto Jean-Paul aveva esposto nella sua memoria, ma non si pronunciò sulla concreta esistenza del fluido igneo. Poco tempo dopo Jean-Paul scrisse, anch’essa in francese, un’altra memoria, Scoperte sulla luce con cui intese correggere la teoria della luce di Isaac Newton, sostenendo che la diffrazione della luce fosse un comportamento costante e non episodico dei raggi luminosi, sempre soggetti a deviazione nel loro percorso rettilineo dall’attrazione esercitata dai corpi e che i colori fossero solo tre, il rosso, il giallo e il blu, e non sette. Un paio di anni dopo l’Académie des Sciences di Parigi bocciò senza riserve lo scritto di Jean-Paul, il quale, nel frattempo, aveva rielaborato la sua precedente memoria sul fuoco scrivendo, sempre in francese, le Ricerche fisiche sul fuoco nelle quali sosteneva la teoria del flogisto attaccando, senza comunque nominarlo, il grande chimico Antoine Lavoisier che era contrario ad essa ed aprendo nella capitale una scuola di fisica presso l’Hotel d’Aligre, in Rue Saint-Honorè.
A partire dal 1782 Jean-Paul iniziò a soffrire di frequenti emicranie e di febbre mentre il suo corpo si coprì di piaghe maleodoranti che gli procuravano un continuo prurito. Probabilmente si trattava di un eczema erpetico, da cui cercava sollievo facendo frequenti bagni sanitari in una vasca appositamente costruita a forma di scarpa nella quale, com’è noto, venne ucciso. In un ritratto eseguito dal pittore Joseph Boze, oggi conservato presso il Museo Carnavalet di Parigi, appare come un uomo da collo piuttosto forte su cui si erge una testa molto pronunciata, il viso largo e ossuto, il naso aquilino e schiacciato, le labbra sottili, la fronte ampia, gli occhi grigi e gialli, vivaci e penetranti e dallo sguardo fermo, i capelli scuri a spazzola.
Sempre nel 1782 Jean Paul fece stampare in francese le Ricerche fisiche sull’elettricità in cui sostiene che il fluido elettrico era costituito da particelle che si attraevano tra di loro, contestando nello stesso tempo l’esistenza di poli elettrici di segno opposto e dubitando della reale efficacia del parafulmine. Dopo alcune turbolente discussioni su questioni scientifiche, una delle quali degenerò in una vera e propria rissa, nel 1783 Jean-Paul ebbe la grande soddisfazione di veder premiata con una medaglia d’oro dell’Académie des Sciences di Parigi una sua memoria pertinente l’applicazione di elettrodi per la cura di edemi, della sciatica e della gotta. Dopo questo, sia pur non eccelso, trionfo ebbe inizio per Jean-Paul un periodo di profondo disagio: non ottenne la nomina di direttore della costituenda Accademia delle Scienze di Madrid, cominciò ad essere additato come uno scienziato di scarsissime qualità e come un uomo politicamente pericoloso, perse l’incarico di medico delle guardie del corpo del conte d’Artois, vide ridursi notevolmente il numero dei suoi clienti. Gli unici successi furono la traduzione in francese, peraltro anonima, e la successiva pubblicazione dell’Opticks di Netwon e il premio conferitogli dall’Académie des Sciences di Rouen per una ricerca sui colori presenti nei liquidi. Ma ormai Jean-Paul Marat non era più giovane. Almeno anagraficamente. Continuò però ad esserlo, in un’ambigua posizione sociale a metà strada tra borghesia e classi popolari, come politico e come giornalista negli anni della Rivoluzione: fino al tardo pomeriggio di una torrida giornata d’estate del 1793 quando spinto dalla sua passione politica e dal suo zelo rivoluzionario e convinto anche di fare uno scoop giornalistico, commise il mortale errore di dare udienza ad una giovane donna di nome Charlotte Corday. Alcuni mesi prima aveva scritto su di sé: «Gli uomini leggeri che mi rimproverano di essere una testa calda vedranno qui che lo sono stato di buon’ora; ma ciò che essi rifiuteranno forse di credere è che fin dai primi anni sono stato divorato dall’amore della gloria, passione che mutò spesso d’oggetto nei vari periodi della mia vita, ma che non mi ha mai abbandonato un istante. A cinque anni avrei voluto essere maestro di scuola, a quindici professore, autore a diciotto, genio creatore a venti, come ambisco oggi ad immolarmi per la patria».

Per saperne di più

G. Gaudenzi – R. Satolli, Jean-Paul Marat. Scienziato e rivoluzionario, Milano, 1989.
J.P. Marat, De l’homme, ou des principes et des lois de l’influence de l’âme, Amsterdam, 1776.
J.P. Marat, Les aventures du jeune comte Potowski, Paris, 1848.
J.P. Marat, Les chaînes de l’esclavage, Paris, 1793.
J. P. Marat, Plan de législation criminelle, Neuchâtel, 1780.
J. Massin, Marat, Aix-en-Provence, 1988.
A. Soboul, “Marat”, in I Protagonisti della Storia Universale. La Rivoluzione francese e il periodo napoleonico, trad. it., Milano, 1968, vol. VIII.
G. Walter, Marat, Paris, 1950