IL DUCATO DI SAVOIA NELLA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA
di Max Trimurti -
Durante l’inverno 1700-1701 a Torino si succedono intensi negoziati fra Vittorio Amedeo e l’inviato francese, il Conte di Tessé. I colloqui avevano lo scopo di mettere a punto l’entrata in guerra della Savoia a fianco dei Borboni. Nella primavera del 1701 si arriva a un accordo. Ma nel 1703 i Piemontesi cambiano campo e riescono ad avere la meglio con la battaglia di Torino
Il Duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, a seguito degli accordi stipulati con l’inviato francese del Re Sole, René de Friulay, Conte di Tessé, viene ufficialmente designato Comandante in Capo delle forze alleate sul territorio italiano e nella primavera del 1701, aggiunge, ai 140 battaglioni e 30 squadroni francesi, il suo Corpo d’armata, composto di 5 mila uomini. Alla testa di queste truppe il Duca invade il Ducato di Milano, all’epoca possesso spagnolo. Le forze nemiche che fronteggiano l’esercito franco-savoiardo sono composte da circa 5 mila soldati spagnoli e 19 mila Austriaci (7 reggimenti di fanteria, 6 di Corazzieri e 4 di dragoni), dispersi in diverse guarnigioni.
I Savoiardi prendono parte alla Campagna del 1701 e si distinguono nei combattimenti di Carpi il 9 luglio e di Chiari il 1° settembre. A Chiari l’esercito austriaco, forte di 22 mila uomini (36 battaglioni e 72 squadroni) e con alla sua testa il nuovo comandante in Capo in Italia, il principe Eugenio di Savoia Carignano, infligge una severa sconfitta all’esercito franco-piemontese, che contava 36 mila uomini ed era alla guida dello zio del principe. La battaglia costringe gli Alleati a sospendere la loro offensiva in Lombardia fino alla primavera seguente.
Nel 1702 l’esercito piemontese continua la guerra a fianco dei Francesi; le truppe riunite raggiungono l’effettivo di 40 mila uomini e costringono l’esercito di Guido von Starhemberg, forte di 23 mila soldati, praticamente ad abbandonare l’Italia. Il piano di operazioni degli Alleati consiste nel realizzare una giunzione con l’esercito franco-bavarese di Massimiliano II Wittelsbach di Baviera e di Claude Louis de Villars, maresciallo di Francia, al fine di intraprendere la marcia su Vienna nel corso del 1703 con l’impiego combinato di tutte le loro forze. Tuttavia, Luigi Giuseppe di Borbone, Maresciallo di Vendôme, il Grand Vendôme, Comandante in Capo francese in Italia, non avrà il tempo di appoggiare l’offensiva bavarese nel Tirolo, consentendo in tal modo agli Austriaci di raggruppare le forze e di fortificare i colli alpini. Vendôme, non arrischiandosi ad attaccare le posizioni fortificate del nemico, avanza in direzione di Trento, assediandola il 5 settembre, ma, informato dell’arrivo di importanti rinforzi a sostegno della città, il 6 settembre decide di levare il campo e di ritornare in Lombardia. In questa prospettiva, il tentativo di un attacco combinato su Vienna, allo scopo di far uscire l’Austria dalla guerra, fallisce miseramente. Il duca di Savoia, pur continuando le operazioni militari, inizia dei negoziati segreti con i rappresentanti della Grande Alleanza, al fine di un suo eventuale passaggio nel campo anti-francese; il principe Eugenio di Savoia, comandante delle truppe austriache in Italia e parente del duca di Savoia, vi giocherà un ruolo molto importante. Alla fine dell’estate gli alleati austro-spagnoli e i Piemontesi concludono un accordo di principio sulla futura alleanza e l’ammontare dei sussidi. Ma ben presto i Francesi vengono a conoscenza delle manovre del duca di Savoia. Essi reagiscono immediatamente, disarmando il 26 settembre 1703, nel campo di San Benedetto Po, il corpo ausiliario savoiardo (4.500 uomini), composto da 6 battaglioni (2° battaglione della Guardia, battaglioni dei reggimenti Aosta, Piemonte, della Croce Bianca, del Chiablese e dei fucilieri), 9 squadroni di cavalleria (reggimento Savoia, dragoni del Genevese e uno squadrone del dragoni di Sua Altezza) e 6 pezzi di artiglieria con i loro serventi.
La campagna del 1704 non porta ai Piemontesi alcun fatto degno di nota. I Francesi sono decisi a far pagare il conto al loro alleato transfuga e a tale scopo vengono allestiti tre contingenti militari: quello del Conte di Tessé in Savoia, quello di Luois François d’Aubusson, Duca de la Feuillade, nel centro della Francia, e quello del Vendôme nel ducato di Milano. L’effettivo totale dei contingenti francesi, che avevano praticamente accerchiato i territori del ducato savoiardo, superano le 60 mila unità. Da parte sua, Vittorio Amedeo II è in grado di opporre appena 10 mila uomini, mentre i suoi nuovi alleati, impegnati in Baviera e in Fiandra, sono in grado di fornirgli un aiuto esclusivamente finanziario. Secondo i dati del 7 settembre 1704, l’esercito austro-savoiardo conta, nel campo di Crescentino, 7.500 fanti (di cui 1.958 Savoiardi) e 4.306 cavalieri (di cui 1.635 Savoiardi); il resto delle forze della Savoia risulta disperso nelle numerose piazzeforti. A titolo di paragone, sembra opportuno evidenziare che l’esercito del Vendôme, che si trova di fronte alle forze austro-piemontesi, conta 36 mila uomini (46 battaglioni e 47 squadroni) e che, con le poche forze disponibili, risulta praticamente impossibile a Vittorio Amedeo di dare battaglia in campo aperto a un esercito avversario troppo superiore in uomini e mezzi. In tale situazione l’unica opzione che rimane al duca è quella di guadagnare tempo e rassegnarsi alla perdita progressiva di tutte le principali fortezze del ducato: Vercelli (24 luglio), Ivrea, 14 settembre, Susa, mentre viene assediata anche la piazzaforte di Verrua in Piemonte.
Dall’altro versante delle Alpi, i Francesi, dopo aver occupato tutta la Savoia, danno inizio alle operazioni di assedio dell’ultima fortezza, Montmelian. In definitiva, alla fine del 1704, rimangono al duca solamente Torino e i suoi dintorni. I Piemontesi compiono sforzi giganteschi per creare un nuovo esercito di campagna, ma la formazione dei nuovi reggimenti si rivela un fallimento, per mancanza di reclute e per la mancanza di continuità nel finanziamento e dell’approvvigionamento. Nello stesso tempo, l’esercito franco-bavarese si prepara a lasciare la Baviera per marciare su Vienna, mentre tutte le forze della Grande Alleanza vengono mobilitate per impedirlo. Il finanziamento e l’approvvigionamento in armamenti dei Savoiardi riprenderà con regolarità solamente nell’estate del 1705, dopo la vittoria del John Churchill, Primo Duca di Marlborough, a Blenheim, che eliminerà la minaccia francese sul Danubio.
Nel frattempo, i Francesi ottengono nuovi successi in Savoia. Il 1° aprile 1705, la piazzaforte di Verrua è costretta alla resa e le truppe agli ordini del Duca de Feuillade riescono ad occupare la città di Nizza (1° aprile) e tutta la costa ligure, mentre la cittadella di Nizza riuscirà a resistere per altri 6 mesi, fino al 4 gennaio 1706. Nel momento in cui il Vendôme inizia a progettare un colpo decisivo in direzione di Torino, i successi della Grande Alleanza sul Reno impongono il trasferimento di una parte delle sue forze verso il teatro d’operazioni del Nord. In conseguenza, le operazioni dei Francesi durante l’estate e l’autunno dello stesso anno si limiteranno a dei raid devastanti nel Piemonte, allo scopo precipuo di privare il duca di Savoia delle sue risorse umane e materiali. Tale scopo verrà conseguito solo parzialmente, poiché i Francesi, pur riuscendo a ritardare la formazione di nuovi reggimenti piemontesi, verranno obbligati a fronteggiare la minaccia di numerose azioni di guerriglia, condotta da gruppi di contadini dei dintorni, come risposta alle rappresaglie condotte dagli invasori.
Con l’aiuto di una buona organizzazione della milizia territoriale, i Piemontesi saranno in condizioni di riprendere rapidamente il controllo sulla maggior parte del territorio ed alla fine dell’anno 1705, gran parte delle guarnigioni francesi si ritroveranno bloccate da distaccamenti delle formazioni partigiane locali.
Nello stesso tempo, l’esercito imperiale austriaco, agli ordini del principe Eugenio (39 battaglioni, 65 squadroni per un totale di 24 mila uomini) fa il suo ingresso in Lombardia, ma il Vendôme con le sue forze (30 battaglioni e 50 squadroni, per un totale di 22 mila uomini), riesce ad arrestarlo ed a farlo ripiegare, dopo la battaglia di Cassano d’Adda (16 agosto 1705), verso le Alpi.
Nella primavera del 1706 ha comunque inizio un’offensiva combinata franco-spagnola nel cuore del Piemonte. Il maresciallo Vendôme ha come obiettivo principale quello di far uscire il Ducato di Savoia dalla guerra prima della fine dell’anno. A tal fine, i Francesi riuniscono un esercito di 60 mila uomini, con i quali riassumo rapidamente il controllo del Piemonte e mettono l’assedio a Torino, la capitale del ducato, dove si era rifugiato Vittorio Amedeo con i resti delle sue truppe. L’assedio viene affidato al luogotenente generale De la Feuillade, appena trentatreenne, che doveva il suo incarico all’appoggio di suo padre ed al matrimonio con la figlia del ministro della guerra. Secondo dei testimoni oculari, fra i quali Sébastien Le Prestre de Vauban (all’epoca semplice volontario nell’esercito), il giovane duca de la Feuillade non possedeva alcun talento militare e l’assedio veniva condotto in maniera in maniera “molle”. Torino, all’epoca, era considerata una delle fortezze fra le più moderne, fortificata secondo le tecnologie all’avanguardia; le sue difese comprendevano, fra gli altri, un sistema di forti avanzati e delle gallerie sotterranee anti mine, ramificate.
La guarnigione della città è composta da 14.700 soldati piemontesi e imperiali e circa 20 mila miliziani. Tuttavia, nonostante le solide fortificazioni e la scarsa decisione con la quale era condotto l’assedio, la città poteva resistere al massimo per 6 mesi, limite dettato dall’entità delle scorte e provvisioni disponibili. A metà di giungo del 1706 Vittorio Amedeo lascia la città per andare personalmente a richiedere l’aiuto di Eugenio di Savoia, lasciando il comando della piazzaforte al luogotenente generale Virico (Wirich) Conte di Daun, marchese di Teano.
Mentre una parte delle forze franco-spagnole si trova all’assedio di Torino, l’altra metà, al comando personale del Vendôme, continua a fronteggiare l’esercito di Eugenio di Savoia. Dopo una serie di manovre, i franco-spagnoli riescono a isolare e distruggere il corpo prussiano di 19 mila uomini del generale danese Christian Ditlev von Reventlau o Reventlow, nei pressi di Calzisanto. Gli imperiali sono costretti a ripiegare sulle posizioni fortificate del Trentino. Verso il mese di agosto del 1706, risulta ormai evidente che, nonostante l’eroismo della guarnigione piemontese, la sorte di Torino e del Ducato appare segnata e le più rosee previsioni ipotizzano la caduta entro la fine dell’anno. A fronte di questa critica situazione, Eugenio di Savoia, riunisce prontamente le guarnigioni delle città sul Danubio e dell’Italia del Sud e si porta in aiuto dello zio. Nello stesso momento, il Vendôme viene richiamato dall’Italia sul teatro d’operazioni del Reno, venendo rimpiazzato, per ordine del Re Sole, Luigi XIV di Francia, dal Duca Filippo II Borbone-Orleans e dal Maresciallo Ferdinando de Marcin, che risulteranno decisamente al di sotto delle qualità militari e dell’esperienza del Vendôme. I Francesi tentano, comunque di sbarrare la strada agli Imperiali, ma Eugenio di Savoia, aggirando le loro posizioni, si avvicina a Torino il 29 agosto, mentre il Duca d’Orleans, non arrischiandosi di affrontarlo da solo, ripiega per unirsi alle forze del De la Feuillade.
Il 7 settembre 1706 ha quindi luogo la battaglia decisiva sotto le mura di Torino, nella quale l’esercito austro-piemontese di 36 mila uomini (52 battaglioni e 10 squadroni) infligge una devastante sconfitta ai 47 mila Francesi e Spagnoli e li costringe ad abbandonare l’assedio e a battere in ritirata. Il colpo decisivo viene inferto dalla guarnigione di Torino, che attacca sul retro i Francesi nel momento culminante della battaglia. L’esercito franco-spagnolo subisce circa 4 mila morti e 6 mila prigionieri e un gran numero di disertori; due giorni dopo la battaglia i Francesi riusciranno a riunire appena 12 mila uomini, ovvero appena un quarto degli effettivi iniziali. Questa sconfitta ha un impatto considerevole sul prosieguo delle operazioni, tanto che gli Spagnoli decideranno ben presto di abbandonare Milano, senza quasi combattere, mentre i Francesi, da parte loro decidono prudentemente di ripassare le Alpi. Il Ducato di Savoia è ormai salvo e la battaglia di Torino del 7 settembre 1706, assume la stessa importanza di quelle di Blenheim o di Malplaquet, poiché, grazie a questa vittoria, la coalizione anti-francese riesce a vincere la guerra nell’Italia del Nord.
L’inverno del 1706 trascorre nei preparativi di una riscossa imperiale. Nel marzo 1707, non appena i colli alpini ridiventano praticabili, l’esercito austro-piemontese passa all’offensiva. Nizza e la maggior parte delle fortezze vengono riconquistate e nell’estate seguente gli alleati danno inizio all’assedio di Tolone, assedio che verrà poi tolto per l’arrivo di un esercito francese di soccorso e soprattutto per l’incapacità inglese di assicurare il supporto marittimo. Nell’autunno 1707 la maggior parte dell’esercito austriaco viene trasferito sul Reno e il resto dell’anno trascorre in una serie di piccoli scontri senza importanza. La campagna del 1708 si limita pertanto ad una lotta di scarso valore strategico per il controllo delle valli nella Savoia. L’esercito riunito austro-piemontese, agli ordini del generale Daun (per un totale di 39 battaglioni) si trova a fronteggiare un contingente francese di 53 battaglioni, ma, nonostante l’inferiorità numerica, i Piemontesi riescono a vincere una serie di scontri locali e a riconquistare qualche piazzaforte in Savoia.
La campagna del 1709 ha inizio con una offensiva combinata dell’esercito austriaco di Daun nelle vallate dell’Isere e dell’Arc e dei Piemontesi, comandati dal generale Bernhard Otto von Rehbinder in Savoia. All’inizio, gli Alleati riescono a sloggiare i Francesi da Briançon, ma l’arrivo di rinforzi, guidati dal Maresciallo di Berwick, annulla ogni loro successo. Il resto del’anno trascorre in piccoli combattimenti e scaramucce sui passi delle montagne, ma senza alcuna battaglia decisiva. Durante le campagne del 1710, 1711, 1712 e 1713, lo scenario rimane lo stesso: gli Austriaci e i Piemontesi cercano di penetrare nelle valli, i Francesi riescono in qualche modo a bloccare gli sbocchi dei passi, forzando gli Alleati a ritirarsi senza una battaglia decisiva. Il combattimento di cavalleria di Villanovette, nel 1712, costituisce una delle rare eccezioni e si conclude senza alcun risultato significativo. In generale, analizzando gli ultimi anni della Guerra di Successione Spagnola sulle Alpi, si può affermare che si è trattato di uno dei primi esempi di guerra di montagna nell’epoca delle armi da fuoco e degli eserciti permanenti.
Sul lato piemontese, combattono attivamente delle brigate di fucilieri di montagna, composte da ugonotti che erano fuggiti in Piemonte dopo l’abolizione dell’Editto di Nantes, della gente nata cacciatore e soprattutto nemica giurata del Re di Francia. Questi miliziani sono stati in grado di sviluppare una vera attività di guerriglia e di diversione con i loro antichi compatrioti, organizzando spesso delle imboscate lungo le valli e nelle foreste.
Nel settembre 1713, hanno infine inizio dei negoziati e le ostilità vengono sospese. La Savoia, per mezzo del trattato di pace, recupera tutti i territori che erano stati in suo possesso prima della guerra e riceve dalla Spagna il “regno di Sicilia”, che darà origine al titolo reale, oltre a terre in Lombardia (il marchesato del Monferrato ed una parte delle terre del milanese). La popolazione delle terre annesse supera il milione di sudditi, quando agli inizi della guerra il ducato aveva complessivamente 1,5 milioni di abitanti.
Evoluzione dell’esercito Piemontese
L’esercito permanente viene creato in Piemonte nel 1664, allorché vengono costituiti i primi 6 reggimenti detti “nazionali”, finanziati dalle province, di cui portavano il nome. In seguito, il numero dei reggimenti nazionali crescerà progressivamente di numero e alcuni di essi verranno mantenuti a spese dello stato. La riforma della cavalleria ha inizio qualche anno più tardi; fino al 1683, quest’Arma è rappresentata da 4 compagnie permanenti di guardie e cavallo, 2 “squadroni” di milizia della nobiltà feudale delle regioni del Piemonte e della Savoia, oltre a qualche compagnia mercenaria di archibugieri montati.
Nel 1683, le compagnie mercenarie vengono riorganizzate in due reggimenti di dragoni e nel 1685, le compagnie permanenti delle guardie a cavallo vengono riunite in un reggimento. Quattro anni più tardi, viene riformata la cavalleria di linea, creando due reggimenti di cavalleria permanenti, al posto della cavalleria feudale; i nobili possono esimersi agli obblighi di servizio pagando una certa somma di denaro. Questa caratteristica rimane in auge fino al 1696-1701, dopo l’uscita del Ducato dalla Lega di Augusta, allorché i reggimenti di cavalleria vengono praticamente disciolti; rimangono in servizio solo gli ufficiali ed una compagnia per ogni reggimento, per assicurare le operazioni di polizia. Per contro, i reggimenti di dragoni, che erano tutti su base mercenaria, non vengono disciolti, ma solamente smontati per ragioni economiche. Tuttavia, nella primavera del 1701, tutti i reggimenti di cavalleria vengono nuovamente mobilitati al completo.
Nel 1701, agli inizi della guerra, l’esercito piemontese è composto da: guardia a cavallo, 12 reggimenti di fanteria (di cui 2 mercenari), 2 di cavalleria e 3 di dragoni, oltre a distaccamenti di artiglieria da campagna e d’assedio ed una piccola flotta nel porto di Villafranca (3 galere e qualche battello a vela più piccolo). Inoltre, risultano presenti alcune piccole unità destinate per le cerimonie e parate (ed esempio: la guardia svizzera con un effettivo di 125 uomini), la milizia municipale (guardie d’onore di Torino, ecc.), come anche gli invalidi ed altre, senza alcun valore militare.
Per quanto ha tratto con la Fanteria, l’Arma contempla 10 reggimenti di fucilieri (Guardie, Savoia, Aosta, Monferrato, Piemonte, Croce Bianca (nel quale servivano dei cavalieri di Malta come ufficiali), Saluzzo, Chiablese, Nizza. La maggior parte dei reggimenti è composta di un battaglione su 12 compagnie di 50 uomini, per un totale di 600 uomini. Unica eccezione è rappresentata dai reggimenti della Guardia (3 battaglioni con una compagnia di granatieri e 5 di fucilieri ciascuno). Dopo la riduzione delle forze armate nel 1697-99, l’esercito piemontese allinea nei suoi ranghi 2 reggimenti di mercenari: Johann Matthias von der Schulenburg (2 battaglioni tedeschi) e vallesano Reding (3 battaglioni svizzeri dislocati a Bard). Ogni battaglione di fanteria risulta dotato di un cannone da 3. All’inizio della Guerra di Successione, solamente i reggimenti della Guardia ed i mercenari hanno dei granatieri nei loro ranghi; in seguito, con l’estendersi della guerra in montagna, i granatieri entrano a far parte anche dei reggimenti nazionali, senza, peraltro, essere riuniti in specifiche compagnie. Per quanto concerne il valore combattivo delle diverse unità dell’esercito, va sottolineato che esso era più elevato fra i mercenari che fra le unità composte da abitanti del Piemonte e della Savoia. Nei reggimenti tedeschi e svizzeri, molto legati alle loro tradizioni, il livello professionale risulta molto elevato, fatto che li rende come la vera forza d’urto dell’esercito del ducato.
La Cavalleria del ducato di Savoia presenta 6 reggimenti: Piemonte cavalleria (poi Piemonte Reale), Savoia Cavalleria, Dragoni del Duca (poi di Sua Altezza Reale), Dragoni del Genevese e Dragoni del Piemonte, oltre al Reggimento delle Guardie del Corpo (4 compagnie per 270 uomini). All’inizio della guerra ogni reggimento (meno quello della guardia) è composto da 8 compagnie di 60 uomini ciascuna; mentre due compagnie formano uno squadrone.
L’Artiglieria piemontese prevede dei reggimenti di artiglieria da campagna, d’assedio e da montagna. L’artiglieria di linea appare come unità indipendente nel 1696, dopo essere stata separata da quella d’assedio. Nel 1701 il reggimento d’artiglieria da campagna si articola su 4 compagnie di cannonieri (1 capitano, un tenente, 2 sergenti, 2 caporali, un tamburo e 35 cannonieri), 1 di minatori (20 uomini) ed una di operai (107 uomini dei diversi mestieri), riunite in un battaglione. L’artiglieria da montagna è composta da qualche batteria di pezzi leggeri e da mortai, trasportati a dorso di mulo e che rivestiranno un ruolo importante durante le operazioni sulle Alpi (1709-13). In tempo di pace, non viene contemplato il treno speciale d’artiglieria ed in tempo di guerra i cavalli ed i carri necessari vengono affittati o acquistati presso privati.
La Milizia costituisce una componente rilevante nelle forze armate del ducato. A differenza della maggior parte degli altri Paesi, nei quali la milizia non presenta una reale vocazione militare, i reggimenti della milizia piemontesi, risultano ben addestrati ed equipaggiati. Nel suo complesso la Milizia del ducato può essere ripartita in due componenti: la milizia popolare ed i reggimenti della milizia. Teoricamente, per la legge del 1690, tutti gli uomini con meno di 40 anni, erano obbligati a prestare servizio nella milizia. Tutti i membri delle comunità rurali e urbane si riuniscono una volta all’anno per ricevere una formazione militare di base. Fra di essi viene scelto a sorte quelli che ricevono una formazione più accurata. In pratica, il 6% degli uomini entra a far parte di questa categoria e con questo personale vengono costituiti i reggimenti della milizia, che hanno obbligo di riunirsi per tre volte all’anno per compagnia per partecipare alle manovre. Nel mese di marzo di norma venivano organizzate delle manovre comuni che interessavano tutti i reggimenti. In caso di guerra, i reggimenti della milizia partecipano alle operazioni militari, alla stessa stregua dei reggimenti permanenti, mentre nelle province, vengono costituiti nuovi reggimenti composti da riservisti, per il servizio di polizia e di guarnigione.
Nel 1703, la milizia viene mobilitata; i suoi effettivi raggiungono i 12.500 uomini, suddivisi in 12 reggimenti: Torino, Cuneo, Ivrea, biella, Vercelli, Asti, Alba, Fossano, Saluzzo, Tarantasia, Pinerolo e Susa. Di norma un reggimento è composto da 2 battaglioni su 8 compagnie ciascuno. L’effettivo di una compagnia risulta di circa 50 uomini, il che fa un totale di 800-900 uomini ogni reggimento. Nel 1714, dopo la guerra, il sistema della milizia viene riformato dal feldmaresciallo Rehbinder; tutto il territorio del Piemonte e della Savoia viene diviso in 10 distretti reggimentali con il nome di provincia. Ogni reggimento diventa composto da un battaglione di guerra su 8 compagnie e 700 uomini) ed una compagnia di riserva di 300 uomini.
Questa organizzazione dell’esercito rimane praticamente immutata fino al passaggio del ducato nel campo degli Asburgo d’Austria, quando, di fronte alla minaccia di una invasione francese, Vittorio Amedeo inizia la costituzione accelerata di nuove unità. Nel 1703, entrano in servizio altri 2 reggimenti di mercenari: colonnello Lodovic Desportes o de Portes (reggimento composto da Italiani ed Ugonotti, che sopravvivrà fino al 1945, tenendo conto di tutte le riorganizzazioni successive) e Johann Heinrich Fridt (composto da Tedeschi, sciolto nel 1704), Agli inizi del 1704, insieme ai 12 reggimenti della milizia, vengono formati 9 nuovi reggimenti “nazionali”: Trinità (milizie di Alba e Fossano), denominato nel 1712 Senantes e disciolto nel 1713), San Nazzaro (milizie di Pinerolo e Saluzzo, 1711, Pastoris, disciolto nel 1713), Maffei (milizie di Cuneo, 1706 Vianzino, disciolto nel 1713), Cortanze (milizie di Asti, 1708 Chamousset, disciolto nel 1713), Trivia (milizie di Torino, disciolto nel 1705), San Damiano (milizie di Ivrea, disciolto nel 1705), d’Este (milizie di Biella e Vercelli, disciolto nel 1705), Tarantasia (disciolto nel 1705) e Duvillar (milizie di Nizza, disciolto nel 1705). Queste nuove unità, con uno statuto di truppe regolari, rimangono nelle loro province, venendo incorporate nelle guarnigioni delle fortezze. Nello stesso tempo, i reggimenti della milizia vengono mantenuti e completati secondo i loro organici per mezzo dell’impiego di riservisti. Inoltre, con delle nuove reclute, vengono ricostituiti i reggimenti che erano stati disarmati dai Francesi nel campo di San Benedetto Po, rinforzando con un secondo battaglione alcuni dei “vecchi” reggimenti.
Allo stesso modo, nel 1704, dopo aver ottenuto sussidi supplementari da parte degli Alleati, i Piemontesi continuano a formare nuovi reggimenti mercenari: il Regina (costituito con fondi britannici e per questo motivo intitolato alla regina Anna d’Inghilterra; composto da svizzeri di Berna e disciolto nel 1705), il Redding 2° (disciolto nel 1705), il Therner (Svizzeri di Friburgo, licenziati nel 1705), il Lombach (Svizzeri di Friburgo, sciolto nel 1705) e l’Halt (Svizzeri di Friburgo, disciolto nel 1705). La maggior parte di queste unità, mai arrivate a completamento, vengo disciolte l’anno dopo per carenza di finanziamenti. Sempre nel 1704 i Piemontesi creano 3 compagnie indipendenti di Ugonotti (Dumeyrol disciolta nel 1707, Cavalier, sciolta nel 1707) e d’Albenaz, sciolta nel 1705) ed un battaglione ugonotto di cacciatori di montagna con personale della Valle d’Aosta.
Nel 1706, nel momento dei combattimenti sotto le fortificazioni di Torino, vengono creati i reggimenti Santa Giulia (confluito in quello dei fucilieri nel 1710) e di Karl Sigmund Friedrich von Leutrum (tedesco, confluito nel reggimento mercenario Schulenburg nel 1710). Il successivo incremento organico ha luogo nel 1711, quando viene ingaggiato il reggimento Rehbinder nella Germania del Sud. Durante la guerra, la struttura della cavalleria rimane praticamente immutata (a parte che nel 1704 le compagnie raggiungono un effettivo di 80 uomini e la formazione di una compagnia dragoni del capitano Regis, con personale protestante svizzero). Per quanto concerne l’artiglieria, nel 1703, viene aumentato a 7 il numero delle compagnie, i cannonieri passano da 35 a 50 per reparto e viene creata una seconda compagnia minatori.
In questo periodo, non esisteva nell’esercito uno standard comune per l’uniforme ed il primo regolamento viene redatto nel 1741, agli inizi del regno di Carlo Emanuele III. Fino a quel momento le ordinanze ducale avevano imposto solamente delle differenze di colori per qualche reggimento e la foggia di alcuni elementi dell’uniforme poteva risultare ugualmente diversa. Durante la Guerra di Successione di Spagna, il colore di base delle uniformi piemontesi era il grigio chiaro, ma poteva sussistere delle differenze di tonalità fra un lotto ed un altro di stoffe. Questo fatto si spiega col fatto che solamente nel 1736 verrà organizzata la fabbricazione e l’approvvigionamento centralizzato dei tessuti; nel periodo precedente l’acquisto dei tessuti era organizzato a livello reggimentale, in funzione delle possibilità locali. La moda militare piemontese subisce per lungo tempo la concorrenza fra l’influenza “spagnola” e “francese” e l’aspetto del soldato era naturalmente legato alle alleanze politiche del momento. In tal modo, durante la Guerra della Lega d’Augusta, l’esercito ducale era vestito alla maniera “spagnola”; nel 1700, invece, è la Francia che diventa alla moda. I soldati dei reggimenti “nazionali” indossavano una uniforme grigia chiara, sullo stile francese (il cosidetto “juste au corps”), con dei paramenti di colore distintivo, una giacca, due camice, un pantalone, delle calze de delle ghette in tela.
All’inizio della guerra, la giacca del soldato é, di norma, di colore regolamentare, ma più tardi, per ragioni economiche, diventa grigio chiaro; solamente i Sergenti portano una giacca dai colori regolamentari. Una cravatta nera serra il collo e come copricapo viene usato un tricorno nero, più sovente senza galloni, con una coccarda blu. I bottoni sono generalmente di stagno, 36 sull’uniforme e 36 sulla giacca. Buffetteria in cuoio naturale non sbiancato.
Il soldato risulta armato di un moschetto, una sciabola ed una baionetta tipo “bouchon” (a tappo di volata). Nel corso della guerra, alcuni reggimenti ricevono la baionetta a incastro, che doveva rimanere sempre fissata alla bocca da fuoco. Il distintivo dei sergenti consiste in un gallone d’argento o dorato sui paramenti, sulle tasche e sul cappello. L’uniforme degli ufficiali non risulta strettamente regolamentata; l’abito è di norma del colore reggimentale, ma può anche essere rosso o blu. I reggimenti “stranieri” portano un abito rosso o blu e quello degli ufficiali risulta di colore inverso, blu o rosso. Il reggimento della Guardia porta, invece i colori della livrea ducale, blu e rosso, come anche i reggimenti mercenari.
Nel 1706, dopo la vittoria di Torino, la fanteria piemontese viene riordinata con un aumento degli effettivi reggimentali, che si vedono attribuire dei nuovi colori per determinati elementi della loro uniforme, pur restando immutata la disposizione di base dei colori.
La guardia a cavallo porta un abito scarlatto con fodera e paramenti rossi, ornati di galloni in argento o d’oro sulle tasche ed i bordi dei paramenti e con bottoni in argento. In tempo di pace le guardie indossano una giacca ed un pantalone rossi; quest’ultimo viene sostituito, in campagna, da un pantalone in cuoio, più pratico. Nei reggimenti di cavalleria, i soldati indossano un abito grigio chiaro con paramenti e fodera dai colori distintivi del reggimento: rosso per il reggimento Piemonte e blu per il reggimento Savoia. In tempo di pace le giacche non vengono indossate; in campagna, i cavalieri come tutte le guardie risultano vestiti con delle giacche e dei pantaloni in cuoio e mantelli grigio chiari con la fodera del colore distintivo. La cavalleria piemontese non dispone di armamento difensivo; i soldati sono armati con una sciabola (pallasch), due pistole ed un moschetto. I dragoni indossano un abito rosso con bottoni in stagno, mentre giacca, pantaloni, paramenti e fodera sono del colore distintivo del reggimento: blu per il reggimento Sua Altezza, verde per quello del Genevese e grigio chiaro per quello di Piemonte. Questi reggimenti sono spesso denominati secondo i loro colori distintivi: “blu”, “verde” e “giallo” (per il reggimento Piemonte). In campagna, il pantalone in tessuto risulta spesso sostituito con uno di cuoio, mentre i mantelli sono di color rosso con fodera del colore distintivo. Gli artiglieri indossano un abito blu, pantaloni blu e le calze rosse, con bottoni di latta
Il Reggimento di fanteria dispone di due bandiere per battaglione – una “reggimentale” ed una di battaglione nel 1° battaglione e due di battaglione negli altri. Le bandiere reggimentali sono di modello unico e presentano una croce bianca su fondo blu. Al centro della bandiera del reggimento della Guardia e dei reggimenti “vittime di San Benedetto”, ricostituiti, risultano le armi di Savoia; le altre unità disporranno di un modello “semplice” fino al 1734. Le bandiere di battaglione presentano una croce bianca su fondo rosso, con sull’angolo superiore le armi della provincia di cui il reggimento porta il nome, o quelle del suo colonnello. Inoltre, le bandiere dei “vecchi” reggimenti di fanteria “nazionale” e dei reggimenti mercenari, presentano delle “fiamme” multicolori ai quattro angoli. La cavalleria possiede uno stendardo per squadrone; gli stendardi più complessi sono quelli della Guardia a cavallo, uno per compagnia, ereditati dalle compagnie della guardia personale del duca, della sua sposa, ecc.; essi risultano riccamente ornati con simboli araldici individuali e con attributi religiosi. Il reggimento di cavalleria Piemonte dispone di una stendardo cremisi con una cravatta frangiata di fili d’oro; il reggimento di Savoia porta degli stendardi blu e tutti i reggimenti dragoni hanno gli stendardi cremisi con le armi reggimentali ricamate con oro e argento.