IL “CORRIERE” E LA RIVOLTA ARABA NELLA PALESTINA MANDATARIA, 1937-1938
di Daniela Franceschi -
Per insidiare il predominio britannico nel Mediterraneo, il fascismo doveva mostrarsi disponibile verso le istanze di autodeterminazione delle popolazioni arabe, assumendo nel contempo un atteggiamento antisionista. Il quotidiano di via Solferino non fece mancare il suo supporto.
Il fallimento della politica inglese in Palestina fu evidente nel biennio 1937-38, quando la rivolta araba si scatenò, con particolare durezza, sia contro l’amministrazione britannica sia contro gli insediamenti ebraici[1].
Da un lato, la Gran Bretagna si scoprì incapace di gestire masse arabe sempre più attratte da quei regimi totalitari, come la Germania nazista e l’Italia fascista, che sembravano promettere loro l’indipendenza; dall’altro, nel momento in cui il destino degli ebrei europei stava ormai volgendo verso un mortale epilogo, l’Inghilterra fu sostanzialmente contraria ad ogni concessione in merito alle limitate quote di immigrazione. Il regime fascista, vedendo nella Gran Bretagna una rivale da scalzare dalla sua posizione di predominio nel Mediterraneo, si mostrava disponibile verso le istanze di autodeterminazione delle popolazioni arabe, assumendo, nel contempo, un atteggiamento antisionista.
Il “Corriere della Sera”, come tutta la stampa italiana ormai asservita alle direttive del regime, non poteva non riflettere la posizione del Governo, nonostante negli anni precedenti avesse in più occasioni dimostrato simpatia verso il movimento sionista[2]. La nuova linea editoriale si era evidenziata in occasione del decennale della dichiarazione Balfour[3], adottando toni antisemiti durante l’insurrezione araba del 1929[4].
Nei resoconti che il corrispondente ed inviato speciale Alessandro Mombelli inviò durante la rivolta, pubblicati solitamente in prima pagina, l’attenzione rimase quasi sempre focalizzata sugli indomiti insorti arabi, rilevando altresì la dura, ed inefficace, repressione britannica[5].
Le rivendicazione arabe furono al centro di altre corrispondenze dell’inviato. In esse si indicavano i punti salienti di un manifesto fatto pubblicare dal Comitato arabo supremo della Palestina; “innanzitutto il riconoscimento del diritto che hanno gli arabi a una completa indipendenza nel loro paese; secondariamente l’abbandono di qualsiasi idea di creare un centro nazionale ebreo in Palestina; in terzo luogo fine del Mandato britannico e fondazione e riconoscimento d’uno Stato arabo sovrano con la conclusione di un accordo analogo ai trattati anglo-iracheno, anglo-egiziano e franco-siriano; in quarto luogo, infine, cessazione di qualsiasi vendita di terreni agli ebrei sino alla conclusione dei trattati.”[6]. La politica inglese era sotto accusa; ambigua, improduttiva, incomprensibile, decisa a “guadagnare tempo nella speranza che fra alcuni mesi una più calma situazione generale nel Mediterraneo le consenta di agire, tenendo conto soltanto dei propri interessi imperiali senza urtare soprattutto la suscettibilità di certe potenze”[7].
È interessante analizzare la parte conclusiva di un articolo di Mombelli sulla situazione in Palestina[8], in cui si citavano le considerazioni di alcuni giornali arabi sul panarabismo, “un movimento di solidarietà di razza, che molti in Europa si ostinano ancora a considerare come un’utopia, ma che, in realtà, si afferma ogni giorno di più sul terreno concreto dei fatti. Ad ogni modo, i giornali arabi della Palestina non lasciano sfuggire occasione alcuna per sottolinearne la promettente vitalità e per metterne in rilievo la portata non solo sentimentale che esso è destinato ad esercitare in grado sempre più accentuato”[9]. Le parole del giornalista potrebbero far pensare ad un movimento spontaneo, in realtà, le élite arabe utilizzavano sapientemente il nazionalismo delle popolazioni locali per accrescere il proprio potere, frustandone ogni speranza di cambiamento in ambito sociale e politico[10].
Ad un ritratto del nazionalismo arabo come un monolite, il giornalista contrapponeva l’immagine di un movimento sionista lacerato al suo interno; i sionisti revisionisti, il cui leader era Vladimir Ze’ev Jabotinsky, osteggiavano la politica di Chaim Weizmann, eccellente studioso nell’ambito della biochimica, dal 1920 a capo dell’Organizzazione sionista mondiale e futuro presidente dello Stato d’Israele[11]. L’articolo, molto approssimativo, non chiariva le motivazioni dell’opposizione; il piano della Commissione Peel per dividere sostanzialmente in due il territorio della Palestina era rifiutato dai sionisti revisionisti[12], che richiedevano la costituzione di uno Stato Ebraico sulle due rive del Giordano. Il gruppo che si rifaceva ad Weizmann appoggiava invece la soluzione inglese, soprattutto in considerazione della drammatica situazione degli ebrei europei. Da citare le ultime frasi, dal tono antisemita, su Weizmann “che avrebbe tradito gli interessi della razza ebraica per un piatto di lenticchie o per trenta denari”[13].
In un articolo, non firmato e pubblicato in seconda pagina, si rendevano note le caratteristiche salienti del piano di spartizione della Palestina, secondo la relazione della Commissione Peel[14]; la migliore soluzione per il Governo inglese era la divisione in due Stati, arabo ed ebraico, con una parte del territorio posta sotto permanente Mandato britannico. Si rimandava la definizione esatta dei confini ad un’altra specifica Commissione, prospettando così tempi estremamente lunghi per l’attuazione.
Nella polemica antisemita il nesso ebraismo-comunismo è sempre stato presente, e non venne meno negli articoli dell’inviato, in cui si paventava il contagio comunista tra gli ebrei della Palestina[15]. Le ragazze ebree aderenti alle file comuniste, “amazzoni della politica proletaria (…) che a dispetto della giovanissima età, possono dare dei punti ai loro camerati anziani”[16], secondo l’articolista, consideravano il matrimonio un retaggio borghese e la prole un fardello di cui liberarsi. È particolarmente pungente la critica verso le autorità britanniche ed ebraiche che permettevano l’esistenza “di certe colonie collettivistiche, vere fucine di spregiudicatezza morale, di sfacciata promiscuità e di assenza di ogni pudore, (…) iniziative sociali a cui si potrebbe dare come programma un trinomio negativo: né famiglia, né Stato, né Dio”[17].
In realtà, i kibbutz[18] non hanno mai avuto quei caratteri di depravazione morale che gli assegnava il corrispondente, bensì, “pur non raccogliendo la maggioranza della popolazione dell’yishuv, la loro influenza fu comunque notevole, così come su quello dello Stato d’Israele, soprattutto nei primi anni della sua esistenza. Costituendo le comunità dalle quali provenivano le élite della nuova società, per quel che concerne l’economia e la politica non meno che per l’esercito”[19].
In un articolo pubblicato nelle ultime pagine, si faceva riferimento al progetto della Federazione Sionista della Gran Bretagna di richiedere la fine del Mandato britannico e l’incorporazione della Palestina ebraica nel Commonwealth[20]. Pietro Carbonelli, inviato a Londra del quotidiano, non dava molto credito alla proposta, considerandola di “mediocre interesse” e sottolineando, allo stesso tempo, come essa fosse in verità opera del Governo britannico[21]. È interessante notare come si riportassero le considerazioni del dottor Perlzweig, Segretario della Federazione, per meglio evidenziarne la perfetta conformità con gli interessi dell’impero britannico; “la realizzazione del piano indicato dalla Federazione sionista avrebbe immediate ripercussioni in tutto l’oriente mediterraneo. Gli ebrei della Palestina, sostenuti dai loro fratelli di razza in Europa, in America e in altre parti del mondo, assumerebbero l’organizzazione politica e militare del Paese, assicurando sotto la guida della Gran Bretagna la pace interna e la difesa del territorio”[22]. Il nuovo Stato sarebbe divenuto “un centro di irradiazione dell’influenza britannica in un’area che è attualmente permeata di influenze ostili. Il 95% degli ebrei di Palestina saluterebbe con entusiasmo una decisione a favore della definitiva inclusione della Palestina ebraica nell’impero britannico”[23]. Carbonelli concludeva affermando che una decisione in tal senso del Governo inglese sarebbe stata giustificata con “le solite difficoltà della situazione in Palestina e con la necessità di sottrarre quel territorio alle perniciose influenze della propaganda antibritannica, giustificazioni indubbiamente strane da parte di un Governo che vorrebbe che tutto fosse deciso secondo il sacro Codice ginevrino”[24].
È importante citare un altro contributo, pubblicato in seconda pagina e non firmato, sul futuro Dominion[25]. “La deviazione filo-britannica del sionismo ufficiale”[26] aveva provocato fortissimo sdegno tra gli ebrei ortodossi, che non avrebbero mai accettato di perdere l’indipendenza del futuro Stato ebraico. Nell’articolo si citava un intervento del giornalista Pierre Van Paassen sulla rivista “Asia”, in cui si incoraggiavano gli arabi a collaborare con gli ebrei contro l’oppressione inglese. La Gran Bretagna, affermava Van Paassen, quando non “desiderava in Palestina uno Stato ebreo, ha essa stessa incoraggiato un movimento antiebreo (…) movimento che evidentemente non serve più ora che gli inglesi hanno convinto gli esponenti del sionismo ad accettare la delimitazione delle frontiere dello Stato ebraico così come le ha fissate la Commissione reale, in cambio di una completa dedizione politica degli ebrei alla causa dell’imperialismo britannico. Di quell’imperialismo che non si opporrà certamente ad un maggior sfruttamento (anglo-ebreo) delle risorse del Mar Morto né alla modernizzazione della base navale di Haifa né alla formazione di un esercito di ebrei, in uniforme kaki, al servizio di Giorgio VI”[27]. Nonostante le frasi di questo articolo possano far pensare ad una sua avversione al sionismo, il giornalista canadese Pierre Van Paassen fu un sostenitore della causa sionista e della nascita dello Stato d’Israele in Palestina.
Degna di attenzione la parte conclusiva dell’articolo del “Corriere della Sera”, in cui si affermava che la reazione ostile degli ebrei non anglicizzati e meno antifascisti della Jewish Agency non sarebbe stata causata dalla propaganda italiana, bensì da “un colpo di mano in pretto stile britannico, in uno stile cioè che contrasta con i principi societari da applicarsi solamente in caso di rivendicazioni di stati autoritari o comunque non aspiranti alla tutela della Corona britannica”[28].
Il palese antisionismo del “Corriere della Sera” era, forse, il preludio della campagna antisemita che avrebbe occupato le pagine di tutti i giornali italiani con l’emanazione delle Leggi razziali[29].
[1] Cfr. www.zionism-israel.com/dic/Arab_Revolt.htm
[2] Cfr. Anonimo, Gli israeliti in cerca di una patria, “Corriere della Sera”, 31 agosto-1 settembre 1897.
Anonimo, Il secondo congresso dei sionisti, “Corriere della Sera”, 30 agosto-1 settembre 1898.
Anonimo, Il congresso dei sionisti, “Corriere della Sera”, 16-17 agosto 1899.
Anonimo, Gli israeliti in Palestina, “Corriere della Sera”, 5-6 maggio 1901.
(J), Il IV congresso dei sionisti, “Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.
(J), Il congresso sionista, “Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.
(J), Il congresso di una razza, “Corriere della Sera”, 26 agosto 1903.
(J), Il regno di Sion, “Corriere della Sera”, 27 agosto 1903.
Italo Zingarelli, Il congresso dei cinquemila, “Corriere della Sera”, 21 agosto 1925.
[3] Cfr. Daniela Franceschi, A dieci anni dalla Dichiarazione Balfour. Antisionismo un po’ confuso nel fascistizzato “Corriere della Sera”, “Il tempo e l’idea”, settembre-ottobre 2004, p.112.
[4] Cfr. Daniela Franceschi, In sostegno alle rivolte arabe in Palestina. L’antisionismo nel fascistizzato “Corriere della Sera”, “Il tempo e l’idea”, seconda metà di dicembre 2004, pp. 183-184.
[5] Cfr. Alessandro Mombelli, Improvvisa aspra repressione attuata dall’Inghilterra in Palestina, “Corriere della Sera”, 2 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Risoluta resistenza araba contro le misure di polizia in Palestina, “Corriere della Sera”, 4 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Reazioni del mondo arabo alle repressioni in Palestina, “Corriere della Sera”, 4 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Il fermento arabo continua contro la politica britannica in Palestina, “Corriere della Sera”, 6 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Gli arabi lotteranno fino alla morte, “Corriere della Sera”, 6 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, La lotta in Palestina. Pressioni su Londra dei massimi poteri arabi, “Corriere della Sera”, 9 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Ostilità arabe contro l’Inghilterra, “Corriere della Sera”, 12 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Tremenda rappresaglia inglese contro gli arabi in Palestina, “Corriere della Sera”, 17 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Giornata di sangue in Palestina. Violenta reazione araba alle durissime misure inglesi, “Corriere della Sera”, 19 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Attentati e rappresaglie si avvicendano in Palestina, “Corriere della Sera”, 23 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Nuovi attentati in Palestina. Una bomba su una linea ferroviaria. I posti punitivi di polizia, “Corriere della Sera”, 25 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Scene di sangue e panico nelle vie di Gerusalemme, “Corriere della Sera”, 30 ottobre 1937.
Alessandro Mombelli, Ribellione in Transgiordania contro l’emiro anglofilo, “Corriere della Sera”, 3 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, La legge marziale in Palestina, “Corriere della Sera”, 11 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, Due bombe contro gli arabi nel centro di Gerusalemme, “Corriere della Sera”, 12 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, Atmosfera guerresca a Gerusalemme, “Corriere della Sera”, 16 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, I focolari d’incendio nel mondo arabo, “Corriere della Sera”, 17 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, Gli arabi contro le potenze mandatarie. Sanguinoso conflitto a Beirut, “Corriere della Sera”, 22 novembre 1937.
Alessandro Mombelli, In Palestina. Gli inafferrabili ribelli danno affanni alle truppe inglesi, “Corriere della Sera”, 4 dicembre 1937.
Alessandro Mombelli, In Palestina. Tentativo d’incendio delle caserme militari di Gerusalemme, “Corriere della Sera”, 7 dicembre 1937.
Alessandro Mombelli, A Gerusalemme sotto gli inglesi. La vita degli arabi è a buon mercato. Il terrore nella Città Santa tra le esplosioni della rivolta e le spietate repressioni britanniche, “Corriere della Sera”, 19 dicembre 1937.
Alessandro Mombelli, La rivolta palestinese. Trinceramenti in Galilea contro gli indomiti ribelli, “Corriere della Sera”, 18 gennaio 1938.
Alessandro Mombelli, La rivolta in Palestina. Venti vittime in tre giorni, “Corriere della Sera”, 22 dicembre 1937.
Alessandro Mombelli, Imboscate in Palestina agli autobus ebraici, “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1937.
[6] Cfr. Alessandro Mombelli, L’Ambigua politica inglese in Palestina. Gli arabi hanno deciso di ripresentare domanda di assoluta indipendenza. Nuovi attacchi contro le pattuglie britanniche, “Corriere della Sera”, 10 gennaio 1938.
Alessandro Mombelli, In Palestina. Gli arabi riaffermano le loro rivendicazioni nazionali, “Corriere della Sera”, 19 gennaio 1938.
[7] Ibidem.
[8] Alessandro Mombelli, La rivolta in Palestina. Sparatoria, bombe, arresti si susseguono senza tregua, “Corriere della Sera”, 14 novembre 1937.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. Bice Migliau-Franca Tagliacozzo, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1993, p.414.
[11] Alessandro Mombelli, Beghe tra gli ebrei: Weizmann accusato di tradire la razza, 14 dicembre 1937.
[12] I sionisti revisionisti avrebbe voluto un atteggiamento più risoluto nei confronti sia degli arabi sia degli inglesi. Nel 1925, Jabotinsky si era ritirato dall’esecutivo dell’Organizzazione Sionistica per dare vita all’Unione Mondiale dei sionisti revisionisti, dieci anni dopo costituì la New Zionist Organization, in contrapposizione alla World Zionist Organization.
[13] Ibidem.
[14] Anonimo, Il progetto di spartizione della Palestina. Un libro bianco inglese. Forte corrente sionista contro il piano di mettere il futuro Stato ebraico sotto il controllo di Londra, “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1938.
[15] Cfr. Alessandro Mombelli, La rivolta in Palestina. Il contagio comunista tra gli ebrei. Le amazzoni del bolscevismo. Amoralità e ateismo nelle colonie sioniste e collettivistiche, “Corriere della Sera”, 11 gennaio 1938.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Per un inquadramento storico Cfr. Lorenzo Cremonesi, Le origini del sionismo e la nascita del Kibbutz, Firenze, Giuntina, 1985.
Henry Near, The Kibbutz movement. A history. Origins and Growth. 1909-1939, Oxford, Oxford University Press, 1992.
[19] Cfr. Claudio Vercelli, Israele. Storia dello Stato. Dal sogno alla realtà (1881-2007), Firenze, Giuntina, 2007, p.122.
[20] Una proposta similare era già stata fatta nel 1905 ed anche in questo caso il “Corriere della Sera”, naturalmente con toni differenti, ne aveva dato notizia. Cfr. Anonimo, Per una colonia israelita in Sud- Africa, “Corriere della Sera”, 2 agosto 1905.
[21] Cfr. Pietro Carbonelli, Manovra dei sionisti inglesi per trasformare la Palestina in Dominion. Pieno appoggio del societario Governo londinese, “Corriere della Sera”, 4 gennaio 1938.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Cfr. Anonimo, Il Dominion ebreo in Palestina. Reazione ostile dei sionisti alla politica inglese dell’Agenzia ebraica, “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1938.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Cfr. Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a Internet, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 166.