I TITOLI DI ISEURE E SOUVIGNY: UN FALSO SULL’ORIGINE DEI BORBONE

di Ciro Pelliccio -

Ci sono voluti tre secoli per smascherare la presunta e comune discendenza della casa regnante di Francia dalla dinastia carolingia e capetingia.

Ancora oggi lo studioso che voglia indagare sull’origine dei Borbone di Francia (e quindi quelli di Spagna e Napoli dai quali derivano) si troverà di fronte a un numero considerevole di genealogie, alcune inesatte altre del tutto false, ma che hanno quale comune denominatore la tesi di una loro discendenza, non meglio precisata come, con i Carolingi; e, se si studia la copiosa storiografia del XVIII e del XIX secolo, anche con i Merovingi, in una sorte di continuità dinastica tra le tre Maison Royale francesi.
Sul finire del suo regno Luigi XIV decise di approfondire lo studio delle origini della propria famiglia basandolo soprattutto su documenti inediti. Nel primo decennio del XVIII secolo era molto aperto il dibattito politico sulla terza Maison Royale (i Borbone) la cui legittimazione “politica” sembrava discendere soprattutto dalla sua legittimazione “dinastica”; e mettere in discussione la seconda significava, inevitabilmente, mettere in discussione anche la prima e pertanto appariva essenziale per Luigi dimostrare la continuità storica e dinastica della sua Maison con le due precedenti Case Reali francesi: i Carolingi e, prima ancora, i Merovingi. Per questo delicato compito, Luigi scelse un Priore dell’ Ordine Carmelitano: padre André de Saint Nicolas, al quale affiancò lo storico ed erudito duca d’Epernon-Rouillac. La scelta non poté essere più infelice. Il Carmelitano aveva già pubblicato in forma anonima qualche anno prima una interessante Histoire gènéalogique de la maison Royale de Bourbon, ancien et modern, e forse anche per questo ebbe l’incarico, ma era anche un falsario, fin da suoi anni giovanili, anche se ebbe l’astuzia di non pubblicare mai nulla a suo nome dei documenti che egli stesso creava, facendoli pubblicare o utilizzare ad altri studiosi. Il carmelitano affrontò il lavoro con molto zelo: girò gli archivi pubblici e privati, gli archivi delle abbazie e dei conventi del Bourbonnais, lesse iscrizioni di ogni tipo, le pubblicazioni che direttamente o indirettamente si occupavano della Maison.

Il risultato di questo suo lavoro fu pubblicato dal duca d’Epernon in una Histoire che riscosse subito un enorme successo nel grande pubblico, ma che tra gli studiosi più attenti originò un forte dibattito. Il duca propose infatti una nuova genealogia suffragata da alcuni titoli del X secolo che furono fin da subito sospettati di essere falsi, per i personaggi narrati e per il genere letterario usato. Ne fu accusato il duca, non solo di averli “creati” ma anche di averli forniti agli studiosi di tutto il mondo sviandoli in tal modo. Si voleva sapere dunque da dove provenissero questi documenti. Il duca asserì essere stati rinvenuti negli archivi dell’abazia di Souvigny. Così l’Intendente di Moulins de Bouville ricevette l’ordine dal ministro Colbert di eseguire una ispezione amministrativa su questa vicenda. Si recò a Souvigny e ne estrasse delle copie; non contento il ministro gli chiese la trasmissione degli originali e li fece analizzare, in sua presenza, dai due maggiori studiosi di diplomatica del tempo: de Mabillon e Baluze. Il Ministro chiese inoltre al de Bouville di informarsi sulle circostanze in cui erano stati rinvenuti questi titoli; se i religiosi ne avessero avuto conoscenza o meno, se vi fosse stato un inventario precedente che li indicava, se vi fosse un vecchio libro dal quale sembravano essere state strappate le pergamene. Il de Bouville rispose in una sua memoria, che queste pergamene erano state rinvenute in un sacco di tela insieme ad altri documenti, in un locale il cui accesso era riservato solo al Priore, che nessuno dei religiosi aveva mai saputo prima della loro esistenza e che l’ultimo inventario, redatto circa 40 anni prima, non li riportava.

I titoli furono esaminati in presenza del ministro Colbert e del de Bouville dal de Mabillon e Baluze. Il primo li condannò senza neppure un approfondito esame, per una serie di motivi: i caratteri usati, l’inchiostro ancora molto recente per la presunta età dei documenti, la perfetta corrispondenza dello strappo da un libro che conteneva documenti molto più recenti, i titoli scritti con lettera maiuscola, come si usava solo da duecento anni, ed altri elementi semantici e per vari anacronismi. Il secondo invece espresse qualche riserva su questa valutazione, difendendo, abbastanza apertamente, la genuinità dei documenti. E in una nota dell’Armoire autografa di Baluze del 1073 scritta tre anni prima dell’esame dei titoli di Souvigny, si intuisce il suo atteggiamento. In quell’anno padre Andrè stava collaborando con lo stesso Baluze alla stesura di una Histoire de la Maison d’Auvergne e nella quale lo stesso carmelitano aveva fornito alcuni titoli molto più che sospetti, era quindi logico che attraverso la difesa del falsario, Baluze tendesse a difendere la bontà del suo lavoro.

Oggi è ampiamente condivisa fra gli storici la tesi di una origine germanica dei Capetingi quali discendenti dei duchi di Worms, ma alla fine del XVII secolo, si erano sviluppate ben quattro teorie: alcune immaginifiche, altre con una qualche attendibilità. La prima era stata elaborata da Conrad d’Usperg, abate di Lichtenow, in Germania, autore del XIII secolo, che fu successivamente adottata anche da Lazius, Onofrio Panvini, Fauchet e Pontus de Thiars. A suo dire Roberto Il forte discendeva da un Witikind Il Grande che l’Usperg ritiene morto nell’807 e che ebbe un figlio Roberto, che a sua volta ebbe un figlio di nome Witikind, che l’Usperg sostiene sia stato esiliato in Francia ponendosi sotto la tutela di Carlo Magno. Questa tesi, anche se con il tempo si è rilevata la più attendibile, sembrava ai contemporanei, in realtà poco credibile: l’idea che la terza casa dei re di Francia discendesse da un duca tedesco, acerrimi nemici dei Franchi, peraltro senza lignaggio e risorse economiche, assurto a livelli così elevati, era sicuramente difficile da sostenere sul piano emotivo ancor prima che quello storico.

Una seconda tesi fu sviluppata nel XVI secolo dallo studioso italiano Matteo Zampini che ebbe negli anni successivi il sostegno di del Bene, vescovo di Alby, du Bouchet, Dominaci, p. Anselme, Blondel e di padre Labbe. Zampini redasse una genealogia per la quale Roberto Il forte, discenderebbe in linea diretta da Pepino d’Heristal e quindi collaterale di Carlo Magno. Una terza tesi fu pubblicata da Jacques Chifflet, medico e biografo del re di Spagna, nel 1643 nella sua Vindicæ Hispaniciæ. Fa discendere Roberto il forte da un duca di Baviera di nome Welphe.Una quarta fu elaborata dal gesuita Tournemine che però non ebbe quasi nessun seguito per la quale Roberto il forte discendeva per linea naturale direttamente dal Carlo Magno.

Ma i Borbone-capetingi discendevano solo per linea femminile dai Bourbon-ancienne, i primi signori di Borbone, per cui era necessario che Roberto di Clermont, ultimo figlio di Luigi IX il Santo e sua moglie Beatrice di Bourgogne, erede della baronia di Borbone, a sua volta discendente per linea femminile dai Bourbon-Dampierre, fossero della stessa linea parentale, e quindi, scendendo nei secoli, Roberto il forte, capostipite dei capetingi, e Adhemar capostipite dei primi Signori di Borbone fossero almeno cugini e che entrambi discendessero in linea diretta e mascolina da Meroveo. Ciò avrebbe implicato sul piano storico una continuità dinastica fra le tre case reali francesi ed escludere ogni forma di usurpazione della linea merovingia come si era portati ad affermare.

Quando padre André si accinse a “cercare” questo capostipite comune ad Adhemar e la dinastia carolingia, senza riuscirvi, lo spirito di cortigianeria lo portò a “costruire” una serie di documenti che lo attestassero. Ma quale delle quattro teorie avrebbe dovuto o potuto utilizzare per questo suo disegno? Tra le esistenti solo quella di Zampini, elaborata nel 1588, poteva essergli utile, perché non solo la più seguita e diffusa ma era l’unica che presentava un capostipite comune tra Roberto Il forte (chef dei Capetingi) e Carlo Magno nella persona di Pepino d’Heristal (chef dei Carolingi) nipote di Saint-Arnould, vescovo di Metz e duca d’Austrasia, (dinastia degli Arnoulfesi) il più lontano antenato di Carlo Magno. P. André disponeva quindi di una solida base per affermare la continuità nella linea di successione Merovingia, Carolingia ed infine Capetingia, secondo una genealogia che partendo da Meroveo attraverso Bilchide, figlia del suo diretto discendente Clotario I, arriva a Pepino d’Heristal.

Quasi certamente conosceva, come studioso della Maison, la famiglia dei Nibelungidi, un ramo cadetto naturale dei carolingi che aveva in Childebrand (I) duca di Francia il capostipite, figlio minore di Pepino d’Heristal e fratello di Carlo Martello. Questo ramo si stanziò nella Bourgogne e in Picardie e la sua genealogia è rimasta quasi oscura almeno fino agli anni ‘30 del XX secolo quando fu oggetto di un attento studio da parte di Lèon Levillain della Ècole des charter padree André utilizzò proprio questo ramo per ricondurre i Borbone ai Carolingi. Era l’ideale infatti: una linea che portava direttamente ai Carolingi e ai Merovingi, adattabile alle sue esigenze genealogiche e con minori implicazioni sul piano storico, proprio perché quasi sconosciuta. E’ così che, a mio avviso, padre André diede alla luce otto documenti apocrifi, anche se il numero esatto è sconosciuto. Di questi documenti, solo tre furono sottoposti al vaglio critico di de Mabillon e Baluze che fin da subito, per elementi semantici, storici, linguistici e materiali, ne dichiararono la falsità.
Ecco i documenti.

La donazione di S. Petri de Isodro (la donazione d’Iseure) di Childedrand (II)

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
S. PETRI DE ISODRO
Sacro sancto monasterio S. Petri, in pago Augustidunense, et vicaria Isodro, ubi venerabilis et deo dilecta Amalberga, abbatissa, præesse videtur, ego, in dei nomine, Childebrannus comes, pavens diem extremæ vocationis, cedo, cessumque in perpetuum ut permancat volo, quicquid in ipsa vicaria Isodro visus sum habere, et de genitore meo Nibilungo, comite quondam, in legitima hereditate pervenit ad me, tam campis, vineis, silvis, pascuis, cultis et incultis, exitibus et ingressibus, totum ad integrum Isodro, ad jam dictam Abbatiam Sancti Petri, cedo et transfundo pro remedio animæ mee, et charæ conjugis Donnanæ.atque in eleemosina Ekardi, Frideluni, Teudrici filiorum, et germani fratris mei Tetberti. Et, ut hæc donatio omni tempore firma et stabilis permaneat, stipulatione subnixa, Ego Childebrannus comes donum feci † Signum † Donnanæ. S. † Ekardi qui consensit. S. † Frideluni qui consensit. Sig. † Teuderici qui consensit. Sig. † Arnulfi. Sig. † Ingelmari data IIII Kal. aprilis, indict. X, anno imperii domni Hludouvici Augusti XIX. Augustiduno civitate, in dei nomine feliciter, Amen. Giraldus rogitus scripsi et signavi. — (Cum stipula subtus inserta in signum stipulationis.)

È del 29 marzo dell’832 ed è fondamentale. Si tratta di una donazione di Childebrand per la redenzione della propria anima di alcuni terreni all’abazia di S. Pietro nella vicaria di Isodro, e con essa il carmelitano costruisce un primo ed importante segmento di quella complessa genealogia che porta Adhemar (de Bourbon) a Childebrand (II). Fa dire al donante di essere figlio di Nibilung (…et genitore meo Nibilungo, comite quondam.), di essere sposato con Donna (. Et charæ Donnanæ…), di avere tre figli (. Ekardi, Frideluni, Teudrici filiorum…) ed un fratello (…et germani fratis mei Tetberti). E in effetti nella dinastia dei Nibelungidi la circostanza è vera: Nibelungo (705/720-786) era figlio di Childebrand (I), missus dominicus (…de remporibus domni Pepin regis sive de nomen Nivelungi) intervenuto in una lite tra «Vulfudum episcopum et Heccardum comiter», ed ebbe a sua volta tre figli tra cui Childebrand (II). E qui commette però un primo errore. Secondo gli studi del Lèon Levillain, ormai i più completi che disponiamo, Childebrand (II) ha sì un fratello Theodebert (Tetberti) e un figlio Eccard (Ekardi), ma anziché Frideluni e Teuderici ebbe in realtà Bernard e Thierry: non solo, ma essendo Eccard conte di Mêcon e d’Autun, sembra strano che nella donazione non sia stato utilizzato anche per lui, come era in uso al tempo, il titolo di «comite». Inoltre, l’Eccard di Lèon Levillain non ha eredi, mentre p. André gli attribuisce un figlio per colmare il vuoto di una generazione tra Eccard ed Adhemar. Si chiamerebbe a suo dire Nibilung, che avrebbe a questo punto l’ordinale II, e lo fa “dire” ad Adhemar nella Karta de Lisinias.

Geraud nella sua Prolégomenes au polytique d’Irmion lo accetta come autentico, ingannato anche dalla bravura di p. André che emerge tutta dal testo: riconduce i Bourbon-Ancien a Childebrand nel giro di poche generazioni attraverso Ekardi. Ma nonostante ciò non resse l’attento esame del de Mabillon, il quale così si espresse nella sua relazione:
«Il documento di Childebrand II della donazione a Iseure è molto sospetto. Contro il costume dell’epoca il documento non reca alcun riferimento alla dotazione;la pergamena ha delle piegature che fanno pensare al resto di un’altra meno anziana; una linea tirata dall’alto verso il basso presenta ancora caratteri di modernità straordinaria per un documento così antico. É evidente che la pergamena è stata affumicata per renderla più vecchia;il taglio in alto, e una parte di quello in basso è molto più recente;le tre fessure fatte per intrecciare i fogli, sembrano recenti, e guardando da vicino, ci si accorge che in realtà per queste fessure non è passato alcunché, né corda né altro materiale. La scrittura, quasi imitata, è in realtà diversa da quella usata al tempo di Lous-le-Débonniere, come invece dovrebbe essere. É ineguale, si rimarca particolarmente la “e” che è di forma molto diversa da quella del X secolo; molti autori contemporanei la scrivono in tal modo. Analogamente per la “o”, la “h”, la “m” e la “l”. Ecco una supposizione più concreta: l’autore di questi documenti ha immaginato i nomi propri di persona, dei santi e dei luoghi tutti con lettera maiuscola come oggi, mentre era esattamente il contrario nel X secolo. Pertanto ha scritto: Isodro, Amalberga, Abbatissa, Childebr, Abbatiam, Donnae, Frideluni, Teuderici, Tetberti; ha scritto eleemosina con due “e” contro il costume del tempo, dove questa duplicazione era sconosciuta;non era costume del tempo redigere un documento senza alcun prologo, invocazioni o complimenti, mettendo ad esempio il titolo della chiesa, del monastero, o dell’abate prima di richiamare il donatario. Anche lo stile non è quello del X secolo, come quello di mettere alla fine del documento la locuzione pro rimedio et in elemosina di sua moglie e dei suoi figli e senza fare alcun riferimento che la donazione valesse anche pro rimedio animæ ejus; la parola charæ che si pretende essere data da Childebrand alla moglie è sconosciuta per l’epoca, dove, invece, era più usato dilecte, dilectissimæ, dulcissimæ, etc; riflettendo sull’utilizzo della parola filiorum, che in un testo originario del X secolo sarebbe seguita da meorum o nostrorum, è invece assente».

La Karta Adhemari comitis

EX EODEM APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta Ademari comitis
In Christi nomine, ego Ademarus comes, in me cogito mortis casus, et peccaminum meorum enormitatem; propter hoc videtur mihi de mea substancia meas facere elemosinas, et res meas commendare in manibus Gironso archiepiscopo, ëriveo episcopo, nepote meo, Berno Abba. Idem et Ugo dux, frater Radolfi regis, et Ugo etiam dux, nepos meus, et, sicut per istam kartam insertum est, disponatis pro redemptione animae meae, et Irmingardis uxoris, et Eckardi comitis, avi mei, et Nivilungi, genitoris mei, quondam comitis, et Kunegundis genitricis mea, et Rodberti, et Adelelmi, quondam fratrum meorum , ac etiam Haimonis, et Archimbaldi, et Dagberti filiorum meorum. Donate in primis deo, ad locum Cluniacum sive Silviniacum, quod est in honore S. Petri cœli clavigeri, ipsum Silviniacum, et vêtus Silviniacum, cum vineis, pratis, terris, genebreriis, et omni superposito, et dimidiam forestam Massargas, et molendinum, cum omnibus appendiciis, et, Branaco villa , et Marinaco , Lisinias , Camegas, et tria mansa vestita subtus Castrum Honoris. Et ad S. Portianum ecclesiam Salsaco villa, sicut per testamentum kartarum monachis S. Petri et S. Portiani contradidi. Donate insuper alodem mei juris, subtus Silviniacum , cum mansis III, terris, pratis et mancipiis desuper commantibus (sic) , et quicquid in ipso Silviniaco visus fui habere, nullo calumpniante, ad jam dictum Cluniacum sive Silviniacum, et inde sit adniversarius factus per singulos annos, tam meus, quam et illorum quos superius commemoravi, per monachos memorati loci Silviniaci, et sepeliant me sive ossa mea, quando mortuus fuero , in ipso Silviniaco. Donate ad S. Menulphum argenti libras XII ; ad S. Porcianum uncias XX; Isodro ad abbatiam S. Petri, libras argenti XXX ; ad S. Vincentium, Cantilla Castro, libras argenti V, et unum mansum indominicatum, et quicquid ad illum aspicit. Donate ad ecclesiam sive Capellam S. Mariae Molendinorum, prope fluvium Haleris, duos mansos indominicatos, cum servis et mancipiis utriusque sexus, ultra fluvium Haleris, et sit capella ista S. Mariae ad locum jam dictum Silviniacum. Donate Archimbaudo, filio meo, alodos X, cum mansis XLV, et servis , et ancillis , et omnibus suprapositis et spadam meam minorem, et sigillum de safiro, ubi Irmingardis sculpta est, et duos falcones, et caballos IIII. Donate Dagberto , germano suo, monacho, duos alodes minores, et unum calicem argenteum , et libros Hieronimi. Donate seniori meo, Radolfo regi ,sparvarios VI, et Immae dominae crucem argenteam cum gemmis. Donate (Gironso archiepiscopo crucem auream minorem, Eriveo episcopo anulum aureum cum sigillo de topaxo, Berno abba crucem argenteam cum reliquiis sanctorum. Donate per pauperes CCCCC. solidos pro elemosina. Donate Haimoni, filio meo, res meas quas adquisivi sive hereditavi, et quicquid Karolus rex gloriosissimus beneliciavit mihi in pago Agustodinense, sive Nevernense Arvernense et Hituricense, et sint sua e hereditatis, paeter res quas Archimbaudo et Dagberto, germanis suis, superius delegavi. Actum publice castello Molendinorum, in pago Agustidunense, prope fluvium Haleris, anno I, regnante Radolfo rege, IV kal. madii, iudict. XII. Eriveus, presbiter Erivei Episcopi, scripsit et datavit.

Datata 28 aprile 924, è il testamento di Adhemar (de Bourbon) che lo redige nelle mani dell’arcivescovo Geronzio alla presenza del duca Ugo fratello del re Rodolfo e Ugo (… idem et ugo dux, frater rodolfi regis, et ugo etiam dux, nepos meus, et eckardi comitis, avi mei, et nibilungi, genitoris mei …). Il documento tende a confermare il rapporto di parentela tra Adhemar (de Bourbon) e Ugo le Grand e Ugo Le noir… (Idem et Ugo dux, frater Radolfi regis, et ugo etiam dux…) ai quale Adhemar attribuisce lo stato di nipoti (..nepos meus..) nominandoli esecutori testamentari. I soggetti in effetti sono esistiti: Geronzio era il quell’anno arcivescovo di Bourges e Bernone abbate di Cluny, ma l’atto risulterebbe redatto nel castello di Moulins (Actum publice castello Molendinorum), il quale a quella data non esisteva, e verrà costruito alcuni secoli dopo Roberto di Clermont. Si aggiunga poi che Moulins nel X secolo era chiamata Molinis, come si rinviene nel primo atto in cui si afferma la sua esistenza del 990 , e non Molendinum come afferma padre André. Vi è anche il problema della moglie Irmingardis. Questa è presente insieme ai figli Haimonis, Archimbaldi e Dagberti che invece scompaiono tutti nella carta di fondazione di Souvigny (miles clarissimus) appena un anno dopo. Ora, se l’assenza della moglie potrebbe essere spiegata da una sopravvenuta vedovanza, che dire dell’assenza dei tre figli? Delle due una: o erano premorti ad Adhemar (de Bourbon), ma sappiamo che così non è, o non avevano capacità di testimoniare nel 925 data della donazione di Souvigny, ma a quel punto a fortiori per una del 924, dove, stranamente, appaiono.

La Karta Haimonis

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta Haimonis
Ego, in dei nomine, Haimo dominus Borbonensis, filius Ademari comitis et Hermengardis comitissæ, quondam reputans, in mea corporis infirmitate, varios humanæ fragilitatis casus, quo et meæ vitæ malæ possim sordes abluere, et, propitiante domino, ad æterna gaudia cœli pervenire, mihi visum fuit res meas, quas adquisivi sive hereditavi, et, de mea substancia, meam eleemosinam commendare in manibus fidelium meorum consanguincorum, Hugonis incliti ducis, Hugonis, item comitis, filii sui, Ottonis, item comitis, fratris ejus et amicorum meorum, Aimardi abba, Lecterici monachi, Lotharii presbiteri, quod ita et feci. Donate in primis deo, et Sanctæ Mariæ, et Sancto Petro, ad locum Silviniacum, alodum meum de Longoverno, in pago Arvernense, sicut pergrammas kartarum donavi, et quicquid vir inluster, Ademarus comes, senior meus, memortæ ecclesiæ contradidit, et ego contra rectum tamdiu retinui; et ista omnia, quæ ibi reddo, sint ad vestimenta monachorum deo servientium, et inde anniversarius sit factus per singulos annos, tam meus, quam in sæpe dicti senioris mei Ademari, et pro genitrice mea Hirmingarde, germanoque Archimbaudo, germano item Dagoberto, necnon uxore mea Aldesinda, et filiis nostris Geraldo, Archimbaldo, Haimone, Ebbone, Umberto, et Anserico, et filia nostra Aldesinda. Donate Archimbaldo, filio meo, castrum meum Burbonis, cum tota terra mea, et Nerio, Cerilaco, et quicquid adquisivi, sive hereditavi, in pago Bituriacense, sive Arvernense, et Augustidunense, sive quicquid dominus Karolus rex gloriosissimus Ademaro comiti per suum præceptum beneficiavit, cum omnibus villis, mancipiis, et appendiciis ad se pertinentibus, præter castrum de Termis ultra Legerem fluvium, quod volo ut donetis Anserico, fratri suo, et quicquid ibi aspicit cum omni integritate. Donate Umberto clerico alodem Camega, cum mansis VIII, et mancipiis, terris et vineis desupor manentibus. Et de nostra capella donate Ebboni castrum Cantilla cum appendiciis, et IV caballos, et spadam , et duos sigillos de amatixo. Donate Aldesindæ crucem auream, de suis gemmis, et quicquid de gemmis habemus. Donate Anserico etiam , fialas argenteas IV, et spadam cum gemmis, et sigillum de berillo, et III caballos bonos, quos elegere potest. Donate Umberto crucem argenteam cum reliquiis, unumque calicem argenteum majorem, et duo candelabra argentea, missale unum, eum euvangeliis et epistolis, et libros meos : et istas res quas delegavi, habeant Ebbo et Umbertus de Capella nostra ad usum quamdiu advixerint, postea revertantur ad Archimbaldum , cum Castro Cantilla, si non est filius Ebbonis, vel filia. Donate Girontio archiepiscopo crucem auream minorem, et Augustinum de Civitate Dei libellos duos; Bernardo episcopo calicem argenteum minorem, cum fialas duas majores; Rothemundo episcopo Cronica Francorum cum tapetem meliorem unum. Donate Dacberto, germano meo, mansa vestita V, et crucem auream majorem. Donate solidos CCC in elemosina per pauperes, et, quando mortuus fuero, facite me sepelire in Silviniaco, apud monachos S. Petri, juxta seniorem meum Ademarum. Actum apud castrum Burbonium, regnante rege Ludovico, anno IX. Ordradus presbiter scripsit.

Datato anno 945, l’atto contiene una serie di donazioni fatte da Aimon ai propri figli, in sostanza il suo testamento e con esso padre André fa “ dire” ad Aimon Sire di Borbone (Haimo dominus Borboniensis) che è figlio del conte Adhemar e della contessa Ermergarda (ademari comitis et Hermengarde comitissæ) e gli fa declinare il resto della famiglia (et pro genitrice mea Hirmingarde, germanoque Archimbaudo, germano item Dagoberto, necnon uxore mea Aldesinda, et filiis nostris Geraldo, Archimbaldo, Haimone, Ebbone, Umberto, et Anserico, et filia nostra Aldesinde). Anche qui vi è un passaggio agli inizi del testo a riconferma della “parentela” di Aimon con Ugo Il Grande, poiché sostiene che la sua elemosina è finalizzata a commendare le anime di Ugo Il Grande e suo figlio Ugo (commendare in manibus fidelium meorum consanguincorum, Hugonis incliti ducis, Hugonis, item comitis, filii sui…). Esaminato e subito condannato dal de Mabillon, in effetti presenta, oltre a problemi di discrasia lessicale anche alcuni anacronismi. Anche qui, come nella donazione di Childebrand, la parola “elemosina” è scritta con due “e” e non con una sola e i nomi propri di persona sono scritti con le iniziali maiuscole; la donazione a suo figlio Anseric di un “castrum” situato oltre la Loira (præter castrum de Termis ultra Legerem fluvium, quod volo ut donetis Anserico, frati suo.) è un indubbio anacronismo. Castrum Thermis era il nome della località che successivamente si chiamò Bourbon-Lancy, città che all’epoca era in Bourgogne e non tra i possedimenti di Aimon.
I restanti cinque non furono oggetto di studio da parte di de Mabillon, un po’ perché provenivano dalla stessa fonte fraudolenta e un po’ perché presentavano alcune caratteristiche comuni a quelli apocrifi. I documenti sono andati persi nei secoli, ne conserviamo solo delle copie a stampa, tuttavia è possibile rilevare quantomeno degli anacronismi storici.

La Karta Karoli regis

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta Karoli regis
Karolus, divina ordinante clementia, rex Francorum. Regalis execllentiæ et celsitu linis mos est, fidèles suos et regni donis ingentibus honorare, et ad fidelitatem promptiores facere.Idcirco, parentum nostrorum regum et imperatorum, videlicet præ decessorum nostrorum, unorem affectantes, notum esse volumus regni nostri principibus et fidelibus, quoniam ad hereditatem fidelis nostri Adhemari comitis cunjungimus et concedimus res quasdam juris nostri, prope fluvium Legerem sive Halerem, in pago Agustidunense, sive Arvernense et Bituricense, id est. Silviniacum cum ecclesiæ quæ est in honore Sanctæ Maria et Sancti Petri, cum Genebreriis, forestis, vineis, pratis, terris, et appenditiis in ipso pago Arvernense, Branaco villa, Bessono, Gamega, Marinaco, Cirilaco, cum mansis indominicatis LXVII et appendiciis in pago Bituricense , et in vicaria Isodro in pago Agustidunense, ecclesia sive abbatia Sancti Petri, jure beneficii, villa quæ dicitur Lisinias, Cabanis, Averno, Isodro, Tolonio, Capitello, Luceniaco, Casellis, et omnibus intra alveum Ligeris et Haleris, et cespitaticum sive castellum de Termis, prope Legerem, cum rebus supra degentibus, et appendiciis ad se pertinentibus, cum casa indominicata, totum, ad integrum, memorato fideli nostro Ademaro comiti, ad proprium concedimus, et contradimus, et de nostro jure in jus illius transfundimus, ita videlicet, ut quicquid exinde, a die presenti, pro sua utilitate, facere decreverit, liberam et firmissimam in omnibus habeat potestatem, nullo penitus contradicente. Et ut etiam hujus nostræ largitionis et donationis præceptum per succedentia annorum tempora firmius conservetur, et attentius observetur, manu propria subter firmavimus, et anuli nostri impressione sigillari jussimus. Signum Karoli regis gloriosissimi. Gozlinus notarius, ad vicem Herivei, recognovi. Data III idus octobris, indictione I, anno XX, regnante Karolo rege gloriosissimo, redintegrante anno XV, largiore vero ereditate indepta anno I. Actum Metis civitate, feliciter, in dei nomine, Amen.

Datata anno 917 è la donazione da parte di Carlo Il semplice di alcune terre al conte Adhemar (de Bourbon) (pago Agustidunense, sive Arvenense et Bituricense, id est. Silviniacum cum ecclesia quæ est in honore Sancte Mariæ et Sancti Petri…) tra cui Souvigny, che solo tre anni dopo donerà ai monaci di Cluny. É probabilmente il primo atto apocrifo di p. André nel quale attribuisce ad Adhemar il titolo di conte (…fidelis nostri Adhemari comitis.) dimentico però che quei territori giunsero alla Corona solo nel 926 e non poteva quindi disporne nel 917.

La Karta de Lisinias

EX EODEM-CARTULARIO SILVINIACENSI-APOGRAPHO AUTHENTICO
Karta de Lisinias
In Dei nomine, ego, Ademarus comes, pro redemptione animæ meæ, et senioris mei Nibilungi genitoris , et Kunegundis genitricis, et omnium parentum meorum, cedo in perpetuum et transfundo ad locum Cluniacum, sive Silviniacum, quod est in honore sancti Petri, quasdam res proprietatis meæ, tres mansos indominicatos, cum servis et ancillis, et suprapositis terris, pratis, et pascuis, aquis, aquarumque decursibus, que Lisinias villa, in pago Augustidunense, visus fui habere. Et, ut hæc donatio firma et stabilis permanaet cum stipulatione subnixa, S. Ademari, qui hoc donum fecit. S. Haimonis, et Erkimbaudi, et Dagoberti, filiorum ejus, qui consenserunt. S. Rotberti ducis, nepotis ejus. S. Ugonis, filii Rotberti, S. Odolrici. S. Erardi. S. Frotarii. Tetbaldus presbyter scripsit, die jovis in mense madio, regnante Karolo rege, anno XXV, indictione X , Augustiduno civitate, feliciter.

E’ del maggio 922. É una donazione di tre mansi indomenicati di Lisinias e con essa completa il primo accenno degli antenati di Adhemar rimasto incompleto nella donazione di Iseure di Childebrand. Fa dire Adhemar che è figlio di Nibilung (In nome dei,ego, Ademarus comes, pro redemptione animæ meæ, et senioris mei Nibilungi genitoris…) Ma quello che più interessa è l’accenno che fa alla linea di parentela tra Adhemar e Roberto il forte. Inserisce tra i testimoni dell’atto tali Roberto duce, suo nipote e Hugo figlio di Roberto (S. Rotberti ducis, nepotis ejus. S. Ugonis, filii Rotberti). Identificò questi due personaggi in Roberto fratello del re Eudes e suo figlio Ugo Il Grande apponendo una nota a margine autografa: «C’est Robert, frère du roi Eudes, et Hugues-le-Grand son filis.» e nell’aggiungere «nipoti suoi» (nepotis ejus) crea il rapporto di parentela.

La Karta Salsaco et Firmatate

EX EODEM APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta de Salace et Firmitate
Ego, in dei nomine, Adhemarus comes, et filius meus, Haimo, dominus Burbonis, pro redemptione peccatorum nostrorum,donamus et cedimus ad locum S. Portiani, quod est constructum in comitatu Arvernense, ubi ipso venerabilis Christi confessor Portianus corpore requiescit, et ubi Teudericus, venerabilis abba, una cum congregatione monachorum, deo servire videntur (sic ), cessumque et donatum, ut in perpetuum maneat, esse volumus, quandam juris nostri ecclesiam Sanctæ Mariæ, Salsaco villa, in ipso pago Arvernense, cum decimis et quicquid ad illam aspicit. Donamus etiam et cedimus al locum Cluniacum sive Silviniacum tria mansa vestita, cum vineis, pratis, terris, et omni supraposito, cum causa (sic) dominicata. quæ sunt in ipso pago Arvernense, præter alveum sive fluvium Alegeris subtus Castrum Honoris, tali videlicet tenore, ut monachi S. Portiani et S. Petri Silviniacensis in omnibus jam dictis liberam habeant potestatem, nullo contradicente. Et, ut traditio ista firma permaneat,et stabilis, stipulatione subnixa, S. Adhemari comitis, et Haimonis filii sui, qui hoc donum fecerunt et firmare rogaverunt. S. Archimbaudi et Dacberti, qui consenserunt. S. Terici. S. Drogonis. S. Trasimundi. Data, regnante Radolfo rege, anno Iin mense…. indictione XII. Wismarus subscripsi et datavi.

Datata nel mese di giugno dell’anno I di re Raoul (924) attiene a una donazione in località San Porziano fatta dal conte Adhemar e da suo figlio Aimon Sire di Borbone (Ego, in dei nomine, Adhemarus comes, et filius meus Haimo, dominus Burbonis….) e da loro sottoscritta e testimoniata dai nipoti Archimauld e Dacbert (S. Adhemari comitis, et Haimonis filiis sui, qui hoc donum fecerunt et firmare rogaverunt. S. Archimabaudi et dacberti qui consenserunt). Con questo documento padre Andrè dà ad «Haimo» per la prima volta il titolo di «dominus Burbonis»; lo “crea”, in sostanza, Sire di Bourbon.

La Karta Melendino Massargas

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta de Melindino Massargas
Sacrosancto et venerabili loco Cluniaco, sive Silviniaco, quod est in honore S. Petri, ego, in dei nomine, Ademarus, peccatorum meorum reminiscens enormitatem, et timens gehennales flammas, ac volens deum habere mihi propitium, et beatum clavigerum Petrum, reddo ad jam dictum locum Cluniacum, sive Silviniacum, in primis, dimidiam forestam Massargas, quam retinui, et adhuc contra deum retineo, et Genebrerias supra Silviniacum. Insuper, de meo jure cedo, et dono, molendinum unum apud forestam Massargas, cum pratis, aquis, aquarumque decursibus, et omni supraposito ; et Marcinaco villa, ecclesiam sancti Martini, et quicquid ad ipsam aspicit, cum tribus mansis apud Camegas, et omnibus suprapositis decimis, quæ in ipsa villa Marcinaco in pago Bituricense visus fui habere. Et Branaco villa, in pago Arvernense, quatuor mansos vestitos. cum servis et mancipiis utriusque sexus, vineis , et terris suprapositis, totum ad integrum trado, cum decimis de Branaco,in potestatem et dominationem predicti loci Cluniaci sive Silviniaci, et rectorum et monachorum ejusdem loci, eo tenore, perpetua lege , habendum et possidendum , nullo calumpniante. Si quis vero, quod nec fieri credimus, de heredibus nostris, aut quælibet persona, contra hanc restitutionem et donationem venire conatus fuorit, pars ejus sit cum Dathan et Abiron, et nichilominus restitutio et donatio inconvulsa permaneat. S. Ademari comitis, qui hanc restitutionem et donationem fecit, et super altare S. Petri posuit. S. Aimonis, filîï ejus, qui consensit, S. Ugonis ducis,S. Ricardi, S. Beraldi, S.Nivardi, S. Adelelmi. Beruardus diaconus scripsi et datavi mense aprili, indictione XI, regnante Karolo rege, anno XXVI.

E’ dell’aprile del 922 e fu redatta con l’intento di rafforzare la parentela con Ugo Il Grande facendolo apparire come teste della donazione della foresta di Massargs da «Ugonis ducis» a cui vi è la nota autografa a margine di p. André «Hugues surnommé le Grand».

La Karta Ugonis regis

Questo documento non è stato, al pari dei precedenti, mai oggetto di un serio esame come quello a cui invece furono sottoposti di testamenti di Adhemar, Aimon e la donazione di Iseure, ma accumunati nell’ipotesi di falsità solo perché proveniente da padre André.

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta Ugonis Regis
In nomine Sanctæ et individuæ trinitatis, Ugo, divina ordinante gratia. Si locis sacris subsidium et privilegium nostræ auctoritatis tribuimus, propter hoc credimus cœlestis patriæ emolumentum certius adquiri.et vitam nostram melius transire, et a corporis infirmitatibus promptius relevari. Quocirca, noverit omnium sanctæ Dei ecclesiæ fidelium atque nostrorum solertia, quoniam cum essemus Silviniaco villa, et adiremus ecclesiam sancti Petri , ubi gloriosus confessor Christi, et dilectus noster quondam, Maiolus Abba in corpore requiescit, causa orationis, ad sepulchrum et glebam illius, nostri corporis aberemus relevationem, expetierunt monachi serenitatem nostram ut terram sancti Petri regali largitione honoraremus, ob memoriam memorati confessoris, et nostram relevationem, deprecante etiam Archimbaldo comite, et Archimbaldo filio suo, dilectis consanguineis nostris, et Burchardo comite, et aliis comitibus et fidelibus nostris.Quam petitionem intimo ex corde suscepimus, et per auctoritatem nostræ regalis dignitatis, conlaudante et concedente Rotberto etiam rege, filio nostro, concedimus ut malias de bona lege, cum nomine et imagine confessoris memorati Maioli, possit facere Odilo abbas venerandus, et successores sui, nomine ecclesiæ Silviniacensis, et erunt maliæ S. Maioli omni tempore , et valoris perpetui erunt, in terra Archimbaldi comitis, cum maliis nostris in perpetuum. Ut autem hujus nostræ largitionis preceptum pleniorem, in dei nomine,obtineat firmitatem, manu propria subter firmavimus. S. Ugonis gloriosissimi regis. S. Robertoi regis, filii sui. Data mense Julio, regnante Ugone rege gloriosissimo cum Rotberto rege, anno VIII, indiectione VIII. Actum publice, Silviniaco monasterio, in dei nomine feliciter, amen

Datata marzo 990 è sottoscritta da Ugo Capeto e suo figlio Roberto (S.Ugonisglorissimi regis et S. Robertoi regis, filii sui), ed è stata costruita esclusivamente per il passaggio in cui il re afferma che il conte Archimbault e suo figlio Archimbault sono sui consanguinei (…etiam Archimaldo comite, et Archimbaldo filio suo, dilectis consanguineis nostri), confermando, ancora una volta, la consegueneità tra le due Maison.

La Karta de banno et salvamento et feriis

EX APOGRAPHO AUTHENTICO SILVINIACENSI
Karta de banno et salvamento et feriis
Notitia qualiter gratia sacri flaminis tactus, vir inluster Archimbaldus, agnomine Francus, comes et dominus Burbonis potissimus,pugnaturus contra Landericum, comitem Nivernis, pro terra sua, inter Ligerem et Elaverem, versus Boream, veniens Silviniacum, cum magna militum caterva, ut incurrens in bello non esset deprensus morte, litteris orationes monachorum S. Petri expetiit, et elemosinis sua peccata redimere studuit per manum Dacberti Archipræsulis, et Begonis episcopi. Dedit igitur, sicut ante fecerat, deo et S. Petro Silviniacensi sive Cluniacensi, ubi venerandus Abba et deo dilectus Majolus præesse videtur, pro remedio animæ suæ et militum suorum, adstante et laudante Archimbaldo, filio suo, qui junior et viridis cognomen habebat, quatuor falcatas prati subtus Silviniacum, prope riperiam. Dedit etiam et concessit pontaticum, rotaticum , salvaticum , corvatas, carroperas, deneratas, et omnes consuetudines quas ipse habebat in Silviniaco. Dedit etiam et cessit bannum in vino et annona, mercatum, ferias, et omne rectum justitiæ, et salvimentum Silviniaci inter cruces quatuor, et juravit in predictis nihil calumpniari, nec sui heredes, et tenere pacem et rectum ecclesiæ Silviniacensis, et omnes eam deprædantes, vel contra eam aliquid calumpniantes, manu bellicosa expugnare. Et quod pater Archimbaldus fecit, filius etiam Archimbaldus gessit libentius, testibus idoneis Ricardo, Robertoo, Pontio, Narduino, Walone , monachis sancti Petri. Et de militibus Archimbaldi, Ottone, Giraldo, Odone, Hugone, Widrico, Tebaudo et multis aliis. Et isti de parte consulis et filii sui. — S. Archimbaldi comitis, et Archimbaldi filii sui, qui hoc donum fecerunt. S. Dacberti archipresbiteri. S. Bogonis episcopi. Hæc prædicta donaria facta sunt in ecclesia Silviniacensi, super altare S. Petri, per textum euvangelicum, ponentes librum publice , mense martio , indictione III, regnante Hugone cum Robertoo filio suo, anno II. Odo clericus scripsi, jussione Archimbaldi.

Il documento, databile prima del 20 giugno 945, fu sostanzialmente costruito per colmare un vuoto generazionale tra Aimon e il primo Archambaud certo e lo chiama «Archimabldus, agnomine Francus, comes et dominus burboni potissimus», cioè Archambuad il franco che tutti i genealogisti successivi, anche moderni, hanno riportato come figlio di Aimon sulla base di quest’atto. In effetti, p. André fu costretto a procedere a qualche modifica nella genealogia a sua disposizione per spiegare il rapporto di parentela tra Adhemar e Roberto il forte. Abbiamo visto che Matteo Zampini aveva sviluppato una genealogia dei Nibelungidi che porta da Childebrand a Roberto il forte in quattro generazioni. Ma dovendosi inserire i Bourbon Ancien, e dovendo creare un capostipite comune tra Adhemar e Roberto il forte(che avrebbe spiegato il rapporto di parentela affermato dai documenti), lo individuò in Nibilung (I). Questi avrebbe avuto, a questo punto, due figli: Teodebert, dal quale sono poi discesi Roberto (I), conte di Saisseau e da questi Roberto il forte, e Childebrand (II) la cui linea sarebbe arrivata ad Adhemar.

Nel 1993 Christin Settipani nel suo La Préhistoire des Capétiens (Nouvelle histoire généalogique de l’auguste maison de France, vol. 1), indicò un Adhemar, figlio di Nibilung IV, conte di Vexin, a sua volta nipote di Childebrand (II), quasi a confermare la genealogia di padre André. Ma è indubbio che qui l’Adhemar è un altro soggetto e non il miles clarissimus. Vi sono degli elementi che depongono in tal senso. Innanzitutto l’età: Nibelung IV è citato la prima volta in un documento a Valenciennes nell’843 come un fedelissimo di Carlo Il calvo ed è citato per l’ultima volta in un documento di Adelram II dell’879, epoca in cui probabilmente morì. Ora, se si ammette generalmente che Adhemar (de Bourbon) sia nato nel 871, è inverosimile, per il costume dell’epoca, una così grande differenza di età tra il padre Nibilung, che nell’ 843 era già molto avanti con l’età, e il figlio nato nell’871, quasi trent’anni dopo. Vi è poi il diritto feudale: se l’Adhemar a cui fa riferimento Settipani, figlio del conte di Vexin, fosse l’Adhemar (de Bourbon), alla morte dei due nipoti di Nibelung IV, Adelram III e Theodoric II, difensori di Pontoise, nell’886, il titolo e il feudo sarebbe dovuto passare proprio ad Adhemar (de Bourbon) quale parente più prossimo in vita, e non invece alla Maison Valois-Vexin che tenne poi il feudo fino al 1077 quando Simon, ultimo duca di Vexin, si fece monaco e il suo patrimonio fu diviso tra il suocero Hebert IV di Vermandois che ebbe Valois, il Demanio reale al quale venne avocato Amiens mentre la contea di Vexin venne divisa tra il duca di Normandia e il re di Francia. Comunque sia, la ricostruzione fatta da p. André, ma lui non poteva allora certamente saperlo, presenta, come vedremo, un punto debole in Biocide e Ansebert, genitori di Arnoul, vescovo di Metz. Bilichilde rappresenta la trasmissione in linea femminile della discendenza merovingia essendo figlia del re di Austrasia Clotario I, sorella quindi Chilperic, re di Neustria e Sigibert futuro re di Austrasia. Appare per la prima volta in alcuni documenti degli inizi del IX secolo:la Domni Karoli e la Domni Arnulfi. E’ conosciuta nel 810 come la figlia di Clotario I, ma in alcuni documenti dell’870 è accreditata invece come figlia di Clotario II. Benché esistesse veramente il nome di Bilchilde, è la circostanza di essere figlia di Clotario che appare inverosimile dal punto di vista cronologico. Gregorio di Tour non cita Bilchilde tra i figli di Clotario I, e non può esserla di Clotario II non fosse altro perché erano quasi coetanei. Per quanto attiene il presunto marito Ansebert, è forse un personaggio realmente esistito al quale gli storici del vescovo di Metz si sono ispirati attraverso dei documenti dell’epoca, ma probabilmente commisero un errore di traduzione basandosi semplicemente sulla esistenza della stessa radice ans che univa il suo nome con quello di Ansegise figlio di Saint Arnould. Più arduo capire perché la II e III Maison Royale sarebbero uscite, a detta di padre André da Meroveo attraverso Sigibert, suo figlio minore, cioè il linea maschile. In effetti, era già noto all’epoca di padre André che Sigibert, re d’Austrasia, discendeva in linea diretta e mascolina da Meroveo. Ma suo figlio e successore Childebert ebbe solo due figli maschi: Theodebert e Thierry (II). Questi si divisero il regno alla morte del padre e furono impegnati in una guerra fratricida. Il secondo sconfisse il primo nelle battaglie di Toul e Tolbiac, dove fatto prigioniero suo fratello lo fece decapitare nel luglio del 612 insieme al suo unico figlio Meroveo. Thierry ebbe invece Sigibert (II) e altri figli tra i quali un Meroveo, ma il ramo si estinse con lo stesso Sigibert, segno di una premorte di Meroveo al padre.

Questi titoli, è bene dirlo, furono per creati “per” il duca d’Epernon-Rouillac da padre Andrè e non “dal” duca, che si limitò ad utilizzarli nella sua pubblicazione. Molti erano gli elementi di accusa nei suoi confronti: fu il primo ad averne conoscenza, fu lui a trasmetterli al duca, fu lui a costruirli e ad alterare gli originali. Dopo la sua morte però, il suo lavoro ebbe una enorme fortuna. Le critiche dei contemporanei caddero nell’oblìo e suoi titoli finirono invece per essere accreditati come veri e pubblicati nella Nova Gallia Christiana, nell’Histoire de France e nell’Art de verifier le dates che andarono a costituire la principale fonte degli studiosi della materia nei secoli successivi. Ecco perché ancora oggi sono tantissime le genealogie, anche sul web, che accredita la continuità tra le tre case reali francesi.
Da tutta la vicenda, padre Andrè non ebbe alcun ritorno personale, fu vittima probabilmente della piaggeria di una corte assolutistica, o cercò forse di dare solo una sanzione documentale ad una consolidata tradizione orale risalente fin dal X secolo che voleva i Bourbon-ancien discendenti di un Childeprand figlio di Pepino d’Heristal, perciò, fratello di Charles Martell, il che implicava un capostipite comune sia alla dinastica carolingia sia quella capetingia.
Solo nel 1862 Chazuad, un archivista del dipartimento dell’Allier, riesumò la polemica su questi titoli nel suo Etude sur la chronologie des sires de Bourbon, per precipitare di nuovo nell’oblio, per essere poi da me ripresi nel 2014 in una mia pubblicazione sull’argomento .

Per saperne di più
A.Chazaud, Etude sur la chronologie des Sires de Bourbon, Société d’Emulation de l’Allier, Moulins, 1865.
A. Allier, Ancien Bourbonnais, Tomo I.
Gallia Christiana Nova, Tomo IV.
H. Tripperet, Mémoires pour servir à l’histoire du prieuré de Saint-Pierre et de Saint-Paul de Souvigny, Bibl. nat. ms. fr. 11503.
C. Pelliccio, I Bourbon di Francia: mille anni di una dinastia tra storia e cronaca, ESI editore, 2014 Napoli.