I PARTITI POPULISTI DI ESTREMA DESTRA IN EUROPA
di Daniela Franceschi -
La percezione di un continente assediato dagli immigrati è una delle leve propagandistiche più efficaci delle estreme destre europee in questo scorcio di terzo millennio. Ma la confusa politica UE in tema di rifugiati non fa che alimentarla.
“Solo una forza nuova può fermare Strache” – questo lo slogan utilizzato dal Das Neue Österreich und Liberales Forum nelle elezioni locali che si sono tenute a Vienna l’11 ottobre del 2015. Heinz-Christian Strache è il leader carismatico del Partito di estrema destra Freiheitliche Partei Österreichs, FPÖ, una forte figura politica e il primo sfidante a rappresentare una seria minaccia per il sindaco socialdemocratico, Michael Häupl. Fino a quel momento, Häupl aveva avuto una forte presa sulla elettorato viennese, e Vienna era stata una roccaforte del Partito Socialdemocratico d’Austria (Sozialdemokratische Partei Österreichs, SPÖ).
La SPÖ aveva goduto di una maggioranza ininterrotta in città dal 1945 – la maggioranza assoluta con due sole eccezioni. Eppure, per la prima volta, una vittoria per l’estrema destra sembrava possibile. Alla fine, alla luce di alcuni sondaggi che indicavano il vantaggio del FPÖ, la campagna elettorale di Häupl si è focalizzata sull’imperativo di “fermare Strache” come il principale incentivo per votare l’SPÖ. Nella speranza che la maggior parte delle persone si sarebbe infatti opposta alla “campagna di agitazione” di Strache, il municipio di Vienna ha pubblicato un video in cui invitava le persone a non “lasciare che gli altri decidessero per loro”.
Le elezioni per il nuovo parlamento austriaco del 2017 hanno portato l’FPÖ al Governo. Dal 18 dicembre 2017, Strache ricopre la carica di vicecancelliere dell’Austria nell’Esecutivo guidato da Sebastian Kurz. L’8 gennaio del 2018 è stato nominato anche Ministro del servizio civile e dello sport.
L’ascesa dell’estrema destra
La maggior parte degli analisti concorda sul fatto che la principale forza motrice dietro l’ascesa sorprendente dell’estrema destra in Austria è senza dubbio la cosiddetta “crisi dei rifugiati”. La FPÖ ha attirato l’attenzione sulle allarmanti immagini dei musulmani, collegandole convenientemente al flusso dei profughi per proiettare l’immagine di una Vienna sotto assedio e di una popolazione in disperato bisogno di protezione. In tipico stile populista, avrebbe enfaticamente dichiarato la sua unicità parlando per “il popolo” – come nello slogan “perché prendiamo sul serio le vostre preoccupazioni” – e sfidando le élite intoccabili. La FPÖ non è l’unica organizzazione politica che ha tratto profitto dal massiccio numero di rifugiati nell’Unione Europea, un fenomeno che, a detta di tutti, è stato mal gestito. La FPÖ non è l’unico gruppo a trarre profitto da un clima di paura- paura del crimine, paura del terrorismo, e una sensazione diffusa di disagio, che è spesso attribuita alla elevata percentuale di giovani disoccupati tra i migranti o alle domande inerenti la religione e la sicurezza. Infatti, tutti i Partiti di estrema destra in Europa sono saltati su questo treno in quanto mezzo per capitalizzare dei successi elettorali semplici e veloci.
Strache ha chiesto ripetutamente che l’Austria costruisse un muro al confine con l’Ungheria, pattugliato dall’esercito, per strozzare il flusso di rifugiati – in particolare rifugiati musulmani. Secondo il leader del FPÖ, la crisi dei rifugiati è un’opportunità per i terroristi e criminali per entrare nel Paese; ha dichiarato che “abbiamo una cultura cristiana, e vogliamo mantenere una cultura cristiana per i nostri figli”. Geert Wilders, leader del Partito olandese per la libertà (Partij voor de Vrijheid, PVV), in un discorso tenuto in parlamento nel settembre del 2015, ha protestato contro il l’asilo concesso ai profughi. Inoltre, ha dichiarato che la crisi era uno “tsunami islamico”, etichettando i profughi come “bombe al testosterone” che “minacciano le nostre ragazze”. Nell’agosto del 2015, il portavoce del Ministero degli Interni slovacco ha riferito al “Wall Street Journal”: “In Slovacchia, non abbiamo moschee [...] vogliamo solo scegliere i cristiani”. Il Primo Ministro ungherese e leader del Partito di destra Fidesz Viktor Orbán ha scritto un editoriale per la “Frankfurter Allgemeine” -nel settembre del 2015: “Non dobbiamo dimenticare che le persone che vengono qui sono cresciute in una religione diversa e rappresentano una cultura completamente diversa. La maggior parte non è cristiana, ma musulmana [...] è una questione importante, perché l’Europa e la cultura europea hanno radici cristiane “. In un discorso del settembre 2015 indirizzato ai membri del Front National (ora Rassemblement National) la leader Marine Le Pen ha accusato la Germania di aprire i suoi confini ai rifugiati per sfruttarli come manodopera a basso costo. Le Pen ha anche avvertito dei pericoli di una islamizzazione dell’Europa a causa di questa crisi. Questi leader utilizzano una retorica simile che si riferisce minacciosamente al potenziale declino dei valori e della cultura cristiani in tutta l’Europa, se i rifugiati vi fossero ammessi.
Lo sfruttamento della crisi dei rifugiati ha presto ripagato. In termini di elezioni, il Partito popolare danese (Dansk Folkeparti, DF) è stato il secondo Partito alle elezioni nazionali tenutesi il 18 Giugno 2015 con il 21,1 % dei voti (rispetto al 12,3% del 2011), ottenendo 37 seggi su 179. Il Partito ha una linea dura sull’immigrazione e ha promesso maggiori controlli alle frontiere al fine di garantire che meno migranti entrino nel Paese. In entrambe le elezioni nazionali in Grecia nel 2015, il Partito di estrema destra Alba Dorata (Chrysi Avyi) è stato il terzo più votato, conquistando il 7% dei suffragi nel settembre 2015 (rispetto al 6,3 % del gennaio 2015). In un’analisi delle elezioni di settembre, si evidenzia come Alba Dorata abbia conquistato più elettori nelle zone della Grecia che erano state maggiormente colpite dalla crisi dei rifugiati- come Lesbo. I dati preliminari suggerivano che Alba Dorata stava perdendo influenza nei quartieri operai delle grandi città, ma stava acquisendo voti da tale aree. Insinuando che i rifugiati stavano “invadendo” la Grecia, Alba Dorata è stata in grado di accendere la paura e aumentare il suo sostegno in quegli strati della popolazione.
I sondaggi indicano che i Partiti di estrema destra hanno ottenuto grandi successi anche in altri Paesi. In Svezia, il Partito di estrema destra Democratici di Svezia (Sverigedemokraterna, SD) detiene un 25%, dopo aver avuto un 12,9% nelle elezioni del 2014. Nel settembre del 2015, la società di sondaggi francesi Odoxa rilevava che il Front National di Marine Le Pen avrebbe vinto le elezioni locali nella regione settentrionale Nord-Pas-de-Calais. In effetti, il Front National ha ottenuto quasi il 40% in una regione che ha alti tassi di disoccupazione e, a causa della sua vicinanza con il Canale della Manica, ha risentito pesantemente degli effetti della crisi dei rifugiati.
L’aumento del sostegno ai Partiti di estrema destra non è, tuttavia, un sintomo di questi ultimi anni. Infatti, è in aumento dagli anni Novanta.
Crimini d’odio
L’estremismo delle formazioni politiche di estrema destra e i crimini d’odio sembrano aggregarsi nella lunga scia dell’ansia e della semplice opposizione al gran numero di rifugiati musulmani in Europa. Non ci sono studi ufficiali disponibili che connettano i crimini di odio e la crisi dei rifugiati. Tuttavia, ci sono stati una serie di rapporti che indicano come i crimini d’odio siano aumentati durante la crisi. In particolare, in Germania estremisti di destra hanno attaccato le case dei profughi. Nella prima metà del 2015, il Ministero degli Interni tedesco ha registrato 173 attacchi. Nell’agosto del 2015, il “New York Times” ha riferito che, mentre i crimini d’odio erano aumentati in Europa in generale -in particolare contro i Rom e i richiedenti asilo – si era evidenziato anche un aumento delle manifestazioni di massa e degli attacchi incendiari in Germania. La reazione verso i rifugiati in Ungheria è stata ostile anche da parte di gruppi di estrema destra. Ad esempio, la Betyársereg, un gruppo paramilitare ungherese di estrema destra, è stato particolarmente attivo durante la crisi. Questo gruppo ha aggredito verbalmente e fisicamente i profughi.
Qui ancora una volta, a dispetto di picchi occasionali (come ad esempio gli attacchi verso i richiedenti asilo in Germania negli anni Novanta), i crimini d’odio hanno mostrato una tendenza ad aumentare. È difficile avere informazioni accurate sui crimini d’odio a causa della sotto-segnalazione e delle diverse modalità di registrazione degli incidenti. Dalle informazioni fornite dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per il periodo 2009-2013, si evince che i crimini d’odio siano rimasti a livelli simili in Paesi come la Germania e la Danimarca- con un numero di segnalazioni in Germania significativamente più alto rispetto alla Danimarca. Nel Regno Unito, i livelli di crimini d’odio sono stati relativamente costanti, ma sono aumentati del 18% nel 2013-2014. Allo stesso modo, in Svezia, i crimini d’odio hanno raggiunto il picco nel 2014. Nei Paesi Bassi, il quadro non è chiaro dato che non ci sono dati disponibili per il periodo 2010-2012, tuttavia, i crimini d’odio sono aumentati del 63% in confronto con i dati disponibili per il 2009 e il 2013. In Austria e in Francia, la tendenza non è così netta. In Francia, per esempio, i crimini d’odio registrati hanno raggiunto il picco nel 2012, ma sono diminuiti l’anno successivo del 25%. In Austria, i crimini d’odio registrati sono aumentati nel 2010, ma hanno avuto una diminuzione del 41% nel 2011, e un aumento costante fino al 2013. Le informazioni sull’Ungheria mostrano un aumento costante nel corso degli anni. Prendendo in esame analisi più dettagliate, come ad esempio il rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA), che ha registrato gli episodi di antisemitismo in Europa per più di dieci anni (2002-2012), si rileva come gli attacchi antisemiti siano costantemente aumentati in Svezia e nei Paesi Bassi, tendendo a rimanere stabili in Belgio, Spagna, Irlanda e Slovacchia, senza picchi significativi. Nel Regno Unito, Francia e Germania, tali incidenti sono gradualmente diminuiti nel corso degli anni. Nella Repubblica Ceca e in Finlandia, gli episodi di antisemitismo hanno raggiunto un picco nel 2009, decrescendo tra il 2010 e il 2012. Tuttavia, gli incidenti in Finlandia sono generalmente inferiori a quelli in Slovacchia. Come parte della relazione, circa il 90% degli ebrei europei sono stati intervistati sulla loro percezione dell’antisemitismo: il 66% degli intervistati riteneva che l’antisemitismo fosse in aumento in Europa. Dagli ultimi dati forniti dalla polizia del Regno Unito, si rileva che il numero di crimini d’odio contro i musulmani a Londra sia aumentato di oltre il 70%; sono soprattutto le donne che indossano il velo a rappresentare dei bersagli.
Le radici dell’ascesa
Sicuramente efficace nella creazione di un supporto per i Partiti di estrema destra nei sondaggi e nei risultati elettorali, la crisi dei rifugiati non è stato l’unico fattore responsabile per la sua ascesa. Come abbiamo visto, i guadagni recenti confermano e rafforzano una tendenza che è stata osservabile per diversi anni. Una serie di temi sono stati sfruttati con successo dall’estrema destra nel corso dell’ultimo decennio, tra cui l’immigrazione o gli “stranieri” più in generale, e il sentimento anti-UE. Alcuni autori hanno evidenziato che senza “l’irritante questione” dell’immigrazione e dei richiedenti asilo, l’estremismo di destra dell’Europa occidentale sarebbe probabilmente rimasto una quantité négligeable, una preoccupazione di un piccolo numero di eccentrici e razzisti e non una minaccia per la democrazia europea occidentale. Ma ci sono anche cause più profonde e strutturali, relative alla particolare situazione socio-economica di alcuni strati sociali, gli ampi sviluppi sociali e politici all’interno degli Stati europei, e le competenze e la professionalizzazione dei Partiti di estrema destra stessi. I “perdenti” della globalizzazione – le classi di reddito più basso minacciate dalla disoccupazione e dalla concorrenza internazionale- costituiscono il nucleo dell’elettorato della destra radicale. È con questo elettorato che slogan come “gli stranieri ci portano via il lavoro” funzionano. Ma tali gruppi, che sono altrimenti in genere l’obiettivo di Partiti di sinistra, non sono gli unici ad essere sottratti con successo ai Partiti tradizionali. In tutto lo spettro politico, gli individui rispondono positivamente ai pregiudizi legati all’ “altro”, che più di recente è diventato “l’altro-musulmano”.
Altre spiegazioni sugli sviluppi nel sistema politico si concentrano su un aumento della volatilità elettorale e sul fatto che i Partiti di destra e di sinistra hanno avuto di recente la tendenza a convergere. I Partiti populisti, non solo quelli di orientamento di destra, colmano il vuoto lasciato da questa convergenza ideologica e si presentano come l’unica alternativa all’establishment politico obsoleto e fossilizzato. Nella maggior parte dei Paesi, questo sviluppo ha favorito la destra, dato che l’alternativa di sinistra è troppo debole o cooptata nell’establishment politico o rappresentata nel Governo – come nel caso dei Verdi.
Inoltre, i Partiti radicali di destra hanno lavorato con successo sulla loro immagine e il loro messaggio per prendere le distanze, almeno ufficialmente, da ogni forma di neo-nazismo, di fascismo, e altri tipi di passati “neri”. Ogni tanto, la stampa rivela dei passi falsi – come il “saluto Kühnen” di Strache (un saluto a tre dita reso popolare dal neonazista tedesco Michael Kühnen), o osservazioni politicamente scorrette di altri membri. In generale, tuttavia, si sostiene un taglio netto con il passato per evitare un vocabolario politicamente compromettente. Gli sforzi per promuovere la correttezza politica e la relativa legislazione sono rimasti bloccati sull’immagine un po’ datata del neo-nazista in primo luogo antisemita. Nell’Europa di oggi, l’estrema destra può esprimere in sostanza gli stessi atteggiamenti in relazione ai musulmani che, durante gli anni Trenta e Quaranta, utilizzava contro gli ebrei e rimanere impunita, semplicemente perché, per così dire, il neo-nazismo è antisemita, e quindi solo l’antisemitismo viene punito. L’abilità retorica dell’estrema destra va anche oltre, tuttavia, quando traccia una linea di demarcazione tra l’accettabile e l’indesiderato che non si basa su divisioni religiose, etniche o razziali, ma culturali: turchi, musulmani, o Rom non devono essere necessariamente mandati via, a patto che si adattino alla cultura dominante, lavorino duro, evitino di costruire moschee e, più in generale, si integrino.
Un’analisi sociologica dell’ascesa
Queste analisi piuttosto empiriche si adattano bene ai modelli sapientemente sintetizzati da Roger Eatwell nelle formule “domanda-offerta” e “teorie dell’offerta e della domanda” per spiegare il crescente sostegno all’estrema destra nell’Europa occidentale.
Il “lato della domanda” si riferisce ai fattori che rendono gli individui più propensi a sostenere tali soggetti, mentre il “lato dell’offerta” allude alla strategia politica e ideologica della destra radicale.
La domanda – La prima delle tesi sull’ascesa della destra estrema da prendere in analisi è quella monotematica; la popolarità dei Partiti di estrema destra aumenta quando ci sono grandi preoccupazioni verso l’immigrazione nell’elettorato, soprattutto in relazione alle tematiche della disoccupazione e alla scarsità delle risorse disponibili. Tuttavia, uno sguardo dettagliato alle statistiche storiche dimostra che il successo dell’estrema destra non è necessariamente correlato alle nuove ondate di immigrazione. Eatwell afferma che la questione dell’immigrazione “sembra essere una questione di percezione più che di realtà”.
Un’altra tesi riguarda la protesta, l’idea che la disillusione verso i Partiti tradizionali abbia contribuito ad aumentare il supporto per Partiti radicali di destra. Ci sono delle limitazioni a questo approccio, sebbene gli elettori possano protestare contro l’establishment, una scelta razionale certamente svolge un ruolo, e l’affinità ideologica è molto importante per quanto riguarda le scelte informative.
La tesi della disgregazione sociale lega l’emergere dell’estrema destra al concetto sociologico di anomia – una rottura del legame sociale nelle società moderne che produce sentimenti di insicurezza e inadeguatezza. Quando le strutture tradizionali decadono, gli individui si rivolgono verso gruppi che sembrano offrire loro una possibilità di appartenenza. Gruppi, come l’estrema destra, che difendono i valori tradizionali, la famiglia, e il nazionalismo sono particolarmente attraenti per gli individui che non hanno mai sperimentato un ambiente sociale sicuro. Questa teoria si basa su studi che hanno trovato un legame tra alti livelli di isolamento sociale e il voto per i Partiti estremisti di destra. Tuttavia, altri dati suggeriscono che vi è un alto tasso di adesione associativa a gruppi di estrema destra anche quando l’adesione avviene attraverso legami familiari.
La tesi dell’opposizione al post materialismo è – come suggerisce il nome – basata sulla teoria del post materialismo utilizzata negli anni Settanta e Ottanta dai sociologi per spiegare lo spostamento nelle società occidentali dai tradizionali interessi economici e di classe ad una maggiore attenzione per temi come l’ambiente, l’emancipazione femminile, e il femminismo. Negli anni Novanta, sono state apportate delle modifiche a questa teoria per aiutare a spiegare l’aumento della popolarità dell’estrema destra, dato che stava diventando sempre più chiaro che il post-materialismo aveva un appeal limitato; vale a dire, che era popolare all’interno di strati della società giovani e istruiti. Infatti, molti individui alienati favorivano ideali contrari e guardavano verso Partiti che promuovevano valori tradizionali. Mentre è evidente che molti Partiti di estrema destra in Europa hanno adottato le caratteristiche della “nuova destra anglo-americana”, Partiti come il Vlaams Belang, VB, in Belgio e il Front National in Francia hanno una filosofia anti-materialista e danno ai temi politici priorità rispetto alle preoccupazioni economiche.
La tesi degli interessi economici stabilisce una tradizionale connessione tra gli elettori di estrema destra e il relativo disagio socio-economico, includendo anche coloro che risentono degli effetti negativi della globalizzazione. La correlazione tra interessi socio-economici e il voto di estrema destra non è chiara, ma ci sono prove che i problemi socio-economici in combinazione con i timori verso l’immigrazione siano in grado di potenziare il sostegno alla destra radicale.
L’offerta – La tesi della struttura delle opportunità politiche (POS) si concentra su due fattori: come i Partiti tradizionali possono aiutare o ostacolare un Partito di estrema destra e in che modo la struttura istituzionale di uno Stato può influenzare i Partiti minori. I Partiti possono ottenere un sostegno quando gli elettori non sono in grado di differenziare chiaramente tra i Partiti principali che si muovono verso il centro e dimenticano o convergono su questioni che sono di grande interesse per l’elettorato. A livello istituzionale, il sistema proporzionale può dare maggiori opportunità ai Partiti più piccoli, come ad esempio in Francia e nei Paesi scandinavi. La Germania ha una soglia di sbarramento del 5% che rende difficile per i piccoli Partiti avere rappresentanti a livello statale, tuttavia, il sistema federale permette ai Partiti minori di avere più successo a livello locale.
Mentre la teoria POS ignora l’impatto dei mezzi di comunicazione, la tesi della mediatizzazione ne sottolinea il potenziale. I media sono generalmente ostili verso l’estrema destra e svolgono spesso un ruolo determinante nel delegittimarla elettoralmente. Tuttavia, ci sono stati casi in cui dei media hanno sostenuto esplicitamente la destra radicale. Inoltre, i media possono aiutare indirettamente l’estrema destra focalizzandosi su temi divisivi come l’immigrazione o evidenziando la personalità e il carattere dei politici; ciò aiuta i Partiti radicali che tendono ad essere guidati da un leader forte. Il potere dei media di influenzare il successo elettorale dell’estrema destra è difficile da misurare, ma una copertura estesa – sia positiva che negativa – di un Partito indubbiamente gli fornisce una visibilità importante.
Secondo la tesi delle tradizioni nazionali, il successo dei Partiti di estrema destra risiede nella loro capacità di rappresentare se stessi come una “parte legittima della tradizione nazionale”, e quindi prendere le distanze dal nazismo e dal fascismo. I Partiti populisti di estrema destra sono attenti a costruire un discorso legittimo sull’immigrazione e sul fallimento dell’integrazione.
La tesi programmatica collega il contenuto del programma del Partito al supporto elettorale. Le campagne politiche, in generale, sono sempre più incentrate su questioni particolari, e i Partiti di estrema destra hanno spesso utilizzato con successo queste tematiche facendole divenire componenti centrali dei loro programmi per attrarre gli elettori. Inoltre, adottano una “formula vincente” che coniuga politica autoritaria e anti-immigratoria con l’economia di libero mercato.
La tesi del capo carismatico è centrata sulle caratteristiche della leadership e sulla ricettività dell’opinione pubblica. Gli elettori sono in genere attratti da leader capaci di comunicare in modo semplificato ed emotivo. Un leader carismatico ha anche il potenziale di rappresentare un Partito minore come potente e influente.
Il populismo, fra estremismo e democrazia
Il populismo è stato definito come una ideologia che considera la società separata in due gruppi omogenei ed antagonisti, il ‘popolo puro’ e le ‘élite corrotte’, inoltre, sostiene che la politica debba essere espressione della Volonté générale (la volontà generale) della popolazione. Le persone che sono rappresentate come la maggioranza, l’uomo della strada, il “piccolo popolo”, sono allo stesso tempo omogenei e diversi in quanto rappresentano varie classi sociali. Tutte queste qualità in effetti sostengono l’idea di legittimità, che in questo modo “dà sostanza alla tesi populista”. È importante sottolineare che il populismo non è legato a uno specifico contenuto ideologico, ma piuttosto si riferisce a “uno stile politico, la demagogia, o ad una strategia elettorale”. Detto questo, gli studiosi hanno notato il crescente numero di temi comuni propagandati dal populismo di destra e di sinistra. Una differenza importante tra i due, tuttavia, è la presa di posizione verso l’uguaglianza; l’estrema destra si adopera sempre per creare confini che separano una comunità di “noi” da “loro”.
L’estremismo di destra è stato molto spesso definito in modo piuttosto empirico, elencando vari tipi di atteggiamenti (antisemitismo, etnocentrismo, nazionalismo) e anche le caratteristiche di della leadership, come ad esempio l’autoritarismo. Teoricamente, una differenziazione netta può essere fatta tra populismo di sinistra e di destra, che attacca le élite corrotte ed altrimenti tende a sostenere posizioni conservatrici. In realtà, le linee di divisione sono piuttosto porose; le idee di estrema destra sono diventate il centro del discorso politico, come “i desideri del popolo” possono rappresentare distinte caratteristiche della destra radicale. Ad esempio, il più delle volte, la critica espressa contro le élite ha a che fare con il loro atteggiamento lassista in materia di immigrazione e integrazione. In un caso estremo, il populismo di destra potrebbe apparire come meno “cattivo” dell’estremismo in se stesso, in quanto, come già detto in precedenza, evita giudizi basati sulla razza, così come l’uso della violenza per promuovere i suoi scopi. Infatti, e questo è un argomento che i leader della destra radicale hanno spesso suggerito, la loro ascesa si è svolta all’interno e con l’aiuto del sistema democratico – un sistema che, paradossalmente, cercano di minare.
“Ad ognuno dovrebbe essere consentito di dire ciò che pensa” – sentiamo spesso; o, “una vera democrazia non censura le opinioni”. In effetti, in modo paradossale, i Partiti di estrema destra giocano le carte della “libertà di parola” e del “potere al popolo” per legittimare, in realtà, delle opinioni profondamente antidemocratiche. Allo stesso tempo, per buona parte, prendono apertamente le distanze dagli “estremisti” e dalla violenza. Questo non è solo una mossa tattica che gli permette di rimanere nella legalità, ma anche una modalità di attrazione verso l’opinione pubblica tradizionale, che pone molta attenzione sulla legge e l’ordine. In generale, il rapporto tra il populismo e la democrazia si caratterizza come essenzialmente democratico, ma è ambivalente nei confronti della democrazia liberale.
Da un lato, il populismo è a favore della sovranità popolare e del Governo della maggioranza, ma, dall’altro, si scontra con la tutela dei diritti delle minoranze all’interno della democrazia liberale.
Finora sono state poco esplorate le interconnessioni tra i lati legali e quelli illegali (cioè estremisti) della destra radicale che emergono di volta in volta. Gli studi che hanno esaminato i Partiti di estrema destra non hanno quasi mai gettato uno sguardo su questa parte della loro attività. Le analisi che si sono occupate dei casi di estremismo e di violenza terroristica hanno regolarmente notato che gli individui coinvolti erano finanziati o coinvolti con alcuni Partiti politici. Le storie di vita delle persone implicate in atti di estremismo di destra e di terrorismo indicano anche i contatti iniziali con l’ideologia radicale e il successivo approfondimento del coinvolgimento, facilitato dal fatto che alcune delle loro idee erano state discusse “dal basso al pub”.
Populismo di estrema destra e antisemitismo
Un aspetto poco studiato, ma che merita un approfondimento, è quello dell’antisemitismo presente nei Partiti populisti. I Partiti populisti di estrema destra contemporanei sono violentemente anti-cosmopoliti e antiglobalizzazione – anche se in alcune regioni (in particolare nell’Europa occidentale) il tradizionale antisemitismo (razzista/biologico/cristiano) svolge un ruolo significativamente minore rispetto al passato.
In effetti, come il Primo Rapporto sui diritti umani (2014) indica, l’antisemitismo è rimasto un elemento costitutivo della ideologia neo-nazista e della retorica della destra populista, spesso in combinazione con stereotipi anti-musulmani, omofobici e anti Rom.
È possibile identificare quattro ragioni per la ricrescita dell’antisemitismo in Europa. La prima e la più importante è che l’antisemitismo non è mai veramente morto, ma ha semplicemente sperimentato una lunga dormienza. Questa dormienza è stata provocata dall’occupazione Alleata in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale, che non permise ad un antisemitismo palese di prosperare pubblicamente.
La seconda ragione è da ricercare nella crisi finanziaria dell’ultimo decennio. La recessione economica ha rappresentato la proverbiale “acqua” che ha permesso alle “radici” dell’antisemitismo di rinnovarsi nell’Europa Occidentale. La crisi finanziaria ha distrutto posti di lavoro, un contesto sociale e politico in cui i Partiti di estrema destra hanno preteso di avere risposte semplici. Questi Partiti, come Alba Dorata in Grecia, hanno propagandato una xenofobia che includeva una forte dose di antisemitismo. Il riemergere di Partiti di estrema destra nell’Europa Occidentale ha portato alla ricrescita dell’antisemitismo, poiché cercano capri espiatori per i problemi economici dei loro Paesi. Stanno cercando qualcuno da incolpare, e questo aiuta lo sviluppo di un nuovo antisemitismo. I Partiti radicali di destra accusano gli ebrei di aver provocato la crisi, riprendendo la retorica antisemita secondo la quale gli ebrei avrebbero il monopolio della finanza mondiale.
L’ultima ragione per il riemergere dell’antisemitismo nei tempi contemporanei è il conflitto israelo-palestinese. Alcuni credono che i palestinesi stiano semplicemente difendendo la loro patria contro invasori stranieri; assecondando questa prospettiva, è facile dipingere gli ebrei in una luce sfavorevole. Inoltre, Israele è stato spesso accusato ingiustamente di violazione dei diritti umani contro il popolo palestinese. In tutta Europa, a livelli crescenti di antisionismo è corrisposta la crescita di atti ostili verso gli ebrei.
Ci troviamo di fronte un nuovo antisemitismo, proteiforme, che, pur mantenendo le caratteristiche tradizionali dell’odio antiebraico, è riuscito a rinnovarsi acquisendo modalità di comunicazione contemporanee, basti pensare all’importanza che oggi assumono per la sua diffusione i social network come Facebook. Inoltre, il nuovo antisemitismo sfrutta subdolamente il conflitto israelo-palestinese per acquisire una accettabilità sociale che l’antisemitismo classico solitamente non ha.
Uno degli stereotipi più comuni nella retorica della destra populista riguarda l’accusa agli ebrei di essere inaffidabili, preconcetto che affonda le sue radici in un antico tropo antisemita: “Asvero, l’eterno ebreo errante”. Questo mito, che risale al Tredicesimo secolo, è stato un elemento centrale dell’odio antiebraico cristiano sin dal Diciassettesimo secolo e posto al centro della propaganda nazionalsocialista antisemita. Nel diciannovesimo secolo, quando sono stati costituiti gli Stati nazionali, la mancanza di una patria è stata reinterpretata come sradicamento; l’esclusione forzata dalla società europea è stata trasformata in una caratteristica ebraica essenziale. L’esito di questo pregiudizio è stato il sospetto che gli ebrei non fossero leali verso lo Stato nazionale, attingendo sottilmente al mito cristiano secondo il quale Gesù Cristo avrebbe condannato Asvero ad un eterno vagare a causa della sua doppiezza. Negata la capacità di costruire una Nazione ‘autentica’ in senso moderno, gli ebrei erano considerati come regolarmente ‘alieni’, e talvolta come ‘parassiti’, all’interno delle Nazioni. Così, gli ebrei non erano considerati una Nazione distinta tra le altre Nazioni europee, ma come cosmopoliti ‘anti-nazionali’. L’immagine dell’ebreo anti-nazionale era usata per coprire fragilità e antagonismi presenti nei moderni Stati nazionali.
Inoltre, gli ebrei sono stati spesso descritti come intellettuali che vivono nei loro libri più che nel mondo reale, per questo non avevano una vera patria e non erano parte di una Nazione. Questo elemento ascritto agli ebrei è collegato alla mobilità sociale, e per questo ha una forte connessione con l’era dell’emancipazione.
L’ideologia antintellettualistica è collegata ad una critica conservatrice e reazionaria dell’economia, all’anti-urbanismo e al nazionalismo. Il comportamento modesto e il pensiero semplice, la praticità, la completezza e l’unità sono alcune delle caratteristiche di questa ideologia, che per definizione esclude gli ebrei.
Strettamente legata ai due stereotipi dell’Ebreo antinazionale e dell’Ebreo intellettuale è l’immagine antisemita dell’Ebreo bolscevico, che ha le sue origini nella guerra civile russa. Gli ebrei erano, per esempio, accusati dagli oppositori della rivoluzione di essere i responsabili dell’omicidio della famiglia dello zar. Queste false accuse portarono all’insorgenza di pogrom che fecero più di 100.000 vittime. Dopo la Prima Guerra mondiale, questo stereotipo si è diffuso in Occidente, soprattutto in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, ed è diventato una componente importante delle teorie che si rifanno ad una fantomatica cospirazione ebraica volta a dominare il mondo.
Lo stereotipo dell’Ebreo bolscevico ha acquisito una notevole importanza nell’ideologia nazionalsocialista, dove è stato paradossalmente combinato con l’anti-liberalismo e con l’apparente retorica anticapitalista.
Così, in questa forma di antisemitismo sincretico, poiché unisce paradigmi contradditori, gli ebrei sono visti sia come malvagi capitalisti sia come rappresentanti del bolscevismo. Questo tropo è stato massicciamente impiegato durante la crisi finanziaria del 2008: gli ebrei colpevoli di tutti i mali.
La negazione della Shoah è la forma più estrema di antisemitismo secondario. Se l’Olocausto è, tuttavia, percepito come “mito”, allora questa convinzione antisemita ha gravi implicazioni per il diritto di Israele ad esistere – perché l’Olocausto ha svolto un ruolo nella fondazione di Israele e la sua commemorazione è parte integrante della costruzione dell’identità israeliana. Inoltre, riducendo il termine antisemitismo alla sua forma genocidaria (con “Auschwitz” che funge da metonimia per ogni male), si attua una strategia per oscurare forme contemporanee post-naziste di antisemitismo che sono caratterizzate dalla latenza.
Il giurista inglese David Seymour definisce questo processo “dissoluzione dell’Olocausto”. Nella pratiche di commemorazione europee, l’Olocausto è sempre più distaccato dall’antisemitismo e diviene l’icona per eccellenza del male della Vecchia Europa e un simbolo per la modernità della nuova Europa che lo ha presumibilmente superato: “Tutto ciò che rimane nell’Europa post-nazionale e post-moderna è la memoria della Shoah. Ma è meno della memoria dell’Olocausto stesso rispetto alle memoria della modernità in cui l’Olocausto si è dissolto. Separato dalle condizioni strutturali che lo hanno reso possibile, la memoria dell’Olocausto della nuova Europa diventa niente di più che un simbolo. È un simbolo, però, non di antisemitismo, del genocidio o di altro, ma della stessa Europa, un’Europa frammentata in Stati nazionali, insieme con le concomitanti sovranità nazionali, nazionalismi, e impulsi genocidari al suo interno”. (Seymour 2013, 24-5)
Come affermato in precedenza, non è possibile stabilire alcun nesso causale evidente tra il successo elettorale della destra radicale e i crimini d’odio antisemiti; ma l’aggressività e la propaganda di estrema destra contribuiscono certamente ad un clima generale violento e esacerbato. Un’analisi più approfondita rivela inoltre la natura estremista dei Partiti populisti, le loro idee non democratiche e una generale avversione per tutto ciò che è giudicato “estraneo”.
È importante sottolineare che, dal 2008, la crisi dei rifugiati, la recessione economica, l’aumento della disoccupazione e la crisi di identità sono solo alcuni dei fattori che hanno determinato il “passaggio all’estrema destra”. L’antisemitismo accompagna questo fenomeno, ma non dappertutto nello stesso modo: in Paesi con un passato fascista e nazionalsocialista, l’antisemitismo sembra essere parte integrante della destra populista e dell’estrema destra (quindi, in Grecia, Austria, Germania, Ungheria, Portogallo, Spagna, Romania, Ucraina). Nel contempo in altri Paesi, per lo più nell’Europa occidentale, il crescente antisemitismo musulmano ha portato i Partiti di destra ad allinearsi alle rispettive comunità ebraiche, con l’obiettivo di strumentalizzarne i sentimenti anti-islamici durante le campagne elettorali (Danimarca, Francia, Belgio, Svezia e Paesi Bassi). In questi ultimi Paesi, domina un polarizzato dibattito su Israele, mentre nell’Europa orientale, meridionale e nell’Europa centrale, si ripresentano tropi antisemiti di matrice cristiana. In effetti, diversi leader di Partiti populisti della destra radicale si sono recati in Israele per sottolineare la loro simpatia verso lo Stato ebraico; tuttavia, in Israele, preferiscono incontrare i Partiti di estrema destra israeliani, con i quali condividono una retorica esclusivista, con l’intendo di formare alleanze anti-musulmani.
Il caso ungherese: Jobbik
La connessione tra antisemitismo e populismo di estrema destra rimane poco studiata, soprattutto nell’Europa orientale, per questa ragione risulta interessante prendere in esame la linea politica e ideologica di un Partito populista della destra radicale che detiene un notevole consenso nella società ungherese: Jobbik, movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik Magyarországért Mozgalom).
Fondato nel 2003, Jobbik è il Partito antisemita più importante e visibile in Ungheria. Nelle elezioni parlamentari del 2006, la coalizione formata da Jobbik e Miep ottiene soltanto il 2,2% dei voti. Dopo questo fallimento, Jobbik mette fine alla coalizione ed inizia ad acquisire una propria voce. Il crescente impatto del Partito diviene chiaro nelle elezioni parlamentari europee del 2009. Jobbik ottiene quasi il 15% dei voti ed è in grado di inviare tre membri al Parlamento europeo. Nelle elezioni parlamentari nazionali del 2010, Jobbik ottiene il 17% dei voti. Questo risultato conferma chiaramente la crescente accettazione del pensiero radicale di destra da parte della società ungherese. Nel 2014, il supporto per Jobbik aumenta ancora, e il Partito si assicura il 20% dei voti nelle elezioni parlamentari e di nuovo vince tre seggi nel Parlamento europeo. Il Partito è stato anche in grado di aumentare la sua rappresentanza a livello locale.
Jobbik sembra aver subito notevoli cambiamenti negli ultimi quattro o cinque anni, almeno dall’esterno. La trasformazione del Partito è strettamente connessa alla sua crescente popolarità e ai suoi sforzi per diventare un “Partito del popolo”. È difficile individuare esattamente quando questo cambiamento ha avuto inizio, ma nel giugno del 2012 Jobbik era disposto a mantenere Csanád Szegedi come uno dei suoi leader dopo che aveva confessato le sue origini ebraiche.
Il rinnovamento del Partito era chiaramente riflesso nella sua campagna durante le elezioni parlamentari del 2014, quando il Presidente di Jobbik, Gábor Vona, ha postato una foto su Facebook in cui era raffigurato in posa con tre cuccioli in grembo. Ci sono stati diversi segni di questo rinnovamento. Per esempio, nell’aprile del 2016, davanti al Congresso elettorale del Partito, Vona ha usato il suo veto presidenziale per bloccare la rielezione di tre vice-presidenti di Jobbik, tutti considerati membri della destra radicale del Partito. Vona è stato successivamente rieletto Presidente del Partito per un sesto mandato. Il fatto che molti dei nuovi Vicepresidenti abbiano avuto una lunga storia di estremismo di destra ha dimostrato che questo non era un vero e proprio cambiamento nell’orientamento del Partito, ma piuttosto un accorgimento per ottenere maggiore potere politico.
Nel 2007, Vona aveva fondato una organizzazione paramilitare di estrema destra chiamata la Guardia Ungherese, Magyar Gárda, che ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita di Jobbik mobilitando le masse e attirando l’attenzione dei media su argomenti che Jobbik considerava importanti. Anche se l’organizzazione divenne nota per le sue dimostrazioni e marce, in particolare contro il “crimine zingaro”, l’antisemitismo era una parte fondamentale della sua ideologia. Dopo che le autorità hanno vietato e sciolto la Guardia Ungherese nel 2009, l’ex leader del movimento Robert Kiss ha quasi immediatamente fondato la Nuova Guardia Ungherese, insieme a circa un centinaio di seguaci. La nuova organizzazione era praticamente identica a quella precedente, ma non è riuscita a raggiungere l’importanza e la popolarità del suo predecessore. Inoltre, Jobbik ha preso le distanze dall’organizzazione, dal momento che non corrispondeva alla sua nuova immagine. Tuttavia, alla domanda circa la sua visione per il futuro dopo la presumibile vittoria di Jobbik alle elezioni parlamentari del 2018, János Volner, vice-presidente e leader parlamentare del Partito, ha parlato di ripristinare la Guardia Ungherese con fondi pubblici.
Nel panorama ungherese è importante soffermarsi anche su altre formazioni che hanno avuto molteplici contatti con Jobbik, Hatvannégy Vármegye Ifjúsági Mozgalom, HVIM, e Betyársereg. Entrambe aderiscono ad un’ideologia razzista, antisemita e anti-rom e possono essere collegate a Jobbik non solo attraverso la loro ideologia, ma anche attraverso i loro leader.
HVIM è stata fondata nel 2001 da László Toroczkai, che ora funge da Vice-presidente di Jobbik. Toroczkai si è dimesso dalla guida del HVIM nel 2014, e gli è succeduto György Gyula Zagyva, deputato di Jobbik tra il 2010 e il 2014. Nel 2016, Jobbik ha ammesso di sostenere finanziariamente l’HVIM attraverso varie fondazioni strettamente collegate al Partito.
Betyársereg è stata fondata da László Toroczkai e Zsolt Tyirityán nel 2008 dopo che un tribunale ungherese aveva sciolto l’associazione culturale razzista Sangue e Onore. Betyársereg si definisce “esercito di autodifesa”. Tyirityán ha recentemente descritto l’organizzazione come un “movimento sportivo patriottico”, a cui possono aderire solo coloro che hanno una significativa esperienza in sport di combattimento.
L’organizzazione ha stretti rapporti con altri gruppi, e ci sono molti riferimenti a HVIM sul suo sito web. Si è anche strettamente collegata a Jobbik, anche se di tanto in tanto il Partito cerca di prenderne le distanze. Nel novembre del 2015, il deputato di Jobbik János Volner ha definito l’organizzazione come il ‘più efficace gruppo patriottico di auto-organizzazione’ e nel marzo del 2016 ha partecipato alla sua assemblea annuale.
Anche se Tyirityán, che è ancora leader dell’organizzazione, ne ha rinnovato in una certa misura l’immagine pubblica e la retorica, è disposto a parlare apertamente di guerra razziale e omicidio, se necessario, di zingari ed ebrei. Durante una dimostrazione, ha affermato che alcuni sionisti sostengono coloro che incitano gli zingari contro la società ungherese.
Nel 2009, Gábor Vona e i leader di HVIM, László Toroczkai e Győrgy Gyula Zagyva, di Betyársereg, Zsolt Tyirityán, e della Guardia Ungherese, Róbert Kiss, avevano annunciato la loro collaborazione nel corso di una conferenza stampa. In seguito, quando queste organizzazioni sono diventate sempre meno convenienti elettoralmente per Jobbik, il Partito ha cercato di prendere le distanze. Tuttavia, le connessioni in corso erano chiaramente rivelate nel marzo del 2015, quando è fuoriuscita una registrazione audio in cui il Vicepresidente di Jobbik, Tamás Sneider, spiegava la “divisione del lavoro”, tra Jobbik, HVIM e Betyársereg, sostenendo che queste organizzazioni potevano agire in modi che Jobbik non poteva adottare in quanto Partito politico.
Anche se ci sono pochi casi di negazione dell’Olocausto in Ungheria, la relativizzazione dell’Olocausto è un fenomeno comune, ed è anche una parte integrante dell’ideologia di Jobbik. Quando la commemorazione dell’Olocausto in Ungheria ha avuto luogo nel settantesimo anniversario dell’occupazione del Paese da parte della Germania, Jobbik è stato subito al centro dell’attenzione.
Nel corso di una riunione della Commissione per la cultura e i media del Parlamento Ungherese nell’ottobre del 2013, Előd Novák, di Jobbik, si riferiva alla decisione del Governo di ripristinare la stazione ferroviaria di Józsefváros come memoriale dell’Olocausto con l’istituzione di un fondo come all’“industria dell’Olocausto”.
Altri rappresentanti di Jobbik hanno banalizzato l’Olocausto in diverse occasioni. Nel gennaio del 2014, Tibor Ágoston, un rappresentante di Jobbik nel comune di Debrecen, seconda città più grande dell’Ungheria, ha definito l’Olocausto “olotruffa” in un discorso. Fingendo un lapsus, ha usato poi la parola Olocausto. A maggio del 2014, Dóra Duro, deputato di Jobbik, ha affermato in un programma televisivo che “ci sono molti tipi di Olocausto”, e che la più grande tragedia del popolo ungherese non era stata il “cosiddetto Olocausto, ma il Trianon” Nel dicembre del 2014, è stato discusso in Parlamento il sostegno statale per i sopravvissuti all’Olocausto. Előd Novák si è rivolto all’assemblea, usando espressioni come “industria dell’Olocausto” e “cosiddetti sopravvissuti dell’Olocausto”.
Manifestazioni negazioniste e di relativizzazione si verificano anche in modo casuale. Ad esempio, nel marzo del 2014, alcune tombe nel cimitero ebraico di Tatabánya sono state vandalizzate. Su una delle tombe, i vandali hanno lasciato il seguente messaggio: “Non c’è stato alcun Olocausto, ma sta arrivando !!”. Su altre due tombe, hanno scritto: “ebrei puzzolenti” e “olotruffa”. Su una terza tomba, hanno spruzzato una svastica insieme con le abbreviazioni “SH” (Sieg Heil) e “HH” (Heil Hitler).
Slogan antisemiti di questo tipo sono utilizzati anche nelle partite di calcio. La negazione dell’Olocausto e la sua relativizzazione sono diffusi su Internet. Per esempio, uno dei banner sul sito Kuruc.info visualizza la parola “olotruffa”.
Ci sono altri fenomeni in Ungheria che meritano di essere presi in esame, infatti, anche se non rappresentano una negazione dell’Olocausto in quanto tale, essi costituiscono un deliberato tentativo di distorcere la storia, riabilitare l’era di Horthy, e addossare la responsabilità della Shoah esclusivamente sui tedeschi.
Nel 2014, un controverso monumento per le vittime dell’occupazione tedesca è stato eretto in una delle piazze principali di Budapest, nonostante le feroci proteste da parte di organizzazioni ebraiche, storici e intellettuali. In un articolo firmato da accademici si affermava che il monumento “relativizza gli eventi dell’Olocausto…Rappresentando le vittime e i collaboratori responsabili della Shoah come un unico gruppo di vittime, il monumento dissacra la memoria delle vittime”. Nel 1941, circa 14.000 ebrei che non avevano potuto dimostrare la loro cittadinanza ungherese furono deportati a Kamenets-Podolsk e là uccisi. Sándor Szakály, a capo dell’dell’Istituto Storico Veritas, ha fatto riferimento a questo evento come ad una semplice “azione di polizia contro gli stranieri”. In un’altra occasione, ha cercato di giustificare il numero chiuso introdotto nel 1920 per limitare il numero di ebrei che potevano accedere all’istruzione superiore in Ungheria. Szakály ha dichiarato che non considerava la legge come discriminatoria e che si trattava di “un caso di discriminazione positiva a favore di quei giovani che avevano meno di una possibilità quando si trattava di entrare in un istituto di istruzione superiore”.
In questo contesto, è importante notare che l’Istituto Storico Veritas è stato fondato dal Governo ungherese e che opera sotto gli auspici del Capo di Gabinetto del Primo Ministro. Dal 2010, da quando l’attuale coalizione di Fidesz e KDNP è al Governo, ci sono stati molti tentativi di riabilitare politici, scrittori e altri personaggi pubblici dell’era di Horthy, che non erano soltanto apertamente antisemiti, ma che avevano anche svolto un ruolo chiave nella distruzione dell’ebraismo ungherese. Quando questi esempi di distorsione storica sono state sollevati nel 2014, hanno minacciato di far deragliare la prossima presidenza ungherese per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Tuttavia, il Governo ungherese ha fatto uno sforzo concertato per assicurarsi la presidenza, e, infine, ha assunto la carica nel marzo del 2015 dopo mesi di polemiche.
Come già accennato, le dichiarazioni circa l’influenza ebraica e le teorie cospirative antiebraiche sono ampiamente accettate nella società ungherese. Di conseguenza, sono massicciamente presenti anche nella retorica di Jobbik e di altri Partiti radicali di destra.
Ad esempio, Sándor Pörzse ha dichiarato che “stiamo assistendo a una cospirazione globale che mira a colonizzare l’Ungheria e a rubarne le risorse”. Inoltre, Ferenc Szaniszló passa ore a spiegare le teorie anti-ebraiche cospirative nel suo programma televisivo su Echo TV. Parla, inoltre, di frequente di liberali di sinistra “che sono cittadini ungheresi solo dal passaporto”, “contaminano gli ungheresi” e “succhiano il loro sangue come parassiti”. A suo parere, il mondo intero è governato da una “cabala segreta finanziaria”, cioè dagli ebrei.
Nel febbraio del 2014, Lorant Hegedűs Jr, un prete calvinista e figura ben nota nel panorama della destra estremista, ha affermato che “la potenza finanziaria globale non ha intenzione di integrare i Rom. Al contrario, li usa come armi biologiche … per costringere gli ungheresi ad emigrare”. Inoltre, quando Jobbik ha vinto la sua prima elezione nell’aprile del 2015, si è scoperto che il membro del parlamento in questione, Lajos Rig, aveva condiviso e distribuito contenuti antisemiti su Facebook. In un post del 2013, aveva anche descritto i Rom come “l’arma biologica degli ebrei contro gli ungheresi”. Nell’ottobre del 2014, Mihály Zoltán Orosz, il sindaco di Érpatak, ha lanciato una manifestazione di quattro mesi che comprendeva circa 200 manifestanti. I manifesti della dimostrazione sono stati caricati sul sito web del villaggio. La retorica di Orosz comprendeva chiari riferimenti a una cospirazione ebraica, con continue allusioni a “stranieri di cuore”, “strati anti-ungheresi tra i dipendenti pubblici” che seguono gli ordini di “zio Kohn” e “Gyurka Soros”.
Le teorie del complotto sono diventate molto più diffuse dopo l’inizio della crisi migratoria e l’ondata di attacchi terroristici nelle città europee. Nel febbraio del 2015, per esempio, il già citato Tibor Ágoston ha condiviso un post su Facebook: “Charlie Hebdo per mera coincidenza nelle mani di Rothschild alcuni giorni prima dell’attacco. Che coincidenza! Un Rothschild proprietario dietro Charlie Hebdo; interessanti paralleli tra l’attacco di Parigi e l’esplosione del World Trade Center”.
Al fine di analizzare il nuovo antisemitismo in Ungheria, dobbiamo tornare al 2007, quando l’allora Presidente di Israele, Shimon Peres, affermò davanti alla Camera di Commercio di Tel Aviv che “ora si possono costruire imperi senza stabilire colonie e l’invio dell’esercito. … uomini d’affari israeliani stanno investendo in tutto il mondo, riscuotendo un successo senza precedenti, guadagnando indipendenza economica. Stiamo acquistando Manhattan, la Polonia, l’Ungheria e la Romania”. Queste parole inopportune sono servite da allora come punto di riferimento per l’estrema destra in Ungheria. Ad esempio, durante una manifestazione di solidarietà per la Palestina nel 2012, il Presidente di Jobbik Gábor Vona aveva chiesto che il Parlamento ungherese compilasse immediatamente un report della presenza dei capitali israeliani in Ungheria e ne pubblicasse i dati, facendo riferimento al discorso di Peres. Nella visione di Jobbik, le parole di Peres non servono solo come giustificazione per la sua paura che l’Ungheria diventi una “colonia” di Israele, ma presumibilmente forniscono una chiara prova della vasta influenza degli ebrei in tutto il mondo, convalidando così diverse teorie cospirative anti-ebraiche.
Il nuovo antisemitismo di Jobbik si concentra su pochi e ben definiti temi. Il primo riguarda la situazione della Palestina e dei palestinesi e, a questo proposito, alcuni accordi conclusi tra l’Unione Europea e Israele e tra l’Ungheria e Israele. Il Partito ha organizzato diverse manifestazioni e i suoi parlamentari hanno pronunciato discorsi contro Israele nel parlamento ungherese. In queste manifestazioni, gli oratori hanno definito Israele “baby killer” o “assassino di bambini”, “nemico della pace mondiale” e “Stato terrorista” che “attua una dittatura razzista”. Jobbik ha fatto riferimento a Gaza come alla “più grande prigione e campo di concentramento a cielo aperto del mondo” e ha accusato Israele di aver commesso contro i palestinesi un genocidio, “olocausto palestinese”. Durante una di queste manifestazioni, nel novembre del 2012, Gábor Vona ha parlato di un “affare Israele”. Tra le altre cose, ha riferito che, durante il suo primo incarico nel periodo 1998-2002, il Gabinetto di Orban aveva firmato un accordo con Polonia e Germania secondo il quale l’Ungheria “avrebbe accolto 500.000 ebrei”.
Durante un’altra dimostrazione nel luglio del 2014, Vona ha affermato che il Presidente ungherese doveva convocare l’ambasciatore israeliano nel suo ufficio e dirgli che “dispone di ventiquattro ore per imballare le sue cose e lasciare questo Paese perché non tolleriamo la sua presenza qui”.
Jobbik esprime anche il proprio parere sulla scena internazionale, in particolare attraverso Krisztina Morvai, che è uno dei tre deputati del Partito nel Parlamento europeo.
Jobbik cerca spesso di inserire le proprie argomentazioni nell’ambito dei diritti umani, sostenendo che la sua “lotta per la verità” si concentra non solo sui palestinesi, ma anche sui diritti umani, la dignità umana e la giustizia in generale. Nella sua visione, il fatto che il destino dell’umanità nel suo complesso sia in gioco è ben evidenziato dal fatto che ci sono anche ebrei che si oppongono alle violazioni dei diritti umani in Israele. Di conseguenza, Jobbik sostiene che questo conflitto non sia tra ebrei e non ebrei, ma tra coloro che “lottano per i diritti umani, la dignità e la verità” e “quelli che parlano il linguaggio del denaro e del potere, che contaminano tutto”. In base a tali presupposti, Jobbik ha invitato l’Unione Europea e l’Ungheria a sospendere o interrompere l’accordo di associazione con Israele fino a quando lo Stato ebraico “non sarà disposto a rispettare le norme comunitarie vincolanti in materia di diritti umani”.
Nel 2014, il Partito ha presentato una bozza di risoluzione al Parlamento ungherese proponendo che l’Ungheria facesse pressione su Israele sospendendo tutte le relazioni diplomatiche fino al momento in cui fosse costituito uno Stato sovrano di Palestina.
A sostegno delle sue argomentazioni, Jobbik si riferisce spesso ad autorità esterne (ad esempio le Nazioni Unite) e intellettuali influenti (ad esempio Noam Chomsky e Stephen Hawking), così come ai rabbini antisionisti del movimento ultra-ortodosso Neturei Karta. Per dare forza emotiva alle sue argomentazioni, spesso traccia paralleli tra palestinesi e ungheresi, in quanto entrambe le nazioni hanno anelato e combattuto per la libertà. Nel 2012, durante una manifestazione contro “l’attacco dello Stato di Israele contro Gaza”, Vona si è spinto fino ad affermare: “Siamo ungheresi, non palestinesi, ma siamo venuti qui oggi per dimostrare la nostra solidarietà con il popolo palestinese, perché noi ungheresi siamo i palestinesi d’Europa, proprio nel centro del continente. Siamo palestinesi in Europa. E io non so che cosa il futuro ci riserva. Non so quanto ci sarà da lottare e combattere per la nostra libertà. Non so se ci liquideranno con attacchi di precisione mirati. Io so una cosa, però: Non cederemo mai la nostra libertà e la nostra terra santa ungherese a nessuno”. L’uso frequente di Jobbik dell’espressione “i nostri fratelli palestinesi” riflette questo senso di solidarietà e comunanza di destini.
L’antisionismo di Jobbik è strettamente collegato al suo programma, ma è più apertamente antisemita. Nel maggio del 2013, il Partito ha organizzato una manifestazione dal titolo “Giustizia per l’Ungheria! Una commemorazione per le vittime del bolscevismo e del sionismo”, pochi giorni prima della riunione plenaria del Congresso Mondiale Ebraico in programma a Budapest. Inoltre, nel mese di luglio dello stesso anno, ha annunciato il lancio del gruppo ungherese parlamentare anti-sionista. Dopo che László Kövér, il Presidente del parlamento ungherese, ha dichiarato che non avrebbe permesso la formazione di un tale gruppo, due parlamentari Jobbik hanno affermato in una conferenza stampa che si era trattato solo di una prova per testare i limiti della libertà di parola.
Un aspetto chiave che caratterizza il nuovo antisemitismo di Jobbik concerne i cittadini con doppia cittadinanza, israeliana e ungherese, che sono membri del parlamento e del Governo. Secondo Jobbik, questi individui rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale come conseguenza del comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi e sono presumibilmente più fedeli allo Stato ebraico che all’Ungheria.
La questione della doppia cittadinanza come un rischio per la sicurezza nazionale è stata sollevata in parlamento da Gábor Vona nel 2010 nel corso di un dibattito sul futuro accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele. Vona ha anche sollevato la questione nel 2012 durante una manifestazione di solidarietà per la Palestina, invitando “le autorità competenti a condurre uno screening per la sicurezza nazionale dei membri del Governo e dei parlamentari per vedere se sono in possesso della cittadinanza israeliana. Secondo Jobbik, i cittadini israeliani non devono essere membri del Governo o parlamentari del nostro paese, l’Ungheria!”. Cinque giorni dopo, Márton Gyöngyösi è andato oltre e ha parlato specificamente degli ebrei, affermando che “il conflitto tra Israele e i palestinesi rendeva opportuno registrare le persone di origine ebraica che vivono qui, in particolare nel Parlamento ungherese e nel Governo ungherese, poiché rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale ungherese”.
Nei giorni che seguirono, Gyöngyösi e Jobbik hanno fatto di tutto per sminuire tali dichiarazioni e distogliere l’attenzione dal fatto che stavano parlando degli ebrei. Successivamente, in una conferenza stampa, Gyöngyösi ha sostenuto che quello che aveva detto poteva “essere stato frainteso e mi dispiace perché la mia affermazione non era contro i nostri compatrioti ebrei. È stata presa di mira la doppia cittadinanza ungherese-israeliana e i potenziali rischi per la sicurezza nazionale”.
Nel 2013, Ádám Mirkóczki ha sollevato di nuovo la questione affermando che “sapere su questi di doppia cittadinanza è più importante che la dichiarazione di proprietà”, che è obbligatoria per i parlamentari in Ungheria.
Anche se Jobbik mantiene questo argomento all’ordine del giorno, la comunicazione del Partito cerca di usare dei toni ammorbiditi in linea con il restyling della sua immagine pubblica. Ad esempio, Gyöngyösi stesso ha affermato, in un’intervista televisiva nel 2016, che aveva citato la doppia cittadinanza israelo-ungherese semplicemente come un esempio che avrebbe potuto costituire un rischio per la sicurezza nazionale.
Il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) non è diffuso in Ungheria. Tuttavia, Jobbik porta in primo piano il BDS di volta in volta, per lo più durante le manifestazioni.
Nel Luglio del 2014, per esempio, Gábor Vona ha dichiarato quanto segue durante una manifestazione: “Annunciamo un boicottaggio di tutti i prodotti israeliani importati in Ungheria. Annunceremo il boicottaggio su di loro; noi non spendiamo i nostri soldi per arricchire le persone che uccidono bambini e neonati”. Anche il sito Kuruc.info ha fatto appello ai suoi lettori a cercare il codice a barre di 729 prodotti di marca israeliani per evitare di acquistarli.
Jobbik fa uno sforzo concertato per “educare” i suoi seguaci a difendere i loro punti di vista anti-sionisti, presentando le più popolari contro-argomentazioni e contro-accuse. Per esempio, mette in guardia i suoi sostenitori che saranno condannati come antisemiti se parlano dei “peccati” di Israele. Jobbik insegna anche ai suoi sostenitori come rispondere alle accuse sul terrorismo dei palestinesi: “Questa è una guerra, e, purtroppo, dove c’è la guerra ci sono vittime”. Jobbik non si limita a parlare di tali argomenti contrari, ma in realtà fornisce “buone risposte” ai suoi seguaci.
La questione della Palestina è inequivocabilmente considerata una “questione ebraica” e serve quindi come parola in codice. Questo è evidente dalle azioni dei manifestanti. Era evidente anche durante una partita di calcio nel luglio del 2014 tra PMFC (Pécs) e MTK, considerato un “club ebraico” dal 1930. Durante il match, i sostenitori del PMFC hanno cantato messaggi politici relativi alla Palestina e canzoni oltraggiose. La parola sionismo serve anche come parola in codice ed è spesso usata come sinonimo di ebrei o di ebraismo in espressioni come “feccia sionista”, “sionliberismo” e “sionliberali”.
Alle elezioni dell’aprile del 2018, Jobbik ha ottenuto il 20,14% dei voti. Una percentuale, però, ben inferiore alle aspettative della leadership del Partito, che puntava a colmare il divario con Fidesz, il Partito nazional-conservatore del premier uscente Viktor Orbán che domina la scena politica dal 2010. In seguito a questi risultati deludenti, Vona si è dimesso dalla Presidenza di Jobbik.
Alla luce delle numerose interconnessioni tra i vari tipi di antisemitismo che esistono oggi in Ungheria, il nuovo antisemitismo non richiede un trattamento speciale. Anche se Jobbik e – in una certa misura – alcune altre organizzazioni di estrema destra hanno subito un notevole restyling dell’immagine nel corso degli ultimi anni, il loro carattere intrinseco non è cambiato. È quindi estremamente importante mantenere l’opinione pubblica informata sulla vera natura delle organizzazioni radicali di destra in Ungheria.
I Partiti di estrema destra sono solitamente definiti populisti, il che significa che si ergono a difensori del “popolo” e dei suoi interessi nei confronti di élite e cosiddetti poteri forti, sovente paventando un “complotto” ordito da forze sovranazionali; queste teorie cospirative possono essere accostate, per tematiche e modalità comunicative, al tropo della retorica antiebraica che presume l’esistenza di un complotto ebraico organizzato per ottenere il dominio del mondo, come viene enunciato nel famigerato libro I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un libro di virulento antisemitismo, fabbricato dalla polizia segreta russa a cavallo del Ventesimo secolo, che fece la sua comparsa in Europa occidentale durante e subito dopo la Prima Guerra mondiale.
La retorica antisemita continua ad essere parte integrante del populismo nella maggioranza delle sue varianti, più o meno esplicitamente; spetta dunque agli storici, ai sociologi, ai politologi e agli intellettuali in generale riconoscerne le caratteristiche, anche se dissimulate, e informare l’opinione pubblica della sua pericolosità per la democrazia liberale in Europa.
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