I COSIDDETTI “SILENZI” DI PIO XII: QUALCHE CHIARIMENTO (2)
di Pier Luigi Guiducci -
Il contesto storico, la documentazione, le criticità, le scelte storiche. In questa seconda puntata, le considerazioni di sintesi e alcune fake news dure a morire
Qualche considerazione di sintesi. Le situazioni già note
I dati che oggi si possiedono sulla figura e l’opera di Pio XII consentono di annotare una serie di considerazioni sulle quali può essere utile riflettere. Una prima sottolineatura riguarda determinati scoop che tali non sono.
Ad esempio, è stata diffusa la notizia che già dal 1942 Pio XII era stato informato sulle tragedie in atto riguardanti il dramma ebraico. Tale comunicazione trasmette in realtà un dato già noto. Papa Pacelli era a conoscenza sia di quanto avveniva contro la Chiesa cattolica, sia delle persecuzioni antiebraiche e di altre violenze. Per tale motivo, aveva svolto un’azione interna al Vaticano (consultazione dei suoi consiglieri tedeschi), ed era intervenuto presso il nunzio, i vescovi, e il laicato della Germania per spingere in direzione di un contrasto alle politiche hitleriane.
Mentre taluni interlocutori espressero piena adesione, altri fiduciari mostrarono titubanza nel mostrarsi molto espliciti in pubblico. Tale comportamento era legato a diversi motivi: alle famiglie che mostravano dissenso era stato tolto il lavoro e ogni altro beneficio economico (e tali nuclei erano additati al pubblico disprezzo); erano in corso continue rappresaglie da parte delle forze di polizia; esistevano processi per tradimento; continuavano i procedimenti contro i “disfattisti”; esisteva un certo favore dei cattolici tedeschi verso l’idea della Grande Germania e verso il tema della “riscossa” tedesca dopo l’umiliante pace che era seguita al I° conflitto mondiale.
Inoltre, si stava espandendo un progressivo coinvolgimento della gente con riferimento al tema della razza superiore, della razza pura, con conseguente allontanamento da processi di interazione con il mondo ebraico (pur esistenti in precedenza).
E soprattutto occorreva ricordare gli attacchi nazisti contro presuli, sacerdoti, religiosi, laici cattolici, chiese, conventi, scuole cattoliche, ospedali cattolici, parrocchie, manifestazioni religiose, stampa cattolica. Lo stesso rito del battesimo e la stessa processione del Corpus Domini (sotto il baldacchino non c’era l’Ostia ma una grande svastica) erano divenute delle parodie dirette da esponenti nazisti.
Qualche considerazione di sintesi. Gli ambiti di ricerca
Un’altra considerazione riguarda i campi di ricerca utilizzati negli studi su Pio XII. Nell’attuale periodo, sono diversi gli autori che studiano con attenzione le carte che riguardano gli anni del pontificato pacelliano. Tale interesse è motivato dal fatto che in periodi precedenti non era possibile consultare l’Archivio Apostolico Vaticano sul periodo di Pio XII[1] perché l’intera documentazione era in fase di catalogazione.[2]
Questi studi, però, pur confermando dati a volte già noti (es. le mentalità del tempo, il comportamento di alcuni ecclesiastici) riflettono un modus operandi legato a prassi ufficiali, a orientamenti da rendere noti all’esterno della Santa Sede, a vicende che riflettono sia una linea strategica, sia gli evidenti limiti della diplomazia vaticana in periodo bellico.
Tali fondi archivistici, evidentemente, non possono essere considerati completamente esaustivi per più motivi. Una prima ragione è legata al fatto che le confidenze riservate di Pio XII avvenivano a fine giornata. In queste ore, il Papa incontrava i suoi diretti collaboratori. Di tali riunioni serali non esiste alcuna documentazione. Tutto si svolgeva senza annotazioni, verbali o direttive scritte.
Questi momenti, protetti dal silenzio di monsignor Montini, di padre Leiber SI, dell’ingegner Enrico Galeazzi, del principe Carlo Pacelli,[3] e di altri, sono da considerare molto importanti perché in quelle ore si faceva riferimento anche alle missioni segrete (corrieri; ecclesiastici provenienti da zone di guerra), alle operazioni umanitarie da attivare, e ai possibili canali di comunicazione con i potenti del tempo.
In tale contesto, gli storici si sono anche resi conto dell’importanza di approfondire meglio la memorialistica del periodo bellico[4], i dossier conservati in archivi di Paesi esteri (ancora non del tutto desecretati), i report dei vari organismi di spionaggio, le posizioni dei media, la corrispondenza ufficiosa tra chi ricopriva importanti ruoli durante il II° conflitto mondiale.
Il fatto, poi, che diverse nazioni hanno solo di recente desecretato molti documenti (es. Stati Uniti), e che alcuni Paesi non consentono agli studiosi di accedere ai propri archivi[5], dimostra che esistono ancora molti scheletri negli armadi sui quali si vuole conservare il più totale dei silenzi.
Qualche considerazione di sintesi. Le richieste degli ebrei
Tra le notizie che non sono risultate vere, risulta anche quella secondo la quale furono gli ebrei a chiedere con insistenza una condanna pontificia della Shoah. Tale fatto è stato esaminato dagli storici. È emerso che nei territori ove erano presenti le forze tedesche, gli ebrei chiesero in modo disperato una cosa sola: quella di essere protetti. Di essere salvati. Di essere nascosti. Di fermare in qualche modo le persecuzioni in atto.[6]
Unitamente a ciò, sono state proprio le nazioni che si erano dimostrate poco sensibili verso gli ebrei, in taluni casi respingendoli dai loro territori, a sollecitare un intervento della Santa Sede per condannare i fautori di tanti drammi. Davanti a questi Stati la Santa Sede dimostrò una posizione di concretezza.
A una linea che non avrebbe salvato nessuno, preferì sostenere (dove possibile) azioni umanitarie. Queste, e di ciò esiste una biblioteca di documenti, vennero ideate seguendo le strade più diverse[7], e nel più totale dei silenzi.[8] Tale fatto lo si trova confermato anche a Roma, quando nel 1943 vennero nascosti moltissimi ebrei in modo silenzioso e prudente.[9]
Anche dalle vicende dei “Giusti tra le nazioni” si ricavano ulteriori conferme. Nessuno pretese dichiarazioni di condanna della Shoah, ma tutti questi coraggiosi personaggi idearono strategie umanitarie che arrivarono a un unico obiettivo: salvare la vita agli ebrei.[10]
Qualche considerazione di sintesi. Colpire la dottrina hitleriana
Se poi si esamina con attenzione il magistero pontificio ci si accorge di un dato. Ogni intervento di Pio XII fu legato a una logica: colpire la dottrina che aveva generato la Shoah. Ciò derivava da una convinzione. Le operazioni di sterminio ebraico (Olocausto) non erano il risultato di una improvvisa scelta. Al contrario, erano state preparate attraverso un insegnamento, sostenuto poi dai gerarchi, dalla propaganda del regime, e dalle forze dell’ordine (che avevano chiuso ogni ambiente culturale cattolico).
Non sarebbe stato possibile, infatti, attivare delle razzie di ebrei nei più diversi luoghi dell’Europa se non ci fosse stato dalla base un consenso ai messaggi hitleriani. E questo sostegno fu legato alle idee trasmesse da Hitler e dai suoi ideologi. Si comprende, in tal modo, il perché di sentimenti ostili verso gli ebrei, che si tramutarono in seguito in odio. E l’odio in genocidio.
È proprio nell’ambito di tale contesto che il Pontefice impresse al suo agire due linee: da una parte colpire l’ideologia del nazionalsocialismo (già condannata da Pio XI), e dall’altra difendere tutti i perseguitati. Non ci furono infatti solo gli ebrei ad essere eliminati, ma anche i cattolici, gli evangelici, gli ortodossi, i testimoni di Geova, i Rom e i Sinti, i malati di mente e gli omosessuali.
A questo punto, per colpire la dottrina di Berlino fu necessario evidenziare alcuni princìpi base: il valore di ogni persona, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, la comune origine e il medesimo destino, la fraternità operaia, il bene comune, la giustizia da applicare in ogni situazione.
Tali princìpi, che il Terzo Reich respinse in modo feroce, possono oggi sembrare dei criteri generici. Disattenti alle realtà concrete. Ma se tali idee vengono proclamate mentre sono soppresse migliaia e migliaia di persone, allora certe affermazioni assumono non solo una linea di chiarezza, ma costituiscono anche una resistenza, e un pressante appello a tutti i cattolici ad agire a favore dei perseguitati.
Il riscontro sulla validità dell’azione pontificia nel senso sopra cit., è legato – ad esempio – al fatto che le spie tedesche presenti in Vaticano comunicarono nei loro dispacci a Berlino che Pio XII era un nemico del III° Reich, e che difendeva gli ebrei.[11] Per tale motivo, alcuni gerarchi pensarono di prelevare il Papa, e di deportarlo in altro luogo. Però, in considerazione dell’andamento della guerra sfavorevole alla Germania, prevalse l’idea di attendere la fine del conflitto bellico per attuare una generale resa dei conti.[12]
Qualche considerazione di sintesi. La situazione interna al Vaticano
Esistono ancora altre considerazioni non sempre evidenziate in modo chiaro da taluni storici. Pio XII, durante gli anni del secondo conflitto mondiale, non operò in un ambiente sereno e pacifico. All’interno del Vaticano, infatti, coesistevano correnti di pensiero molto diverse tra di loro.
- Alcune di queste erano strettamente vicine al Pontefice (es. mons. Giovanni Battista Montini; cit.);
- altre rimanevano sensibili a posizioni filofasciste (es. card. Nicola Canali[13]; mons. Francesco Borgongini Duca[14], nunzio in Italia; p. Pietro Tacchi Venturi SI[15]; et alii);
- o a idee che non respingevano la visione di una Grande Germania (es. mons. Hudal; cit. et alii);
- o rimanevano prevenute verso il mondo ebraico (es. mons. Angelo Dell’Acqua[16]);
- c’era chi sosteneva attivamente azioni a favore dei perseguitati (es. mons. Hugh O’Flaherty[17]; canonici di San Pietro; et alii);
- chi insisteva affinché nel Vaticano prevalesse una linea di totale neutralità (senza accogliere perseguitati; es. card. Canali);
- chi era apertamente filofrancese, nostalgico di Pio XI, interventista in senso antitedesco (card. Eugène Tisserant[18]), et al..;
- esistevano poi le convinzioni espresse dai rappresentanti diplomatici rifugiati nell’area vaticana (es. Francis D’Arcy Osborne[19]) e quelle degli altri ambasciatori accreditati presso la Santa Sede;
- non mancavano inoltre gli agenti segreti. Il Terzo Reich aveva mobilitato al riguardo la Gestapo, il servizio informazioni del partito nazista, il servizio segreto militare, la cancelleria del partito e i servizi segreti del ministero degli Esteri. Alcuni successi vennero raggiunti nelle intercettazioni telefoniche, nel controllo delle trasmissioni radio, dei cifrati e della corrispondenza. Gli italiani dei servizi di sicurezza, da Forte Boccea, controllavano i radiogrammi vaticani. Erano riusciti ad infiltrare la gendarmeria, la Radio e altri servizi.[20]
Pio XII non era assolutamente in grado di controllare tutto quello che avveniva in Vaticano. Per questo motivo scelse di operare sempre più con una ristretta cerchia di collaboratori. Addirittura si arrivò al punto che, in taluni casi, perfino il Segretario di Stato, non venne coinvolto in determinati incontri riservati.
Sulla base di tali dati è antistorico attribuire a Papa Pacelli quelle che furono le idee di taluni ecclesiastici (es. padre Tacchi Venturi SI), e altresì non è corretto assegnare al Papa iniziative di cui quest’ultimo non era a conoscenza (es. monsignor Hudal). Devesi ancora aggiungere che, in diverse occasioni, non solo ci furono persone che disubbidirono alle direttive papali[21], ma che addirittura fecero filtrare all’esterno fatti che dovevano rimanere segreti.[22] E non mancarono diplomatici che trasmisero dati falsamente attribuiti a fonte vaticana.[23]
Qualche considerazione di sintesi. Le fake news
Nel contesto fin qui delineato, giova inserire anche alcune considerazioni sull’esistere e il persistere di fake news riguardanti la persona e l’opera di Pio XII. Si riportano qui di seguito degli esempi. Alcuni autori ebrei hanno affermato che Pio XII era al corrente della vicina razzìa degli ebrei romani, ma che non si era mosso. Occorre però ricordare che nessun documento trovato dagli storici avalla tale versione dei fatti.
Si è anche scritto che Papa Pacelli, dopo la razzia degli ebrei romani 1943 era in grado di raggiungere la stazione Ostiense. In questo luogo, poteva distendersi sulle rotaie del binario numero uno in modo da non far partire il treno con gli ebrei prigionieri.
Tale affermazione, però, non considera un dato storico. Le autorità tedesche di Roma avevano ordinato ai propri militari di presidiare gli accessi al Vaticano. In tal caso, se il Pontefice fosse uscito dalla propria residenza, la sua macchina sarebbe stata fermata dai posti di blocco e rimandata indietro. Secondo il codice tedesco di guerra, infatti, erano in corso operazioni militari.
Altra notizia errata rimane legata all’affermazione che il Papa poteva denunciare i fatti del 16 ottobre attraverso la Radio vaticana e l’Osservatore Romano. In presenza di tale asserzione è corretto ricordare, come già annotato, che la Radio Vaticana era segretamente controllata da due tecnici che avevano il compito di disturbare le trasmissioni in caso di iniziative avverse al Terzo Reich e suoi alleati. E anche l’Osservatore Romano era controllato da agenti delle forze occupanti che, sulla base di informatori interni, sarebbero intervenuti per bloccare la distribuzione del quotidiano.[24]
Molto carenti sono pure le ricostruzioni storiche presentate in diverse commemorazioni della razzia del 16 ottobre. In più cerimonie si omette il fatto che quando furono arrestati gli ebrei, le forze della resistenza non intesero agire neanche con una operazione di contrasto, e anche le forze politiche del tempo non manifestarono una condanna preferendo occuparsi di altri argomenti.
È da aggiungere inoltre un episodio doloroso. Più di duemila carabinieri erano già stati deportati (7 ottobre 1943), e quindi ogni possibilità di resistenza armata era stata neutralizzata.[25]
La comunità ebraica inoltre, attraverso i suoi capi, respinse – negli anni dell’occupazione tedesca di Roma – ogni idea di resistenza attiva. Al contrario fu detto agli ebrei, da Ugo Foà[26] e da Dante Almansi[27], di rimanere nelle proprie abitazioni. Tale direttiva non tenne in alcuna considerazione gli avvertimenti del rabbino capo Israel Anton Zoller[28], e quelli di altri esponenti della comunità ebraica romana. Rimane inoltre il fatto che i dirigenti apicali Foà e Almansi non vennero arrestati dai tedeschi, ma rimasero liberi nelle proprie abitazioni.[29]
Non è poi marginale ricordare il fatto che Pio XII venne continuamente deriso e raggirato dagli esponenti della Germania nazista. Proprio durante l’operazione della razzia degli ebrei romani gli venne comunicato che il treno con i deportati avrebbe raggiunto un campo non di sterminio.
La realtà fu diversa. Il 14 ottobre 1943 (quindi prima del 16), Kappler aveva inviato una lettera al comandante del campo di sterminio di Auschwitz, Rudolf Höß.[30] Nella missiva lo aveva informato che avrebbe ricevuto intorno al 22-23 ottobre un “carico” di oltre mille ebrei italiani, e di prepararsi a concedere loro il “trattamento speciale”.
Da aggiungere inoltre che l’ambasciatore tedesco presso il Vaticano, Weizsäcker (cit.), mentre da una parte assicurava il Papa che stava tentando azioni umanitarie presso Berlino, dall’altra scriveva ai superiori che a Roma non c’erano problemi, e che Pacelli era inoffensivo e passivo.
Sempre in tema di fake news si ricorda ancora un altro fatto. Secondo autori ebraici, le autorità ecclesiastiche del tempo avevano nel 1944 diramato ordini per non far accogliere ebrei in istituti religiosi. La realtà, al riguardo, era molto diversa. Il comando tedesco, utilizzando anche le forze repubblichine, aveva infranto l’extraterritorialità di alcuni edifici vaticani[31], e le aree di istituti e conventi cattolici (es. Suore di Nostra Signora di Sion). Per questo motivo ci si affrettò, da parte ecclesiastica, a mettere in allarme i responsabili di opere ecclesiali. In termini concreti era consigliabile nascondere gli ebrei in luoghi meno vicini ai centri di comando germanici.
Riguardo alle irruzioni naziste a Roma si ritiene utile studiare pure il lavoro svolto da Dominiek Oversteyns di cui si segnala qui di seguito il sito.
La serie di fake news continuò anche in tutto il pontificato pacelliano, fino agli ultimi giorni di Papa Pacelli. Addirittura si arrivò al fatto che una agenzia di stampa comunicò il decesso del Pontefice il 6 ottobre 1958. Ma il Papa morì il 9 ottobre del 1958.
Qualche considerazione di sintesi. I collaborazionisti
Tra le considerazioni che si possono trarre studiando la figura e l’opera di Pio XII, una riguarda quanti si comportarono in modo opposto agli appelli umanitari del Pontefice. Su queste persone, molti autori hanno preferito far cadere un velo di silenzio, ma altri ricercatori hanno comunque avuto il coraggio di scrivere in merito.
Si tratta, in particolare, di quanti si schierarono dalla parte delle forze politiche e militari naziste e fasciste. Questi, si possono identificare secondo uno schema generale in: governi collaborazionisti (es. Vidkun Quisling, uomo politico norvegese), partiti collaborazionisti (es. Partito Popolare Francese), forze dell’ordine collaborazioniste, movimenti ideologici collaborazionisti[32], spie professioniste (e infiltrati), delatori occasionali. L’insieme delle forze indicate costituì un movimento notevole che ebbe la capacità di vanificare un alto numero di missioni umanitarie. Alcuni esempi possono dare almeno un’idea del triste fenomeno.
Con inizio alle ore 4 del 16 luglio 1942, vennero catturati dai nazisti, con la fattiva collaborazione della polizia del regime collaborazionista di Vichy, 13.152 ebrei, dei quali 5.804 (il 44%) erano donne e 4.115 (il 31 %) erano bambini e ragazzi fino a 16 anni. La cattura di questi ultimi, come anche delle persone anziane, venne effettuata per iniziativa del regime cit., dato che i nazisti avevano chiesto solo la cattura delle persone tra i 16 ed i 40 anni. Comunque, Adolf Eichmann[33] autorizzò la deportazione di queste persone alcuni giorni dopo. Tale Operazione, indicata con il nome di “Vento di Primavera” (Opération Vent Printanier) riguardò anche gli ebrei tedeschi, austriaci, cechi (scappati dal Reich in seguito all’emanazione delle leggi antiebraiche di Norimberga del 1935) e di altre nazionalità, che si trovavano a Parigi.
Esistono poi altri esempi dolorosi. A Roma, il comandante della polizia tedesca, Herbert Kappler[34], si affidò a gruppi di collaborazionisti, le cosiddette bande (es. banda Koch[35]), composte in genere da ex informatori della polizia segreta fascista e da criminali comuni, specializzate nella caccia agli ebrei.
Dopo il rastrellamento degli ebrei avvenuto il 16 ottobre del 1943, si poté così attuare una seconda razzìa che venne compiuta con singoli arresti e in più giorni. Tale operazione non venne attuata da forze tedesche ma da italiani.[36]
In seguito, una banda collaborazionista, tra il 23 e il 24 marzo 1944, arrestò una dozzina di ebrei che furono fucilati nel massacro delle Cave Ardeatine.
A questi fatti si può aggiungere un episodio riprovevole. Nell’Urbe un altro collaborazionista si recava nelle carceri fingendosi un avvocato con agganci nel Tribunale tedesco, allo scopo di ottenere informazioni sui parenti dei reclusi, che venivano immediatamente girate alla polizia tedesca.
Chi collaborava con i nazisti e i repubblichini era interessato soprattutto alle taglie che gli occupanti avevano posto sul capo di ogni ebreo (in media 5mila lire dell’epoca). Si conservano a tutt’oggi le segnalazioni scritte di delatori che indicavano ebrei (sovente famiglie) alle forze tedesche. In tal modo, chi era riuscito a fuggire dalla razzìa del 16 ottobre, venne fermato e deportato.[37]
A Torino e a Milano, invece, i comandi tedeschi sfruttarono informatori singoli. Erano personaggi che conoscevano di persona molti ebrei, e i loro nascondigli. Utilizzavano metodi di indagine a volte raffinati e particolarmente odiosi. Un collaborazionista di Torino, ad esempio, si recò a casa di un rabbino fingendo di essere ebreo e di avere un parente in punto di morte. In questo modo riuscì a convincere il rabbino a uscire dal nascondiglio per andare a recitare le preghiere per il presunto moribondo.
A Genova un collaboratore della Gestapo aveva escogitato un metodo ancora più lucroso. Dopo aver arrestato un ebreo, fingeva di lasciarsi corrompere e faceva fuggire la sua vittima, che riarrestava immediatamente. In questo modo, il fascista riusciva a farsi pagare tre volte: due volte dai tedeschi, e una volta dalla vittima.[38]
Non furono, comunque, solo i collaborazionisti a disubbidire agli appelli di Pio XII (e a far naufragare molte operazioni umanitarie). Bisogna purtroppo ricordare anche coloro che attivarono iniziative nell’ambito del “mercato nero”, e quanti si fecero pagare oltre misura per un accompagnamento verso il confine (talvolta con preventive intese con i tedeschi che arrestavano alla fine i fuggitivi), per un documento falso o per un alloggio precario.
Qualche considerazione di sintesi. Le esaltazioni della figura di Pio XII
Esaminando gli scritti che hanno riguardato (e che riguardano) la persona e l’opera di Pio XII ci si accorge, tra l’altro, di un fatto. Taluni autori, per controbattere a critiche provenienti da determinati ambienti, hanno ritenuto utile percorrere la via dell’esaltazione del Pontefice. In tale orientamento, però, non sempre si è rivolta attenzione allo stato della ricerca storica. Questa impostazione metodologica ha optato con frequenza per tre opzioni: lo scritto apologetico, la scelta di immagini legate a cerimonie fastose, e l’uso di titoli con lodi superlative.
1] Lo scritto apologetico è arrivato, talvolta, a presentare la figura di Pacelli come quella del ‘Papa degli ebrei’ in contrapposizione a chi ha scritto il volume Il Papa di Hitler. Tale scelta ha provocato la reazione di alcuni ambienti ebraici che non attribuiscono a Pacelli dei particolari meriti. Si collocano qui anche altre constatazioni.
Non sempre alcuni autori sono riusciti a dimostrare il collegamento tra il Pontefice e la rete umanitaria che operò a favore dei perseguitati dai nazifascisti. In tal modo, si è creata l’impressione di un Pontefice solitario, isolato, e di tante iniziative private di cattolici che hanno agito per un personale impulso caritativo. Oggi, nuovi studi hanno saputo dimostrare i canali che usava Pio XII per raggiungere i fedeli. Esistono al riguardo le testimonianze dei suoi fiduciari, emissari.
In tale contesto, rimane corretto far riferimento alla carità di molti fedeli, ma a tale realtà deve anche essere affiancato il collegamento tra la Santa Sede e i nunzi[39], le Chiese locali, i vescovi, i parroci, gli organismi di assistenza, le congregazioni religiose, l’Azione Cattolica.
2] La preferenza verso immagini scattate in occasione di talune cerimonie, ha inteso rappresentare un Pontefice che, in sedia gestatoria, affronta ore di consenso popolare, di sostegno filiale. Anche taluni gesti ieratici, e l’apparato ecclesiastico e nobiliare circostante, indicano la sacralità del momento. Tale realtà ha generato nell’attuale periodo delle riserve da parte di taluni autori. La percezione moderna tende, a volte, a considerare Pacelli come un personaggio distaccato, lontano dal mondo reale, dalla vita quotidiana.
Questo contesto, però, non considera altre realtà. In particolare, si tratta di rivedere quelle ore private nelle quali il Pontefice esternò in modo più aperto la sua personalità. Il Papa, ad esempio, manifestò una particolare premura verso i bambini, i malati, i perseguitati, i colpiti dagli effetti bellici. E visse un’esistenza segnata anche da esercizi personali di penitenza.
Inoltre, negli anni successivi al conflitto mondiale, rivolse la sua attenzione anche verso gli sportivi, i ciclisti (era un tifoso di Gino Bartali[40]), gli attori del tempo, il personale circense, i cantanti, et alii. Sono queste le occasioni nelle quali Pio XII “usciva” in un certo senso da un comportamento “ufficiale” per esprimere un’immediatezza di contatto e di simpatia.
Ed è proprio in questo animus privato che si collocò l’improvvisa decisione di lasciare il Vaticano per accorrere nel quartiere tiburtino distrutto dai bombardamenti (19 luglio 1943). In quella occasione il Pontefice non avvisò le sue guardie palatine. Uscì in macchina con due sole persone, quando ancora non era cessato l’allarme.
In questa scelta, che si ripeté anche una seconda volta a San Giovanni (19 luglio 1943), Papa Pacelli annullò ogni vincolo protocollare, e condivise in concreto il dolore di tante persone. Con i parroci dei luoghi colpiti, poi, sostenne l’opera di assistenza.
3] La via dell’esaltazione del Pontefice ha percorso anche la strada di elogi espressi in modo accentuato. Tale scelta è stata dettata dalla convinzione che occorreva riconoscere al Papa un ruolo “eccezionale” svolto nella Chiesa del suo tempo. Occorreva quindi dare onore a chi, negli anni Sessanta del XX secolo, venne pure accusato di comportamenti passivi e inerti.
In realtà, questo modus operandi non ha mai aiutato a comprendere la figura di Pacelli perché si è allontanato da un’analisi storica. È noto infatti agli studiosi, che Pio XII non riuscì a fermare né i bombardamenti alleati su città prive di centri militari, né le incursioni aeree su Roma, né quelle che colpirono le aree pontificie posizionate nei Castelli Romani.
A questo punto, rimane costruttivo seguire la strada della ricerca storica. Questa, a volte, affronta anche vicende in chiaroscuro. Tuttavia, tale percorso è corretto, specie quando è affrontato senza polemiche. Quello che oggi è importante, infatti, non è approntare delle “difese ad oltranza”, ma è sviluppare approfondimenti di una vita pacelliana che è stata gravata da molte croci, e segnata da continue scelte umane.
Questi tre aspetti richiedono oggi una rimodulazione. Occorre, intanto, collocare Pio XII nel suo tempo. Considerare, poi, la formazione che il Papa aveva ricevuto (dal 1894 al 1899 studiò teologia all’Università Gregoriana). È necessario, inoltre, essere in grado di individuare nei suoi interventi quel nucleo di pensiero che costituisce un filo rosso che collega le sue esternazioni pubbliche e private. Tale filo rimane segnato da alcune convinzioni base: il primato di Dio, la missione della Chiesa, l’accompagnamento dei fedeli nelle criticità di ogni tempo, la diaconìa della carità.
Qualche considerazione di sintesi. Condanna dei crimini. I silenzi degli Stati
Esiste, ancora, una considerazione che cerca di passare attraverso molteplici realtà nascoste, non riconducibili a Pio XII. Chi visse negli anni della guerra comprendeva i drammi del tempo e i difficili tentativi mirati a fermare, o attenuare, le immani tragedie in corso. Dopo gli anni Sessanta del XX secolo si fece strada una nuova voce che incolpava il Pontefice di silenzi pur in presenza di fatti criminosi. Per alcuni autori, il Papa doveva esprimere condanne ufficiali.
Ma questa voce pontificia da chi doveva essere ascoltata?
… dalla Germania del Terzo Reich?
Esiste oggi una documentazione, pubblicata da molti autori, che attesta l’inutilità di messaggi indirizzati al Terzo Reich. È noto, infatti, che Hitler, e lo stesso ministero degli Affari Esteri, respinsero o cestinarono tutti i messaggi umanitari della Santa Sede. L’azione dei nunzi fu bloccata. Anche i fedeli cattolici erano a conoscenza dei provvedimenti nazisti che punivano chi divulgava il pensiero del Papa o quello dei vescovi. Tale situazione si aggravò con l’andamento sfavorevole della guerra da parte della Germania. Specie dopo la battaglia di Stalingrado[41] e le sconfitte nel Nord Africa (maggio 1943), la posizione del Terzo Reich (regime non cattolico) divenne durissima verso coloro che erano rimasti fedeli alla Chiesa Cattolica. Per tale motivo ricevettero le misure più inflessibili.
In tale contesto, Hitler non volle più ascoltare o leggere messaggi negativi. Li giudicava un’espressione di disfattismo. E pertanto gli autori di tali comunicazioni erano perfino sospettati di essere dei possibili traditori. A questo punto, chi doveva scrivere dei rapporti (incluso l’ambasciatore tedesco a Roma) cercò di mutare strategia. Di inserire delle “considerazioni” serene sui rapporti Santa Sede-Terzo Reich. In pratica, l’inizio e la conclusione del testo erano segnati da frasi non traumatiche, e solo al centro del comunicato venivano inseriti alcuni dati sgraditi a Berlino. Per uno storico ciò è importante. Perché lo conduce a leggere le fonti con attenzione. In modo critico.
Ed è proprio studiando i messaggi trasmessi a von Ribbentrop che ci si accorge della “prudenza” usata dai suoi collaboratori. Egli, leggendo annotazioni “tranquille” sui rapporti tedesco-vaticani, arrivò a pensare addirittura a una linea pacelliana forse di sostegno alla Germania. Tale sua convinzione, però, si frantumò quando incontrò a Roma Pio XII (11 marzo 1940). Fu proprio quest’ultimo, che, replicando a una frase del ministro, elencò una serie di atrocità commesse dalle forze del Terzo Reich.
… dalla Germania Ovest?
Dopo la seconda guerra mondiale la Germania venne divisa in due grandi aree: quella controllata da USA, Regno Unito e Francia, e quella rimasta sotto il controllo russo. Nel 1949 fu istituita la Repubblica Federale Tedesca (vicina all’Occidente), che si distingueva dalla Repubblica Democratica Tedesca (comunista). In tale contesto, la RFT si trovò a organizzare l’intero sistema dei propri servizi politici, amministrativi, militari e di intelligence. Per meglio rafforzare quest’ultima area operativa, un significativo numero di criminali nazisti venne arruolato dal Servizio federale per le informazioni (Bnd), l’agenzia di intelligence tedesca. A confermarlo è uno studio dello storico Gerhard Sälter.[42] Questo studioso è stato membro della Commissione indipendente di storici per le ricerche sul Bnd dal 1945 al 1968.
Dagli archivi del servizio, consultati da Sälter, è emerso che nel periodo di riferimento, dal 10 al 20% dei dipendenti non erano stati “semplici” membri del partito nazionalsocialista, ma avevano preso “parte attiva e in alcuni casi hanno anche svolto un ruolo di primo piano in azioni di omicidio” durante il secondo conflitto mondiale. Tali soggetti, non furono arruolati per caso, ma per effetto di una decisione dei vertici dell’agenzia. Questa, dalla sua fondazione nel 1956 fino al 1968 venne diretta da Reinhard Gehlen[43], già generale dell’esercito tedesco a capo del controspionaggio militare sul fronte orientale.
In tale contesto, Sälter, con le sue ricerche, ha dimostrato il reclutamento mirato da parte del Bnd di criminali nazisti che pianificarono, attuarono e furono complici di omicidi durante il secondo conflitto mondiale. Ci si limita a un esempio. Willi Helmut Schreiber[44], dipendente del Bnd dal 1957 al 1980, fu corresponsabile del massacro di 642 civili compiuto dalla divisione “Das Reich” delle Waffen-SS a Oradour-sur-Glane il 10 giugno 1944. Schreiber era, infatti, ufficiale dello Stato maggiore del reparto e, secondo Saelter, noto per la sua brutalità.
Prima di essere inquadrato nella “Das Reich”, Schreiber aveva servito nelle SS di guardia al campo di concentramento di Buchenwald, poi nel ghetto di Lublino e, dal 1941, era stato dislocato nelle zone dell’Unione Sovietica occupate dai nazisti. In questo Paese, Schreiber era inquadrato nel Gruppo operativo B del Servizio di sicurezza (Sd), uno dei reparti speciali tedeschi formati da SS, polizia ed esercito.
Compito principale di tali unità era l’eliminazione di ebrei, zingari e oppositori politici. In queste unità militarono oltre 30 dipendenti del Bnd, come Gustav Grauer che nel 1941 fu vicecomandante di un reparto del Gruppo operativo A, responsabile delle uccisioni oltre 130 mila civili negli Stati Baltici, per lo più ebrei, in pochi mesi.[45]
… dagli Alleati?
Sono diverse le evidenze negative che hanno riguardato l’operato degli Alleati durante il secondo conflitto mondiale. Si annotano qui di seguito alcuni esempi.
1] Come dimostrato da Theodore S. Hamerow[46] l’Olocausto non venne fermato prima della fine del secondo conflitto mondiale perché anche le democrazie occidentali, secondo questo A., furono percorse al loro interno da una fortissima ondata di antisemitismo. Questa, impedì ai governi di adottare misure concrete in soccorso degli ebrei. Perfino negli Stati Uniti si tentò di far passare le notizie sullo sterminio per semplice propaganda e la questione ebraica come un problema locale. E poi come avrebbero reagito le altre minoranze se si fosse intervenuti solo in favore degli ebrei? La guerra andava combattuta, ma in nome della sicurezza nazionale e non certo per sottrarre gli ebrei al loro destino.
2] Di fronte alle tragedie che colpirono gli ebrei, le forze antinaziste respinsero gli appelli iniziali delle organizzazioni ebraiche per l’invio di cibo e medicinali ai ghetti europei. Londra e Washington sostennero che le forniture sarebbero state dirottate alle forze tedesche.
3] Esaminando le diverse strategie militari delle forze alleate è facile individuare anche un fatto. Gli eserciti che stavano affrontando il Terzo Reich erano a conoscenza dell’esatta posizione dei campi di sterminio (che avevano fotografato). Per tale motivo, un bombardamento delle linee ferroviarie, ove transitavano i treni verso i lager con le vittime del nazismo, avrebbe bloccato le deportazioni. Malgrado ciò non venne dato alcun ordine di neutralizzare le vie ferrate.[47]
4] Esistono, poi, altre vicende che si collegano alle forze alleate. Tra quelle più riprovevoli si collocano gli stupri avvenuti durante l’avanzata degli eserciti (anche in Francia e in Italia), e culminati con gli scempi sovietici a Berlino[48], e l’odissea di milioni di civili cacciati dai territori occupati dall’Armata Rossa.[49]
5] Quando vennero organizzati i processi a Norimberga[50] e a Tokio[51], le potenze alleate protessero e salvarono quei criminali che accettarono di collaborare con i governi vincitori. Gli ufficiali russi aiutarono coloro che fecero delle deposizioni a favore di esponenti dell’Armata Rossa. Inoltre, accolsero a Mosca quei criminali utili per fronteggiare le nuove forze dell’Occidente, inclusa la Germania Ovest. Stati Uniti e Regno Unito operarono in modo da evitare processi, o comunque condanne gravi, a quanti non ebbero difficoltà a fornire materiale bellico comprensivo delle più diverse ricerche. Tali soggetti vennero inoltre impiegati anche nella nuova lotta con Mosca.[52]
In tale contesto, si può ricordare, ad esempio, la figura del generale delle SS Karl Wolff.[53] Egli trattò la resa delle forze tedesche in Italia[54]. Imprigionato alla fine della guerra fino al 1949, non venne incriminato nel processo di Norimberga per l’intervento di Allen Dulles[55], direttore dell’intelligence USA. Appena scarcerato dagli Alleati, fu portato davanti a un tribunale tedesco. Condannato a quattro anni di prigione. In realtà, vi trascorse una sola settimana grazie all’interessamento dei dirigenti dei servizi segreti USA. Nel 1962 fu ancora processato per aver preso parte alla deportazione di 300mila ebrei verso il lager di Treblinka. Condannato a quindici anni di prigione, venne rilasciato dopo sei anni per motivi di salute.
… dalla Russia?
In Russia, Josif Stalin[56] era arrivato all’apice del potere dopo una lotta politica con Lev Trockij. Questo dittatore venne accusato di ricorrere all’antisemitismo in taluni interventi contro Trockij, che ebreo. Già nel 1907, Stalin aveva scritto una lettera ove distinse nel bolscevismo tra una “fazione ebraica” e una “vera fazione russa”. Anche il suo segretario, Boris Bažanov[57], dichiarò che il dittatore aveva avuto delle esplosioni di violenza antisemita anche prima della morte di Lenin.[58]
Stalin adottò politiche antisemite che vennero rafforzate con la sua posizione ostile all’Occidente. Poiché l’antisemitismo era associato alla Germania di Hitler, ed era ufficialmente condannato dal sistema sovietico, l’Unione Sovietica ed altri Stati comunisti usarono il termine di copertura “antisionismo” per le loro politiche antisemite.
L’antisemitismo emergeva, in particolare, nel linguaggio dell’opposizione al sionismo. Dopo l’espulsione di Trockij, proseguirono gli attacchi contro i suoi seguaci, e si diceva: “un ebreo è un trotskista, un trotskista è un ebreo”. Dal 1936 al processo farsa del “Centro terroristico trotskista -zinovievita” (23-30 gennaio 1937), diversi capi bolscevichi, vennero accusati di nascondere le loro origini ebraiche con nomi slavi.[59]
Il 13 gennaio 1953 Stalin annunciò al mondo l’esistenza del “complotto dei medici”. In pratica, nove medici del Cremlino, di cui sei ebrei, avevano assassinato tra il 1945 e il 1948 alcuni stretti collaboratori del dittatore e si preparavano a uccidere i maggiori dirigenti politici e militari dell’URSS, secondo gli ordini ricevuti dagli imperialisti occidentali e dai sionisti.
Nelle settimane successive, la stampa accentuò le accuse sulla “quinta colonna” ebraica, e dette notizia dell’ondata di arresti di ebrei accusati di “crimini economici” e di spionaggio. Dopo la morte di Stalin, e per la prima volta, il governo sovietico ammise pubblicamente che il “complotto dei medici” era stato inventato.[60]
Unitamente ai dati in precedenza riportati, è utile riferire anche un’altra informazione significativa. A fine aprile del 1945, i russi, entrati a Berlino, occuparono l’Istituto ‘Kaiser Wilhem’ per la fisica. In questo edificio smontarono un ciclotrone di notevoli dimensioni, e lo trasportarono a Stalingrado. Sempre le forze di Mosca riuscirono a installarsi anche nell’Istituto di Lichterfelde (quartiere di Berlino), dove lavorava il barone Manfred Von Ardenne[61], conosciuto come “Atomstar”, il divo dell’atomo. Da questo momento in poi pure la Russia ebbe la possibilità di utilizzare strumenti e personale in precedenza impiegati dal Terzo Reich.
… dagli Stati Uniti?
Nonostante il governo USA avesse informazioni credibili sulle persecuzioni attuate dal regime nazista contro gli ebrei, la maggior parte dei politici era in realtà restìa a credere che lo sterminio di massa fosse possibile in concreto. A questo aspetto, si affianca anche un altro dato: l’assistenza ai rifugiati e il soccorso alle vittime del nazismo non divennero mai una priorità nazionale.[62]
In tale contesto, si mosse Henry Morgenthau[63]. Fu l’unico ebreo a ricoprire la carica di segretario di gabinetto durante l’amministrazione Roosevelt. Nel 1938, consapevole che il sistema di quote di immigrazione statunitense era insufficiente a soddisfare il numero di immigrati che desideravano raggiungere gli Stati Uniti, propose a Roosevelt di acquisire la Guyana britannica e francese per utilizzare questi territori come rifugio per gli immigrati provenienti dalla Germania nazista. Roosevelt non fu favorevole a quella proposta. Ciononostante, Morgenthau continuò a sottoporgli vari piani di salvataggio.
Nel 1943, mesi dopo che il Dipartimento di Stato americano aveva confermato l’esistenza di una politica e di una pratica tedesca mirate al genocidio degli ebrei europei, Morgenthau si interessò al dibattito sul salvataggio su sollecitazione di alcuni membri del suo staff al Dipartimento del Tesoro.
Questi funzionari erano delusi dalla mancanza di risultati tangibili in seguito alla Conferenza delle Bermuda (primavera 1943). Sospettavano che i funzionari del Dipartimento di Stato USA avessero intenzionalmente ritardato l’assistenza agli ebrei in Francia e Romania.
A questo punto, i membri dello staff del Tesoro John Pehle, Randolph Paul, Ansel Luxford e Josiah DuBois presentarono a Morgenthau un memorandum di 18 pagine intitolato Rapporto al Segretario sull’acquiescenza di questo governo nell’assassinio di ebrei (13 gennaio 1944).
Tre giorni dopo, Morgenthau, Pehle e Paul incontrarono il presidente Roosevelt. Lo esortarono ad accettare uno sforzo più mirato da parte del governo statunitense per fornire soccorso e, se possibile, salvare ebrei e non ebrei minacciati di morte nell’Europa occupata dai tedeschi. Il 22 gennaio 1944, il presidente emanò un ordine esecutivo che istituiva il War Refugee Board (WRB).[64]
… dagli Stati Uniti? (segue)
Unitamente a ciò occorre ricordare il finanziamento anche diretto di Wall Street all’ascesa di Hitler. Studiando negli archivi del tribunale militare di Norimberga, è stata trovata la documentazione (poi fotografata) degli ordini di pagamento dei finanziatori di Hitler in occasione delle elezioni del 1933. Un totale di tre milioni di marchi venne versato da importanti imprese e uomini di affari tedeschi, ma soprattutto dalle multinazionali tedesco-americane. Queste, utilizzarono un collegamento tra la Delbruck Schickler Bank e il Nationale Treuhand, amministrato da Rudolf Hess[65] e da Hjalmar Schacht.[66]
Dei tre milioni di marchi, la maggiore sovvenzione (circa il 30% del totale) fu versata dall’I.G. Farben: 500 mila marchi, a cui si possono aggiungere altri 200 mila marchi, versamento personale di un suo dirigente, A. Steinke della Bubiag.
A questo punto, occorre qui ricordare che l’I.G. Farben[67], organizzata da Herman Schmitz (1925), grazie ai prestiti americani contava tra i suoi dirigenti negli Stati Uniti alcuni tra i più influenti uomini di Wall Street, come Edsel B. Ford della Ford Motor Company, C. E. Mitchell della Federal Reserve Bank di New York e Walter Teagle, della Federal Reserve Bank di New York e della Standard Oil Company of New Jersey, amico e consigliere del presidente Roosevelt. Ma soprattutto va ricordato il nome di Paul Warburg, primo direttore della Federal Reserve Bank di New York e presidente della Bank of Manhattan. Questi, dirigeva la Farben negli Stati Uniti, mentre il fratello Max la dirigeva in Germania.[68]
Unitamente a ciò, è da evidenziare anche l’apporto fornito al Terzo Reich da: General Motors, Ford, Standard Oil e IBM.
1] La General Motors acquistò la Opel, la più grande casa automobilistica europea, negli anni Venti (XX sec.). Continuò a detenerla durante la seconda guerra mondiale. Lo storico Henry Ashby Turner, Jr., attraverso un lavoro di ricerca[69], ha fatto conoscere la storia di come la casa automobilistica americana gestì i suoi affari in Germania negli anni del regime nazista, incluso il tentativo di accaparrarsi il progetto Volkswagen. In tale coinvolgimento dell’azienda emerge anche il dramma di quanti, per accentuare la produttività, vennero obbligati a un lavoro forzato.
2] Ma gli affari tra USA e Terzo Reich riguardarono anche il commercio di tungsteno, di gomma sintetica e di molti componenti per l’industria automobilistica. Tali materiali, necessari anche per la fabbricazione di carri armati, furono spediti a Hitler da Henry Ford.[70] Quest’ultimo, non nascose i rapporti commerciali e le sue simpatie per il nazionalsocialismo. Nel suo ufficio aveva un ritratto di Hitler. Non è un segreto che il 30% degli pneumatici prodotti nelle fabbriche Ford furono utilizzati dalla Wehrmacht. Negli anni Trenta del XX secolo, venne costruito uno stabilimento Ford in Germania (a Colonia). Qui, furono prodotte auto fuoristrada militari. La filiale tedesca della Ford iniziò a lavorare a pieno regime per le forze armate producendo più di mille veicoli al mese. Per assicurare i rifornimenti all’esercito tedesco si ricorse al lavoro forzato. Le condizioni di vita degli operai della fabbrica Ford tedesca furono tragiche.[71]
3] La Standard Oil of New Jersey assicurò all’industria nazionalsocialista la sua assistenza per la produzione della benzina sintetica, che risolse gran parte dei problemi logistici tedeschi durante la guerra. C’è da aggiungere che la IG Farben, produttrice del Zyklon B (usato nei lager di sterminio per uccidere i prigionieri) si accordò in segreto con la Standard Oil. Il risultato dell’intesa fu che a fine guerra il 93% degli stabilimenti della IG Farben era intatto.[72]
4] Pure l’IBM di New York interagì con il Terzo Reich. L’IBM aveva il quasi monopolio sulle macchine per il calcolo. Operava anche una filiale tedesca dell’IBM, la Dehomag (Deutsche Hollerith Maschinen Gesellschaft). Tale azienda continuò ad essere operativa per preservare il monopolio della società in Germania. Le macchine IBM furono utilizzate dai nazisti anche nei campi di sterminio (es. Auschwitz).[73]
Ai dati riportati occorre aggiungere ulteriori evidenze emerse da numerose acquisizioni storiche.
1] Si può intanto ricordare il fatto che molti ebrei non riuscirono a raggiungere gli USA perché quest’ultimi non vollero alzare il limite delle immigrazioni nel loro territorio.
2] Utilizzando due bombe atomiche gli USA arrivarono al massimo della distruzione. Le città colpite non erano obiettivi militari. Morirono soprattutto civili.
3] Unitamente a ciò, subito dopo il conflitto, il governo americano utilizzò criminali di guerra nazisti per far progredire gli studi inerenti la missilistica e lo spionaggio oltre la “Cortina di Ferro”. Tale vicenda si collega anche all’Operazione Paperclip.[74] Questa, fu il programma di trasferimento negli USA degli scienziati nazisti, per lavorare alla produzione di missili. Vennero accolti circa duemila ex-nazisti e i loro parenti. Tra i beneficiari delle diverse protezioni americane si può ricordare Arthur Rudolph, ex direttore della Mittelwerk, responsabile della produzione dei razzi V2. Fu trasferito negli Stati Uniti nel 1945. Altro individuo protetto fu Otto Von Bolschwing, il braccio destro di Adolf Eichmann. Questi, si stabilì negli USA nel 1954 e fu assunto dalla CIA. Nella lista dei nazisti si trova pure il “boia di Lione”: Nikolaus Barbie, detto Klaus.[75]
4] Non si può dimenticare, in ultimo, il fatto che i comandi americani salvarono da sicura morte i criminali nipponici che avevano ucciso nei loro esperimenti batteriologici un numero di persone molto elevato, in cambio dei risultati giapponesi sulle armi batteriologiche.[76] In particolare, il criminale di guerra Shirō Ishii[77] venne protetto senza problemi.
… dal Regno Unito?
Con l’inizio delle ostilità, la propaganda tedesca aveva accusato le autorità britanniche di un fatto particolare. Per Berlino, il Regno Unito era entrato in guerra su istigazione e in difesa della comunità ebraica mondiale. A questo punto, Londra ebbe il timore che il messaggio di Berlino potesse attirare alcuni ambienti inglesi, specie quelli più disagiati, con il rischio di fomentare lo “spiacevole grado di antisemitismo” latente nel Paese.[78] A questo punto, nel settembre del 1939 il Ministero per gli Affari Esteri non intese far conoscere i documenti di un Libro Bianco che riguardava i lager in Germania.[79] Tale posizione venne decisa proprio per non suffragare le voci di un intervento armato scaturito da un complotto anglo-giudaico. In particolare, il sottosegretario di Stato permanente per gli Affari esteri, sir Alexander Cadogan[80], raccomandò al governo di non pubblicare i resoconti relativi ai lager tedeschi sottolineando che, a suo giudizio, le testimonianze degli stessi ebrei non erano completamente attendibili.
Esistono poi altri dati. Prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale le autorità del Regno Unito limitarono l’immigrazione ebraica in Palestina in modo da evitare una reazione negativa da parte degli arabi palestinesi. Il governo britannico, inoltre, già nel 1942 aveva ricevuto le prove – raccolte dai politici polacchi in esilio – sulla volontà nazista di sterminare gli ebrei europei. Nonostante tutto, alla retorica politica e alla cronaca pubblica, non fece seguito alcuna azione militare da parte del governo britannico.[81] Al contrario, si verificò un fatto. Il Maresciallo dell’Aria, sir Arthur Travers Harris[82], soprannominato il macellaio, fu colui che diresse la strategia dei bombardamenti notturni sulle città tedesche. Lo scopo non era solo militare. Egli, colpendo pure le città che non erano obiettivi di guerra, voleva annullare il morale delle popolazioni. Di conseguenza si verificò, a causa delle continue incursioni, un altissimo numero di morti tra i civili che poteva essere evitato. È da aggiungere il fatto che nessuna autorità del Regno Unito fermò Harris.[83]
… dal Portogallo?
Il Portogallo fu governato dal 1933 da un regime autoritario. Era guidato da António de Oliveira Salazar.[84] Questi, subiva l’influsso dei regimi fascisti del tempo. Non includeva però in modo aperto l’antisemitismo sul piano ideologico. Malgrado ciò, nel 1938 il Portogallo introdusse misure di immigrazione che discriminavano i rifugiati ebrei. Le regole sul rilascio dei visti di transito furono ulteriormente inasprite al momento dell’invasione tedesca della Francia nel maggio-giugno 1940.[85]
… dalla Spagna?
Durante la seconda guerra mondiale la Spagna mantenne stretti legami economici e politici con la Germania nazista. Il Paese era governato dal caudillo (capo) Francisco Franco.[86] Questi, era divenuto il leader assoluto del Paese con il sostegno tedesco e italiano durante la guerra civile spagnola (1936-1939). Tra le sue convinzioni c’era anche quella secondo cui l’ebraismo fosse l’alleato sia del capitalismo americano che del comunismo russo. I servizi religiosi ebraici pubblici, come i loro equivalenti protestanti, vennero proibiti fin dagli anni della guerra civile.
Il 13 maggio del 1941 tutti i governatori civili spagnoli ricevettero una lettera della Direzione Generale per la Sicurezza, datata 5 maggio, che ordinava la schedatura completa di tutti gli ebrei, nazionali o stranieri, che risiedevano nelle province spagnole. Ogni voce doveva contenere i dati anagrafici degli ebrei, i nomi dei loro familiari, le attività da loro intraprese, le abitudini, le idee politiche e il loro “grado di pericolosità”. Pericolosità che, secondo i testi ritrovati “è propria della razza (sefardita) a cui appartengono”. In un anno vennero schedati circa 6mila ebrei. La lista completa venne consegnata da José Finat Escrivá de Romaní[87], futuro ambasciatore di Spagna a Berlino, nelle mani del gerarca nazista Himmler.[88] Sempre nel 1941 lo status di ebreo fu trascritto per la prima volta sui documenti d’identità.[89] È da aggiungere che Francisco Franco permise a navi e a sottomarini tedeschi e italiani di attraccare nei porti spagnoli, consentì all’Abwehr di operare in territorio iberico, e inviò la Divisione Azul a combattere sul fronte orientale contro l’Unione Sovietica.[90]
… dalla Svizzera?
La Svizzera si distinse, tra i Paesi neutrali, per essere stata l’unica nazione ad aver promulgato una legge antisemita tedesca.[91] Dal 13 agosto del 1942 venne chiuso il confine francese ai rifugiati, e non fu consentito l’accesso agli ebrei fino al 12 luglio 1944.
Nel 1942, il presidente della Confederazione Svizzera, Philipp Etter[92], come membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa, con sede a Ginevra, persuase l’organismo cit. a non emettere un proclama di condanna riguardo agli “attacchi” tedeschi a “certe categorie di nazionalità”. In tale contesto, occorre ricordare che esistevano nel Terzo Reich numerose filiali di ditte svizzere, stabilitesi soprattutto nelle regioni di confine dei due länder Baden e Württemberg. Qui di seguito si riportano le ditte in questione.
1] Brown, Boveri & Cie. (BBC) Mannheim, attiva nel settore elettronico ed elettrotecnico;
2] le filiali della Lonza AG e della Aluminium-Industrie AG (AIAG), attive nella chimica pesante;
3] le filiali della Nestlé e della Alimentana/Maggi, attive nel settore alimentare;
4] alcune ditte tessili di media grandezza.
Negli anni del secondo dopoguerra sono emerse molte critiche nei confronti della Confederazione Svizzera per una serie di evidenze. Tale Stato risultò il principale banchiere di Hitler. Acquistò da solo circa l’80% dell’oro nazista. Ci furono, poi, i problemi degli averi in giacenza che le banche commerciali non restituirono, poiché gli aventi diritto economico non disponevano della necessaria documentazione. I nazisti, nei campi di sterminio, provvedevano infatti a una distruzione sistematica dei documenti, e non rilasciavano certificati di morte.
Negli anni Novanta (XX sec.), dopo la fine della “Guerra Fredda”, la World Jewish Restitution Organization, e il World Jewish Congress, reclamarono queste somme. È in tale contesto molto teso che la Svizzera decise di presentare allora le sue pubbliche scuse. Vennero pure istituite due commissioni d’inchiesta (Volcker[93] e Bergier[94]), e fu promossa una Fondazione di solidarietà.
Alla fine, nel 1998, una class action statunitense si concluse con un accordo di 1,25 miliardi di dollari tra le due maggiori banche svizzere, UBS e Credit Suisse, e la controparte ebraica.[95] A tutt’oggi, comunque la querelle non è comunque conclusa.
… dalla Francia?
Nel febbraio del 1939 la Francia rimanderà indietro gli ebrei che la Germania intendeva espellere. Quasi tutti moriranno a Dachau. Tra il 1940 e il 1944, nel territorio francese occupato, in quello continentale del regime collaborazionista di Vichy (capo dello Stato fu il generale Pétain[96]) e nel Nordafrica francese,venne attuata la persecuzione, la deportazione e l’annientamento di ebrei e rom. La persecuzione ebbe il suo culmine con la deportazione degli ebrei nei lager di sterminio. Dei 340mila ebrei che vivevano nel 1940 nella Francia metropolitana, più di 75mila furono internati. In questi luoghi di morte persero la vita circa 72mila 500 persone.
Il governo di Vichy e la polizia francese organizzarono e attuarono le retate. L’amministrazione del generale Pétain riscosse stima tra i francesi. Basti pensare che quando gli inglesi occuparono il Libano, solo 6mila soldati su 31mila accettarono di aderire alla “Francia libera” del generale De Gaulle[97], mentre gli altri vollero rientrare in Francia.[98]
A questi dati è utile aggiungere un’altra informazione. Durante l’occupazione di Berlino, le forze francesi riuscirono a catturare l’intero staff dell’Istituto Balistico di Berlino-Gatow. Unitamente a ciò, anche uno dei più importanti esperti di aviazione, l’ex volontario delle SS, Hellmut Von Zborowsky[99], fu assunto dai francesi.
… dall’Italia?
Al censimento del 1938 risultavano presenti in Italia più di 47mila ebrei italiani, poco più dello 0,1% della popolazione cha raggiungeva i 45 milioni, oltre a 10mila ebrei di nazionalità straniera. Le leggi razziali introdotte a partire dal 1938 costrinsero molti ebrei a lasciare il Paese volontariamente (almeno seimila emigrarono), altri furono deportati in campi di concentramento in Italia e all’estero (oltre 6mila). Nel volgere di poche settimane persero l’impiego circa 200 insegnanti, 400 dipendenti pubblici, 500 dipendenti privati, 150 militari e 2.500 professionisti, inoltre 200 studenti universitari, 1000 delle scuole secondarie e 4.400 delle elementari furono costretti a lasciare lo studio.
Alla caduta del fascismo gli ebrei rimasti in Italia erano 37mila e 7mila gli ebrei stranieri.[100] Il bilancio delle sole persecuzioni razziali è stato: 7.579 sono stati gli ebrei identificati e arrestati, di cui 6.806 deportati nei campi di sterminio, dai quali ne sono ritornati soltanto 837.[101] L’Italia ha formalmente riconosciuto la Shoah con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, che ha stabilito il 27 gennaio come “Giorno della Memoria”.
Nell’immediato dopoguerra uno degli interessi del governo fu quello di far allontanare al più presto dal Paese quanti provenivano dai più diversi Paesi. Questo movimento di persone era considerato “un peso” in considerazione del fatto che occorreva affrontare la ricostruzione della nazione. Tale flusso di individui ricevette pure delle facilitazioni nelle procedure amministrative, incluse quelle gestite dalla Croce Rossa Internazionale. Fu facile, quindi, per diversi criminali di guerra, passare per deboli controlli, e inserirsi con falso nome tra coloro che lasciarono l’Italia verso nuove terre.
Un’altra situazione riguardò la scelta di taluni responsabili della giustizia italiana di non dare seguito ai procedimenti penali su stragi naziste avvenute nel Paese. In particolare, i fascicoli di merito[102] furono depositati in un armadio (con le ante posizionate verso la parete della stanza) del deposito della Procura Militare di Roma. Dovettero trascorrere molti anni prima del ritrovamento (1994) dei faldoni.[103]
… dalla Croazia di Pavelić?
Il 6 aprile del 1941 le forze del III° Reich invasero il regno di Jugoslavia. Questo attacco fu poi sostenuto dall’esercito italiano. In tale contesto, fu istituito lo Stato Indipendente di Croazia (NDH). Fu controllato da Berlino e da Roma. Il suo leader era l’avvocato Ante Pavelić.[104] Quest’ultimo, nella gestione del potere, si servì in particolare di un movimento rivoluzionario formato da membri denominati ustaše (ustascia). Per raggiungere l’obiettivo di arrivare a una “Grande Croazia”, etnicamente pura, gli ustaše si resero colpevoli del genocidio dei serbi. Per eliminare questa popolazione furono realizzati campi di sterminio, si attuarono massacri di massa, venne sviluppata una pulizia etnica. Non mancarono poi deportazioni e stupri. Oltre i serbi subirono durissime persecuzioni gli ebrei, i rom e i dissidenti politici.[105]
… dall’Argentina?
Nel 2020, i media riferiscono una scoperta avvenuta in Argentina. Un ricercatore, Pedro Alberto Filipuzzi, ha ritrovato in un ambiente di una banca ormai inattiva un documento dal titolo: Congresso della Nazione Argentina. Il testo contiene una lista di nomi, con le somme dei “titolari”.
Tali cifre, però, erano state sottratte in più casi agli ebrei durante il periodo nazista. Lo studioso, quindi, aveva davanti un dossier che attestava più dati: la fuga di nazisti in Argentina prima della caduta del Terzo Reich, l’appropriazione indebita di beni sottratti ai perseguitati del tempo, e l’uso illegittimo di quanto era stato requisito.[106]
Al riguardo, occorre specificare che la lista cit. era nota. Però, nel 1944, il governo di Edelmiro Farrel (dittatore filo tedesco) aveva sciolto la Commissione incaricata di analizzarla, con l’ordine di distruggere il documento. Dopo 80 anni, comunque, la lista viene ritrovata.
A questo punto, Filippuzzi contatta il Centro Simon Wiesenthal (noto per la caccia agli ex nazisti). Questo, a sua volta, si rivolge al Credit Suisse. E reclama la restituzione dei beni trafugati.
Il Centro è stato anche in grado di ricostruire il percorso seguito da questo tesoro (usato in Argentina dai tedeschi). L’iter aveva inizio in Germania. Far sparire quel denaro era importante per i gerarchi. Non c’era, infatti, la possibilità di cambiare la moneta tedesca con i dollari. Trasferirla in Argentina consentiva di farlo. Veniva scambiata con il foglio verde, e da qui una parte rientrava in Europa. Il trasferimento avveniva attraverso la banca svizzera Schweizerische Kreditanstalt, attualmente Credit Suisse.
Questi conti, avevano tra gli intestatari imprese tedesche come la IG Farben, fornitore del gas Zyklon-B (utilizzato nelle camere di sterminio), e organismi finanziari quali il Banco Tedesco Transatlantico, e il Banco Tedesco dell’America del Sud.
In tale contesto, occorre ricordare che esisteva a Buenos Aires una significativa comunità tedesca (durante e dopo la IIa guerra mondiale). I governi del tempo accolsero i nuovi arrivati e interagirono con loro. Solo quando la Polizia argentina volle indagare nella sede dell’Unione tedesca delle corporazioni fu possibile individuare la lista cit. Il documento fu consegnato al Parlamento. Ma il procedimento non ebbe seguito.
Nel 2025 il governo del presidente argentino Javier Milei[107] ha annunciato la declassificazione di archivi segreti governativi relativi alla presenza di criminali di guerra nazisti fuggiti in Argentina dopo la seconda guerra mondiale. L’impegno è stato assunto durante un incontro a Buenos Aires con rappresentanti del Centro ‘Simon Wiesenthal’.
… da Israele?
Nel 2022, lo storico israeliano Danny Orbach[108], ha pubblicato uno studio sui criminali di guerra nazisti impiegati come mercenari durante la “Guerra Fredda” (immediato dopoguerra).[109] Questo A. ha trovato documenti[110] che attestano la storia di ex criminali nazisti arruolati da Tel Aviv. In particolare, occorre ricordare che, negli anni post bellici, il Mossad e i servizi di intelligence dell’esercito israeliano non agivano in modo diverso dagli altri servizi segreti occidentali.
Di frequente, opportunismo e realismo politico avevano la prevalenza sulle ideologie. Scavalcavano anche il desiderio di vendetta nei confronti dei responsabili dell’Olocausto. Ciò fu possibile perché Israele si sentiva accerchiato all’interno del mondo arabo. In base alle sue ricerche, Orbach ha confermato la collaborazione di almeno quattro uomini del Terzo Reich con i servizi segreti israeliani. Tra questi, spicca la figura dell’SS-Obersturmbannführer Otto Skorzeny.[111]
Nel 1960 il Mossad era intenzionato a catturare Skorzeny per eliminarlo. Emerse poi la convinzione che poteva essere più utile da vivo. Si decise così di reclutarlo. Per attuare il piano si attese un cambio al vertice dello stesso Mossad, oltre al beneplacito del primo ministro David Ben-Gurion.[112] Questi, era fortemente preoccupato per il programma missilistico del presidente egiziano Nasser. In particolare, il primo ministro sapeva che un tedesco, Heinz Krug[113], che aveva collaborato al programma missilistico di Berlino, stava lavorando per gli egiziani. E c’erano anche altri tecnici e scienziati. Tutto questo costituiva un pericolo per Israele. Il Mossad, a questo punto, attivò il “Piano Damocle” (1962) per eliminare ogni elemento nemico. In tale contesto, Avraham Ahituv[114], futuro direttore del servizio di sicurezza interna, lo Shin Bet, si attivò per incontrare anche Skorzeny in un hotel di Madrid. E lo arruolò per neutralizzare Krug. Il compito fu eseguito.
… dall’Egitto?
Nel 1954 divenne presidente dell’Egitto Gamal Abd el-Nasser.[115] Questo generale era intenzionato a rafforzare le proprie forze armate, anche in previsione di possibili conflitti con Israele. Per tale motivo accolse ex appartenenti all’Afrika Korps, alla Gestapo, alla Wermacht, alle SS. Molti di loro si scelsero nomi arabi: c’erano Willi Brenner, il tenente delle SS Ulrich Kraus (alias Mohammed Akbar), Adolf Putsbeck (alias Ben Utrier), Gerd Von Nimzeck (alias Ben Alì), et alii. Tra i protagonisti di questa collaborazione egiziano-tedesca ci fu l’industriale e progettista tedesco Willy Messerschmitt.[116] Questi, in una villa di Monaco, siglò un accordo con il governo egiziano (23 febbraio 1959) per la realizzazione di un nuovo caccia intercettore (Helwan HA-300).
… dalla Croce Rossa Internazionale?
Durante gli anni del secondo conflitto mondiale, il Comitato Internazionale della Croce Rossa si distinse per una opacità d’intervento. In particolare, non tenne conto dei rapporti sul genocidio nazista organizzato, come l’uccisione dei prigionieri ebrei polacchi a Lublino. Questo organismo ha cercato in seguito di motivare la sua inerzia, ma – alla fine – ha riconosciuto la sua passività durante l’Olocausto e si è scusato pubblicamente.[117]
In particolare: la vicenda della BBC
I silenzi sulle vicende in precedenza riportate, sono emersi, in molti casi, attraverso vicende legali e segnalazioni di criminali: questioni di risarcimenti; riacquisizione di beni di proprietà; denunce riguardanti la presenza di ex nazisti in determinati Paesi. Su tutti questi silenzi i dibattiti sono stati sempre tenui. In alcuni casi molti riflettori sono stati spenti.
In tale contesto, il fatto di focalizzare l’attenzione con insistenza sulla figura di Pio XII ha sollevato in più ambienti internazionali delle perplessità, e ha motivato la pubblicazione di nuove ricerche. Si è cercato così di uscire dalle nebbie, e di correggere la disinformazione di merito. Si riporta, al riguardo, un episodio.
Nel dicembre del 2016 la BBC ha ammesso che la teoria dei “silenzi” della Chiesa Cattolica ed in particolare di Pio XII nei confronti della Shoah non rispecchia la verità dei fatti. Si tratta di una svolta storica. In particolare, durante la diretta della visita di Papa Francesco[118] al lager di Auschwitz, avvenuta a luglio, il corrispondente della BBC aveva affermato che “la risposta della Chiesa di fronte alla demonizzazione del popolo ebraico da parte della Germania nazista fu il silenzio”.
Dopo diversi mesi, a seguito di una formale denuncia e di diversi reclami, la BBC ha pubblicato nella sezione “complains” (denunce/contestazioni) un comunicato. L’emittente ammette l’errore del suo giornalista che non ha dato “il giusto peso alle dichiarazioni pubbliche dei Papi successivi e agli sforzi compiuti da Pio XII per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista, ed ha perpetuato così una visione che contrasta con l’equilibrio delle prove”.
Allo stesso tempo la BBC ha auspicato che future coperture mediatiche dell’argomento si preoccupino di “riflettere una comprensione storica più aderente ai fatti”.[119]
In particolare: la Shoah tra commemorazione e scelta politica
Il 2 giugno del 1945 Pio XII, in un discorso ai cardinali, fece esplicito riferimento allo “spettro satanico esibito dal nazionalsocialismo”. Era la condanna ufficiale del nazismo. Unitamente a ciò, il Papa fu anche chiaro nell’affermare che i colpevoli dovevano espiare i delitti da loro commessi.[120] E specificò che tale affermazione l’aveva già fatta in precedenti occasioni. In tale contesto, alcuni aspetti vennero considerati prioritari da diversi Paesi.
Oltre alle celebrazioni delle vittorie sui nazisti, fu necessario affrontare il problema dei prigionieri di guerra, quello dei profughi, degli internati civili, dei processi penali, del nuovo assetto politico amministrativo (esautorando chi era stato colluso con i regimi dittatoriali), dei risarcimenti di guerra, delle ricostruzioni di fabbricati, dell’assetto socio-sanitario, dell’indipendenza di taluni Paesi africani.
Unitamente a ciò, nuovi conflitti attirarono l’attenzione mondiale. Da una parte emerse il confronto tra l’Occidente e l’Unione Sovietica (questione della “Cortina di Ferro”) che provocò nuovi morti. Dall’altra ebbe inizio la nuova guerra israelo-araba che a tutt’oggi non ha ancora avuto una definitiva conclusione. Nel 1950 ebbe inizio la guerra di Corea.
1] In tale contesto, la memoria della Shoah rimase impressa tra chi la subì e chi era stato vicino ai perseguitati. Anche se molti ex internati preferirono non parlare dei drammi vissuti, emerse comunque nel mondo ebraico l’importanza di ricordare annualmente l’Olocausto. In particolare, il pensiero religioso ebraico, con riferimento alla Shoah, si è sviluppato dopo la tragedia seguendo diversi orientamenti, in una certa misura era già presenti nel tempo stesso in cui gli eventi si compivano.
Le riflessioni, i ricordi e le testimonianze di rabbini, guide spirituali, e semplici ebrei, si rifanno alle fonti tradizionali della Torah e dell’insegnamento dei Maestri del popolo ebraico. Trasmettono intense espressioni di fede, emozioni e sbigottimento dell’animo del credente di fronte ad eventi e situazioni che risulta non facile inserire negli schemi tradizionali, con i quali il pensiero ebraico nel passato aveva affrontato le esperienze di sofferenze e patimenti.
Esistono, quindi, nelle riflessioni sulla Shoah, tentativi articolati e sofferti di interpretare i tragici eventi non solo nel quadro della storia ebraica, ma anche nell’intreccio degli avvenimenti che li hanno preceduti, e in una collocazione più legata all’evoluzione del popolo ebraico nell’epoca moderna.
In taluni casi, l’avvicinamento ai drammatici interrogativi posti dalla Shoah, ha richiesto nuove riflessioni nei diversi orientamenti del panorama religioso ebraico. E ha fatto nascere rinnovate espressioni di fede. Queste, talvolta, ribadiscono e rafforzano i convincimenti e le scelte ideologiche già maturate. In altri casi, determinano ripensamenti e revisioni, pur rimanendo all’interno di una concezione religiosa.[121]
2] In ambienti non ebraici, l’orrore della Shoah venne ricordata soprattutto durante i processi organizzati a Norimberga. Dovranno però trascorrere anni prima di registrare iniziative dell’Occidente. In particolare, l’orientamento di molti Paesi è stato quello di ricordare le vittime di tutti i regimi dittatoriali. Si è sviluppata in tal modo una memoria collettiva.
Questa, non dimentica certamente i milioni di ebrei uccisi, ma tiene conto anche di quanti subirono angherie, persecuzioni, bombardamenti devastanti, violenze di ogni tipo, soprusi, drammi famigliari, condizionamenti durissimi, e di quanti avevano impresso sui propri corpi i segni delle oppressioni, delle invalidità e dei traumi subìti.
Unitamente a ciò, è emersa anche l’esigenza di ricordare tutti coloro che difesero i perseguitati attraverso i più diversi interventi umanitari. Al riguardo, lo stesso Stato italiano, quando istituì nel 2000 il Giorno della Memoria, specificò che si voleva onorare pure “coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.[122]
In tale contesto, la memoria collettiva ha evidenziato più persecuzioni razziali, da quelle armene a quelle ebraiche fino alle vicende che hanno colpito i Balcani e diverse popolazioni africane.
3] In tutti i suoi interventi, Pio XII volle sempre guardare a tutte le vittime dei regimi dittatoriali. Egli era documentato sui genocidi avvenuti nel corso del XX secolo.
Si tratta in particolare:
- dei Massacri Hamidiani. Eccidi subìti dal popolo armeno (1894-1897) durante il regno del sultano dell’Impero ottomano Abdul Hamid II. Precedono di alcuni anni quelli noti con il nome di “Genocidio Armeno”;[123]
- di quello africano, in Namibia, degli Herero e dei Nama (1904-1907);[124]
- del Metz Yeghérn : ‘Il Grande Male’; 1915-1922. Strage di cristiani armeni. Più di un milione di armeni furono perseguitati e trucidati, insieme a centinaia di migliaia di vite di cristiani assiri, di greci del Ponto e di altre confessioni cristiane orientali minoritarie. Orribili furono le sofferenze patite dalle donne e dai bambini armeni, con riduzioni in schiavitù e compravendita di esseri umani nei mercati, islamizzazioni forzate, sevizie e perfino crocifissioni;[125]
- del Holodomor: 1932-1933. È il nome con il quale si designa il genocidio per fame di oltre sei milioni di persone, perpetrato dal regime sovietico, a danno della popolazione ucraina negli anni 1932-1933;[126]
-della Shoah (1939-1945); Olocausto degli ebrei.
I nunzi pontifici, infatti, avevano sempre aggiornato la Santa Sede sulle tragedie in corso, e la stessa documentazione conservata nell’Archivio Apostolico Vaticano ha confermato l’esistenza di informative di merito.
Per questo motivo, il Pontefice alla vigilia del secondo conflitto mondiale, durante e dopo la guerra, condannò tutte le realtà di morte.
Perché tutte furono segnate dall’idea di una negazione della dignità di ogni persona, e tutte propugnavano l’eliminazione di migliaia e migliaia di esseri umani.
Sono diversi, al riguardo, i riferimenti che si trovano nei suoi discorsi, nelle udienze, e nelle direttive che vennero impartite (già prima del pontificato pacelliano) per tentare fin dove possibile azioni umanitarie.
Ma è soprattutto nel discorso del 24 dicembre 1945 che si può meglio comprendere il modus operandi di Papa Pacelli. Si riportano qui di seguito alcune affermazioni.
- “(…) La pace della terra? La vera pace? No, ma solamente il «dopo-guerra» espressione dolorosa e fin troppo significativa! Quanto tempo sarà necessario per guarire il malessere materiale e morale, quanti sforzi per cicatrizzare tante piaghe! (…)”.
- “(…) L’ora presente richiede imperiosamente la collaborazione, la buona volontà, la reciproca fiducia di tutti i popoli. I motivi di odio, di vendetta, di rivalità, di antagonismo, di sleale e disonesta concorrenza, debbono essere tenuti lontano dai dibattiti e dalle risoluzioni politiche ed economiche (…)”.-“(…) è necessario che dappertutto si rinunzi a creare artificiosamente, con la potenza del danaro, di una arbitraria censura, di giudizi unilaterali, di false affermazioni, una cosiddetta pubblica opinione, che muove il pensiero e il volere degli elettori come canne agitate dal vento (…)”.
- “(…) La forza dello Stato totalitario! Crudele e sanguinante ironia! Tutta la superficie del globo, rossa del sangue versato in questi anni terribili, proclama altamente la tirannia di un tale Stato.
L’edificio della pace riposerebbe sopra una base crollante e sempre minacciosa, se non ponesse fine a un siffatto totalitarismo, il quale riduce l’uomo a non essere più che una pedina nel giuoco politico, un numero nei calcoli economici.
Con un tratto di penna esso muta i confini degli Stati; con una decisione perentoria sottrae l’economia di un popolo, che pure è sempre una parte di tutta la vita nazionale, alle sue naturali possibilità; con una mal dissimulata crudeltà scaccia anch’esso milioni di uomini, centinaia di migliaia di famiglie, nella più squallida miseria, dalle loro case e dalle loro terre, e le sradica e le strappa da una civiltà e una cultura, alla cui formazione avevano lavorato intere generazioni. Anch’esso pone arbitrari limiti alla necessità, e al diritto di migrazione (…)”.
- “(…) non possiamo tacere la Nostra pena, quando (…) , oltre alle sofferenze inevitabilmente portate dalla guerra, abbiamo saputo di quelle quasi volutamente inflitte ai prigionieri e ai deportati; quando, in alcuni casi, abbiamo veduto prolungarsi senza ragione sufficiente la durata della loro cattività; quando il giogo, già per se stesso opprimente della prigionia, è stato aggravato dal peso di faticosi e non debiti lavori, o quando, in facile disprezzo delle norme sancite da convenzioni internazionali e di quelle anche più inviolabili della coscienza cristiana e civile, si è negato con modi disumani il trattamento dovuto anche ai vinti (…)”.[127]
In queste affermazioni risulta evidente la linea di Pio XII. Egli era consapevole che il dopoguerra sarebbe stato foriero di nuove gravi criticità. Rimaneva inoltre convinto che non sarebbero mancati fatti tragici legati a vendette. Respinse pure le manovre di forze economiche tese a divulgare messaggi di parte. Condannò ogni Stato totalitario. E ricordò l’esigenza di trattare con umanità prigionieri e deportati, e di liberare quanti potevano ormai far ritorno in famiglia.
·
[122] Legge 20 luglio 2000, n. 211, “Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”, art. 1.
[123] Cf anche: M. Sciarretta, Attilio Monaco (1858-1932). Un console italiano a Erzerum durante i massacri hamidiani, in: ‘Rassegna Armenisti Italiani’, XIII, Padus-Araxes, 2012, pp. 11-21.
[124] J.B. Gewald, The Herero and Nama Genocides, 1904-1908, in: ‘Encyclopedia of Genocide and Crimes Against Humanity’, Macmillan Reference, New York 2004.
[125] M. Impagliazzo, Il martirio degli armeni. Un genocidio dimenticato, La Scuola, Brescia 2016.
[126] E. Cinnella, Ucraina. Il genocidio dimenticato, 1932-1933, Della Porta Editori, Pisa 2015.
[127] Discorso di Sua Santità Pio XII “Negli ultimi sei anni”, 24 dicembre 1945.
Per saperne di più
AA.VV., La Chiesa cattolica in Europa centro-orientale di fronte al nazionalsocialismo (1933-1945), a cura di J. Mikrut, Gabrielli Editori, Verona 2019. AA.VV. Perseguitati per la fede. Le vittime del Nazionalsocialismo in Europa centro-orientale, a cura di J. Mikrut, Gabrielli Editori, Verona 2019. S. Baruzzo, Il “silenzio” di Pio XII e l’Olocausto. Una questione mal posta, in: ‘ilpensierostorico.com’, 31 gennaio 2023. G. Coco, Un mosaico di silenzi, Mondadori, Milano 2025. J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in: J.-D. Durand, U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli, M. Impagliazzo, ‘Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi’, Bari-Roma, Laterza, Bari-Roma 2021. M.F. Feldkamp, Pius XII und Deutschland, Böhlau, Göttingen 2000. P.L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013. T.S. Hamerow, Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista, Feltrinelli, Milano 2010. J. Ickx, Pio XII e gli ebrei, Rizzoli, Milano 2021. M.L. Napolitano, Il secolo di Pio XII, Luni Editrice, Milano 2023. Id., Pio XII tra guerra e pace: profezia e diplomazia di un Papa (1939-1945), Città Nuova, Roma 2002. A. Riccardi, La guerra del silenzio, Laterza, Bari-Roma 2022. M. Riebling, Le spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler, Mondadori, Milano 2016. S. Samerski, Pancratius Pfeiffer der verlängerte Arm von Pius XII, Ferdinand Schöningh, Paderborn 2013. G. Vecchio, Il soffio dello spirito. Cattolici nelle Resistenze europee, Collana Istituto Alcide Cervi, Viella, Roma 2022. Z. Waszkiewicz, La politica del Vaticano verso la Polonia negli anni della seconda guerra mondiale, in: ‘Studi trentini di scienze storiche’, 65/3, 1986, pp. 367-384.
Ringraziamenti
P. Peter Gumpel SI (†). Ing. Luciano Le Donne. Ing. Dominiek Oversteyns, della Famiglia spirituale “L’Opera”, diacono permanente. Dott. Johan Ickx.