I BALESTRIERI GENOVESI, TIRATORI SCELTI NEL MEDIOEVO

di Max Trimuti -

Nonostante la brutta figura rimediata a Crecy nel 1346, i balestrieri genovesi – temuti, richiesti e molto ben pagati – erano soldati specializzati la cui efficacia sul campo di battaglia è attestata tra XII e XV secolo.

La balestra – inventata probabilmente per la caccia durante l’Antichità – è stata utilizzata dai greci sin dal V secolo a.C., quindi dai romani e anche dai cinesi. Dopo un periodo di eclissi in Occidente, l’arma viene riscoperta a contatto con i conquistatori musulmani in Spagna: ricordata nel corso del X secolo, la balestra si diffonde progressivamente nell’XI secolo nella penisola iberica, nell’Italia del Nord e nell’ambito delle Repubbliche marinare italiane. Se la balestra equipaggia le truppe alla Prima crociata, il primo documento che la ricorda risale al 1162 a Pisa, successivamente dal 1181 e nel 1184 a Genova.
In effetti la penisola italiana, una delle regioni europee più sviluppate a quel tempo, dispone delle capacità tecnologiche per fabbricare in serie un’arma così complessa. Di fatto la balestra combina quattro caratteristiche basilari per delle potenze navali come Pisa e Genova: efficace, a buon mercato, compatta (ideale per un impiego imbarcato) e facile da impiegare. Si tratta, dunque, di un’arma alla portata di tutti, specialmente dei marinai-cittadini, rispetto, ad esempio, alle armi da getto. Già a partire dal 1143-44 vengono ricordate unità specializzate armate di balestra e nel corso del 1220-1230 nascono, nell’Italia del Nord e in Toscana, le prime unità di balestrieri. Le repubbliche marinare regolamentano il numero di armi imbarcate: sedici per le navi genovesi in partenza per l’Egitto nel 1382; venti per le navi veneziane destinate in Fiandra nel corso del 1400.

Fortune della balestra e dei balestrieri di Genova

Balestrieri genovesi all'assedio di Gerusalemme, affresco di Lazzaro Tavarone, Palazzo Cattaneo-Adorno, Genova

Balestrieri genovesi all’assedio di Gerusalemme, affresco di Lazzaro Tavarone, Palazzo Cattaneo-Adorno, Genova

Agli inizi la balestra risulta dunque un’arma popolare e le repubbliche marinare fanno di tutto per incoraggiarne l’uso. Dalla fine dell’XI secolo, le milizie urbane si addestrano su bersagli (da cui deriva il nome della specialità italiana della fanteria: i Bersaglieri), in occasione di competizioni, a volte con premi, organizzate in spazi aperti, come la terra de arcubus, predisposta a Genova nel 1349 presso la Porta Olivella. A Venezia nel 1295 vengono vietati numerosi giochi durante le feste, ma questi divieti non riguardano, curiosamente, la balestra. In determinate città le contrade (quartieri urbani o rurali) hanno l’obbligo di fare addestrare all’uso di quest’arma tutti gli uomini validi secondo fasce d’età (16-55 anni a Venezia, 15-70 anni a Firenze, 16-40 anni a Ragusa).
Successivamente il mestiere si professionalizza, senza dubbio a causa della crisi economica che imperversa verso la metà del XIV secolo e che induce numerosi artigiani a riconvertirsi temporaneamente o definitivamente.
La balestra conosce uno sviluppo vertiginoso a Genova, poiché la Repubblica di San Giorgio è la prima a trarre vantaggio dal suo vivaio. In effetti già dal 1175 Genova firma un primo contratto di servizio con il marchesato di Gavi. Riccardo Cuor di Leone, da parte sua, recluta balestrieri genovesi in Normandia già a partite dal decennio 1180, quindi li combina con i pisani in occasione della sua Crociata. Nel 1225 la città di Asti affitta cento balestrieri a piedi e venti a cavallo per un mese nella sua lotta contro la sua rivale Alessandria.
Milano li impiega contro gli Imperiali, provocando l’ira dell’imperatore Federico II, che ordina di tagliare la mano e di accecare un occhio di coloro che vengono catturati durante l’assedio di Parma. Questo nuovo mercenariato diventa un’industria nel XIV secolo, con clienti illustri e regolari: i visconti di Milano li reclutano nel 1314, nel 1340, nel 1343, nel 1356 e nel 1359, il marchese di Saluzzo nel 1341, quello di Savoia nel 1350, quello del Monferrato nel 1306 e nel 1357. Persino Mamaj, il capo mongolo dell’Orda d’Oro, impiega balestrieri genovesi nel 1380 nella battaglia di Kulikovo. Saranno però i re di Francia quelli che daranno grande lustro al mercenariato genovese.

Al servizio del re di Francia

Secondo fonti francesi, già a partire della quinta crociata viene menzionato il reclutamento di 4 -5 mila balestrieri (non necessariamente tutti genovesi) e la stessa cosa si ripete anche in occasione della settima crociata diretta personalmente da re Luigi IX. Nel 1273-75 la famiglia genovese esiliata dei Boccanegra si incarica di reclutare balestrieri per l’Oriente a nome dei re di Francia. Sarà però la guerra dei Cent’Anni che consacrerà la relazione, sia terrestre sia navale, franco-genovese. Il 25 ottobre 1337 Filippo VI sigla un accordo con Leone Doria per l’affitto per quattro mesi di quaranta galee genovesi e monegasche con 8.400 uomini (di cui mille balestrieri) per la somma di 144 mila fiorini d’oro, somma considerevole, che evidenzia chiaramente la grande convenienza nell’affare per Genova. I due contraenti rinnovano il contratto nel 1345 per tremila balestrieri e diverse navi. Col passare del tempo i contratti diventano regolari, variando nel tempo il numero dei soldati impegnati (nel 1417 saranno 1.500, un contingente non trascurabile che illustra ulteriormente l’importanza di Genova per la monarchia francese).

Struttura ed armamento delle unità

I balestrieri vengono organizzati in bandiere di 20-25 uomini, agli ordini di un capitano e/o un conestabile. Un cartolario del 1357 riguardante un reclutamento per il marchese del Monferrato fornisce ulteriori dettagli: la truppa conta un capitano, un segretario, cinque famuli (famigli, serventi), tre tamburi, quattro trombetti e otto bandiere di ventitré uomini comandate ciascuna da un conestabile. Il pagamento avviene a Genova in due tempi. Il capitano percepisce 45 fiorini, il conestabile 15, il balestriere 7 e gli altri molto meno. Questi personaggi non hanno più, tuttavia, nulla in comune con i marinai miliziani delle origini: si tratta di professionisti esperti e ben addestrati. Se risulta sufficiente una settimana per formare in teoria un balestriere, la manutenzione e il maneggio di un’arma sempre più potente giustifica ampiamente lo statuto di soldato specializzato.
La durata del reclutamento è di qualche mese: da quattro a sei per le compagnie reclutate dai Fiorentini nel 1364 e nel 1379. I contratti sono molto regolamentati e i balestrieri genovesi sono riuniti in corporazione, con tanto di tradizioni e legami di solidarietà. Ogni mercenario, in particolare, deve presentarsi con un garante che si impegna a rimborsare l’anticipo sul salario in caso di diserzione o di rifiuto di lavorare. Questi garanti sono altri artigiani, balestrieri o, a volte, i conestabili, che avevano legami sociali e geografici con l’arruolato.
Genova è la città che riesce a centralizzare il reclutamento: in tal modo riesce a fornire tutti i mercenari monopolizzando il mercato. Se alcuni soldati sono di origine locale, al loro fianco si ritrovano dei Liguri, contadini e montanari degli Appennini, della Corsica, Genovesi delle colonie d’oltremare, Lombardi, Siciliani, Pisani, Veneziani, Spagnoli, Monegaschi, Francesi (fra i quali Provenzali, Normanni, Bretoni, Piccardi), Savoiardi e anche Tedeschi.
La denominazione di origine controllata non viene in alcun modo controllata e maschera spesso abusi. Carlo V lamenta nel 1373 che i capitani genovesi accolgano gente di tutte le provenienze e senza valore militare. Ordina così di cacciare gli elementi inutili e di mantenere in servizio solo 800 balestrieri, scelti sul campo. I capi risultano in grande maggioranza genovesi, ma non tutti. A fianco dello Spinola, dei quattro Doria e dei tredici Grimaldi, che comandano in Francia dal 1370 al 1400, si conta anche un Martino di Parma, un Guido di Pisa, un Antonio da Napoli. Occorre altresì notare che i Genovesi non hanno il monopolio della balestra mercenaria: Venezia. La grande rivale fa appello ai Catalani per addestrare le proprie truppe. Guasconi, Normanni e fiamminghi serviranno anch’essi i re d’Inghilterra durante le guerre civili o la guerra dei Cent’Anni.
Un balestriere viene normalmente equipaggiato con una balestra a “staffa”, nome della staffa semplice o doppia, che consente di mantenere l’arma al suolo con il piede quando questa viene riarmata. L’affusto viene realizzato con legno di faggio, di quercia, quindi in ferro nel decennio 1460. L’arco, inizialmente in legno, diventa composito (osso e corno di bue) a partire dalla metà del XIII secolo; quindi il ferro forgiato si generalizza a partire dal 1370. La corda è di canapa o di nervi. Il tutto pesa circa 6 chilogrammi per i modelli in ferro. La portata dipende, evidentemente, dal tipo, ma le ricostruzioni evidenziano un’arma precisa fino a cento metri, con una portata massima di 350-400 metri. La fabbricazione viene assicurata da artigiani specializzati che a Genova nel 1275 si riuniscono in corporazione. L’arma può essere fornita dal comune o essere di proprietà dell’arruolato, che in ogni caso, la mantiene con grande cura.
Le munizioni, in ferro o in acciaio da una corporazione propria, sono verrette (quadrelli) a punte piramidali o verrettoni a punte coniche, dotate di un impennaggio che le fa ruotare in volo sul loro asse di figura, per migliorare la precisione. I proiettili pesano da 30 a 50 grammi per circa 30-40 cm di lunghezza. di lunghezza, con una testa spessa per rendere massimale l’impatto. Il potere di penetrazione è stato da sempre oggetto di aspre discussioni, perché varia moltissimo in funzione del tipo di arma. Ma sembra comunque acquisito che una balestra “media” è in grado di forare qualsiasi protezione (cotta di maglia su gambiera nel XIII secolo e quindi un’armatura a placche) a meno di 100 metri. Naturalmente la potenza delle balestre aumenta coll’aumentare del progresso tecnico, ma allo stesso tempo cresce anche la resistenza delle protezioni. In tale contesto si vedono comparire alla fine del XIV e nel XV secolo armature (specialmente milanesi) a prova della balestra più potente. La balestra, ben maneggiata da un professionista, resterà comunque un’arma temibile fino alla fine del Medioevo.

Equipaggiamento del balestriere

L’equipaggiamento evolve col passare del tempo ma il balestriere risulta ben protetto. Verso il 1330, egli indossa una corazza, collarino di ferro, una cervelliera (calotta di ferro), guanti di ferro, spada e coltello. A Crecy egli dispone anche di una daga, di un bacinetto con visiera mobile, una cotta di maglia, una gambiera o una tenuta di lino, una cotta d’armi (senza maniche e senza cappuccio). La faretra è composta di legno e di cuoio, dove i quadrelli o i berrettoni vengono impilati con la punta verso l’alto. Ma una parte del materiale di protezione è collettiva, in quanto il balestriere, come l’artigliere, lavora in gruppo. Per aumentare la cadenza di tiro – il vero difetto della balestra in battaglia -, il tiratore può essere munito di diverse armi, ricaricate da serventi. Il balestriere forma inoltre un duo indissociabile con il pavesario (colui che tiene il pavese), dotato, come indicato dal nome, da un pavese, un grande scudo che protegge i balestrieri e la loro squadra, ma anche gli altri fanti dai dardi avversari. I pavesi possono anche avere una funzione offensiva, in caso, ad esempio, di contrattacco. Secondo i contratti, si evidenziano un pavesiere ogni 1-1,5 balestrieri. L’organizzazione di questi uomini copia quella dei balestrieri con bandiera e garanti, ma la paga è minore.

Combattimento del balestriere

Inizialmente si tratta di un impiego protetto dai bordi delle navi, dietro un pavese o dietro i merli o le feritoie di un castello, garantendo il massimo di precisione dell’arma. Nulla prova, tuttavia, che l’arma sia stata utilizzata unicamente a tiro teso, ma poiché il tiro risulta facile da effettuare su ordine non si vede perché l’arma non possa essere stata utilizzata a salve a tiro col secondo arco, specialmente nel combattimento navale. In mare il balestriere risulta insostituibile per la difesa delle navi. A terra, egli assicura scorte e soprattutto la guardia e il controllo di punti sensibili o di piazzeforti. Sarà proprio un balestriere a uccidere Riccardo Cuor di Leone a Châlus nel 1199. La permanenza della balestra tra le armi medievali si spiega con il fatto che la guerra medievale è prima di tutto una guerra d’assedio.
Quando serve, tuttavia, il balestriere partecipa, dietro il suo pavese, anche alle battaglie campali. Come riportato da Mathieu de Paris intorno al 1250 balistari semper praebent”: i balestrieri sono sempre in prima linea, fatto per molti aspetti logico. Ad Arsuf, nel 1191, Riccardo Cuor di Leone li intercala fra i picchieri, che formano un muro con i loro scudi, e li fa assistere da un servente che porta una seconda balestra. Le truppe formano un cerchio sul quale si infrangono le truppe del Saladino, prima del contrattacco del re e dei suoi cavalieri. La sequenza della battaglia di Courtrai (1303) fornisce un’idea dello svolgimento di una battaglia nel XIV secolo: i balestrieri avanzano davanti alle linee, coperti dai pavesieri e scambiano tiri con i loro avversari diretti. Crivellate da quadrelli durante questa “preparazione”, le milizie fiamminghe si sganciano – fatto che precipita la carica frettolosa e calamitosa dei cavalieri francesi su un terreno fangoso. I balestrieri genovesi sono, in questo caso specifico, senza responsabilità per la sconfitta francese e giocheranno d’altronde un ruolo chiave, schiacciando la flotta fiamminga a Zierikzee nel 1349 sotto il comando di Ranieri I Grimaldi.
Nel 1364 a Cascina i balestrieri genovesi assumono un ruolo difensivo: imboscati, essi favoriscono la vittoria di Firenze respingendo la cavalleria dell’inglese John Hawkwood (Acuto), al servizio dei Pisani. Quello che è certo è che i belligeranti fanno di tutto per schierare nelle rispettive file il maggior numero di balestrieri, fatto evidente della loro efficacia. In effetti, anche se l’arco sembra superiore alla balestra sul campo di battaglia della Guerra dei Cent’anni, opporre le due armi non ha alcun senso in quanto i suoi strumenti risultano complementari e combattono coordinati in tutti gli eserciti, un poco come oggi integrando sistematicamente dei tiratori specializzati nelle squadre dei fanti.

Conclusione

Si ignora oggi quando abbia avuto termine il reclutamento dei mercenari genovesi. Si sa, peraltro che essi risultano associati alla difesa di Costantinopoli nel 1453. Alla fine del XV secolo e agli inizi del XVI secolo si ha la definitiva consacrazione dell’arma da fuoco sul campo di battaglia. Se i Conquistadores continuano a combattere ancora con le balestre, Venezia li rimpiazza simbolicamente sulle sue navi con gli archibugi nel 1518, mentre un’ordinanza del 1567 vieta definitivamente la balestra a vantaggio degli archibugi nell’esercito francese.