GLI STERMINATORI DELLA RIVOLUZIONE

di Giancarlo Ferraris -

Carrier, Turreau, Westermann, Tallien, d’Herbois, Fréron. Sono i nomi di alcuni dei “grandi terroristi” della Rivoluzione francese che si macchiarono di atrocità nei confronti della popolazione civile. Nel nome della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza.

 

 

Uccidere per la Rivoluzione e per la Repubblica

      La Rivoluzione francese, lo abbiamo già detto, è stata un avvenimento pieno di contraddizioni laceranti tanto che gli storici sono d’accordo nel ritenerla sia la madre delle migliori democrazie sia delle più sanguinarie dittature del Novecento. La sua pagina più cupa è stata, ovviamente, quella del Terrore che nel sapere comune e nel cosiddetto immaginario collettivo coincide con la figura di Maximilien Robespierre e con la sinistra silhouette della ghigliottina. Tuttavia è importante e anche doveroso ricordare che la ghigliottina fece sì tante vittime, ma in un arco di tempo comunque piuttosto lungo, attraverso le cosiddette esecuzioni ufficiali che avvenivano sulle piazze delle città e dei paesi dopo i processi e le sentenze del Tribunale Rivoluzionario; un numero infinitamente più elevato di vittime fecero invece, e spesso con sistemi crudelissimi, alcuni militari di alto grado e i vari rappresentanti in missione incaricati dalle autorità rivoluzionarie di reprimere le rivolte scoppiate contro la Repubblica in diversi luoghi della Francia: uomini responsabili di esecuzioni di massa tanto da essere chiamati i “grandi terroristi”, autori di crimini che anticiparono ciò che sarebbe poi accaduto, su scala ben più vasta e infinitamente peggiore, in Europa nel XX secolo all’ombra di simboli ben noti a tutti, dalla mezzaluna alla falce e martello alla svastica.

Il contesto storico

      L’operato dei “grandi terroristi” si inquadra nell’ambito delle rivolte scoppiate durante la Rivoluzione francese contro la stessa Rivoluzione o meglio contro la Repubblica francese rappresentata istituzionalmente dalla Convenzione Nazionale (organo parlamentare), dal Comitato di Salute Pubblica e dal Comitato di Sicurezza Generale (organi di governo) e dal Tribunale Rivoluzionario (organo giudiziario) che a partire dal 1793 furono sostanzialmente monopolizzati dai giacobini, la fazione radicale dello schieramento politico rivoluzionario.
      La prima di queste insurrezioni fu quella della Vandea, una regione del Nord-Ovest della Francia la cui popolazione contadina, molto legata alla Chiesa cattolica, alla monarchia e alla nobiltà, era stata profondamente turbata dalla condanna a morte del re Luigi XVI, dai provvedimenti adottati dai rivoluzionari contro il clero, il quale era stato sottoposto all’autorità statale al posto di quella papale, e dalla coscrizione obbligatoria che, imposta dalla Convenzione Nazionale per creare nuovi eserciti con cui combattere l’Europa monarchica, sottraeva braccia valide alle famiglie agricole. Nel marzo 1793 la popolazione della Vandea insorse contro le autorità e le truppe della Repubblica francese, che vennero spazzate via. Nel successivo mese di aprile tutte le bande armate di contadini si organizzarono in un vero e proprio esercito che, nonostante alcuni successi, tra il giugno e il dicembre venne sanguinosamente sbaragliato dalle truppe inviate dalla Convenzione Nazionale per soffocare la rivolta. Parallelamente all’intervento militare, la Convenzione Nazionale, che stava ormai per iniziare il periodo del Terrore, dette il via a una spietata repressione. Lo testimoniano chiaramente due leggi: quella del 1° agosto 1793, che prevedeva l’incendio di tutti i boschi della Vandea dove si nascondevano gli insorti e la requisizione dei loro beni; quella del 1° ottobre 1793, che stabiliva lo sterminio di tutti gli abitanti dei territori ribellatisi al governo di Parigi, principalmente donne e bambini in quanto ritenute le prime “solchi riproduttori di mostri”, i secondi “futuri briganti”. A novembre la Convenzione Nazionale decretò il cambio del nome di Vandea con il termine Vengé (Vendicata), con cui essa voleva indicare la riconquista della regione alla Rivoluzione e alla Repubblica. Non bisogna, comunque, dimenticare che anche i vandeani furono efferati nei confronti dei rivoluzionari, dal momento che massacrarono molti soldati dell’esercito repubblicano caduti loro prigionieri.
      Mentre infuriava la rivolta nelle campagne e nei centri della Vandea anche altre città della Francia si ribellarono alle autorità rivoluzionarie: tra di esse Bordeaux, Lione e Tolone.
      Bordeaux e Lione insorsero dopo l’uscita dalla scena politica, avvenuta tra il maggio e il giugno 1793, dei girondini, che costituivano la fazione moderata dello schieramento politico rivoluzionario e tutelavano gli interessi della borghesia imprenditoriale: le due città, sedi di fiorenti attività economiche e mercantili, soprattutto Bordeaux che era stata privata dalla Rivoluzione dei suoi commerci sull’Atlantico, si sentirono isolate e minacciate dinanzi al radicalizzarsi degli eventi e alla centralizzazione del potere tanto che reagirono violentemente cacciando i rappresentanti della Repubblica e i reparti della Guardia Nazionale che le presidiavano. La reazione della Convenzione Nazionale fu durissima: truppe dell’esercito repubblicano, insieme a molti cittadini fedeli alla Rivoluzione, vennero inviate a ristabilire l’ordine nelle due città. Bordeaux fu occupata piuttosto rapidamente mentre Lione venne assediata e bombardata per due mesi, dal 9 agosto al 9 ottobre, dopo di che si arrese. Alla capitolazione fece seguito, in entrambe le città, una spietata repressione degli insorti superstiti, anch’essa perfettamente inserita nel clima del Terrore. In particolare, la Convenzione Nazionale emanò un decreto in base al quale a Lione tutte le abitazioni dei ceti benestanti sarebbero state distrutte, il nome originale della città sarebbe stato cancellato e sostituito dall’espressione Ville-Affranchie (Città Liberata) mentre sulle rovine degli edifici abbattuti sarebbe stata posta una lapide con una scritta a monito di tutti i nemici della Rivoluzione e della Repubblica: “Lione fece la guerra alla Libertà. Lione non esiste più.”
      Anche Tolone insorse dopo l’uscita dei girondini dalla scena politica, aggiungendo a motivazioni di natura prettamente sociale ed economica fattori di carattere religioso, dal momento che la sua popolazione era in gran parte cattolica e avversava profondamente i provvedimenti adottati dai rivoluzionari contro il clero. A differenza di Bordeaux e di Lione, a Tolone, centro portuale e sede di una flotta da guerra, la rivolta non fu guidata dalla borghesia controrivoluzionaria, ma dai numerosi monarchici ancora presenti nei ranghi della marina militare. Questi ultimi, dopo aver appreso che la Convenzione Nazionale aveva inviato delle truppe per reprimere la rivolta, chiesero aiuto alle navi inglesi e spagnole incrocianti al largo della città e dalle quali sbarcò un piccolo esercito. Rapidamente le truppe repubblicane circondarono Tolone, che capitolò dopo un assedio durato tre mesi, dal 18 settembre al 18 dicembre 1793. Un ruolo importante nella capitolazione della città fu svolto dall’artiglieria repubblicana comandata da un giovane ufficiale còrso di nome Napoleone Buonaparte. La reazione della Convenzione Nazionale anche questa volta fu spietata e in linea con la politica del Terrore: gli insorti superstiti furono passati per le armi, il nome della città fu cambiato in Port-de-la-Montagne (Porto della Montagna, in omaggio ai giacobini, chiamati anche montagnardi poiché sedevano negli scranni più alti della Convenzione Nazionale) mentre tutti i monumenti e gli edifici pubblici vennero distrutti.

“I protagonisti”

      Chi furono gli uomini che fecero scorrere tanto sangue? Ecco i loro profili biografici e, soprattutto, il loro macabro, terrificante operato.
      Jean-Baptiste Carrier (Yolet 1756 – Parigi 1794) fu il più “fantasioso” dei “grandi terroristi”. Avviato dalla propria famiglia alla carriera ecclesiastica, frequentò un istituto religioso dimostrando però di non avere alcuna vocazione alla vita sacerdotale. Successivamente studiò giurisprudenza e divenne procuratore, interessandosi nello stesso tempo di politica. Membro del club dei giacobini, si segnalò per la violenza della sua oratoria. Nel 1792 fu eletto deputato alla Convenzione Nazionale mentre nel 1793 votò per la condanna a morte del re Luigi XVI e svolse un ruolo di rilievo nell’istituzione del Tribunale Rivoluzionario e nella caduta dei girondini. Nell’agosto di quell’anno la Convenzione Nazionale lo inviò come rappresentante in missione a Nantes per organizzare la repressione della rivolta vandeana. A tale scopo Carrier dapprima istituì un tribunale rivoluzionario locale per giudicare e condannare i rivoltosi e subito dopo creò la Compagnia di Marat, un piccolo gruppo di rivoluzionari di cui facevano parte non solo sanculotti, ma anche delinquenti comuni, per procedere alle esecuzioni. Nello stesso tempo impose pesanti tasse e provvide alla confisca di beni appartenenti ai ceti abbienti e alla distruzione parziale della città. In autunno le carceri di Nantes si riempirono di prigionieri vandeani catturati dalle truppe repubblicane: il sovraffollamento dei luoghi di detenzione insieme alle scarse condizioni igieniche fecero scoppiare una grave epidemia di tifo che uccise molti prigionieri e mise in pericolo l’intera città. Carrier dette allora inizio alle esecuzioni con la ghigliottina e le fucilazioni, ma ciò non servì a svuotare le carceri e a porre fine all’epidemia. Fu allora che ideò un nuovo metodo per eliminare in massa i prigionieri: le noyades (annegamenti). I condannati, con mani e piedi legati, venivano fatti salire dagli uomini della Compagnia di Marat su alcune barche le quali, dopo essere state posizionate al centro della Loira, dove il fondale era più profondo, venivano affondate. Coloro che non annegavano erano uccisi a colpi di sciabola, lancia e picca. All’inizio i condannati venivano fatti annegare vestiti, poi completamente nudi, dando così inizio ai cosiddetti “matrimoni repubblicani”. Complessivamente Carrier organizzò sette noyades: quella della notte tra il 16 e il 17 novembre 1793 (90 vittime, tutti sacerdoti che non avevano aderito alla Rivoluzione ed erano rimasti fedeli alla Chiesa di Roma); quella della notte tra il 9 e il 10 dicembre (58 vittime, sempre sacerdoti); quella della notte tra il 14 e il 15 dicembre (129 vittime); quella della notte del 23 dicembre (circa 800 vittime); quelle svoltesi, sempre di notte, tra il 29 dicembre e il 18 gennaio 1794 (dalle 600 alle 900 vittime); quella della notte tra il 29 e il 30 gennaio 1794 (400 vittime). Le esecuzioni ordinate da Carrier – decapitazioni, fucilazioni e soprattutto annegamenti – colpirono non soltanto gli uomini, ma anche donne, vecchi e bambini, per un numero complessivo di 4.800 vittime. Carrier concluse il rapporto finale che inviò alla Convenzione Nazionale con una frase tanto ironica quanto atroce: «Che fiume rivoluzionario è la Loira!». E in un’altra occasione ebbe modo di dire: «Questi miserabili sotto la monarchia si lamentavano perché soffrivano la fame, ma sotto la repubblica non potranno mai dire di aver patito la sete».
      Nel 1794 Carrier fu richiamato a Parigi dalla Convenzione Nazionale. Dopo la caduta di Robespierre e la fine del Terrore, venne arrestato su denuncia di alcuni prigionieri di Nantes sopravvissuti ai massacri. Processato, fu condannato a morte e ghigliottinato verso la fine dell’anno.
      Louis Marie Turreau (Èvreux 1756 – Conches 1816) fu un generale dell’esercito repubblicano. Il suo nome è legato alle colonnes infernales (colonne infernali), reparti dell’esercito rivoluzionario che misero e ferro e fuoco la Vandea per eliminare i rivoltosi ancora in armi e distruggere tutti i luoghi dove essi si nascondevano. Figlio di un procuratore diventato poi sindaco, Turreau aderì con entusiasmo alla Rivoluzione entrando a far parte della Guardia Nazionale, di cui divenne in seguito comandante. Nel 1792 entrò nell’esercito, dove fece una rapidissima carriera fino a essere promosso generale. Constatando che le truppe repubblicane non erano riuscite ad annientare del tutto i rivoltosi vandeani, molti dei quali si erano rifugiati nei villaggi e nelle foreste della regione, Turreau alla fine del 1793 creò dei reparti speciali con cui passare al setaccio ogni centro abitato e ogni bosco con il preciso obiettivo di distruggerli e di eliminare chiunque vi fosse stato trovato. La Convenzione Nazionale approvò il piano del generale che nel gennaio 1794 ordinò alle sue truppe, organizzate in colonne, di procedere: «Tutti i briganti che saranno trovati armi alla mano, o rei di averle prese, saranno passati a filo di baionetta. Si agirà allo stesso modo con le donne, le ragazze e i bambini [...]. Neppure le persone semplicemente sospette devono essere risparmiate. Tutti i villaggi, i borghi, le macchie e tutto quanto può essere bruciato sarà dato alle fiamme».
      Dal gennaio al maggio 1794 le colonne infernali compirono dei veri e propri massacri, sterminando uomini, vecchi, donne e bambini. Tra le vittime – almeno 50.000 – vi furono anche molti rivoluzionari o comunque gente che non aveva preso parte alla rivolta, ma ciò non costituiva affatto un problema per i comandanti delle colonne, come appare chiaramente dalle parole di uno di essi, il generale Louis Grignon: «Compagni, entriamo nel paese insorto. Vi do l’ordine di dare alle fiamme tutto quanto sarà suscettibile di essere bruciato e di passare a filo di baionetta qualsiasi abitante incontrerete sul vostro passaggio. So che può esserci qualche patriota in questo paese. È lo stesso. Dobbiamo sacrificare tutto».
      Prima di uccidere i rivoltosi le colonne infernali si abbandonarono spesso a stupri e a mutilazioni; in più occasioni radunarono i prigionieri in edifici ai quali appiccavano poi il fuoco e talvolta bruciarono interi ospedali con dentro i malati. Giunsero anche a conciare pelle umana presa dai cadaveri per farne abiti e a cremare i morti per ricavarne del grasso. In aprile fu creata un’altra colonna infernale che pattugliava la Loira per catturare quei vandeani che avessero cercato di attraversare il fiume.
Turreau, dopo la caduta di Robespierre e la fine del Terrore, venne arrestato su ordine della Convenzione Nazionale, che aveva cambiato linea politica per risolvere la questione vandeana, ma non venne mai punito per i crimini commessi.
      François Joseph Westermann (Molsheim 1751 – Parigi 1794) fu anch’egli un generale dell’esercito repubblicano. Venne soprannominato il “macellaio della Vandea” per le atrocità commesse durante la rivolta vandeana. Ufficiale di cavalleria, entrò successivamente nella polizia. Aderì totalmente alla Rivoluzione partecipando nel 1792 all’assalto al palazzo delle Tuileries, evento che segnò la fine della monarchia. Nominato generale, nel giugno 1793 fu inviato dalla Convenzione Nazionale in Vandea per combattere i rivoltosi e, dopo alcune sconfitte, li annientò in dicembre a Le Mans e a Savenay, ordinando poi fucilazioni di massa non solo degli uomini catturati con le armi in pugno, ma anche di vecchi, donne e bambini. Nello stesso tempo il rappresentante in missione Carrier procedeva con le noyades. Nel rapporto inviato alla Convenzione Nazionale Westermann scrisse: «Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne, così che, almeno quelle, non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti [...]. Le strade sono seminate di cadaveri. Le fucilazioni continuano incessantemente a Savenay, poiché arrivano sempre dei briganti che pretendono di liberare i prigionieri».
      Sembra che Westermann propose di uccidere i prigionieri anche con altri sistemi, come quello di avvelenarli nelle carceri con dosi di arsenico versate nell’acquavite o liberate nell’aria in modo da creare una sorta di gas venefico; tali sistemi tuttavia non vennero applicati per motivi di praticità e di sicurezza. Le sue vittime nel complesso furono almeno 5.000, oltre ad altre migliaia di vandeani caduti nei combattimenti. Richiamato a Parigi dalla Convenzione Nazionale nel 1794, Westermann venne processato insieme ai cordiglieri indulgenti guidati da Georges Jacques Danton e ghigliottinato in aprile.
      Jean-Lambert Tallien (Parigi 1767 – ivi 1820) fu il grande terrorista che operò a Bordeaux. Sostenitore fin dall’inizio della Rivoluzione, svolse attività giornalistica fondando anche il giornale murale L’Ami des citoyens, journal fraternel. Prese poi parte all’assalto al palazzo delle Tuileries e approvò i tristemente noti massacri del settembre 1792. Eletto deputato alla Convenzione Nazionale sedette nelle file dei giacobini e fu profondamente avverso ai girondini. Nel 1793 votò la condanna a morte del re Luigi XVI, divenne membro del Comitato di Sicurezza Generale e nel settembre fu inviato dalla Convenzione Nazionale come rappresentante in missione a Bordeaux per reprimere la rivolta che vi era scoppiata. Qui Tallien istituì una commissione che procedette all’arresto di alcune migliaia di persone, di cui almeno 300 furono processate da un tribunale rivoluzionario locale e condannate parte alla ghigliottina e parte alla fucilazione. Parallelamente alla repressione impose pesanti tasse e provvide alla confisca di beni appartenenti ai ceti abbienti e alla distruzione parziale della città. Il suo atteggiamento violento mutò improvvisamente in seguito alla relazione che instaurò con Teresa Cabarrus, la quale divenne nota come Madame Tallien (protagonista della vita mondana dell’epoca), relazione che lo indusse a vivere nel lusso e a salvare da morte certa anche diversi insorti già condannati. Ritornato a Parigi, nel 1794 divenne presidente della Convenzione Nazionale e fu tra gli artefici principali della caduta di Robespierre. Negli anni successivi la sua influenza politica si ecclissò notevolmente e finì per essere abbandonato dai suoi vecchi compagni rivoluzionari e anche dalla Cabarrus.
      Jean-Marie Collot d’Herbois e Joseph Fouché furono i due massacratori di Lione. Jean-Marie Collot d’Herbois (Parigi 1749 – Caienna 1796) prima della Rivoluzione era un attore che recitò con buon successo in numerose città della Francia e anche all’estero. Sembra invece che a Lione venisse regolarmente e sonoramente fischiato dal pubblico, il che spiegherebbe, almeno in parte, il suo rancore verso questa città. Fu altresì autore di alcune opere teatrali. Scoppiata la Rivoluzione entrò nel club dei giacobini, maturando idee politiche fortemente radicali. Nel 1792 partecipò all’assalto al palazzo delle Tuileries e poco dopo fu eletto deputato alla Convenzione Nazionale mentre nel 1793 votò per la condanna a morte del re Luigi XVI, dimostrandosi inoltre acerrimo nemico dei girondini. Nello stesso anno divenne membro del Comitato di Salute Pubblica e insieme a Joseph Fouché fu inviato dalla Convenzione Nazionale come rappresentante in missione a Lione dove, dopo aver istituito uno sbrigativo tribunale rivoluzionario locale, si resero entrambi responsabili di vere e proprie stragi oltre a imporre pesanti tasse, a confiscare i beni dei ceti abbienti e a far distruggere una parte della città. Diventato presidente della Convenzione Nazionale nel 1794 fu anch’egli uno degli artefici della caduta di Robespierre, ma poco tempo dopo venne condannato alla deportazione in Guyana dove morì di febbre.
      Joseph Fouché (Nantes 1759 – Trieste 1820) fu uno dei personaggi più straordinari e più diabolici non solo della Rivoluzione francese, ma anche della successiva età napoleonica e della restaurazione: rivoluzionario estremista, nemico della monarchia e della Chiesa cattolica, autore delle stragi di Lione, artefice della caduta di Robespierre, capo della polizia dapprima del Direttorio poi di Napoleone e infine del re Luigi XVIII, agente segreto, doppiogiochista. Di lui abbiamo già ampiamente parlato nel nostro sito nell’ottobre 2018. In questa sede specifica vogliamo ricordare che Fouché, inviato dalla Convenzione Nazionale a Lione come rappresentante in missione, fu insieme a Collot d’Herbois l’organizzatore delle esecuzioni di massa che avvennero nella città tra il 4 dicembre 1793 e il 4 febbraio 1794 e che fecero ben 2.000 vittime, giustiziate non con la ghigliottina, considerata troppo lenta, ma con cannoni caricati a mitraglia il cui uso fu così giustificato dallo stesso Fouché, da allora soprannominato “il mitragliatore di Lione”: «I re punivano lentamente, perché erano deboli e crudeli; la giustizia del popolo deve essere rapida come l’espressione della sua volontà». Pubblicamente poi Fouché disse: «Le condanne di questo tribunale atterriscono i rei, ma consolano il popolo».
      Ecco una testimonianza della prima esecuzione di massa avvenuta a Lione il 4 dicembre 1793: «All’alba sessanta giovani vengono tratti dalle carceri e legati a coppie. Ma non li conducono alla ghigliottina, bensì sulla spianata di Brotteaux, di là del Rodano. Due fosse parallele, scavate in fretta, lasciano indovinare alle vittime il destino che le attende, e i cannoni puntati a dieci passi rivelano il metodo del massacro. Gli sciagurati vengono legati insieme in un gruppo urlante, piangente, invano dibattendosi furiosamente: si ode un comando e le bocche da fuoco scagliano su quella massa disperata la mitraglia micidiale. […]. Ma mentre il sangue fluisce già copioso giù nelle fosse, a un secondo comando uno squadrone di cavalleria si lancia colle sciabole e le pistole sui superstiti e comincia a picchiare e a tirare sulla massa di creature gementi e urlanti, nell’impossibilità di fuggire, e continuano sino a quando non cessa l’ultimo rantolo».
      Paul Barras e Louis-Marie Stanislas Fréron furono i due sterminatori di Tolone. Paul Barras (Fox-Amphoux 1759 – Parigi 1820) ex militare, assistette casualmente alla presa della Bastiglia, l’evento che dette inizio alla Rivoluzione. Massone, divenne poi membro del club dei giacobini e nel 1792 fu eletto deputato alla Convenzione Nazionale. Nel 1793 votò per la condanna a morte del re Luigi XVI e poco dopo fu inviato dalla Convenzione Nazionale come rappresentante in missione nel sud della Francia per reclutare truppe con cui combattere gli eserciti dell’Europa monarchica. Parallelamente dovette fronteggiare la rivolta scoppiata a Tolone dove, dopo la capitolazione della città, insieme all’altro rappresentante in missione Louis-Marie Stanislas Fréron istituì un tribunale rivoluzionario locale e organizzò una spietata repressione, imponendo nello stesso tempo pesanti tasse, confiscando i beni dei ceti abbienti e facendo distruggere una parte della città. Ebbe modo anche di arricchirsi personalmente con la malversazione. Ritornato a Parigi nel 1794 entrò in conflitto con il Comitato di Salute Pubblica e successivamente fu uno egli artefici della caduta di Robespierre. Nel 1795 fu eletto presidente della nuova Convenzione Nazionale, fece reprimere nel sangue tentativi insurrezionali monarchici e dal 1795 al 1799 fu presidente del Direttorio, l’organo esecutivo che governò la Francia fino all’avvento del Consolato napoleonico. Esiliato, dopo la caduta di Napoleone ritornò a Parigi, dove morì dimenticato da tutti.
      Louis-Marie Stanislas Fréron (Parigi 1754 – Santo Domingo 1802), insegnante al Collegio Luigi il Grande di Parigi, scrittore, amante del Petrarca di cui tradusse in francese alcuni sonetti, durante la Rivoluzione svolse attività giornalistica fondando il giornale L’Orateur du Peuple, schierato su posizioni molto radicali. Nel 1792 partecipò all’assalto al palazzo delle Tuileries e venne eletto deputato alla Convenzione Nazionale. Nel 1793 votò per la condanna a morte del re Luigi XVI e nello stesso anno fu inviato dalla Convenzione Nazionale come rappresentante in missione a Tolone dove, insieme all’altro rappresentante in missione Paul Barras, organizzò una spietata repressione che fece 800 vittime, fucilate o uccise a colpi di baionetta dalle truppe repubblicane. Ritornato a Parigi nel 1794, fu anch’egli uno degli artefici della caduta di Robespierre, assumendo posizioni politiche molto conservatrici. Divenuto membro del Consiglio dei Cinquecento, l’organo legislativo del Direttorio, fu successivamente inviato da Napoleone primo console a Santo Domingo dove morì di febbre.

Per saperne di più
M. Biard, Collot d’Herbois: légendes noires et Révolution, Lyon, 1995
J.-C. Fauveau, Tallien, la Terreur à Bordeaux, Bordeaux, 2016
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
K. L. Greene, The rise and fall of a revolutionary: the political career of Louis-Marie Stanislas Fréron, Tallahassee, 2004
A. Lallié, Jean-Baptiste Carrier, Paris, 1901
C. Le Bozec, Barras, Paris, 2016
G. Six, Dictionnaire biographique des généraux & amiraux français de la Révolution et de l’Empire (1792-1814), Paris, 1934
S. Zweig, Fouché. Ritratto di un uomo politico, Roma, 2013