GLI “ORFANI” DEL MSI: DAL RIBELLISMO ALLO SPONTANEISMO ARMATO

di Renzo Paternoster -

Quando si comprese che gli obiettivi politici che avrebbero dovuto portare a una svolta autoritaria erano diventati irrealizzabili, quella parte deviata all’interno degli apparati statali abbandonò le collusioni con l’eversio¬ne nera. L’estremismo neofascista divenne così più libero e svincolato da intese occulte.

Se fino alla prima metà degli anni Settanta del Novecento l’estremismo neofascista collimava con le trame eversive stragiste e golpiste, da questa data la militanza fascista estrema inizia a liberarsi dalle intese occulte con i poteri deviati dello Stato, per trovare l’indipendenza nella lotta armata contro quegli stessi poteri che pochi anni prima aveva in qualche modo servito e assecondato. Così, se prima i nemici da combattere avevano il volto del Partito Comunista e dei movimenti di estrema sinistra, ora il nuovo nemico divenne principalmente lo Stato e i suoi poteri forti. Questo divenne possibile perché ci fu anche un cambio di generazione, entrando in scena i neofascisti nati dopo il 1950.
Dagli attentati mascherati si passò alla strage e agli omicidi firmati, un’escalation di atti terroristici che partono dall’eccidio sul treno Italicus avvenuto il 4 agosto 1974. Nei progetti dei terroristi era prevista sicuramente una strage più ampia. L’orario assegnato al timer dell’ordigno prevedeva lo scoppio all’arrivo del treno alla stazione di Bologna. In effetti l’ordigno esplose all’1:23, un minuto prima dell’orario di arrivo del treno a Bologna. Ma l’Italicus aveva accumulato più di trenta minuti di ritardo, così l’esplo¬sione che partì dal quinto vagone, avvenne lontano dal centro abitato. Il volantino di rivendicazione dell’attentato e le successive telefonate di rivendicazione agli organi di stampa, asserivano: «Giancarlo Esposti [il presunto esecutore della strage di piazza della Loggia in Brescia, ucciso due giorni dopo la strage, il 30 maggio 1974, a Pian del Rascino, in seguito a un blitz dei carabinieri] è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla Nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti». [N. Cristadoro, L’eversione di destra negli anni di piombo. Dal “nuovo ordine” al “populismo armato” e l’influenza sulla destra extraparlamentare del XXI secolo, R. Chiaramonte, Collegno 2006, p. 102]. A questa, seguirono altre azioni armate, come quella dell’assassinio del giudice romano Vittorio Occorsio (10 luglio 1976), che nel 1973 aveva rappresentato l’accusa nel processo contro il gruppo neofascista Ordine Nuovo. Nel volantino di rivendicazione dell’omicidio, i neri accusarono Occorsio di «avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori. Vittorio Occorsio ha, infatti, istruito due processi contro il MPON [Movimento Politico Ordine Nuovo, n.d.A]» [P. Concutelli, G. Ardica, Io, l’uomo nero, Marsilio, Padova 2008, p. 109]. L’assassinio di Occorsio sancì il cambio di strategia: per la prima volta l’estrema destra volle colpire direttamente un simbolo dello Stato per vendicarsi.

L’immagine-icona del 1977jpg

Milano, via De Amicis, 14 maggio 1977

Il contesto sociale, economico e politico di quegli anni spianò la strada per lo sviluppo a Destra di una nuova fase di ribellismo, sfociato poi nella sua espressione terroristica dello spontaneismo armato, senza tuttavia abbandonare completamente il filone stragista. Nel 1976, infatti, gli equilibri parlamentari poggiavano su una miracolosa coalizione che includeva tutti i partiti dell’arco costituzionale, escluso il Movimento Sociale. Questo fu recepito dai giovani di Destra come il prologo di una grande alleanza tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, che avrebbe schiacciato ogni forma di opposizione. Anche dal punto di vista economico l’Italia viaggiava in acque agitate: una profonda fase di recessione, con un altissimo tasso d’inflazione, un regresso della produzione industriale con una vertiginosa escalation della disoccupazione, soprattutto giovanile, e un più crescente deficit nel settore pubblico.
Il cosiddetto “Movimento del ’77” fu l’esito finale di questo aggravarsi della situazione economica, sociale e politica. Esso fu caratterizzato dalla dichiarata contestazione al sistema dei partiti e dei sindacati. Famosa resta la “cacciata di Lama”, ossia la contestazione contro Luciano Lama, segretario della CGIL, durante il comizio sindacale del 17 febbraio 1977 all’Università La Sapienza di Roma, accolto da una pioggia di insulti e costretto a fuggire mentre scoppiavano violenti scontri tra gli studenti, il servizio d’ordine del sindacato e le Forze dell’Ordine. Popolare è l’immagine-icona dell’autonomo in passamontagna che, impugnando la pistola con le due mani, spara contro la polizia. La foto è scattata durante gli scontri il 14 maggio 1977 a Milano, in via De Amicis.
In questo contesto nell’area dell’estrema Destra giovanile nasce la “Nuova Destra”, un movimento svincolato dalle logiche partitiche e oggettivamente antistatuale, in cui il militante è «Il ritratto di una gioventù decisamente rivoluzionaria, che si trova a disagio con il binomio ordine-legalità; che ce l’ha più con il sistema che con il comunismo; che sogna un repulisti generale ma sa che, alla fin fine, tutte le rivoluzioni vengono tradite» [Stenio Solinas sul quotidiano «Roma» di Napoli, 21 giugno 1977, cit. in N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer, Milano 2010, p. 253].

La sede MSI di via Acca Larentia a Roma

La sede MSI di via Acca Larentia a Roma

Un evento decisivo, che segnò il passaggio dal ribellismo alla lotta armata di molti giovani di Destra, fu l’assassinio a Roma, il 7 gennaio 1978, di tre giovani militanti del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI.
Verso le 18:20 di quel giorno, un commando di giovani estremisti di sinistra, membri dei “Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale” (questa è la sigla che ha rivendicato l’azione armata) attua un agguato nei confronti di ragazzi appena usciti dalla sezione del MSI di via Acca Larentia. Tre giovani missini riescono a rientrare nella sezione e a salvarsi, Franco Bigonzetti resta ucciso sul colpo, mentre Francesco Ciavatta è freddato dopo essere stato ferito. I due giovani missini sono uccisi con una mitraglietta Skorpion, la stessa che dieci anni dopo, nel 1988, sarà utilizzata in altri tre omicidi, firmati questa volta dalle Brigate Rosse: quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffili.
Appena la notizia si diffonde, molti camerati dei ragazzi uccisi si raggruppano davanti al luogo dell’attentato, organizzando una manifestazione spontanea che diventa violenta. Durante gli scontri, il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori spara ad altezza d’uomo, colpendo in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni. I giovani missini raccolgono molte firme per denunciare l’ufficiale dei Carabinieri, ma i dirigenti del MSI temendo di compromettere i buoni rapporti con l’Arma, rifiutano di testimoniare. Per molti giovani della Destra questo comportamento pavido e corrotto della dirigenza missina fu il punto di non ritorno e quel sottile filo che ancora teneva legata la base giovanile missina con il Partito, si spezzò irrimediabilmente (la base giovanile già contestava ad Almirante di essere contro le occupazioni studentesche, di essere troppo vicino agli ambienti filo-atlantici e monarchici, l’appoggio alla Legge Reale sul fermo prolungato di polizia, il sostegno alla proposta della pena di morte per i reati politici). Per molti militanti di Destra, convinti di aver avuto la prova di essere stati lasciati soli, la scelta della lotta armata diviene espressione spontanea di lotta contro il sistema.
Francesca Mambro, protagonista degli anni successivi dello spontaneismo armato, così parla di Acca Larentia e delle sue conseguenze: «Il Movimento Sociale Italiano non ebbe alcuna reazione nei confronti dei carabinieri, probabilmente per difendere interessi e posizioni che non avevano nulla a che fare con la nostra militanza. Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma in quell’occasione dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri e il loro comportamento, allora non valeva la pena. Per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larentia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il MSI. Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano [Recchioni] significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra. Per la prima volta e per tre giorni i fascisti spareranno contro la polizia. E questo segnò un punto di non ritorno. Anche in seguito, per noi che non eravamo assolutamente quelli che volevano cambiare il Palazzo, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato. Che lo facessero altre organizzazioni era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora erano considerati il braccio armato del potere» [In G. Bianconi, Mambro: lì decisi di cominciare con la lotta armata, «Corriere della Sera», 8 gennaio 2008]. Per la cronaca, i colpevoli dell’agguato sono rimasti ignoti e liberi, il capitano dei Carabinieri Eduardo Sivori non ha mai subito alcuna conseguenza giudiziaria né disciplinare.
Le nuove generazioni di militanti di Destra, in completa antitesi con i veterani dei gruppi storici, danno inizio allo “spontaneismo armato”, ossia la creazione e la conseguente rapida scomparsa di piccoli gruppi autonomi che iniziano a fare politica con le pistole e le bombe. Il filone stragista di Destra, tuttavia, non è mai risolutivamente abbandonato.

Il simbolo di Terza Posizione

Il simbolo di Terza Posizione

Dal 1979 si registra così un movimento molto intenso dal punto di vista operativo. Nella primavera del 1979, fra aprile e maggio, i terroristi neri fanno esplodere ordigni contro il portone della sala consiliare del Campidoglio (20 aprile), alla Farnesina (4 maggio), fuori dal carcere di Regina Celi (15 maggio), presso il Consiglio Superiore della Magistratura (20 maggio).
Le sigle riconducibili allo spontaneismo armato hanno una vita transitoria e spesso nomi diversi celavano le stesse persone. Nell’impossibilità di dare conto di tutte, ricordiamo i gruppi più indicativi e consistenti: Costruiamo L’Azione, Nuclei Armati Rivoluzionari, Terza Posizione, Movimento Rivoluzionario Popolare. Tutti avevano in comune l’obiettivo di colpire lo Stato.
Il movimento politico Costruiamo l’Azione nacque nel 1977, ispirato da Paolo Signorelli, esponente di spicco dell’estrema Destra italiana. Il movimento politico aveva anche un’omonima testata giornalistica. Ben presto i neofascisti di Costruiamo l’Azione si dotarono di un proprio braccio armato, chiamato Movimento Rivoluzionario Popolare (MRP), che cominciò a realizzare attentati e rapine per l’autofinanziamento. All’interno di Costruiamo l’Azione iniziò quasi subito a prevalere la corrente militare del MRP. Questa corrente tendeva alla sconfessione di tutte le ideologie politiche, tentando di basare le proprie azioni unicamente dal punto di vista di lotta allo Stato. Per questo il MRP tentò di trovare punti di convergenza con la sinistra rivoluzionaria, soprattutto con Autonomia Operaia, per la lotta comune allo Stato. Il progetto tuttavia fallì. L’arresto nel 1979 di Sergio Calore e Fabio De Felice, ideologi del movimento, significò la fine di Costruiamo l’Azione.
Anche Terza Posizione è stata al tempo stesso una testata giornalistica e un movimento politico con un proprio braccio armato. Terza Posizione si pose in evidenza come alternativa alla Destra radicale anche con argomenti decisamente nobili: i problemi legati alla disoccupazione giovanile, all’ecologia, alla casa. Per questo si diffuse con una straordinaria velocità, acquisendo una dimensione nazionale, con basi dal Veneto alla Sicilia. Il braccio armato di Terza Posizione era il cervello di una rivoluzione che, accanto alle tradizionali posizioni – marxismo e Stato borghese – si proponeva di arrivare a una terza, lo “Stato di Popolo”, in cui il livello più alto dell’organizzazione, tenuto segreto alla base, sarebbe dovuto diventare la classe dirigente.

L'omicidio del giudice Mario Amato

L’omicidio del giudice Mario Amato

Il gruppo che più degli altri si attestò nella direzione spontaneista furono i NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari. In questo gruppo confluirono tutti quegli elementi che volevano manifestare la loro volontà d’opposizione a tutto e a tutti. Diceva Giuseppe Valerio “Giusva” Fioravanti, cofondatore, figura carismatica e guida dei NAR: «Avevamo un punto di vista anarchico: pensavamo che la rivoluzione non potesse essere governata, organizzata o guidata, altrimenti sarebbe stata solo lotta per il potere, e quella non ci interessava» [In A. Colombo, Storia Nera. Bologna, la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, Cairo, Milano 2007, p. 111].
I NAR, infatti, sono stati un’organizzazione atipica nell’universo eversivo di Destra. Composto di pochissimi elementi, i NAR non cercheranno mai di fare proselitismo, in quanto i militanti giudicavano importante la qualità e non la quantità degli attivisti. Il movimento non mirava alla “rivoluzione finale”, poiché sapeva che la “massa” non lo avrebbe mai seguito. Per questo puntava all’“azione”, prima come forma di autodifesa dalla Sinistra, poi come vendetta per i fascisti uccisi, poi ancora come attacco personale al sistema.
Pericolosamente attivi dal 1978 al 1981, ai Nuclei Amati Rivoluzionari furono attribuiti più di cento attentati e otto omicidi. Le esecuzioni di numerose rapine per il finanziamento, avvicinarono i NAR alla criminalità organizzata, in modo particolare alla famigerata Banda della Magliana, organizzazione criminale che costituì anche di legami mai del tutto chiariti con politica e apparati istituzionali statali. Il sodalizio con la criminalità organizzata servì al gruppo per l’attività di reinvestimento dei proventi delle rapine, attraverso il prestito usuraio; da parte loro i neofascisti assicurarono alla delinquenza comune la loro attività di intimidazione. Caratteristica dei NAR fu il fatto di essere stata “una sigla aperta”, in pratica autorizzava qualsiasi camerata ad appropriarsi del nome del gruppo, senza doverne rispondere ai fondatori, per rivendicare un’azione rivoluzionaria. In questo modo il movimento si strutturò in un processo di aggregazione di militanti di Destra attivi in pestaggi e scontri fisici con oppositori politici e, soprattutto, reattivi nella lotta al sistema. La sigla NAR, in definitiva, divenne la “parola d’ordine” con cui certificare, attraverso i “fatti”, l’adesione a un progetto complessivo prettamente di “Destra libera e attiva” il cui strumento principe di elaborazione e pratica politica fu l’“azione” nel senso più elevato del termine, ossia l’impegno concreto, totale, disinteressato e impersonale del militante-rivoluzionario.
Lo stesso leader storico dei NAR, “Giusva” Fioravanti, ha chiarito il significato della sigla in questi termini: «La sigla NAR è stata usata da molti anni, inizialmente per semplici attentati di danneggiamento, e stava ad indicare soltanto la matrice fascista. Tale sigla peraltro non si riferisce ad una organizzazione stabile e strutturata; bensì soltanto alla matrice degli attentati» [C. Venturoli, Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, la stazione di Bologna: dal discorso pubblico all’elaborazione didattica, Bonomo, Bologna 2007, p.58].
Tra i delitti più eclatanti dei NAR: l’assassinio dell’agente di polizia Maurizio Arnesano di guardia all’ambasciata del Libano a Roma (1980), quella del giudice romano Mario Amato (1980), quella del brigadiere dei carabinieri Ezio Lucarelli a Milano (1980).

Prima pagina de la Repubblica sulla strage di BolognaLo spontaneismo armato di Destra, pur ispirandosi al modello di Julius Evola del soldato politico e della natura esistenziale della lotta, ha adottato un’interpretazione più anarchica delle sue concezioni, per cui il rivoluzionario fascista ora combatte una battaglia individuale, è insofferente alle gerarchie, è affascinato dalla “strategia dell’arcipelago”, ossia la creazione di piccoli gruppi informali con natura fluida.
L’eversione fu dunque considerata a Destra come un atto naturale e indispensabile per ristabilire l’ordine e per far capire alla dirigenza del MSI che, solo il camerata che recideva il cordone ombelicale che lo teneva attaccato a un Partito che si era dimostrato codardo e opportunista, poteva aspirare a diventare un homo novus, un guerriero puro capace di ottenere una rivincita sulla storia. Un nuovo uomo che, attraverso l’azione, dimostrava, anzitutto a se stesso, la sua diversità esemplare nei confronti di una politica corrotta e di una società vessatoria.
Giulio Valerio Fioravanti, così descriveva questo concetto: «Quello che ci è sembrato importante è la ricerca dei mezzi per cambiare l’uomo […] In questa prospettiva la lotta armata è una delle strade da imboccare; nel lavoro per cambiare l’uomo bisognerà cambiare il sentimento della paura, della paura per la morte, della perdita della libertà. […] mi sono trovato a fare lotta armata per le mie caratteristiche personali, sicché posso dire che era l’unica cosa che io potevo fare e che la mia mente potesse arrivare a concepire e a realizzare come atto di liberazione» [A. Streccioni, A destra della destra. Dentro e fuori l’Msi, dai Far a Terza posizione, Settimo Sigillo, Roma 2000, p. 136].
Per realizzare questo era dunque necessario abbandonare la ristrettezza mentale della Destra storica, sperimentando nuove operosità, senza accontentarsi dell’attivismo come semplice scontro di piazza, ma elevandolo a vera e propria attività politico-militare. La priorità era l’abbattimento del sistema e la lotta contro tutto e tutti, abbandonando per sempre la logica di essere manovalanza occulta del potere borghese. Tuttavia i rapporti di collaborazione e protezione con i “Poteri forti e deviati dello Stato” non sono mai venuti del tutto a mancare, come dimostrano i depistaggi alle indagini su alcune stragi, prima fra tutte quella di Bologna del 2 agosto 1980 (occorre specificare che Fioravanti e Mambro, condannati per la strage, hanno da sempre dichiarato di non essere stati gli autori di quell’eccidio).

Fioravanti e Mambro durante un processo

Fioravanti e Mambro durante un processo

A differenza del primo terrorismo nero, quello dell’area spontaneista è stato perseguito efficacemente sul piano giudiziario, raggiungendo un’elevata percentuale d’accertamento delle responsabilità individuali. A questo ha sicuramente contribuito la legge approvata dal Parlamento che garantiva un “trattamento speciale” a chiunque si fosse “pentito” e avesse collaborato con lo Stato. Per i gruppi terroristici (di Destra e di Sinistra) la delazione diventò una grave minaccia che andava in qualche modo bloccata. A Destra, quindi, si iniziarono “azioni punitive”, o come si diceva allora in quegli ambienti “la campagna contro gli infami”, contro chiunque fosse solo sospettato di tradimento. Diceva Francesca Mambro, prima compagna e poi moglie di Giusva Fioravanti: «Secondo il modo di pensare dei NAR, nei confronti dei nemici bisognava avere rispetto, anche se vengono condannati a morte per quello che fanno. Nei confronti dei traditori, invece, tale rispetto non può esservi e pertanto vanno annientati» [In G. Bianconi, A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti, terrorista neo-fascista quasi per caso, Baldini & Castoldi 2007, p.280].
Gi arresti e la delazione furono sicuramente fatali all’estremismo armato, ma anche la crisi della militanza aveva di per sé messo in crisi gli irriducibili rimasti fuori dalle carceri italiane. Esaurita la fase più pericolosa e sanguinaria dell’eversione nera, le organizzazioni neofasciste hanno continuato a sopravvivere anche nell’ultimo decennio del 1900, limitandosi ad attività di tipo xenofobo, razziale e pestaggi.

Per saperne di più

Bianconi G., A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti, terrorista neo-fascista quasi per caso – Baldini & Castoldi 2007.
Bianconi G., Mambro: lì decisi di cominciare con la lotta armata – «Corriere della Sera», 8 gennaio 2008.
Colombo A., Storia Nera. Bologna, la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti – Cairo, Milano 2007.
Concutelli P., Ardica G., Io, l’uomo nero – Marsilio, Padova 2008.
Cristadoro N., L’eversione di destra negli anni di piombo. Dal “nuovo ordine” al “populismo armato” e l’influenza sulla destra extraparlamentare del XXI secolo – R. Chiaramonte, Collegno 2006.
Marco Grispigni, Il settantasette – Il Saggiatore, Milano, 1997.
Morelli M., Acca Larentia. Asfalto nero sangue – Bradipolibri, Ivrea 2007.
Rao N., La fiamma e la celtica – Sperling & Kupfer, Milano 2010.
Streccioni A., A destra della destra. Dentro e fuori l’Msi, dai Far a Terza posizione – Settimo Sigillo, Roma 2000.
Venturoli C., Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, la stazione di Bologna: dal discorso pubblico all’elaborazione didattica – Bonomo, Bologna 2007.