GLI EBREI IN FRANCIA SOTTO IL REGIME DI VICHY
di Daniela Franceschi -
Con l’armistizio del giugno 1940 la Francia fu divisa in due zone: una, a nord e lungo la costa atlantica, occupata dai tedeschi, l’altra a sud, controllata dal governo di Vichy. Quest’ultimo mise in atto una politica apertamente collaborazionista, funzionale agli interessi nazisti. A cominciare dalla persecuzione antisemita.
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Il est, dans la vie d’une nation, des moments qui blessent la mémoire et l’idée que l’on se fait de son pays. […] Il est difficile de les évoquer, aussi, parce que ces heures noires souillent à jamais notre histoire, et sont une injure à notre passé et à nos traditions.
Ci sono momenti nella vita di una nazione che feriscono la memoria e l’idea che abbiamo del nostro paese. […] È difficile evocarli anche perché queste ore buie infangano per sempre la nostra storia e sono un insulto al nostro passato e alle nostre tradizioni.
Jacques Chirac, discorso pronunciato alla commemorazione della retata del Vélodrome d’Hiver, 16 luglio 1995.
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Durante la Seconda Guerra mondiale in Francia un regime fascista noto come governo di Vichy sostituì la Terza Repubblica francese. Nel 1995 il governo francese ammise pubblicamente che, poco dopo aver firmato l’armistizio con la Germania nazista nel 1940, il regime di Vichy fu responsabile dell’attuazione di politiche razziali e della morte di decine di migliaia di ebrei.
La collaborazione del governo di Vichy prese forma in tre modi: la legislazione antisemita, i campi di internamento in Francia e il rastrellamento al Vèlodrome d’Hiver. Il caso di studio del Vèlodrome d’Hiver, insieme agli altri aspetti della collaborazione, suggeriscono che il governo di Vichy fu un collaboratore “volontario” della Germania nazista più che un soggetto passivo.
Per quanto concerne la popolazione ebraica è possibile affermare che il regime di Vichy non protesse i suoi cittadini ebrei durante la Seconda guerra mondiale ma li separò dal resto della collettività francese, rendendoli dei paria dal punto di vista sociale e una facile preda per i nazisti. La Francia perse il 25% della sua popolazione ebraica nello sterminio mentre la perdita media nell’Europa occidentale fu del 40%.
I leader di Vichy, dopo la guerra, hanno esaltato il fatto di aver salvato il 75% degli ebrei in Francia; tuttavia, la storia vede questi numeri come un fallimento. Il problema non è quanti ebrei Vichy ha salvato, ma quanti non ne ha risparmiati. La maggior parte degli ebrei provenienti dalla Francia morti nello sterminio non era francese, bensì di nazionalità straniera residente in Francia.
La nascita e il ruolo del regime di Vichy
La Francia dichiarò guerra alla Germania il 3 settembre 1939 dopo l’invasione tedesca della Polonia. Per nove mesi, la Francia combatté una drôle de guerre (“strana guerra”); i primi mesi del conflitto, in cui non ci furono combattimenti, videro una nazione disunita che non credeva alla guerra. Il 10 maggio 1940 i tedeschi invasero la Francia, rendendo palese quanto le tattiche militari francesi fossero inefficienti e obsolete. La mancanza di un’adeguata capacità militare, unita a un esercito demoralizzato, provocò una débâcle militare di notevoli proporzioni. Questo incredibile capovolgimento di fortuna per una delle nazioni vittoriose della Prima guerra mondiale fu definito dallo storico Marc Bloch l’étrange défaite (“la strana disfatta”).
Dopo aver dichiarato guerra alla Germania, la Francia trascorse nove mesi impegnata in una drôle de guerre senza combattere attivamente fino all’invasione tedesca del 10 maggio 1940. Paul Reynaud, un conservatore divenuto primo ministro il 19 marzo 1940, riteneva che la Repubblica francese avrebbe potuto resistere all’invasione. Reynaud nominò l’eroe della Prima guerra mondiale, il maresciallo Philippe Pétain, vicepresidente del consiglio dei Ministri nel tentativo di rafforzare il morale nazionale.
Pétain era il simbolo vivente del successo militare della Francia. Il suo ruolo nella battaglia di Verdun, quando il popolo francese aveva combattuto unito per proteggere la patria, non era stato dimenticato. Infatti, Verdun incarnava l’unità nazionale che era scomparsa dalla Francia dopo la Grande guerra.
A differenza di Reynaud, tuttavia, Pétain credeva che la guerra fosse persa già nel maggio del 1940. Il suo obiettivo consisteva nel non cercare di vincere la guerra, ma piuttosto di ottenere una pace accettabile. Pétain riteneva che il popolo francese sarebbe stato perduto se il governo avesse lasciato la Francia metropolitana. A suo parere, il governo doveva concentrarsi sugli interessi francesi, non su quelli internazionali. Inoltre, temeva la dura natura dell’invasione tedesca, ricordando gli eventi della Prima guerra mondiale. Quindi, un armistizio avrebbe fornito una certa protezione al popolo francese dall’esercito tedesco. Non vedeva l’armistizio come qualcosa che avrebbe potuto danneggiare la Francia o ridurne il potere come nazione, piuttosto, come dichiarò il 13 giugno 1940 al consiglio di Cangé, uno dei tanti luoghi in cui il consiglio dei Ministri si spostò durante l’invasione tedesca prima dell’armistizio, una condizione necessaria per la «perpetuazione dell’eterna Francia».
Reynaud si dimise da capo del governo a Bordeaux la sera del 16 giugno 1940 e propose Pétain come suo successore. Questo nuovo governo, l’ultimo della Terza Repubblica, fu costituito con l’unico scopo di chiedere quale fosse la proposta di pace tedesca.
Per Pétain, un armistizio non costituiva una sconfitta; piuttosto, continuando una guerra che la popolazione non voleva combattere, la Francia avrebbe perso tutto causando soltanto ulteriore disperazione. Inoltre, questa decisione non era un atto di codardia, ma una saggia decisione tattica che avrebbe consentito al Paese di sopravvivere.
Mentre alcuni ministri si opposero, Pétain procedette con la trattativa e l’armistizio fu firmato il 22 giugno del 1940. L’accordo divideva la Francia in due zone: i tedeschi controllavano la zona settentrionale, compresa l’intera costa atlantica, mentre Vichy controllava la zona meridionale, circa due quinti della Francia. Il controllo nominale del governo di Vichy durò fino al 1942, quando gli sbarchi alleati nel Nord Africa portarono i tedeschi a occupare tutta la Francia. L’armistizio entrò in vigore tre giorni dopo la firma.
Sebbene la maggior parte dei francesi non credesse nella guerra, rimase una minoranza che pensava che l’armistizio fosse una sconfitta inaccettabile, tra questi il più importante fu Charles de Gaulle il futuro leader della Resistenza francese, in disaccordo con le cupe prospettive di Pétain. De Gaulle non vedeva l’armistizio come l’unica possibilità, né credeva che fosse nel migliore interesse della Francia. De Gaulle era pienamente consapevole che la guerra non era limitata alla Francia, ma diffusa in tutto il mondo. Inoltre, riteneva che la Francia fosse abbastanza forte per difendersi dai tedeschi e che gli alleati sarebbero venuti in suo aiuto, a condizione che i francesi avessero continuato a combattere. Le sue convinzioni lo portarono a fondare il movimento della France Libre.
Dato il potere e l’influenza limitati di coloro che si opponevano all’armistizio, Pétain portò avanti i suoi piani per la zona non occupata. Il centro del governo fu spostato a Vichy, una città termale nel sud della Francia. Il 9 luglio 1940, il governo di Vichy non era ancora completo.
Con 624 favorevoli contro 4 contrari l’Assemblea Nazionale accettò di sospendere la Costituzione della Terza Repubblica del 1875 e di rivederla in modo sostanziale. Il nuovo governo approvò anche un disegno di legge che nominava Pétain capo dello stato francese.
Questa nuova posizione concesse a Pétain pieni poteri governativi, con il controllo completo delle forze armate e il diritto di negoziare e ratificare i trattati. I poteri esecutivi e legislativi precedentemente separati erano ora fusi in un’unica funzione.
Il 10 luglio Pétain procedette a formare l’esecutivo. A differenza del regime repubblicano, il governo di Vichy era molto diverso dal suo predecessore, in particolare nel rendere meno netta la linea di separazione tra governo e amministrazione e nel cambiare i simboli e gli ideali della Repubblica francese.
La nuova costituzione si concentrava sui principi di lavoro, famiglia e patria, che sostituirono il motto repubblicano di libertà, uguaglianza e fraternità. Alcuni membri del nuovo esecutivo, tra cui Pierre Laval, volevano porre fine al regime repubblicano; Pétain era altrettanto ostile alla Terza Repubblica. Credevano che la Terza Repubblica fosse colpevole della sconfitta militare. Quindi, il Parlamento fu sciolto e il governo repubblicano francese cessò di esistere.
La rivoluzione nazionale
Il crollo della Terza Repubblica fornì l’ambiente che consentì ai conservatori di usare il regime di Vichy per rompere gli schemi della Terza Repubblica. Così, la Francia sperimentò una “rivoluzione nazionale” in cui i significati di cittadinanza, nazionalità e società cambiarono.
La rivoluzione nazionale combatté i principi dell’economia del laissez-faire, della società di massa e dei governi parlamentari, tutte pietre miliari del regime repubblicano. I conservatori volevano creare una società elitaria retta da un sistema gerarchico autoritario.
La Chiesa cattolica iniziò a ricevere sostegno politico da Vichy, dato che era in atto un evidente spostamento dal modello laico repubblicano.
Il motto del regime, Travail, Famille, Patrie, era direttamente collegato agli insegnamenti della Chiesa cattolica. Nel sistema educativo, spogliato dei suoi legami religiosi durante la Terzo Repubblica, fu ripristinata l’istruzione religiosa.
Vichy lavorò anche per ripristinare l’importanza della famiglia nella società. Per combattere il declino della popolazione dei decenni precedenti, il governo postulava l’idea che il nucleo familiare fosse il punto focale della società, piuttosto che concentrarsi sui diritti individuali, segno distintivo del regime repubblicano. Mentre l’idea di fornire benefici alle famiglie numerose fu effettivamente fatta propria del Governo repubblicano, Vichy concentrò molta più attenzione sul nucleo familiare. Le politiche del regime verso l’aumento dell’importanza delle famiglie erano in contrasto con la legge sul divorzio del 1884, redatta da Alfred Naquet, un repubblicano ebreo. Vichy non abrogò mai la legge, tuttavia approvò una legislazione che riduceva le cause per divorziare e il periodo di tempo nel quale si poteva chiedere lo scioglimento del matrimonio. Il ruolo della donna nella società fu limitato alla sfera domestica, ribaltando i progressi compiuti durante la belle époque e la Grande guerra nei luoghi di lavoro, quando le donne sostituirono gli uomini chiamati al fronte.
La rivoluzione nazionale si concentrò anche sull’idea della “Francia per i francesi”, un principio che scaturiva dagli elevati livelli di xenofobia presenti in Francia durante gli anni Venti e Trenta. Quando la Francia fu inondata da un flusso imponente di profughi dall’Europa orientale e dalla Spagna, nel 1927 la Terza Repubblica allentò le leggi sulla naturalizzazione. Vari esponenti di Vichy, come Raphaël Alibert, sostenevano che durante la guerra a causa di questa legislazione repubblicana era stato troppo facile per gli stranieri, in particolare per gli ebrei, diventare francesi.
La legislazione di Vichy limitava i diritti degli stranieri, e gli ebrei erano considerati stranieri per antonomasia. L’impianto legislativo xenofobico e antisemita era parte integrante della identità e del programma di governo. La nuova legislazione spogliava dei loro diritti gli stranieri e gli ebrei, sia francesi che stranieri, acconsentendo persino alla loro deportazione.
L’antisemitismo di Vichy
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale in Francia vivevano 330.000 ebrei, di cui 195.000 francesi e 135.000 stranieri. Gli ebrei francesi non erano un gruppo omogeneo. Circa 90.000 erano “israeliti” francesi le cui famiglie erano saldamente radicate nel suolo francese e avevano un alto livello di integrazione e assimilazione nella società; facevano parte della borghesia e vivevano soprattutto a Parigi. Gli altri 105.000 erano stati naturalizzati come cittadini francesi e, sebbene avessero legami con l’ebraismo, anche loro erano potevano considerarsi integrati nella comunità nazionale.
La maggior parte degli ebrei stranieri arrivò in Francia in cerca di lavoro negli anni Venti e come rifugiata negli anni Trenta e Quaranta. Non esisteva alcuna connessione reale tra le comunità ebraiche francesi e straniere, perché gli ebrei francesi si consideravano prima francesi e poi ebrei. Gli ebrei francesi avevano assimilato la cultura francese. Inoltre, credevano che l’ascesa dell’antisemitismo dopo l’unità nazionale e ancora esistente durante la Prima guerra mondiale fosse dovuto, in parte, agli ebrei stranieri che non erano in grado di assimilarsi nella società.
Pertanto, la legislazione di Vichy, sulla scia del crescente antisemitismo degli anni Trenta, prese di mira la comunità ebraica nella sua interezza senza differenze tra ebrei stranieri e francesi, rappresentando un facile capro espiatorio per la perdita della guerra. Nello specifico, esponenti di Vichy affermavano che il fallito governo del Fronte Popolare aveva perpetuato le idee della Repubblica sotto la leadership di Léon Blum, un socialista, ebreo ed ex dreyfusardo, e che queste idee erano responsabili della sconfitta della Francia. Vichy vide la presenza degli ebrei nella società, in particolare in importanti posizioni di governo durante la Terza Repubblica, come una minaccia per la sicurezza della nazione.
I rappresentanti del regime continuarono a diffondere le idee antisemite di Edouard Drumont e di altri antisemiti dell’Affare Dreyfus. L’antisemitismo di Vichy differiva da quello nazista in quanto si concentrava sugli aspetti culturali piuttosto che su quelli razziali.
Mentre i nazisti credevano che gli ebrei fossero una razza inferiore nociva che doveva essere eliminata dalla terra, i leader di Vichy credevano che gli ebrei non si adattassero alla cultura francese perché non avrebbero mai potuto assimilarsi nella società francese. L’antisemitismo francese non cercò di espellere gli ebrei francesi dal suolo francese. La deportazione era una soluzione solo per gli ebrei stranieri. Tuttavia, Vichy privò gli ebrei francesi e stranieri dei loro diritti, rendendoli cittadini di seconda classe. Un ebreo, secondo il regime di Vichy, non avrebbe mai potuto essere fedele alla nazione francese come un cittadino i cui antenati erano nati sul suolo francese, dimenticando volutamente che molte famiglie ebree francesi vivevano in Francia da diverse generazioni.
La legislazione antisemita
Dopo l’approvazione della legislazione antiebraica, gli ebrei furono esclusi da vari ambiti professionali, come quello medico e legale. Una varietà di professioni erano aperte solo a coloro che erano francesi da tre o più generazioni. Inoltre, tutte le naturalizzazioni dal 1927 in poi furono riesaminate da un comitato creato il 22 luglio 1940. Nei quattro anni della sua esistenza, questo comitato privò 15.000 persone della loro cittadinanza e identità nazionale. Mentre questo atto non era di natura intrinsecamente antisemita, dal momento che gli ebrei costituivano meno del cinque per cento dei naturalizzati tra il 1927 e il 1940, circa 6.000 di quelli denaturalizzati erano ebrei. Questo tipo di legislazione facilitò il passaggio da leggi anti-stranieri a leggi antisemite.
La violazione del regime di Vichy dei diritti dei cittadini naturalizzati e degli stranieri nasceva dal desiderio di fare della Francia una nazione “pura”. Attaccare la comunità ebraica e rendere i suoi membri cittadini di seconda classe faceva raggiungere questo obiettivo.
Dal luglio 1940 al novembre 1942, quando lo sbarco alleato in Nord Africa portò la Germania ad occupare tutta la Francia per ragioni tattiche, Vichy aveva il controllo completo sulla sua legislazione, comprese le leggi antisemite in vigore nella zona non occupata. La legislazione antisemita approvata in questo periodo era una scelta consapevole dei vertici del regime. Secondo i leader di Vichy, l’afflusso di immigrati ebrei degli anni Trenta aveva indebolito la nazione francese. La comunità ebraica era vista sia come guerrafondaia, perché voleva che la Francia combattesse una guerra già vinta dai tedeschi, sia troppo debole per combattere e proteggere la patria come “veri” patrioti.
Dopo la guerra, i leader di Vichy hanno affermato che l’obiettivo non era quello di uccidere gli ebrei ma semplicemente di spostarli dal suolo francese; tuttavia, resta il fatto che Vichy aiutò i tedeschi a separare, internare e deportare nei campi tedeschi gli ebrei stranieri.
L’obiettivo della legislazione era rimuovere gli ebrei non francesi dalla Francia e fare degli ebrei francesi dei cittadini di seconda classe.
Queste leggi erano, nel complesso, più severe di quelle tedesche in vigore nella zona occupata. Nella zona occupata il 27 settembre del 1940 fu emanata un’ordinanza che definiva ebreo una persona di religione ebraica o con più di due nonni ebrei. Gli ebrei dovevano mettere un cartello nelle vetrine per identificare il loro negozi come ebraici ed era vietato tornare nella zona non occupata.
Nell’ottobre 1940 gli ebrei di tutta la zona occupata dovettero registrarsi, indipendentemente dalla cittadinanza, attraverso un censimento e furono rilasciate carte d’identità contrassegnate dalla parola “ebreo”.
A partire dall’ottobre 1940 i nazisti ordinarono che tutti gli ebrei stranieri e francesi si registrassero presso la polizia francese e, poco dopo, quegli elenchi furono consegnati volontariamente alla Gestapo e alle SS. Gli ebrei furono quindi costretti a identificarsi con il timbro di Juif sulle loro carte d’identità e ad indossare bracciali con la stella di David. Con l’eccezione della registrazione degli ebrei, nessuna di queste azioni fu imposta dai nazisti; anzi, le autorità tedesche notarono la rapidità e la portata della legislazione francese con stupore, gioia opportunistica e persino occasionale fastidio. Il governo di Vichy era infatti desideroso di legiferare e orgoglioso di seguire il proprio corso sulle questioni razziali.
A Vichy il 3 ottobre 1940 fu ratificato lo Statuto ebraico. In base a questa nuova legislazione gli ebrei non potevano ricoprire cariche pubbliche presso il Consiglio di Stato e le Corti di Cassazione. Ancora più importante, era considerato ebreo chiunque avesse tre nonni di “razza ebraica” o “due nonni e un coniuge di razza ebraica”. La definizione di ebreo in base a questo nuovo statuto ampliava la definizione tedesca del 27 settembre, dato che includeva chiunque avesse origini ebraiche, non solo coloro le cui famiglie praticavano la religione ebraica. Il giorno successivo Vichy approvò una legge che consentiva l’internamento dei cittadini stranieri di “razza ebraica” in campi speciali su decisione del prefetto del dipartimento di residenza. I cittadini stranieri di “razza ebraica” potevano in qualsiasi momento essere “assegnati” in una residenza forzata dal prefetto del dipartimento in cui risiedevano.
Questa legge, insieme allo statuto approvato il giorno prima, trasformò l’identità di molti ebrei naturalizzati, dato che li privava della cittadinanza francese e li rendeva stranieri nel proprio paese. In base a questo articolo, gli stranieri potevano quindi essere legalmente internati nei campi. Ulteriori articoli furono aggiunti fino al 1942, aumentando le limitazioni alle professioni accessibili, come la professione medica e quella legale. Inoltre, agli ebrei fu vietato insegnare e dedicarsi alle arti; il 9 maggio 1942 fu vietata la pubblicazione di opere di autori ebrei francesi e stranieri. Inoltre, nessun ebreo poteva lavorare per la stampa o la radio.
Il regime di Vichy approvò un’altra legge il 2 giugno 1941. Il nuovo statuto mirava a eliminare eventuali scappatoie esistenti nella precedente normativa, dato che la definizione di ebreo era legata alla religione. I figli di matrimoni misti poterono ora essere classificati come ebrei, così come persone convertite al cristianesimo ma con nonni ebrei.
Il trattamento degli ebrei francesi peggiorò con questo nuovo statuto, dato che ora potevano essere internati come ebrei stranieri perché lo statuto definiva come ebree persone con nonni ebrei. Pertanto, anche gli ebrei nati in Francia potevano essere internati se i loro nonni fossero stati ebrei praticanti.
Il regime di Vichy era più scrupoloso delle autorità tedesche nella zona occupata. Le leggi della zona non occupata inquadravano la comunità ebraica in un modo molto più ampio di qualsiasi legislazione tedesca precedente. Dal punto di vista del linguaggio, la legislazione di Vichy sembrava essere di tipo religioso mentre quella tedesca razziale. Tuttavia, il termine “razza” in Francia aveva una connotazione diversa rispetto alla Germania. La “razza ebraica” comprendeva persone che appartenevano a una comunità separata che non poteva diventare francese. Nonostante l’uso della parola “razza”, i membri di Vichy non sposavano l’antisemitismo razziale promulgato dai nazisti. I francesi usavano la parola razza in un modo più ampio e vago – una razza francese, una razza cattolica, una razza ebraica – piuttosto che in modo pseudo-scientifico. Tuttavia, la legislazione era più ampia rispetto alla legislazione tedesca iniziale. La definizione di Vichy di ebreo privava alcuni cittadini francesi della loro identità. Questi ebrei pensavano loro stessi come esclusivamente francesi, ma le nuove leggi li rendevano esclusivamente ebrei.
Mentre Vichy trattava tutti gli ebrei peggio dei cittadini francesi non ebrei, gli ebrei stranieri ricevettero un trattamento ancora più duro nei due anni in cui Vichy ebbe il controllo della zona non occupata. La differenza di trattamento è evidente nella creazione della commissione generale per gli affari ebraici (CGQJ) il 29 marzo 1941. La CGQJ fu creata in risposta alla spinta tedesca per un ufficio ebraico nella zona non occupata ed era diretta da Xavier Vallat, un noto antisemita. Eppure, nonostante le tendenze antisemite di Vallat, furono fatte alcune eccezioni per i veterani di guerra o per coloro che si erano dimostrati “fedeli” alla nazione francese.
Gli ebrei naturalizzati esentati sfuggivano alla deportazione, ma venivano comunque trattati come cittadini di seconda classe. Queste eccezioni indussero eminenti leader ebrei a credere che la commissione avrebbe svolto una funzione di cuscinetto tra i tedeschi e gli ebrei di Francia; ciò spiega in parte il fatto che gli ebrei francesi, in particolare, non protestarono contro le leggi discriminatorie ma si limitarono a seguire gli ordini, anche registrandosi nella zona non occupata. Non potevano immaginare che il governo francese li avrebbe lasciati in balia dei tedeschi. Ciò che queste persone non sapevano era che l’autorità di Vichy stava lentamente diminuendo sotto il comando tedesco.
La collaborazione con la Germania
Durante i due anni di governo, Vichy promulgò svariate leggi in collaborazione con le autorità tedesche. Alcune erano legate all’armistizio del 22 giugno del 1940 e concedevano l’autorità ai tedeschi di arrestare e deportare qualsiasi persona, ebrea o meno, che avesse infranto la legge tedesca e cercato asilo in Francia.
Vichy aizzò una propaganda antisemita che ebbe l’effetto di separare gli ebrei dal resto della società francese e li isolò prima che fossero arrestati e deportati. Anche se Vichy non sterminò gli ebrei sul suolo francese, il regime si conformò alle richieste tedesche relative al trattamento degli ebrei e permise che fossero condotti alla morte.
La polizia francese condusse gli arresti già prima del 1943. L’internamento e il trasferimento di ebrei dalla zona non occupata fu facilitata dall’amministrazione francese. Il primo rastrellamento di massa si verificò a Parigi il 14 maggio 1941 con 3.747 uomini ebrei stranieri arrestati e radunati in cinque punti di raccolta, fatti salire su un treno e trasportati nei campi di Pithiviers e Beaune. L’unica eccezione registrata a questa pratica furono gli arresti del 12 dicembre 1941, quando la polizia militare tedesca arrestò 750 ebrei francesi della classe media a Parigi, tra cui René Blum, fratello di Léon Blum. Furono inviati a Compiègne, per essere poi deportati Auschwitz. Questi ebrei francesi erano intellettuali e uomini d’affari. I tedeschi non avevano fatto alcuna distinzione tra ebrei stranieri o francesi nei loro arresti, mentre gli arresti guidati da Vichy erano concentrati sugli ebrei stranieri. Tuttavia, Vichy non protestò contro la deportazione di questi ebrei francesi, mostrando come la presunta sovranità di Vichy, che le avrebbe permesso di “proteggere” gli ebrei francesi dalla deportazione, dipendeva dalla clemenza tedesca.
Inoltre, Vichy aveva molti campi di internamento che venivano usati come campi intermedi prima della deportazione nei campi tedeschi. I campi di internamento furono costruiti e completamente gestiti dalle forze di polizia francesi e dal governo di Vichy.
Ad esempio, Poitiers, che era nella zona occupata, era controllato dall’amministrazione francese e rendeva manifesta la collaborazione tra l’amministrazione francese e l’occupante tedesco, soprattutto per quanto riguardava la complicità dei francesi nella soluzione finale tedesca.
Drancy, gestito dai francesi fino al 2 luglio del 1943, quando i tedeschi ne presero il controllo sotto la direzione di Aloïs Brunner, era uno dei più famigerati campi di internamento, con condizioni di vita al limite della sopravvivenza. Gli ebrei lì internati furono poi condotti in Germania.
Circa 67.000 ebrei furono internati e deportati. Meno del 3% tornò dopo la guerra.
La perdita di consenso del regime
Durante le prime fasi del regime di Vichy, la maggioranza della popolazione francese era soddisfatta della legislazione contro gli stranieri e gli ebrei. La propaganda diffusa dal regime era riuscita a connettersi con la tradizione antisemita e xenofoba profondamente radicata nella società francese. Vichy riuscì a mantenere il sostegno della comunità nazionale nonostante avesse internato centinaia di persone. Tuttavia, con il crescente numero di ebrei arrestati e deportati, soprattutto donne e bambini, il sostegno al regime diminuì.
Un punto di svolta fu rappresentato dal rastrellamento del Vélodrome d’Hiver, il 16 e 17 luglio del 1942, durante il quale 13.152 ebrei, tra cui 4.051 bambini, furono arrestati e infine deportati. Soltanto 800 persone sopravvissero; nessuno dei bambini tornò.
Il Vélodrome d’Hiver, 16 e 17 luglio 1942
Il 16 luglio 1942 in Francia segna uno degli eventi più sconvolgenti della Seconda guerra mondiale: l’arresto e la deportazione di 13.152 uomini, donne e bambini ebrei di Parigi. L’incremento delle retate di ebrei stranieri non era insolito: in quanto stranieri gli ebrei potevano essere internati secondo lo statuto ebraico di Vichy. Tuttavia, questo evento fu diverso.
I tedeschi chiesero che 30.000 ebrei fossero deportati dalla Francia. I leader di Vichy accettarono di deportare 10.000 ebrei dalla zona non occupata e 20.000 dalla zona occupata. Le liste includevano cittadini naturalizzati e bambini nati in Francia. Il primo gruppo doveva provenire dai campi di internamento dove erano detenuti ebrei stranieri della zona meridionale. Quest’ultimo gruppo doveva essere arrestato dalla polizia francese a Parigi. Réné Bousquet, segretario generale della polizia di Vichy, era felice di conformarsi alle richieste perché avrebbe diretto le forze di polizia francesi in entrambe le zone. Non solo i funzionari di Vichy erano disposti ad arrestare tutti gli ebrei che la Germania richiedeva, ma volevano includere anche i bambini che i tedeschi non avevano richiesto. I tedeschi esitarono, poiché le deportazioni precedenti erano avvenute sotto il pretesto di mandare gli arrestati nei campi di lavoro e radunare i bambini avrebbe scoperto questa finzione.
La richiesta di arrestare i bambini arrivò da Pierre Laval, ministro di Pétain. Le forze di polizia francesi si conformarono alle richieste di Laval, nonostante i tedeschi non avessero risposto affermativamente sulla questione dei bambini.
La mattina presto del 16 luglio 1942 fu l’inizio di un incubo per molti ebrei a Parigi. Alle 4 del mattino, 4.500 poliziotti francesi si sparsero per Parigi, armati di schede dettagliate con i nomi e gli indirizzi degli ebrei da arrestare. Gli arrestati ricevettero specifiche istruzioni: portare la carta d’identità, cibo per due giorni, un paio di scarpe, due paia di calzini, due camicie, un maglione, lenzuola, coperte, un piatto, utensili e articoli da toeletta. Il rastrellamento non andò liscio per la polizia. Le voci del rastrellamento si erano diffuse in tutta Parigi. Hélène Berr, una donna ebrea la cui famiglia viveva in Francia da diverse generazioni, ha documentato in un diario la sua vita a Parigi durante l’occupazione. Scrivendo il 15 luglio 1942, la sera prima del rastrellamento, osservava: «Qualcosa sta ribollendo, qualcosa che sarà una tragedia, forse la tragedia. M. Simon è venuto questa sera alle 10:00 per avvertirci che gli era stato detto di un rastrellamento per dopodomani, ventimila persone».
La polizia, per evitare ulteriore caos, iniziò a spostare le persone arrestate presso le destinazioni designate. Gli ebrei senza figli furono messi sugli autobus e portati a Drancy prima di essere deportati ad Auschwitz. Le famiglie con bambini furono collocate nel Vélodrome d’Hiver, dove vissero per una settimana in condizioni orrende. Oltre 8.000 persone furono tenute in un misero stadio, buio, non aerato, senza cibo e acqua sufficienti. Gli arrestati rimasero in queste condizioni orribili prima di essere trasportati in autobus alla Gare d’Austerlitz, dove i treni li avrebbero poi condotti in due campi di internamento gestiti dai gendarmi francesi, Pithiviers e Beaune-la-Rolande.
Le condizioni nei campi non erano migliori che nel Vélodrome, ma la situazione divenne più disumana, se mai fosse possibile, il 31 luglio. I tedeschi non avevano ancora acconsentito alla deportazione dei bambini, ma le autorità francesi avevano deciso di iniziare il processo di deportazione. Tutti gli individui oltre i quattordici anni dovevano essere trasportati ad Auschwitz. Annette Muller-Bessmann aveva nove anni quando fu arrestata con i suoi fratelli e la madre nella retata del 16 luglio. Lei fu una dei pochi a sopravvivere perché suo padre, che era sfuggito all’arresto, riuscì a convincere una suora a far trasferire Annette e i suoi fratelli in una casa per bambini malati in attesa di deportazione. La stessa suora aiutò poi Annette e i suoi fratelli a fuggire in un orfanotrofio, salvando le loro vite. I ricordi dei campi rimasero nella mente di Annette che in seguito ricordò la separazione a Beaune: «I bambini si aggrappavano alle loro madri, ai loro vestiti. Dovevano separarci con il calcio dei fucili, con i manganelli, con secchi d’acqua gelata. Era una corsa selvaggia, con grida, lacrime, urla di dolore. I gendarmi hanno strappato gli abiti delle donne, ancora alla ricerca di gioielli o denaro. Poi, all’improvviso, un grande silenzio. Da una parte centinaia di bambini piccoli, dall’altra le madri e i bambini più grandi. Al centro i gendarmi che impartiscono ordini bruschi».
La deportazione degli adulti fu completata il 7 agosto, lasciando solo 3.500 detenuti nei campi in Francia, tutti bambini. I tedeschi acconsentirono alla deportazione dei bambini ad Auschwitz all’inizio di agosto. I bambini furono trasferiti per la prima volta a Drancy. Poco dopo essere arrivati a Drancy, i bambini del Vélodrome salirono di nuovo a bordo di un treno, ma questa volta la loro destinazione finale era Auschwitz. Entro il 31 agosto, tutti i bambini del Vel d’Hiv che avevano lasciato il suolo francese erano morti nelle camere a gas di Auschwitz.
I rastrellamenti massicci colpirono anche il resto della popolazione francese, dove le reazioni furono varie. Alcuni continuarono a mostrare indifferenza, altri acclamarono i poliziotti, ma molti condannarono le retate e aiutarono gli ebrei a sfuggire all’arresto. Gli eventi del 16 luglio, nonostante gli sforzi del Governo per nascondere le atrocità del Vélodrome, allontanarono l’opinione pubblica dal regime, alimentando un maggiore sostegno alla Resistenza. Questi eventi scossero anche la comunità ebraica, infrangendo quello stato di compiacenza che l’aveva portata a credere che il governo francese sarebbe in stato grado di proteggerla dalle richieste tedesche.
La questione del coinvolgimento di Vichy nella soluzione finale era in grado di minacciare qualsiasi tipo di unità nazionale dopo la guerra e fu risolto dal generale Charles de Gaulle, che guidò il paese nel dopoguerra. Dopo il conflitto, Charles De Gaulle e altri leader francesi crearono il mito della massiccia adesione del popolo francese al movimento di resistenza.
Il piano di De Gaulle su come interpretare il ruolo del governo francese e del suo popolo durante la guerra ha creato un mito in cui i francesi potevano essere assolti da ogni colpa per le loro azioni. La popolazione francese ha scelto di credere che quanto accaduto durante la guerra fosse opera dei tedeschi e di alcuni francesi rinnegati. L’obiettivo di De Gaulle, cioè la ricostituzione di uno Stato unitario, ha permesso ai francesi di credere semplicemente che il regime di Vichy fosse costituito da pochi individui fuorviati che agirono in base a convinzioni personali, non rappresentando quindi la Francia nella sua interezza. Anche gli ebrei che tornavano dai campi di concentramento erano ansiosi di dimenticare le drammatiche esperienze che gli avevano distinti e separati dai concittadini.
Lo storico Henry Rousso ha coniato il termine di “Résistancialisme”, nel suo libro Le Syndrome de Vichy : De 1944 à nos jours, per descrivere la costruzione della memoria francese dopo la Seconda guerra mondiale; un termine mutuato dalla psicoanalisi per affrontare il trauma dell’occupazione. L’obiettivo del “Résistancialisme” era quello di minimizzare il ruolo di Vichy durante la guerra collegando invece la Francia alla Resistenza. Questo paradigma emerse nel dopoguerra, quando si diffuse l’errata impressione di una resistenza unanime e ampia durante il Secondo conflitto. Nella sua recensione del libro di Douglas Porch sulla resistenza francese, Bernard Kaplan scrive che in realtà solo il 5% circa dei francesi era membro della Resistenza. Il Governo francese ha ufficialmente riconosciuto solo 220.000 resistenti, tra uomini e donne, in pratica meno dell’1% per cento della popolazione in tempo di guerra.
È importante ricordare che sia la resistenza sia la sconfitta della Francia da parte delle potenze dell’Asse hanno sempre avuto un grande peso nell’immaginario e nella memoria collettiva. Nella memoria collettiva francese “il mito della resistenza”, perpetuato da De Gaulle, definì i ruoli e le posizioni che i governi, gli studiosi e il pubblico francesi adottarono dopo la Seconda guerra mondiale. Risulta interessante osservare come anche il leader socialista Francois Mitterrand ritenesse, come De Gaulle, che il regime di Vichy (a cui peraltro aveva aderito in gioventù) non fosse un governo legittimato. Per questa ragione rifiutava risolutamente di accettare la complicità francese negli eventi del rastrellamento del Vélodrome d’Hiver e nella soluzione finale nel suo complesso.
Solo nel 1995 il Governo francese, sotto la guida di Jacques Chirac, ha ufficialmente riconosciuto la responsabilità dello Stato francese nella deportazione degli ebrei e il suo coinvolgimento durante gli anni della guerra. Sebbene l’idea originale del rastrellamento fosse stata concepita dai nazisti, il governo di Vichy e la polizia francese si mostrarono ansiosi di partecipare in modo indipendente alla retata, per questo ampliarono la fascia di età degli ebrei arrestati, inclusi donne e bambini, e furono responsabili delle condizioni disumane e criminali del Vélodrome.
Ancora oggi è difficile che il grande pubblico conosca questo drammatico evento della storia della Shoah; negli ultimi anni, vi sono state delle opere cinematografiche, come La chiave di Sarah e Vento di primavera, che, sebbene non soddisfacenti da un punto di vista storiografico, hanno cercato di colmare questo vuoto. Segnalo, inoltre, il romanzo neogotico La memoria delle ceneri scritto da me e dal mio collega e amico Simone Valtorta, pubblicato nel giugno del 2020 dalla casa editrice La Torre dei Venti; il romanzo ha come nucleo principale proprio l’arresto degli ebrei parigini da parte della gendarmeria francese nel luglio del 1942.
Le azioni del governo di Vichy, interpretate da studiosi come John Merriman, Michael Marrus e Richard Weisberger quali atti di collaborazionismo, furono in gran parte eseguite in modo autonomo dalle forze di occupazione tedesche. Il governo di Vichy aveva leggi e statuti propri in materia di razza e cittadinanza che impose alla popolazione ebraica e straniera e che si intensificarono e progredirono parallelamente al legame con la Germania nazista e allo sforzo di mantenere l’indipendenza.
In conclusione, è possibile affermare che il regime di Vichy non seguì passivamente gli ordini della Germania, bensì partecipò intenzionalmente al genocidio ebraico.
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Per saperne di più
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