GIUSEPPE GORANI: AVVENTURIERO E DIPLOMATICO NEL SECOLO DEI LUMI

di Giancarlo Ferraris -

Massone, affascinato dai fisiocratici e dai filosofi dell’Illuminismo, fu ammiratore della Francia rivoluzionaria e seguace dei girondini, per i quali svolse numerose missioni diplomatiche. Fautore del sistema monarchico costituzionale, scrisse anche un progetto di costituzione repubblicana che conquistò i pensatori del nostro Risorgimento.

 

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Prigioniero in terra tedesca

    ♦    Il Settecento fu il secolo degli avventurieri e della passione per i viaggi. L’Europa si riempì letteralmente di italiani desiderosi di far conoscere le loro idee, di arricchirsi, ma anche (e forse soprattutto) di “divertirsi”, tanto che la parola avventuriero divenne sinonimo di “dilettante della vita”, vale a dire di colui il quale non prendeva mai sul serio la propria esistenza nonostante si trovasse nel bel mezzo di guerre, rivoluzioni, scomuniche, persecuzioni e altre amenità del genere. Celebri avventurieri del XVIII secolo furono Giacomo Casanova, Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, Filippo Buonarroti e Giuseppe Gorani. Di quest’ultimo vogliamo parlare in questa sede.
Giuseppe Gorani nacque a Milano il 2 febbraio 1740 dal conte Ferdinando e dalla contessa Marianna Belcredi, entrambi appartenenti a due famiglie della nobiltà pavese. Era il settimo di otto figli. La sua infanzia fu turbata da una situazione familiare difficile che culminò con l’interdizione del padre e il suo allontanamento dai domini austriaci d’Italia. Fu educato dai padri barnabiti presso il Collegio Imperiale dei Nobili di Milano dove studiò fino a quando, in aperto contrasto con la madre che lo voleva ecclesiastico, si arruolò nel reparto di truppe austriache di stanza come guarnigione a Milano. Si era in piena guerra dei Sette Anni (1756-1763) e gli avvenimenti militari lo portarono in diverse regioni d’Europa – dall’Austria alla Boemia, dalla Slesia alla Sassonia – fino a quando, nel 1759, non venne catturato e condotto in Prussia. Qui, dopo qualche tempo, iniziò a frequentare con assiduità il pastore protestante Johann Heinrich Samuel Formey, importante personalità della cultura tedesca dell’epoca, fondatore dell’Accademia Reale Prussiana delle Scienze di Berlino nonché coautore, insieme a Denis Diderot e a Jean-Baptiste d’Alembert, dell’Encyclopédie, l’opera regina dell’illuminismo. Il contatto con Formey allontanò Gorani dal cattolicesimo e lo avvicinò al giusnaturalismo (la corrente filosofico-giuridica che sostiene l’esistenza di un diritto naturale intrinsecamente buono e la sua superiorità sul diritto positivo creato dagli uomini) e soprattutto al cameralismo. Quest’ultimo era un complesso di dottrine pertinenti l’amministrazione dello Stato (il termine deriva da Kammer, l’organo che in Prussia nel XVIII secolo si occupava del patrimonio del sovrano e della finanza pubblica) nelle quali confluivano tutte le varie questioni relative alle condizioni di vita delle popolazioni, alle attività economiche, all’andamento della bilancia commerciale, alla ricchezza nazionale. Il cameralismo si basava su una concezione organica della società il cui perno era il sovrano, il quale riteneva che il benessere del popolo costituisse il presupposto per il mantenimento del suo potere. Sempre durante il suo soggiorno in terra tedesca, Gorani ebbe anche modo di conoscere il filosofo Immanuel Kant e di essere affiliato alla Massoneria.

I viaggi e le esperienze politiche

Giuseppe Gorani

Giuseppe Gorani

        Nel 1763, finita la guerra dei Sette Anni, Giuseppe Gorani rientrò a Milano e successivamente visitò Torino e Genova. Affascinato dalla figura di Pasquale Paoli, che alcuni anni prima aveva reso indipendente la Corsica dal dominio della Repubblica di Genova, progettò di fondare uno Stato modello, comprendente la stessa Corsica, la Sardegna e l’Isola d’Elba, che avrebbe avuto una sua amministrazione, un suo sistema giudiziario e forze armate proprie e che sarebbe stato governato dallo stesso Gorani nelle vesti di monarca illuminato secondo le dottrine del cameralismo. Per raccogliere risorse finanziarie con cui realizzare questo progetto intraprese un lungo viaggio che lo portò dapprima in Corsica e in Sardegna, poi nei Balcani, nel Nord Africa e infine in Portogallo dove, tra il 1765 e il 1767, fu al servizio di Sebastião José de Carvalho e Melo, futuro marchese di Pombal, ministro degli interni e de facto capo del governo del Regno di Portogallo sotto il re Giuseppe I di Braganza. In questi anni di peregrinazioni Gorani prese consapevolezza dell’utopia del suo progetto politico, arricchì il proprio sapere maturando molte esperienze dirette e, poco alla volta, si allontanò dal politico portoghese di cui inizialmente aveva approvato e sostenuto la lotta intrapresa contro il potere della Chiesa di Roma. Nello stesso 1767 Gorani ritornò in Italia con l’intenzione, grazie all’esperienza accumulata in Portogallo, di intraprendere la carriera diplomatica al servizio di Maria Teresa d’Asburgo. Presso la corte viennese conobbe fortune alterne. Infatti dopo aver ottenuto l’incarico di curare le relazioni con la Repubblica di Genova cadde in disgrazia per aver criticato l’amministrazione asburgica in Lombardia in particolare l’operato svolto dagli appaltatori delle imposte, i cosiddetti fermieri, che beneficiavano di molte protezioni a Milano e a Vienna, e che egli indicava invece come responsabili di abusi perpetrati nei confronti della popolazione locale. Passò allora al servizio del principe del Liechtenstein Giuseppe Venceslao per il quale svolse missioni diplomatiche presso le corti di Baviera, del Württemberg e del Palatinato, visitando poi Londra e soprattutto Parigi dove conobbe gli enciclopedisti. La sua carriera di diplomatico finì però poco dopo poiché venne ritenuto essere l’autore di una satira in versi che non risparmiava Maria Teresa e il principe di Liechtestein.

L’attività di studioso

        Profondamente affascinato dai pensatori illuministi, Gorani scelse allora di dedicarsi agli studi filosofici e letterari. Nel 1768, dopo aver trascorso alcuni mesi a Venezia, ritornò a Milano dove iniziò a frequentare l’ambiente culturale che faceva capo al celebre periodico politico e letterario Il Caffè, stringendo rapporti molto stretti con Cesare Beccaria. Nello stesso anno scrisse e pubblicò Il vero dispotismo, un trattato, diremmo oggi politico-sociale ed economico, in cui estremizzò molte delle idee riformiste degli intellettuali milanesi del suo tempo fondendole con le dottrine camerali che aveva assimilato durante la prigionia in Prussia. Nella sua visione della realtà la lotta contro i privilegi, tra i quali figurava anche la proprietà privata, doveva essere condotta da un sovrano despota che fosse libero di agire al di sopra delle leggi, ma sotto la guida della virtù, intesa come portatrice di uguaglianza sociale, e della scienza.
Nel 1769, in seguito a ulteriori contrasti con la famiglia, Gorani lasciò Milano per Ginevra dove pubblicò, con la falsa indicazione di Londra 1770, Il vero dispotismo. Ritiratosi poi nella cittadina di Nyon, frequentò Voltaire e altri pensatori aderendo ai principi della fisiocrazia, la dottrina economica che riteneva l’agricoltura come l’unica attività capace di produrre beni, a differenza dell’industria che li trasforma e del commercio che li distribuisce. L’entusiasmo per la fisiocrazia indusse il Gorani a scrivere nel 1771 il trattato Le imposte secondo l’ordine della natura, in cui la sua posizione nei confronti della proprietà privata si ammorbidì parallelamente alla formulazione della teoria dell’imposta unica che doveva essere prelevata sulla rendita versata dai fittavoli ai proprietari terrieri. Negli anni successivi scrisse e pubblicò altre opere: i Diritti per redimere le regalie, il Saggio sulla pubblica educazione, le Ricerche sulla scienza dei governi. In quest’ultima dimostrò una notevole attenzione alle difficili condizioni delle classi sociali subalterne, una visione eclettica della società del suo tempo e uno spirito riformatore polemico. Tutti questi lavori lo confermarono come esponente della cultura illuministica e gli dettero una notorietà tale che gli permise di rifiutare una cattedra di Economia politica all’Università di Pavia.

I nuovi viaggi e l’avventura nella Francia rivoluzionaria

        Nel 1774, alla morte del padre, Giuseppe Gorani ritornò a Milano dove fu impegnato in una lunga causa ereditaria con il fratello Cesare, ma dove ebbe anche modo di partecipare alla vita mondana e intellettuale della città. Il soggiorno milanese fu inframmezzato da viaggi a Ginevra, Marsiglia, Nizza, Tolosa e Venezia e, dopo la rottura dei rapporti con Giuseppe II d’Asburgo-Lorena che considerava un tiranno, lungo tutta la penisola italiana. Durante questi viaggi raccolse molte notizie raccolte poi in Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernemens et des moeurs des principaux états d’Italie.
Lo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789 offrì a Gorani l’occasione per l’inizio di una nuova vita e di nuove attività nelle lettere e nella politica. Stabilitosi ancora una volta a Nyon, da cui seguì con grande interesse le notizie che gli pervenivano dalla Francia, nel 1790 lasciò la Svizzera, dove il controllo poliziesco si era fatto soffocante, per trasferirsi a Parigi. Nella capitale francese incontrò intellettuali e politici, assistette alle riunioni dei club rivoluzionari, presentò testi all’Assemblea Nazionale Costituente e scrisse articoli che vennero editi anonimi. In particolare, fu conquistato dalla personalità di Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau, il cui programma politico, molto vicino alle sue idee, prevedeva l’abbattimento del sistema feudale e la creazione di una monarchia costituzionale capace di pilotare la Rivoluzione e di garantire la libertà nonché l’uguaglianza civile attraverso la suddivisione dei poteri: all’Assemblea Nazionale sarebbe spettato il potere legislativo, al sovrano quello esecutivo, a una magistratura autonoma dalla politica quello giudiziario. Per Mirabeau, Gorani svolse delle missioni diplomatiche in quasi tutti gli Stati italiani allo scopo di verificare quali effetti avesse prodotto la Rivoluzione francese. Nel 1791, scomparso Mirabeau, Gorani si avvicinò ai girondini, il raggruppamento borghese e moderato dello schieramento politico rivoluzionario, i quali difendevano le libertà civili e individuali nonché la proprietà privata ed erano convinti che attraverso la diffusione delle idee illuministiche la società francese e in genere tutta l’umanità avrebbero potuto rinnovarsi profondamente. Sempre nel 1791 svolse un’intensa attività diplomatica presso le corti dell’Inghilterra, dell’Olanda e di alcuni principati tedeschi allo scopo di dissuaderne i sovrani ad impegnarsi in un conflitto armato contro la Francia rivoluzionaria, conflitto che invece esplose nella primavera del 1792. Nell’agosto dello stesso anno gli fu solennemente conferita, unico italiano, la cittadinanza francese, che all’epoca era equivalente al titolo di eroe nazionale e che le autorità rivoluzionarie accordavano soltanto a coloro i quali “servivano la causa della ragione e della libertà”. Questo riconoscimento, tuttavia, costò a Gorani l’espulsione da tutti i domini asburgici, Milano compresa.
I successivi, drammatici sviluppi della Rivoluzione francese – dalla condanna a morte del re Luigi XVI alla guerra contro l’Europa all’instaurazione del regime del Terrore – finirono per allontanarlo dagli ideali che l’avevano ispirata spingendolo dapprima a rifiutarla, poi a condannarla totalmente. Tutto ciò non fece altro che rafforzare in lui un modello ideale di governo: una monarchia costituzionale fondata sulla separazione dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) nella quale il sovrano avrebbe conservato ed esercitato ampie prerogative e sarebbe stato assistito da due camere o organismi parlamentari: una alta, di estrazione nobiliare e di nomina regia, una bassa, di estrazione borghese e di nomina elettiva su base censitaria.
Durante il soggiorno in Francia scrisse, tra le altre cose, il Projet d’une Constitution républicaine pour le Milanez e le Lettres aux souverains d’Europe. Il Projet, divenuto poi un punto di riferimento per i pensatori del nostro Risorgimento, venne concepito e redatto grazie anche ai rapporti che l’autore aveva con i girondini nel momento in cui il suo quadro politico di riferimento era l’ordinamento repubblicano proposto appunto dai girondini. L’opera appare intrisa di un forte radicalismo che emerge nella trattazione di argomenti quali le misure per la diffusione della proprietà fondiaria, l’estensione del suffragio universale, la tutela dei diritti delle donne, l’importanza attribuita all’educazione nazionale, alle virtù civiche e morali, ai buoni costumi. Le Lettres aux souverains d’Europe invece furono redatte dal Gorani per convincere i vari sovrani europei a non coalizzarsi e a non fare la guerra contro la Francia rivoluzionaria, oltre a tentare di indurli a confrontare le loro politiche interne e le condizioni economiche e sociali dei loro regni rispetto alle nuove idee proclamate dalla Rivoluzione francese. L’editore parigino Guillaume, che nel 1793 le raccolse in un volume riconoscendo l’autorevolezza dei contenuti, peraltro valida anche ai giorni nostri, disse: «Esse hanno il merito di spiegare le varie cause della Rivoluzione francese, di predire gli avvenimenti che dovranno verificarsi per il benessere del mondo, le conseguenze dei re che si sono armati contro la Francia… Quest’opera è così densa delle verità fondamentali per la felicità umana, dei principi che derivano dalla nuova politica instaurata dalla Repubblica Francese, che si può considerare un vero e proprio manuale per il politico di oggi».

L’ultima missione e il ritiro

        Nel 1793 Giuseppe Gorani venne incaricato dai girondini, proprio poco prima della loro caduta, di provocare un’insurrezione nella Repubblica di Ginevra in modo da giustificarne l’annessione alla Francia rivoluzionaria. Giunto nella città elvetica Gorani non se la sentì però di portare a termine il suo incarico, anche perché venne a sapere che i girondini, nel frattempo, erano stati estromessi dalla vita politica francese e che si era imposta la dittatura giacobina di Maximilien Robespierre. Da parte loro i giacobini non solo lo accusarono di essere un traditore, ma iniziarono anche a dargli la caccia costringendolo a condurre una vita errabonda tra le valli della Svizzera. Soltanto nel 1795, dopo la caduta di Robespierre e la fine del Terrore, Gorani poté fare ritorno in Francia – in quel periodo governata dal Direttorio – che lasciò tuttavia quasi subito ritirandosi a Ginevra, la sua patria elettiva dove restò per il resto della vita, con l’eccezione di due brevi soggiorni a Milano nel 1806 e nel 1810. Nella città elvetica visse con le sue due amanti, la governante e la segretaria, e si dedicò alla stesura due opere: la Histoire du Milan e le Mémoires pour servir à l’histoire de ma vie, entrambe pubblicate postume. Morì a Ginevra il 13 dicembre 1819 ormai dimenticato da tutti.

Per saperne di più
B. Croce, “L’elemento italiano nella società europea del Settecento”, in Uomini e cose della vecchia Italia, Bari, 1927.
F. Cusani, “Il conte Giuseppe Gorani, cenni biografici”, in Archivio storico lombardo, vol. V, Milano, 1878.
Dizionario Biografico degli Italiani in www.treccani.it
V. Gnocchini, L’Italia dei Liberi Muratori, Roma, 2005